Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

01 ottobre 2012

Sbarre senza salute
l'Unità, 01-10-2012
Flore Murard-Yovanovitch
Gabbie gialle e fresche di pitture ma gabbie lo stesso. Migranti rinchiusi dietro il filo spinato e un muro di silenzio difficile da rompere. Non “centri di accoglienza” o di “permanenza” ma carceri a tutti gli effetti, non cosiddetti “ospiti” ma “detenuti”. Guardate quelle foto scattate da un team di Medici per i Diritti Umani durante una visita nel CIE di Lamezia Terme, situato in località Pian del Duca e gestito fin dalla sua apertura nel 1998 dalla Cooperativa Malgrado Tutto. In questa rara e preziosa testimonianza, si vede la serie di recinzioni alte 6 metri, le stanze con i letti di metallo fissati a terra e le stanze d’isolamento. Ma soprattutto un’inconsueta gabbia (gialla) per radersi la barba, esposto alla vista di tutti, forze dell’ordine, altri trattenuti e staff dell’ente gestore. Come se non bastassero le camere di sorveglianze, accese 24ore su24, in violazione di ogni privacy. Una gabbia lesiva della dignità umana.
Prima dall’uscita dall’“abitacolo” stile guerra stellare versione Abu Ghraib, devi depositare la lametta in un apposito contenitore. Perché la lametta, la potresti ingerire, sì succede ogni giorno nei CIE.  Come batterie, lucchetti e lampade, braccia tagliuzzate, nell’autolesionismo diffuso per via di disturbi psicologici; per il tempo è vuoto, sospeso, fino a 18 mesi. Un anno e mezzo della vita di una persona derubata, senza aver commesso alcun reato. Ma la paranoia del sistema è totale e ha una sola angoscia e preoccupazione: che tu sfuggi, che ti inferti una ferita, che ti “tagli”, per sfuggire lo stesso. Perché qui si muore dentro. Perché qui è invivibile. Perché il Cie è lesivo e inutile e fallimentare pure rispetto alle sue ufficiali funzioni propagandistiche di lotta all’immigrazione irregolare: non ti identifica, non ti espelle, non ti rimpatria; a Lamezia Terme, meno della metà (il 41% nel 2011) dei migranti trattenuti è effettivamente espulso. E circa il 90 % dei detenuti nei Cie in generale, proviene dal carcere: persone che sarebbero dovuto essere identificate in detenzione, ma si trovano a scontare una pena aggiuntiva e illegittima.
Il CIE è una bolla vuota, un espediente burocratico, un crimine dello Stato. Una negazione del diverso che porta unicamente all’ impazzimento  o al ritorno alla “clandestinità”. Curarti no. In assenza di un preside dell’Asl, quei campi guarantiscono solo un’assistenza da primo livello e per pazienti affetti da patologie più gravi che necessitano diagnosi o cure specialistiche in strutture esterne, casi di negazione del diritto alla salute sono numerosi. In carcere, la relazione di fiducia medico-paziente viene, infatti, meno, sfiduciata dal sospetto che il detenuto simula una malattia nello scopo di sfuggire; medici e staff dell’ente gestore diventano spesso involontari carcerieri.
Ci sono prove testimonianza che ogni cittadino dovrebbe guardare. Come quella foto dell’immigrato detenuto che, nonostante la richiesta di effettuare un controllo ortopedico, per via di una grave forma d’infezione del femore e di una protesi all’anca, si è inventata una fisioterapia “fai da te” con una bottiglia di plastica piena d’acqua e legata al piede. Non per piangere sulla dignità offesa dei migranti ma, alla violazione dei diritti umani compiuti in nostro nome e chiedere, come fa la campagna LasciateCIEntrare, la loro immediata chiusura.


 


