Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Mi chiamo Nadia, sono venuta dall’Egitto

Raccolta da Daniela Boero

Mi chiamo Nadia, sono venuta dall’Egitto sette anni fa. Sono sposata, anche mio marito è egiziano. Ho due bambini, un maschio e una femmina. Purtroppo non lavoro.
Sono venuta in Italia perché mio marito è partito per l’Italia quando era ragazzino, con suo papà. Ci siamo conosciuti durante uno dei suoi viaggi di ritorno in Egitto, abbiamo deciso di stare insieme e mi sono fidanzata con lui. Ero piccolissima, avevo quattordici anni mentre lui ne aveva sedici. Il fidanzamento è durato sette anni, e poi ci siamo sposati. Dopo il matrimonio sono stata in Egitto per un anno, lui veniva ogni tanto e poi ripartiva: lui non è riuscito a stabilirsi in Egitto perché ormai era abituato a stare in Italia. A quel punto ho detto: “Vengo con te, non possiamo stare così lontani, non posso!” e così mi sono trasferita nel ’99 e a due mesi dall’arrivo ho avuto il bambino.
Siamo venuti subito a Torino e ci siamo sistemati a casa del fratello di mio marito, che già viveva qua. Per qualche tempo abbiamo convissuto con lui, poi abbiamo trovato una casa piccolina, vicino a Stievani. In seguito abbiamo traslocato a casa del padre di mio marito, che era tornato in Egitto per qualche tempo. La sua è una casa popolare, in corso Racconigi, dove mio marito ed io siamo stati per tre anni, finchè suo padre non ha deciso di rientrare in Italia. Così abbiamo trovato questo alloggio, a San Salvario, una bella zona, anche se preferivo quella di corso Racconigi: bellissima, calma, tranquilla, dove puoi uscire in qualsiasi momento senza aver paura. In questo periodo ricordo spesso quel tempo in cui ho conosciuto tante persone che mi sono ancora vicine. Abbiamo presentato la domanda per avere una casa popolare e, comunque vada, dovremo spostarci in un alloggio più grande perché non possiamo stare con due bambini in questa casa con cucina e camera piccola.
Del mio arrivo a Torino ricordo innanzitutto il problema della casa. Non sono mai stata tranquilla in un posto, finora ho dovuto sempre cercare casa, e ancora adesso devo andare via da qui. Solo questo mi ricordo del mio arrivo a Torino: ho impiegato tanto tempo a trovare una casa… E’ stata una situazione molto difficile per me. Mio marito, che ha la cittadinanza italiana, all’epoca lavorava col fratello in un circolo, ma non aveva un contratto di lavoro e per questo motivo abbiamo trovato tante difficoltà, senza buste paga non è possibile. Da quasi quattro anni mio marito lavora con i documenti; dopo aver lasciato il fratello ha lavorato in un ristorante arabo, come cameriere, ed ora lavora come aiuto cuoco in un ristorante italiano. E’ un lavoro difficile, ma lui è bravo, è giovane e gli piace lavorare. E poi c’è la famiglia, deve lavorare!.

