Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Il Cie di Bari va ristrutturato o chiuso. Parola di Tribunale

Italia-razzismo
La prima volta in cui abbiamo scritto della seguente vicenda su queste colonne era il marzo 2011. Quasi tre anni fa ormai, i due avvocati Luigi Paccione e Alessio Carlucci si sostituirono al Comune e alla Provincia di Bari per citare in giudizio civile la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno e la locale Prefettura chiedendo al Tribunale di disporre l’immediata chiusura del Centro di identificazione ed espulsione barese per violazione dei diritti universali dell’uomo.

La domanda venne ammessa e fu disposto un accertamento tecnico che confermò lo stato di detenzione degli “ospiti” nonché le carenze strutturali e igienico-sanitarie del centro. A seguito di questa pronuncia, il Cie di Bari venne ristrutturato e il Tribunale dispose una ulteriore perizia per verificare le nuove condizioni del centro e la sua conformità ai parametri legali. L'associazione Class Action Procedimentale, con i due avvocati prima citati, ha seguito per anni questa vicenda per la quale, appena qualche giorno fa, c'è stato un importante risultato. Il tribunale di Bari ha infatti intimato al ministero dell’Interno e alla locale Prefettura di eseguire, entro il termine improrogabile di 90 giorni, i seguenti lavori: ampliare e migliorare i servizi igienici, incrementandone il numero; provvedere all'oscuramento, anche parziale, delle finestre della stanze d'alloggio; ampliare la mensa o la "sala benessere"; incrementare le aule per attività didattiche, occupazionali e ricreative, così come le aree adibite alle attività sportive; colmare la carenza di segnaletiche antincendio nei moduli abitativi; provvedere alla manutenzione dei moduli e utilizzare materiali resistenti all'usura e allo strappo. Se questi adeguamenti non saranno portati a termine, il Cie di Bari dovrà essere chiuso. Il giudice Francesco Caso, nel scrivere la sentenza, dice delle cose molto importanti. Una parte significativa di questo procedimento era mirato a capire se gli “ospiti” si trovassero o meno in condizioni di detenzione. Il giudice Caso scrive: “Daltra parte, l'adozione di un determinato lessico, per così dire, non ‘carcerario’, non è decisiva, e anzi può apparire ipocrita, nella misura in cui ciò che non si chiami, o non si voglia chiamare, ‘carcere’ o ‘detenzione’ risulti di fatto ancor più mortificante degli istituti così ufficialmente denominati, per come disciplinati”. I trattenuti all’interno dei Cie sono privati della libertà personale ma, appunto, non godono delle garanzie spettanti a chi si trova in carcere, come il giudice specifica in un altro passaggio della sentenza: “Insomma, non è azzardato concludere che, se lo stato degli stranieri trattenuti nei Cie in vista della loro espulsione fosse stato davvero assoggettato alla disciplina dell'ordinamento penitenziario vigente, la loro condizione sarebbe stata migliore e comunque molto più "garantita", quanto meno sul piano formale”. Questa sentenza apre l’ennesima voragine all’interno del sistema dei Cie che, a quanto pare, sta crollando da tutte le parti.  
l'Unità, 24-01-2014

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