Costretti a radersi in gabbia "Così evitiamo atti di autolesionismo"
Al CIE di Lamezia Terme. Gli immigrati-detenuti a rischio rinchiusi in una cabina metallica dove possono fare le loro pulizie personali, sotto gli occhi di tutti. La denuncia è dell' Ong Medici per i Diritti Umani 1(Medu).
la Repubblica, 28-09-2012
RAFFAELLA COSENTINO
LAMEZIA TERME - In gabbia per radersi la barba davanti a tutti. È la "sconcertante pratica di umiliazione dei migranti detenuti" scoperta, fotografata e denunciata dall'Ong Medici per i Diritti Umani 2(Medu) dopo una visita nel Centro di identificazione e di espulsione (Cie) di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. I Cie sono prigioni amministrative in cui vengono rinchiusi, fino a un anno e mezzo, gli immigrati senza permesso di soggiorno che dovrebbero essere espulsi dall'Italia. Si tratta di un illecito amministrativo, non di un reato. A causa della lunga reclusione, i migranti vivono un profondo disagio psichico e commettono frequentemente atti di autolesionismo, ingerendo oggetti come pile, penne, cerniere oppure tagliandosi il corpo con qualunque tipo di lama. Per questo non gli vengono consegnati rasoi con cui tagliarsi la barba.
Filo spinato e recinti alti sei metri. A differenza degli altri CIE, il centro di Lamezia Terme, gestito dal 1998 dalla cooperativa Malgrado Tutto 3 non dispone di un servizio di barberia. L'ente gestore, riferiscono gli operatori di Medu, ha "inventato" una gabbia aggiuntiva, dotata di un piccolo lavello in acciaio, dove i migranti si possono radere. La gabbia è posizionata su un montacarichi e può essere all'occorrenza spostata. Le fotografie la mostrano chiusa e aperta, collocata davanti alle sbarre del cortile, unico spazio comune per tutti gli internati. "È una vera e propria gabbia priva di qualsiasi privacy ed esposta alla vista dei trattenuti, del personale dell'ente gestore e delle forze dell'ordine - spiegano i Medici per i Diritti Umani - prima di uscire dall'abitacolo, il trattenuto deve depositare la lametta in un apposito contenitore".  Il centro è circondato da una serie di recinzioni alte 6 metri, dotate di filo spinato.
Le altre scoperte. Ci sono due accessi all'area di trattenimento. Il primo è chiuso da una porta blindata. Il secondo è dotato di una gabbia doppia, progettata appositamente dall'ente gestore per impedire eventuali fughe. Secondo le statistiche del ministero dell'Interno, nel 2011 sono scappate 9 persone. Nel centro di Pian del Duca, un'ex comunità di recupero per tossicodipendenti, sorto su un terreno confiscato alla 'ndrangheta e nascosto tra le campagne di Lamezia Terme, il team di Medici per i Diritti Umani denuncia di avere fatto altre scoperte di violazioni della dignità umana. Gli operatori hanno fotografato un migrante disabile costretto a fare ogni giorno esercizi di fisioterapia con una bottiglia d'acqua legata al piede. L'uomo si muove grazie ad una stampella perché ha una protesi all'anca, dovuta a ripetuti ricoveri e interventi, precedenti al suo internamento nel Cie, per una grave forma di infezione (osteomielite) della testa del femore.
La fisioterapia "fai da te". "Dal suo ingresso nel CIE, oltre quattro mesi fa, il paziente ha chiesto invano la possibilità di poter effettuare la fisioterapia e un controllo ortopedico - affermano i Medu - Al suo ingresso nella struttura è stato sottoposto ad una serie di esami ematici di cui ancora non conosce l'esito. L'ente gestore ci riferisce di non aver potuto acquisire la sua cartella clinica. Nel frattempo il paziente si è auto organizzato con una fisioterapia fai da te". Secondo Medu, che da mesi svolge ispezioni nei centri, "questo caso dimostra le difficoltà di garantire in modo adeguato il diritto alla salute all'interno di un Cie".  In un precedente rapporto, Medu ha definito "iniquo ingranaggio" tutto il sistema dei circa 15 Centri di identificazione e di espulsione esistenti. Il coordinatore Alberto Barbieri, autore delle fotografie, spiega che "in questi centri si crea un sistema perverso, in cui non c'è fiducia fra medico e paziente perché da una parte i pazienti lamentano la persistente disattenzione dei sanitari nei confronti delle loro patologie, dall'altra i sanitari temono costantemente che i detenuti simulino o esagerino i sintomi di una malattia con lo scopo finale della fuga".
Il medico carceriere. Alla fine il medico si trasforma in un carceriere, il cui compito è anche quello di evitare il più possibile i trasferimenti del paziente in un ospedale all'esterno, viste le possibilità di fuga e la difficoltà di organizzare le scorte di polizia. Così a Lamezia Terme, esiste anche una cella di isolamento terapeutico per trattenere coloro che si sospetta abbiano malattie infettive. È chiusa da grandi lucchetti e circondata dal filo spinato. Secondo Medu, il costo complessivo della struttura è di almeno 600mila euro l'anno. Può internare fino a 60 persone ma al momento ha solo 10 detenuti. Gli fanno la guardia 60 uomini tra esercito e polizia, oltre ai 15 operatori dell'ente gestore. I rimpatriati nel 2011 sono stati il 41%, meno della metà.
La promessa del Viminale. Nel 2010 Medici senza frontiere 4 aveva strappato al ministero dell'Interno la promessa di chiudere il centro, già considerato uno dei peggiori. "Tale giudizio appare ancora oggi giustificato poiché, alla luce della visita effettuata, la struttura appare del tutto inadeguata a garantire la dignità umana dei migranti trattenuti - denunciano questa volta i Medici per i Diritti Umani- La mancanza di qualsiasi attività ricreativa, la carenza di servizi essenziali per i trattenuti, la chiusura pressoché totale all'apporto di organizzazioni esterne, alcune pratiche francamente sconcertanti e lesive della privacy della persona rendono la struttura priva dei requisiti minimi di vivibilità in condizioni di capienza a regime". Con i tagli e la crisi, il budget giornaliero è stato ridotto dal Viminale da 46 a 30 euro per ogni detenuto. Le cose, quindi, potrebbero anche peggiorare.    
L'altra spiegazione delle "gabbie". In passato - va comunque ricordato - le forze di polizia chiamate a vigilare all'interno dei CIE hanno tenuto a precisare che, spesso, accorgimenti come le gabbie (che restano comunque soluzioni degradanti e inaccettabili) servono per evitare che eventuali lesioni auto-provocate possano servire alle persone recluse nei Centri per accusare e denunciare i loro vigilanti. Metterli così in condizione di radersi e di provvedere all'igiene personale in un luogo pubblico e visibile - questa è la sostanza del ragionamento - scongiurerebbe denunce ingiuste.
 