Il lavoro
Prima mettevo il fulare, sono musulmana e mettevo il fulare come tutte le altre donne. In passato ho trovato lavoro ma purtroppo l’ho sempre perso. Quando ti presenti con il fulare le persone hanno paura e ti dicono che sei musulmana.
Questo mi ha colpita ancor più delle difficoltà per la casa, perché mi sentivo tanto tanto male quando tornavo a casa dopo aver girato e rigirato inutilmente a cercare lavoro.
Alla fine mi sono tolta il fulare. Una volta ho trovato lavoro presso una famiglia composta da marito e moglie: vivevano in un alloggio bellissimo e grande e avevano bisogno di una persona che restasse in casa durante il giorno, con regolare contratto. Ero contenta, avevamo parlato e scherzato tanto al telefono, mi trovavano simpatica, ma quando mi sono presentata al colloquio, lei ha detto: “Mi dispiace, sei musulmana con il foulard, non posso assumerti”.
Sono rimasta colpita perché la signora ha spiegato che il palazzo era elegante e abitato da signore che avrebbero avuto paura se mi avessero vista entrare. E’ così! Ti dico la verità! Penso che siano persone ignoranti: una donna che vive in Italia, con i figli, che vuole lavorare, che cosa mai potrebbe fare?! Io non faccio male a nessuno! Il fulare è un pezzo di tessuto che si mette sopra la testa, no? No: il fulare dice che questa donna è musulmana e che vuol fare male a qualcuno, come si sente in televisione. Sono stata tanto male. Quelle persone hanno anche detto che, essendo musulmana, non avrei potuto lavorare durante il Ramadan. Io ho provato a spiegare che sono abituata a fare il Ramadan da quando sono piccola, e che il digiuno mi dà più energia, ma la signora non ha accettato. Sono tornata a casa e mi sono messa a piangere.
Mi sento male, ti dico la verità, perchè sono abituata a portare il foulard; anche la nostra religione dice di portarlo. Ma non ce la faccio a stare senza lavoro, non ce la faccio: è dura con uno stipendio solo e due bambini. Così ho deciso di togliere il foulard, ma è un problema che mi da fastidio. Penso solo che quando troverò lavoro andrà meglio.
Io sento che, se non indosso il foulard, cambia lo sguardo degli altri su di me: tutti mi fanno tanti complimenti, mi dicono che sono bella, che così sono meglio di prima. Io non ho ancora provato a cercare lavoro con questo carattere nuovo, senza il fulare ma a settembre proverò e vedremo. Mi sono accorta che qui guardano tanto l’aspetto esteriore, e il fulare preoccupa, dato che nel lavoro scelgono sempre chi non lo porta. E’ difficile trovare una persona che non ha paura di te, anche le donne hanno paura.
Per tanto tempo ho cercato lavoro inviando domande presso supermercati, centri per l’impiego, agenzie interinali, e nessuno mi ha mai chiamata. Ho scritto ai giornali, come Secondamano e Tutto Affari, ma mi ha telefonato solo un signore per scherzare un po’. Ho anche sparso la voce tra tanta gente che mi ha detto: “Sì, certo, se troviamo qualcosa ti facciamo sapere”.
L’unica a non trovare lavoro sono io, non so cosa succede, non lo so.
Io vorrei fare tante cose! Ma non posso scegliere, devo fare solo quello che posso, e la vita costa cara. Mi piacerebbe lavorare in un supermercato. Al mio paese, durante gli studi all’università, lavoravo d’estate in un grande supermercato bellissimo, grande grande, con la pasticceria, il forno, la macelleria, tutto insieme, tutto. Se qualcuno aveva bisogno io andavo ai banchi ad aiutare. Un giorno il padrone ha detto: “Sei come me” ed io ho sentito quel negozio proprio mio. Bellissimo. A me piace lavorare tanto, da sempre, ho frequentato l’università in un’altra città, viaggiavo come pendolare e d’estate lavoravo, non stavo mai ferma a casa. Invece da quando sono venuta qui sono ferma: sono a casa a fare da mangiare, lavare i piatti, lavare per terra e basta. Io vorrei lavorare a casa e anche fuori, così dimagrirei un po’ (ride). Tra l’altro mio marito lavora bene, abbiamo tutti i documenti, non abbiamo problemi, abbiamo tanti amici qua, italiani e stranieri, è solo il lavoro il mio problema.

Gli studi
Ho frequentato la facoltà di giurisprudenza in un’altra città, a due ore di treno da casa. Ho studiato, era dura, ma pensavo sempre di dover avere pazienza a studiare per avere in futuro un buon lavoro, non immaginavo di venire qua in Italia. Se fossi rimasta in Egitto avrei lavorato bene, adesso sarei un grande avvocato, ma purtroppo ho lasciato l’Egitto. Comunque non sono arrabbiata per essere venuta qui, sono con mio marito. Quando troverò lavoro sarò contenta, e dimenticherò tutti i problemi. Qui ho frequentato dei corsi per poco tempo, perché dovevo occuparmi dei bambini. Quando sono arrivata a Torino ho pensato che sarei andata a scuola ad imparare l’italiano, ma ho potuto frequentare solo per due mesi, sia per la distanza (mi muovevo con gli autobus) sia perché J. era piccolo e facevo fatica a portarlo con me nel passeggino. Ho deciso di stare a casa e così ho imparato l’italiano con il dizionario e il televisore…
Ho frequentato poco il corso di lingua italiana, e quando mi sarei dovuta presentare per l’esame di terza media sono andata in vacanza in Egitto, era l’unico mese in cui mio marito aveva le ferie.
Vorrei andare all’università. Voglio lavorare per continuare a studiare, perché costa studiare, e adesso non posso: mio marito, poverino, lavora per tutta la famiglia. Però lo farò… Voglio studiare Economia e Commercio.
Il prossimo settembre seguirò un corso di cucina italiana. Una volta mi ero già iscritta al corso per mediatori culturali, ma c’era tanta gente, e sono stati scelti in pochi. Speriamo. Tanto la bimba va al nido a settembre, dalle 8.30 alle 17.30, così per tutta la giornata sarò libera. Anche tutto questo tempo libero mi fa impazzire perché, con la bimba al nido ed il bambino a scuola, io sono obbligata a stare ancora ferma. Allora andrò al corso, andrò a cercare qualche corso. Al momento io cerco il lavoro per poter anche studiare, ma se non lo trovo allora cercherò almeno qualche corso.

