Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 giugno 2014

L’ultimo inganno di un mare nemico
La Stampa, 10-06-14
Domenico Quirico
Ecco, ancora, di nuovo: lo scandalo universale di queste esistenze che vanno alla morte guardando la vita, uomini donne bambini di terra e di deserto, navigatori loro malgrado, eroi della sopportazione come Ulisse; ma, loro, senza nome e senza gloria. In quanti modi possono morire i migranti del Mediterraneo, onnipresente e detestato. mare di burrasche improvvise e di naufragi sconciamente beffardi, creditore rancoroso e definitivo! Addensati sulle murate lungo i parapetti, la mani aggrappate alle corde e ai bordi a guardare di fuori con occhi monotoni e di tanto in tanto gesti di incomprensibile eloquenza, gesti sprofondati in una prospettiva
senza suono come di un film muto: sembrano, i passeggeri di questi viaggi, davvero come il lento remeggio delle erbe lunghe nel fondo del mare, un mondo disperato di esser nato. Muoiono travolti da venti improvvisi di tempesta, o traditi dai loro vascelli marci; da un motore che si incendia, da un movimento tropo brusco per paura o insipienza marinara che li capovolge. O come domenica, quando il loro battello ormai sembrava arrivato alla fine dell`odissea, avvistato e preso a traino da una grande nave pietosa. La piccola barca ormai rulla abbondantemente, ma con gran bonomia, il rullio più innocente e cordiale del mondo che non fa più paura, pieno di scricchiolii familiari, di rintocchi in sordina. La grande nave salvatrice è lì come una mamma fervorosa, il pericolo è finito: è bello questo dolce mare pallido, quasi una stoffa tinta. E invece... la morte beffarda, la cappa della dannazione. Non ci sono per loro, mai, avventure a lieto fine. Come se la Provvidenza li avesse guidati esattamente a quel punto, per indicare il suo dispettoso potere.
Il mare questi uomini, siriani o africani delle terre interne, spesso non l`hanno mai visto: il mare che non sopporta, come la terra, le tracce del lavoro e della vita umana. Niente vi rimane, neppure i morti, tutto vi passa fuggendo e delle navi che lo solcano, la scia stessa è subito scomparsa. Da questo deriva la sua grande purezza negata alle cose terrestri. Un`altra manciata di uomini è ingoiata dal caso crudele e subito ogni segno svanisce ed esso torna calmo come al principio del mondo.
L`uomo stanco delle strade terrestri o che indovina quanto sono aspre e volgari (la sanno bene questi migranti che hanno camminato nel dolore, nell`ansia, nel delitto che mille hanno consumato su di loro e sul loro cammino, costringendoli a fuggire e depredandoli) è attratto dalle pallide strade del mare. Più pericolose e più dolci, più incerte e più salutari. Tutto in esso è misterioso, senza ombre. Il mare è la fine del loro viaggio.
Uno dei migranti con cui ho attraversato il Mediterraneo mi raccontò questa attrazione terribile che esercita su di loro l`ultimo balzo. Mi ricordo come guardavano, i partenti, i loro sciancati battelli: nulla è cambiato. Lo sfasciume degli scafi parlava delle avarie e delle fatiche sopportate sulle strade del Mediterraneo antiche come il mondo e nuove, con i passaggi che lo solcano. E del viaggio che rimaneva da fare. Fragili e resistenti erano volte con fierezza al largo come l`acqua che dominano e dove pure sono sperdute.



Sbarchi in Sicilia: morti e dispersi
il sole 24 ore, 10-06-14
Non conoscono tregua gli sbarchi di migranti, con l`immancabile corollario di morti e dispersi. In Sicilia ieri ne sono arrivati circa 98o, mentre altri 1.3oo sono stati "dirottati" con la nave Etna a Taranto, per evitare un ingorgo nell`isola, dove questure e prefetture sono sotto stress perché, come osserva Carlotta Sami, portavoce in Italia dell`Unhcr, «non siamo in emergenza», ma «in una situazione difficile, strutturale».



Migranti, l’Onu: «Non lasciate l’Italia da sola»
Il messaggero, 10-06-14
Cristiana Mangani
«La questione degli immigrati nel Mediterraneo non è un problema che l’Italia può affrontare da sola». Le parole che il Governo italiano voleva sentirsi dire sono arrivate ieri dall’Onu, e sembrano la prima vera risposta alla richiesta di aiuto riguardo all’emergenza immigrazione che quest’anno ha già superato quota 50mila arrivi, facendo collassare i centri di accoglienza del sud del nostro Paese.
RISCHIO EPIDEMIE
In attesa che i propositi dell’Onu si concretizzino, però, un’altra emergenza si sta consumando, ed è la questione igienico-sanitaria. A lanciare l’allarme è il Sindacato autonomo di polizia: «I colleghi che lavorano sul campo – afferma Saro Indelicato, segretario del Sap Sicilia – fanno orari massacranti, 16-17 ore. Il personale è ridotto all’osso, ma ora il vero rischio sono le epidemie. Nello sbarco di queste ultime ore è stato individuato un passeggero con sospetta tubercolosi. È stato ricoverato e messo in quarantena. Ma da questa mattina tutti coloro tra poliziotti, carabinieri e volontari, che sono entrati in contatto con i passeggeri di quella nave dovranno fare la profilassi con l’antibiotico e le analisi del sangue per escludere possibili contagi». Il Sap ha scritto più volte al ministero dell’Interno spiegando che non bastano guanti e mascherine, che bisogna dotare il personale di attrezzature più efficaci. «I fattori di rischio per le Forze di polizia è altissimo – interviene il segretario generale Gianni Tonelli – Oltre alla Tbc anche altre malattie come scabbia e meningite si stanno riproponendo, mentre è dello scorso aprile una circolare del Ministero della salute che segnala i rischi concreti per il nostro Paese a causa dell’epidemia legata al virus Ebola che ha colpito la Guinea e altre nazioni dell’Africa. Considerando che sono gli operatori di Polizia ad avere il contatto fisico più significativo con i migranti sarebbe opportuno che il Dipartimento ci facesse sapere quali misure ha deciso di intraprendere».
UNA TRAGEDIA CONTINUA
Intanto spunta un video drammatico: i tre migranti morti e i due dispersi erano sul gommone che si è rovesciato durante il salvataggio effettuato dalla petroliera maltese Norient Star, arrivata a Pozzallo. I passeggeri hanno indossato i giubbotti di salvataggio lanciati da una motovedetta maltese, che si è subito allontanata per un’altra operazione di soccorso, ma il gommone nell’avvicinarsi alla petroliera si è bucato e si è sgonfiato. Si sono buttati tutti in mare e sono annegati “schiacciati” dalla stessa imbarcazione.
Sul fronte interno, poi, oggi il ministro Angelino Alfano, riceverà il presidente dell’Anci, Piero Fassino, che chiede risorse straordinarie per l’accoglienza. L’idea italiana sarebbe quella che le Nazioni Unite gestissero i campi profughi in Libia da cui i migranti partono a migliaia verso l’Italia. Ma si tratta di una strada di difficile percorribilità viste le condizioni di assenza assoluta di controllo in cui si trova l’ex paese di Gheddafi. Ieri Fassino, comunque, ha parlato di «un’emergenza senza precedenti». «Serve – ha sottolineato – uno sforzo straordinario. Non si può pensare di scaricare tutto sui comuni della Sicilia».