Sanatoria a rilento: solo 40mila domande
??Avvenire, 01-10-2012

Paolo Lambruschi
Andamento lento per la sanatoria a due settimane dal via, a metà cammino. Sono quasi 40mila le domande prevenute fino a venerdì sera, secondo il sito del Viminale, contro le 300mila attese o - dicono altri più realisticamente - 150-200mila. Troppo complessa la procedura, troppo alti i paletti economici e rigidi i criteri per dimostrare la effettiva permanenza nel nostro paese, lamentano associazioni e sindacati del Tavolo immigrazione. Che, pur condividendo lo spirito di emersione dal nero, paventano il fallimento dell’operazione e hanno già chiesto al governo uno sforzo per abbassare l’asticella.
A differenza del 2009, la  sanatoria avviene nel pieno di una crisi che sta colpendo duramente gli immigrati (un nuovo disoccupato su tre è straniero) ed è ancora rivolta al lavoro domestico e assistenziale. Finora la maggior parte dei moduli di emersione (24mila) viene infatti dalle colf, categoria per la quale è possibile regolarizzare anche rapporti part time purché superiori alle 20 ore settimanali, mentre circa 9.000 riguardano le badanti di persone non autosufficienti e solo 4.500 settori quali l’edilizia, l’agricoltura e il commercio. Questo ha prodotto strane certificazioni, con uomini pakistani, bengalesi e marocchini registrati come lavoratori domestici per aggirare gli ostacoli e avere il permesso a costi minori. La maggior parte delle schede proviene dalle tre grandi città. Prima Milano (quasi 5.000 domande), seguita da Roma (4.500), Napoli (4.000) e, a sorpresa, Brescia che con 1.700 domande precede Torino (1.100).
Venerdì il Tavolo nazionale immigrazione - che annovera Acli, Caritas Italiana, Centro Astalli, Comunità di Sant’Egidio e i sindacati - ha lanciato un appello a Monti e ai ministri competenti (Cancellieri, Fornero e Riccardi) chiedendo di semplificare dove possibile le procedure, perché «il rischio è che il 90% dei potenziali aventi diritto resti esclusa».
I punti critici? Primo, le modalità per comprovare la presenza del lavoratore in Italia prima del 31 dicembre 2011, che per la normativa deve essere certificata da un "organismo pubblico",  intendendo gli uffici della pubblica amministrazione.
«Luoghi – osserva Pino Gulia del Patronato Acli – da cui un irregolare gira al largo per paura dell’espulsione. Persino al pronto soccorso danno nomi falsi».
Poi i costi elevati. Il datore di lavoro deve versare un contributo forfettario di 1.000 euro per ciascun lavoratore in nero, che non sarà restituito se la domanda viene respinta, oltre alle somme dovute a titolo contributivo e retributivo di almeno sei mesi. Si va da un minimo di 2.700 fino a un massimo di 5.500 euro. E poi, va da sè, più chiarezza.
«I mille euro per aprire la pratica versati a fondo perduto vengono pagati dai lavoratori – prosegue Gulia – ai quali non sappiamo cosa accadrà se la domanda viene respinta. Mentre il datore, impresa o famiglia, può autodenunciarsi e, dopo aver versato i contributi arretrati all’Inps e aver risolto favorevolmente anche le buste paga, mettersi in regola per sempre».
Anche le Caritas diocesane e decanali sono in difficoltà.
«L’ostacolo principale – spiega Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione della Caritas italiana – è la prova di presenza sul nostro territorio al 31 dicembre 2011 che va documentata da organismi pubblici. Secondo l’interpretazione restrittiva del governo, sono tali solo le pubbliche amministrazioni. Ma sappiamo che queste non possono produrre documentazione, salvo casi molto particolari, agli irregolari. Chiediamo di non sorvolare su questo aspetto».
Il Tavolo immigrazione chiede tra l’altro al governo di considerare come prova di presenza anche una dichiarazione sostituiva del datore di lavoro e di considerare prova di presenza i timbri di ingresso in area Schengen, di consentire la regolarizzazione dei rapporti di lavoro part-time in tutti i settori, di contenere i costi della regolarizzazione o, almeno, di prevederne la restituzione in caso di diniego. E, infine, di estendere il termine per la presentazione della domanda al 15 novembre.
Tante richieste, ma una prima, importante risposta affermativa è venuta dal Capo di Gabinetto del ministero dell’Integrazione, il prefetto Mario Morcone.
«Ci stiamo sforzando – ha dichiarato – con gli uffici del Lavoro e del Viminale di interpretare in maniera più flessibile il termine organismi pubblici, che non possono limitarsi alla sola amministrazione pubblica. Penso che i biglietti di viaggio su Trenitalia, ma anche gli abbonamenti sui mezzi di trasporto possano valere. L’importante è che i nuovi criteri abbiano un’applicazione omogenea in tutta Italia».

 

La "sanatoria immigrati" fallimentare in Emilia Romagna
Ferrara24ore.it 01-10-2012
Ferrara - Oggi pomeriggio la Cgil Emilia Romagna presenterà, presso la propria sede di Bologna, il punto sull'andamento della "sanatoria immigrati" (D.L. 109/2012), giunta a metà percorso.
La valutazione del sindacato è che, nell'applicazione della stessa legge, si stiano evidenziando troppi problemi e che ci sia il rischio oggettivo che si vada ormai incontro al fallimento dell'obiettivo preposto.
Il risultato ultimo della legge sarenne stato quello di di sanare i rapporti di lavoro irregolari che coinvolgono lavoratori stranieri nel nostro paese, ma lascia comunque inattesa ed irrisolta la problematica sul lavoro nero nel nostro paese nonchè la piaga dell'immigrazione irregolare.
Alla conferenza stampa parteciperanno, oltre ai dirigenti di alcune camere del lavoro e categorie regionali Mirto Bassoli, della segreteria Cgil regionale; Domenico D'Anna, coordinatore dipartimento immigrazione Cgil ER; Silvino Candeloro, coordinatore regionale sistema servizi Cgil ER; - Ennio Santolini, Inca ER; Avv. Andrea Ronchi, coordinatore legali Cgil immigrazione.