Le relazioni
Torino mi piace, i torinesi non sono razzisti. Rispetto ai milanesi, i torinesi sono più calmi, chiedono permesso. Sì, mi piace molto qui, forse perché m sono abituata. Mi piace parlare, mi piace scherzare, mi piace uscire con qualcuno, io non ho paura di nessuno, se non di quelli che si trovano di notte per strada. Mi piace relazionarmi con tutti, italiani, stranieri, tutti… Certo, qualche italiano o italiana ti guarda male perché sei straniera, ad esempio un signore che ho incontrato presso un ufficio dell’ASL, l’ufficio sanitario dove si richiede la tessera sanitaria. Adesso rido ma allora mi sono arrabbiata. Il signore mi ha chiesto: “Perché sei qua, perché non torni al tuo paese?”
Solitamente io non rispondo mai, ma quella volta mi sono stancata ed ho risposto: “Per vedere la tua faccia!”. Lui, zitto.
Ripensandoci mi sono chiesta perché non l’ avessi zittito prima.
Capita anche sul pullman che mi guardino male per il foulard, mi guardano tanto male. Sbuffano : “
Uffff!”, e ci anche quelli che non possono stare zitti: “Perché ti sei messa così il foulard? Togliti questa cosa, che fa schifo!”. Io non rispondo, come sempre.
Per fortuna ci sono anche persone come i miei vicini o le mamme dei compagni di scuola di J.: siamo amici, una volta vengono loro, una volta vado io a casa loro, oppure andiamo fuori a mangiare insieme. Anche con i marocchini ho costruito delle relazioni, ho dovuto farlo per il loro arabo difficile, difficile anche per noi egiziani. Ho deciso di fare amicizia con loro per sapere come vivono, per conoscere la loro tradizione, la loro lingua, e adesso ho imparato anche a parlare il marocchino.
Il dialetto egiziano è facile per tutti perché noi egiziani produciamo cultura: in Marocco guardano sempre la nostra televisione, guardano sempre i nostri film, leggono sempre i nostri libri e se qualcuno vuole fare l’artista o il cantante allora deve andare in Egitto. Per questo i marocchini conoscono la nostra lingua, da anni la sentono al televisore e così capiscono subito. Invece noi egiziani non ascoltiamo la loro lingua, non vediamo i loro film: non hanno niente da far vedere! (ride) Del resto in Egitto abbiamo università cui si rivolge tutto il modo arabo, perché le nostre università sono un riferimento importante. Come la Sorbonne di Parigi per l’ Europa, tutto il mondo arabo va a studiare a Il Cairo o ad Alexandrìa; vengono dal Kwait, dagli Emirati Arabi, dall’Arabia Saudita, dal Marocco. Esiste anche l’università privata, destinata a persone molto ricche che di solito provengono da Dubai e dall’Arabia Saudita.
Quando ho raggiunto l’Italia ero una ragazzina di ventitré anni, sempre felice, tranquilla, senza pensieri per la testa e senza problemi. Ho solo questo ricordo, che ero una ragazzina, bellissima, magra, e facevo quello che volevo senza pensarci. Ma adesso non più. Adesso no. Adesso abbiamo tante cose da fare e prima di decidere quale strada prendere dobbiamo valutare a fondo. Non è più come prima, sono cresciuta tanto, oltre la mia età. Adesso io ho ventisette anni, ma mi sento come una signora di trentasette. Vorrei fare tante cose, ma adesso non posso. L’attesa finirà.