INTERVISTA
Perego: «Sulla sanatoria serve più chiarezza»
Avvenire, 01-10-2012
Paolo Lambruschi
Serve grande attenzione sia sulle procedure di regolarizzazione dei lavoratori in nero come su quello che accadrà in tutta Italia a partire dal 15 ottobre, quando l’ultimo modulo verrà consegnato e comincerà l’esame agli sportelli immigrazione. È necessario per rispettare i criteri di equità e giustizia e per evitare il ripetersi degli errori e le storture delle precedenti sanatorie, come la fuga dei migranti dalla regolarità una volta ottenuto il permesso, per ripiombare nel sommerso. Lo chiede monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes.
Come valuta la sanatoria?
Con favore, perché l’emersione dal lavoro nero costituisce una opportunità per il rispetto della dignità e dei diritti dei migranti che lavorano in nero e sono quindi svantaggiati. Occorre però evitare che restino penalizzati in una operazione che favorisce i datori di lavoro, imprese e famiglie per i lavoratori domestici, cui è garantita l’immunità per l’autodenuncia e lo Stato che fa comunque cassa. Invece non sappiamo cosa succederà ai lavoratori che autodenunciano alle autorità la propria irregolarità, chiediamo che venga spiegato.
Cosa la preoccupa?
Diversi aspetti del tema integrazione e emersione. In primo luogo per quanto concerne il decreto sulla regolarizzazione dei lavoratori immigrati, chiediamo che si eviti la discrezionalità dei criteri per le procedure tra regione e regione. Mi riferisco in particolare agli sportelli unici per l’immigrazione che dovranno valutare i documenti che attestano la presenza in Italia prima del 31 dicembre scorso. Occorre che vengano specificati bene i criteri di valutazione e soprattutto chiarire cosa si intende per organismo pubblico. Spero che presto, come ha promesso nei giorni scorsi il prefetto Morcone, venga fatta chiarezza dal governo. Personalmente condivido le proposte dello stesso prefetto: i money transfer o i documenti di viaggio possono comprovare la presenza di un irregolare perché emessi da organismi che svolgono una funzione pubblica. Per mandare i soldi a casa serve un documento di identificazione valido. In secondo luogo ci preoccupa il dopo sanatoria.
Per quale ragione?
I dati ci dicono che delle 300mila badanti regolarizzate nel 2009 nessuna è più iscritta all’Inps. Una fuga dovuta al licenziamento dopo la regolarizzazione e al ritorno nel lavoro domestico in nero. Rispetto al passato, dal 15 ottobre avremo in vigore norme che puniscono  lo sfruttamento lavorativo anche con la detenzione nel caso della tratta o della schiavitù, ma occorre vigilare per evitare che si ripresentino situazioni di illegalità.

 

INTERVISTA
Forlani: «Così si tutela il mercato»
Avvenire, 01-10-2012
?Paolo Lambruschi
La decisione di effettuare una sanatoria "rigorosa" è stata presa all’unanimità dal Parlamento, non è stata una scelta del governo. Che forse, per inciso, ne avrebbe fatto a meno. Ma che poi ha varato a fine luglio un decreto interministeriale e ha dovuto recepire le norme della direttiva Ue sul sommerso. Le quali prevedono a loro volta pene detentive fino a 12 anni se il datore di lavoro impiega irregolari ridotti in schiavitù o vittime di tratta e sanzioni dure per chi fa lavorare immigrati in nero. Entreranno in vigore dopo il 15 ottobre, finita la finestra dei "ravvedimenti operosi" della sanatoria.
Ecco spiegata la genesi di una operazione complessa di emersione dal nero, progettata con paletti ben definiti,e un occhio sull’Ue e stesa dai dicasteri dell’Interno, del Lavoro e dell’Integrazione. I quali aspettano a tirare le somme sull’andamento a metà percorso, anche se l’obiettivo di 300 mila pare lontano. Tra gli obiettivi dichiarati, fare cassa con tasse e contributi provenienti dall’emersione ed eliminare sacche di lavoratori in nero e quindi ricattabili. Ma perché paletti tanto alti?
«Lo scopo -spiega Natale Forlani, direttore generale immigrazione del ministero guidato da Elsa Fornero - era evitare che si ripetano fenomeni di attrazione di immigrati in Italia e di elusione. Il mercato del lavoro non è più quello degli anni 2000, si è voluto tutelare chi lavora regolarmente e risiede nel nostro paese».
Il dato che preoccupa è la crescente disoccupazione dei migranti, confermato da un recentissimo studio della Fondazione Moressa secondo il quale 310 mila stranieri sono disoccupati - il 12% di tutta la popolazione straniera - con un incremento quasi del 50% dal 2008. Un nuovo disoccupato su tre non è italiano, anche se paradossalmente c’è una percentuale di immigrati che riesce a fronteggiare la crisi soprattutto puntando sul lavoro domestico e i servizi di cura e assistenza alla persona nelle famiglie. E che quindi si ritrovano ad essere i principali destinatari di un provvedimento che non prevede di sanare il lavoro nero a tempo parziale, salvo che per colf e badanti
«La sanatoria non è la fotografia del mercato del lavoro – prosegue Forlani – che è dinamico e non ha mai avuto così tanti disoccupati. Intendo dire che in pochi mesi ci sarà un forte ricambio fisiologico di lavoratori nelle famiglie. Non siamo più nel 2000, quando non si arrivava al milione di immigrati, ora la comunità straniera conta cinque milioni di persone. Per questo è pericoloso per gli stessi migranti favorire con la sanatoria l’ingresso di un numero elevato di irregolari, si rischia di aumentare dismisura l’offerta a scapito di una domanda che per la prima volta si contrae».



Immigrati irregolari e "caporalato" Il flop dell'emersione dal "nero"
La grande regolarizzazione avviata dal governo il 15 settembre scorso rischia di ridursi ad una minisanatoria. I numeri: 35mila le domande arrivate, mentre le previsioni della vigilia annunciavano tutt'altro: da 150mila a 380mila le domande attese. Di questo passo il conto finale si fermerà sotto quota 80mila
la Repubblica, 28-09-2012
VLADIMIRO POLCHI
ROMA - La montagna ha partorito il topolino: la grande regolarizzazione avviata dal governo, il 15 settembre scorso, rischia di ridursi a una minisanatoria. Basta guardare i numeri: 35mila le domande arrivate. Di questo passo, il conto finale si fermerà sotto quota 80mila. Le previsioni delle vigilia annunciavano tutt'altro: da 150mila a 380mila le domande attese. E così la regolarizzazione del 2012 rischia di diventare la storia di un flop.
I numeri. Il 15 settembre alle ore 8 è scattata la sanatoria per l'anno 2012: datori di lavoro in nero e immigrati irregolari possono finalmente uscire dall'illegalità. Solo un mese di tempo (fino al 15 ottobre) per "denunciarsi" al sito del ministero dell'Interno, poi chi rimarrà invisibile rischierà di incappare nelle nuove pene introdotte dalla "legge Rosarno". È dalla sanatoria del 2009 (per altro limitata a colf e badanti) che non si apriva una "finestra" di questo genere. Allora le domande arrivarono a quota 295.112. Quante saranno ora? Le stime variano dalle 150mila del ministro Andrea Riccardi alle 380mila della Fondazione Moressa. Ma i dati del Viminale dicono altro: alla data del 27 settembre le domande pervenute si arrestano a quota 35.353. Di questo passo, si rischia di non arrivare neppure a quota 80mila.
I dubbi e gli ostacoli. A frenare la regolarizzazione sarebbero vari paletti, tra cui gli alti costi (si potrà arrivare a spendere fino a 7mila euro a immigrato, tra contributo forfettario e arretrati contributivi e fiscali) e la difficoltà di dimostrare la presenza in Italia del lavoratore straniero prima del 31 dicembre 2011. Presenza da dimostrare con documenti provenienti da "organismi pubblici". Quali? Saranno sufficienti decreti d'espulsione, certificati di pronto soccorso, richieste d'asilo. E poi? Nessuno lo sa. Per questo il Tavolo Nazionale Immigrazione (Acli, Arci, Asgi, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cisl, Cgil, Comunità di S. Egidio, Fcei, Sei-Ugl, Uil) ha scritto al governo per chiedere, tra l'altro, di "considerare come prova di presenza anche una dichiarazione sostituiva del datore di lavoro; interpretare in modo estensivo il termine organismo pubblico; considerare prova di presenza i timbri di ingresso in area Schengen".
In attesa di chiarimenti. "Entro la prossima settimana - ha assicurato il capo di Gabinetto del ministro dell'Integrazione, Mario Morcone - sarà fatta chiarezza". Insomma, seppure in forte ritardo, gli uffici legislativi dell'Integrazione, dell'Interno e del Lavoro cercheranno di dare una lettura chiara di cosa intenda la legge per "organismi pubblici". "Stiamo lavorando a una interpretazione omogenea su tutto il territorio nazionale, anche per evitare che ci siano applicazioni diverse da territorio a territorio" ha promesso Morcone.



Regolarizzare gli irregolari costa troppo "Ecco le ragioni dell'insuccesso"
Le organizzazioni del Tavolo nazionale Immigrazione scrivono al Governo: se non si introducono modifiche la procedura di emersione rischia il fallimento. Alcune proposte per superare gli aspetti più problematici
la Repubblica, 28-09-2012
ROMA - I dati sulle domande di regolarizzazione presentate finora confermano le preoccupazioni espresse in più occasioni (da ultimo nell'incontro col Ministro Riccardi ed esponenti dei ministeri interessati) dalle organizzazioni che fanno parte del Tavolo Nazionale Immigrazione su una effettiva e ampia fruibilità del provvedimento di legge relativo all'emersione dei lavoratori stranieri irregolari.
Le organizzazioni protestano. Con una nota indirizzata al Presidente del Consiglio e ai Ministri competenti, le organizzazioni - ACLI, ARCI, ASGI, Caritas Italiana, Centro Astalli, CGIL, CISL, Comunità di S. Egidio, FCEI, SEI UGL e UIL - lanciano un appello perché si introducano modifiche ai punti di maggiore criticità, formulando una serie di proposte che potrebbero aiutare a superare le difficoltà che oggi incontra chi vorrebbe utilizzare il provvedimento. Il rischio sempre più concreto è che solo una piccolissima parte dei potenziali interessati possa accedervi, mentre quasi il 90% ne resterebbe escluso.
Emergere costa troppo. In particolare le proposte (che vertono sulla prova della presenza del lavoratore al 31.12.2011, sui costi eccessivi, sui limiti di reddito previsti, ecc) si prefiggono lo scopo di allargare la platea dei beneficiari, a vantaggio dei lavoratori oggi non in regola e per questo più facilmente ricattabili, ma anche delle casse dello stato, visto che con l'emersione si eliminerebbe una sacca di evasione importante.
Le proposte avanzate. Nella nota si chiede pertanto al governo di estendere la possibilità di presentare domanda di regolarizzazione:
- anche a quei datori di lavoro stranieri titolari di permesso di soggiorno non di lungo periodo;
- considerare come prova di presenza anche una dichiarazione sostituiva del datore di lavoro;
- interpretare in modo estensivo il termine "organismo pubblico" da cui deve pervenire la documentazione sulla presenza in Italia;
- considerare prova di presenza i timbri di ingresso in area Schengen;
- consentire la regolarizzazione dei rapporti di lavoro part-time in tutti i settori;
- consentire al lavoratore regolarizzando di accedere al riconoscimento del permesso di soggiorno per attesa occupazione, qualora il datore di lavoro non ottemperi agli obblighi conseguenti al buon esito della domanda presentata;
- estendere la possibilità di regolarizzazione al coniuge irregolare del lavoratore regolarizzato;
- chiarire tutti quegli aspetti che potrebbero dar luogo a scelte discrezionali degli uffici e delle autorità locali in fase di esame delle domande;
- contenere i costi della regolarizzazione o, almeno, prevederne la restituzione in caso di diniego o mancata formalizzazione della domanda per cause indipendenti dalla buona fede di chi la presenta;
- estendere il termine per la presentazione della domanda al 15 novembre 2012;
- chiarire che l'esercizio della potestà espulsiva è sospeso dal 9 agosto 2012 fino al 15 ottobre 2012, cosi come previsto dall'articolo 5 e, per coloro che hanno presentato la domanda, fino alla conclusione del procedimento relativo.