Il sogno nel cassetto
Trovare un lavoro! Mio marito vorrebbe aprire un negozio, un ristorante, così potremmo cambiare alloggio, avere una bella macchina e basta! Quello che voglio adesso è trovare un lavoro per me e un locale per mio marito, dove vendere piatti della cucina italiana e araba; così anche lui realizzerebbe il suo sogno.
Voglio che miei figli crescano bene qui in Italia. Solo questo. Vedi? Ho sognato per tutta la mia famiglia, non solo per me.
Non credo sia difficile realizzare i nostri sogni, perché ho visto che altri ce l’hanno fatta. Solo che… C’è una cosa che non ho ancora scoperto: cos’è e dov’è il mio problema, dov’è il problema, dov’è…. C’è sempre un ostacolo, un muro che non mi permette di fare quello che voglio, ma non so cos’è, non ancora. Da noi in questi casi si dice che qualcosa sta dove non dovrebbe stare: come se lungo la strada ci fosse un ostacolo che io non vedo e contro il quale continuo ad andare a sbattere. C’è qualcosa davanti a me che mi sbarra il passo, ed io non lo riconosco. Se riuscissi a vederlo, allora io potrei andare avanti. Adesso non so cos’è e faccio quello che devo fare, ma quell’ostacolo è sempre lì, presente. Forse si tratta solo di un po’ di sfortuna, forse ho ancora bisogno di tempo, però sento che qualcosa di buono succederà. E’ la verità: dopo che mia figlia sarà andata al nido e mio figlio avrà ripreso la scuola, allora accadrà qualcosa di buono per me. Adesso ho cambiato il mio aspetto esteriore: prima mettevo certi tipi di vestiti - come il fulare- che forse mi isolavano e che non mi permettevano di uscire fuori.
Più difficile è cambiare dentro, a parte qualche difetto che ti fanno notare gli altri e che tu non vedevi. Non posso cambiare le mie radici. Ad esempio, qualcuno mi dice che devo imparare ad essere un po’ bugiarda. Perché qualcuno mi ha detto così, sai? Mi ha detto che devo essere un po’ furba, un po’ bugiarda, così si trova quello che si vuole. Dicono così! Per esempio io sono stata presentata come disoccupata in un ufficio dove si aiutano gli stranieri. Ho detto che mio marito aveva deciso di lasciare il lavoro ed era al momento disoccupato, e tutti mi hanno poi rimproverata per la mia sincerità, perché secondo loro avrei dovuto dire che mio marito era stato licenziato. Ma io lo rifarei! Se si scoprisse che io sono stata bugiarda, come potrei ancora guardare quelle persone? Ecco, questa è una cosa che non posso cambiare, però fuori si può cambiare: ho tolto il foulard, ho tolto certi tipi di vestiti, e spero di non restare separata dagli altri. Speriamo.

Un altro mondo
Qui ho conosciuto tante cose che in Egitto non avevo mai sentito né visto. Ad esempio, in Italia le ragazze lasciano la casa dei genitori quando vogliono, mentre in Egitto le ragazze vivono con i genitori finché non si sposano.
Qui gli uomini stanno con gli uomini, le donne anche, ma in Egitto non ho mai sentito una cosa del genere. I gay… Quando li ho visti per la prima volta baciarsi mi sono spaventata… Mi dicevo: “Che succede? mi vergogno!”. Mio marito ha cominciato a ridere e ridere, e diceva: “Non ti preoccupare, qui è normale, l’importante è che non facciano male a nessuno”.
Poi piano piano ho accettato questa situazione e adesso mi piace guardare… Scherzo! Questo modo di amare non esiste in Egitto, o forse esiste ma non si vede. Anche le coppie che convivono senza sposarsi è una cosa che non esiste in Egitto.   Solo questo. Per il resto l’Italia è uguale all’ Egitto.
Mi colpisce che alcune persone straniere, egiziane come me, fanno in Italia tante cose che non possono fare in Egitto: fanno i furbi, non sono sinceri. Intendo dire che in Egitto raccontano normalmente se comprano, affittano o trovano qualcosa di bello. Qui no. Se fanno una cosa, la nascondono, se devono partire per l’Egitto, ad esempio, non lo dicono. Perché? Non lo so, non lo capisco.  Forse hanno paura dello sguardo malevolo di qualcuno sulla propria ricchezza.    
Io arrivo da una città sul Canale di Suez. Adesso mi sono abituata a stare qui.






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