La religione nelle scuole e le responsabilità dello Stato
Corriere della sera, 01-10-2012
risponde Sergio Romano
Il ministro Profumo fa una proposta davvero singolare. Sostiene che, poiché ci sono molti immigrati, bisogna modificare l'ora di religione. È esattamente vero il contrario. La società di oggi vive di diversità e si arricchisce con esse. Nel momento in cui un popolo rinuncia alle sue tradizioni viene meno alla sua identità.
Delio Lomaglio, Napoli
La proposta del ministro Profumo contro l'ora di religione cattolica, perché ormai la scuola è multietnica, è certo tra le migliori che siano venute fuori dal governo dei tecnici. Che l'Italia debba uscire dall'asfissiante tutela che la Chiesa cattolica esercita ancora in fatto di educazione religiosa, è il pio desiderio dei laici veri, che non hanno mai gradito che l'insegnamento della religione fosse stato appaltato alla gerarchia ecclesiastica cattolica. Nonostante la Costituzione, la revisione del Concordato del 1929 firmata da Craxi nel 1984 e le sentenze della Corte di Strasburgo che mettevano in discussione la liceità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, l'insegnamento della religione (cattolica) resta ancora appannaggio dei vescovi che nominano i loro insegnanti, pagati però coi soldi dello Stato. È una furbata dalla quale si dovrebbe finalmente uscire, sicché lo Stato dovrebbe esso provvedere all'istituzione di una disciplina come «storia delle religioni», insegnata da docenti nominati dallo Stato stesso e non dai vertici di qualsiasi gerarchia religiosa.
Paolo Fai
Cari lettori,
L' insegnamento della religione cattolica è previsto dal secondo comma dell'art. 9 del nuovo Concordato, firmato il 18 febbraio 1984, ed è regolato da un protocollo addizionale in cui si legge che «nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento può essere impartito dall'insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall'autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo». Ma il ministro della Pubblica istruzione ha fatto bene a constatare che la società italiana è alquanto cambiata e che quelle norme andrebbero riviste. I musulmani che vivono in Italia sono circa un milione e mezzo, gli ortodossi (romeni, ucraini, bielorussi) superano il milione; e lo Stato nel frattempo ha firmato intese concordatarie con i rappresentanti di tredici culti fra cui i valdesi, gli avventisti del Settimo giorno, gli ebrei, i luterani, gli ortodossi, i buddisti e gli induisti. È giusto che in un Paese ormai pluriconfessionale la sola religione insegnata nelle scuole sia quella cattolica e il suo insegnamento sia monopolio delle diocesi vescovili della penisola? So che la scelta dell'ora di religione è facoltativa, ma l'autorità della Chiesa, insieme a quella combinazione di pigrizia e conformismo che caratterizza la religiosità italiana, la rendono di fatto semi obbligatoria. Credo che alla scuola italiana, in queste circostanze, convenga essere uno spazio neutrale in cui il problema religioso viene affrontato, tutt'al più, in una prospettiva storica e non da un docente nominato dal vescovo.
Ancora una osservazione. Il vero obbligo dello Stato non è quello di riservare alla Chiesa cattolica un posto privilegiato nel sistema educativo della Repubblica. La sua maggiore responsabilità è quella di garantire alle coscienze di esprimersi liberamente, ai fedeli di praticare il culto, a tutte le Chiese di diffondere i loro principi e le loro verità. La Chiesa cattolica, in particolare, dispone in Italia della sua più capillare organizzazione nel mondo: più di trecento vescovadi, migliaia di parrocchie e oratori, numerose scuole, un gran numero di associazioni, giornali, riviste, case editrici e poco meno di un miliardo di euro assicurato dalla tassa ecclesiastica dell'8 per mille. In materia d'educazione può certamente fare da sé.



Immigrazione, Pordenone attacca lo Stato
Il sindaco Pedrotti: «Vergognoso negare la cittadinanza ai figli di stranieri nati in città». Poi l’invito: «Ditemi la vostra sul piano regolatore»
Chiara Benotti
Il Messaggero Veneto, 01-10-2012
PORDENONE. «E’ una vergogna avere una legge che non riconosce la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia». Dice chiaro come la pensa, il sindaco Claudio Pedrotti. Zero giri di parole, di fronte a 200 stranieri che sono la nuova Pordenone di fatto, ma non di diritto. «Mi allineo – ha dichiarato nella domenica della fratellanza – con il presidente della Repubblica Antonio Napolitano».
Il sindaco ieri era a tavola con ghanesi, congolesi, immigrati del Senegal, nigeriani, romeni e polacchi cattolici, per includerli in un corale «noi pordenonesi». Tutti insieme, nel dopo-messa, con don Giacomo Fantin e lo staff dei volontari della parrocchia di San Francesco, sotto il grande gazebo. Lunghe tavolate per condividere maccheroni, simpatia e speranze, nella Festa dell’amicizia fra i popoli.
«Tre sono i fattori da considerare con attenzione – ha detto nel suo intervento il primo cittadino -. La nostra città ha un livello di convivenza che va visto come un grande asset, in termini di risorse umane e capitale sociale. Dobbiamo avere cura di quello che nelle nostre scuole è evidente, nelle classi multietniche: per capire che la nuova Pordenone già esiste. E mi auguro che si prenda come riferimento la legge di Paesi come la Germania, che riconosce la cittadinanza ai nuovi nati di famiglie immigrate». E ancora. «Spero che partecipiate alle proposte per il piano regolatore della città – ha guardato negli occhi Kabeja, il congolese che aveva di fianco a tavola, insieme agli altri commensali -. Portate le vostre idee per la città del futuro, che è di tutti».
Una città che conta il 16% di immigrati, molti dei quali in provincia da oltre un decennio. Il sindaco tiene un filo diretto con le tante comunità innervate nel tessuto urbano. Quello che chiedono, tutte senza distinzione, è il lavoro. «I lavori socialmente utili sono un avvio di risposte alle necessità, che il Comune attiva – ha spiegato Pedrotti –. E agiamo anche in termini di investimenti».
Per 200 immigrati a tavola, stare insieme e aiutarsi è un fatto normale. «Offriamo il pranzo – ha detto don Giacomo – e il tempo di una domenica condivisa, con la semplicità dell’amicizia che viviamo tutti i giorni».
Un’occasione, insomma, per quella che si chiama “contaminazione” di culture, facce, lingue, abitudini. «Siamo arrivati a Pordenone per lavoro – hanno riassunto il problema immigrati giunti in provincia anche da 10-15 anni -, ma ora chiediamo la cittadinanza».



Emergenza Siria: la Svezia apre le porte ai rifugiati siriani, ma non alle loro famiglie.
A causa delle violenze in corso in Siria, alla maggior parte dei richiedenti asilo siriani sarà concesso di rimanere in Svezia.
Immigrazioneoggi, 01-10-2012
Secondo le ultime statistiche effettuate dallo Swedish Migration Board, agenzia governativa del Ministero degli esteri svedese, il numero di richieste di asilo in Svezia da parte di cittadini siriani è aumentata drasticamente: 2.960 domande fino al 31 Agosto 2012, contro appena 354 nello stesso periodo dello scorso anno. Numeri destinati a salire ulteriormente a causa della guerra civile in corso in Siria. Pertanto, essendo la popolazione siriana esposta a violenze indiscriminate per il solo fatto di trovarsi nel Paese, la grande maggioranza dei cittadini siriani che cercano asilo in Svezia riceverà un permesso di residenza, in base a quanto emerge da un recente comunicato dell’agenzia.
“Al momento è difficile prevedere come la situazione in Siria evolverà – si legge nel comunicato – la prassi stabilita in presenza di simili circostanze è di garantire permessi temporanei di almeno 3 anni. Lo scopo è di garantire che un richiedente asilo possa vivere in sicurezza in Svezia finché la situazione in Siria non migliorerà”. Tuttavia, ciò non significa che tutti i richiedenti asilo di origini siriane vedranno garantito il permesso di residenza. Il Migration Board annuncia che valuterà le richieste caso per caso: chi ha commesso crimini di guerra o contro l’umanità o qualunque altra offesa prima di giungere in Svezia, non può ottenere protezione.
Ciononostante, per i siriani cui verrà rilasciato un permesso di residenza non sarà possibile portare con sé le loro famiglie. “Questa è la prassi in vigore in Svezia. Non c’è motivo di cambiarla ora” afferma Mikael Ribbenvik, rappresentante legale del Migration Board. Ne consegue che le richieste in favore di membri della famiglia da portare con sé in Svezia saranno rifiutate. Tuttavia, Ribbenvik specifica: “Questa è la regola generale, ma ovviamente ci saranno sempre delle eccezioni”.
(Samantha Falciatori)



Immigrati: permesso soggiorno per 'motivi umanitari' a 106enne peruviano
(ASCA) - Roma, 1 ott - Nel 2000 un cittadino proveniente dal Peru' e' giunto in Italia per trascorrere un breve periodo di vacanza con la figlia. Allo scadere del visto d'ingresso pero', l'idea di dover andar via e lasciare i propri cari lo ha rattristato molto e cosi', incurante della propria clandestinita', e' rimasto nel nostro Paese consapevole del rischio di poter essere espulso se controllato dalla Polizia. Nel 2006 l'uomo ha compiuto 100 anni e alcuni rappresentanti della comunita' del Sud America a Roma, hanno preso a cuore la sua situazione ed hanno chiesto delle indicazioni alla Questura di Roma per poter regolarizzare il cittadino clandestino. La decisione di concedere all'anziano signore un permesso di soggiorno o procedere invece al suo allontanamento dal Paese, spiega la Questura di Roma, e' stata ''tecnicamente'' molto difficile per gli addetti ai lavori. Alla fine pero', valutata l'eta' dell'uomo e il suo desiderio di restare con i propri cari, e' stato concesso un permesso di soggiorno per ''motivi umanitari'' dall'Ufficio Immigrazione della Questura''. Il cittadino peruviano, che oggi ha ben 106 anni, si rivolge tuttora all'Ufficio Immigrazione della Questura per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno.



Un mondo da pulire assieme agli immigrati Per ribadire integrazione e cittadinanza
I concetti di pari dignità per tutti i cittadini al centro di "Puliamo il mondo", alla sua XX edizione con Legambiente e Fondazione IntegrA/Azione 1. Coinvolte le comunità sikh di Roma e di Sabaudia, dove vive una numerosissima comunità, la seconda più grande d'Italia
la Repubblica, 30-09-2012
ROMA - Guanti, ramazze e sacchi neri. Insieme nonostante la pioggia, cittadini italiani e stranieri, per ripulire una strada, un giardino, un'area lasciata all'incuria. In occasione della XX edizione di Puliamo il Mondo 2 di Legambiente, Fondazione IntegrA/Azione 3ha partecipato alla pulizia di alcuni luoghi pubblici insieme a centinaia di sikh, originari del nord dell'India. Una giornata di volontariato per sollecitare una riflessione sui tanti migranti che vivono e lavorano sul suolo italiano, e anche sul futuro del nostro Paese.
La grande partecipazione. Un fatto che dimostra come l'attaccamento al territorio è di chi lo abita, senza differenze di religione né di etnia. L'iniziativa clou si è svolta a Roma, dove la comunità sikh capitolina ha ripulito i Fori Imperiali. Con loro Luca Odevaine, presidente Fondazione IntegrA/Azione e Lall Balbir Singh, portavoce della comunità sikh romana. "È sempre più ineludibile - ha detto Luca Odevaine - una riforma della legge sulla cittadinanza 4. Quella dei sikh è soltanto una delle tante comunità di migranti radicate su un territorio che in molti sentono anche come il loro. Contribuiscono alla crescita del Paese, sia dal punto di vista economico che demografico. Cambiamenti che rappresentano una grande sfida per la politica, impossibile da ignorare".
I numeri della multiculturalità. Sono i numeri a dirci che stiamo andando verso una multiculturalità sempre più radicata nel tessuto sociale. Sono quasi 5 milioni, stando ai dati Istat, gli stranieri che vivono e lavorano in Italia e in molti partecipano alla vita sociale, fanno studiare i figli nelle scuole pubbliche. Cittadini a tutti gli effetti, dunque, ma troppo spesso non considerati alla pari di quelli italiani. Basti pensare alle previsioni di poche settimane fa del Miur, che per l'anno scolastico 2012/2013 ha stimato in 800.000 gli alunni di origine straniera, il 9% della popolazione scolastica (erano l'8,4% lo scorso anno).
I segnali. "Segnali - spiega ancora Odevaine - che qualcosa va cambiato, a cominciare dalle seconde generazioni. In Italia sono un milione i minorenni residenti nati da genitori stranieri, 650.000 di questi nelle strutture del servizio sanitario nazionale. Lo Ius Soli è uno degli strumenti utili alla stabilizzazione dei nuclei familiari, all'inclusione sociale. La cittadinanza ai residenti stranieri è una straordinaria opportunità per riaprire una stagione di partecipazione politica. Non sono solo gli stranieri ad averne bisogno, ma tutto il Paese".
L'esercizio di cittadinanza a Sabaudia. Per tornare a Puliamo il Mondo, esercizio pratico di cittadinanza e amore per il territorio, un'altra iniziativa degna di nota è quella che si è svolta a Sabaudia (LT), dove 200 sikh si sono dati appuntamento al residence Bella Farnia per ripulire l'area verde. "Puliamo il mondo è per noi una grande occasione.  -  ha fatto sapere Karamijit Singh Dhillon, capo della comunità sikh di Sabaudia e referente nazionale della comunità in Italia  -  Prenderci cura del territorio insieme a molti amici italiani per dimostrare, una volta di più, che ci sentiamo a tutti gli effetti parte di una comunità che vuole e sa dare il suo contributo per rendere il luogo in cui viviamo migliore. Per questa ragione abbiamo aderito immediatamente all'iniziativa e partecipato con entusiasmo".
I numerosi volontari. Insieme a loro infatti, erano tanti i volontari del circolo di Legambiente Sabaudia e Fondazione IntegrA/Azione. "Puliamo il Mondo è un'iniziativa dal grande valore simbolico, culturale e sociale  -  ha detto Marco Omizzolo, presidente del circolo ambientalista  -  Dedicare qualche ora del proprio tempo alla cura di aree pubbliche abbandonate al degrado dimostra un forte attaccamento al territorio e un profondo rispetto per l'ambiente. Lo stesso volontariato ha un forte potenziale di aggregazione, restituendo il senso concreto delle azioni: il valore aggiunto è inestimabile, molti dei volontari intervenuti convivono con cittadini di religione sikh, ma raramente si crea un'interazione fra le diverse culture".
Un argomento approfondito. Nel corso di una tavola rotonda, che si è tenuta nell'Auditorium del Parco del Circeo, si è approfondito un tema dal titolo esplicativo: "Nel cuore del parco un laboratorio virtuoso di integrazione", con la partecipazione di esponenti delle comunità sikh, amministratori, autorità e associazioni. "Sarà un'occasione importante per delle diverse problematiche - ha conluso Dhillon - che la comunità sikh da anni vive, e cercare di trovare insieme le migliori soluzioni possibili, a partire dalla revisione dell'istituto della cittadinanza, in particolare per i bambini che nascono in Italia, dal riconoscimento del sikhismo come religione da parte dello Stato italiano e dal superamento di casi troppo diffusi di sfruttamento e caporalato che ancora colpiscono molti lavoratori stranieri".

 

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