Mediterranean Hope – La speranza dei migranti
l'Unità, 09-06-14
Marta Bernardini
«Nessuno di noi vorrebbe veramente lasciare il paese, noi amiamo il nostro paese. Ma la situazione è difficile e siamo costretti a partire…». Le parole di Omar, uno dei 271 eritrei approdati sulle coste di Lampedusa il 31 maggio scorso, lasciano intravedere solo una parte di una travagliata storia di migrazione. Il viaggio è lungo e l’arrivo in Italia è solo una delle numerose tappe che si devono affrontare, probabilmente neanche la meta definitiva. Da quando è iniziata l’operazione Mare Nostrum, l’ottobre scorso, le navi della marina militare portano i migranti direttamente sulle coste Siciliane. Lampedusa diventa così una frontiera simbolica per raggiungere l’Europa, un confine tra nord e sud del mondo, un luogo di transito più che di insediamento.
In questa frontiera d’Europa la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia ha avviato, con i fondi Otto per mille della chiesa valdese, il progetto Mediterranean Hope che consiste in un osservatorio sulle migrazioni con sede operativa a Lampedusa e l’apertura di un centro di accoglienza a Scicli (RG), in Sicilia. L’osservatorio nasce con la volontà di non essere semplicemente una realtà di passaggio ma una presenza fissa e radicata sul campo: due operatori stanziati sul territorio si occupano di promuovere attività sociali, in collaborazione con le istituzioni e le associazioni locali, e fornire un flusso costante di informazioni circa il complesso fenomeno migratorio. Lampedusa rimane un luogo privilegiato di osservazione e monitoraggio di quanto accade nel mediterraneo e il progetto intende valorizzare, in ambito ecumenico e internazionale, una frontiera diventata ormai simbolo per tutta l’Europa.



A Palermo 529 migranti, la Curia li ospita
Avvenire, 09-06-14
Saranno ospitati anche in alcune parrocchie messe a disposizione dalla Curia arcivescovile, oltre che nei locali della Caritas diocesana, i 529 profughi giunti stamane a Palermo con il mercantile panamense City of Sidon.
I Centri di accoglienza, al collasso dopo l'ondata di sbarchi degli ultimi giorni, non hanno infatti posti sufficienti per accogliere tutti. Tra le parrocchie che dovrebbero ospitare i migranti anche quella di San Gaetano a Brancaccio, dove operò Don Pino Puglisi. In questo momento sono in corso sulla banchina del porto le operazioni di identificazione e di controllo sanitario dei profughi, tra i quali vi sono anche 120 donne (dieci delle quali in stati di gravidanza, e 19 minori. Oltre al prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, che sta coordinando le operazioni, sono al lavoro i sanitari dell'Asp di Palermo, la Croce Rossa, la Protezione civile e le forze di polizia.
Un incidente in mare ha invece causato la morte di tre immigrati durante la traversata nel Canale di Sicilia. La tragedia sarebbe avvenuta durante le fasi di trasbordo sulla nave di soccorso. La squadra mobile di Ragusa, che indaga dopo l'arrivo a Pozzallo dei cadaveri, ha ascoltato sino a tarda notte il comandante della petroliera maltese che ha soccorso i 107 compagni dele vittime.



Quei fatti (mai chiariti) nel Cie di Gradisca
l'Unità, 09-06-14
Italia-razzismo
Il mese scorso l’Associazione «Tenda per la Pace e i Diritti» e alcune delle organizzazioni che hanno aderito alla campagna LasciateCIEntrare hanno depositato presso le Procure della Repubblica di Gorizia, di Roma e di Napoli un esposto per chiedere accertamenti e indagini sugli avvenimenti dell’agosto 2013 all’interno del Cie (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Gradisca d’Isonzo. In quei giorni, infatti, il centro era stato teatro di scontri, pestaggi, lanci di lacrimogeni. Nella notte tra l’11 e il 12 agosto, una delle persone lì trattenute era caduta dal tetto sul quale si trovava in segno di protesta, ed era entrato in coma. È morto il 30 aprile scorso all’ospedale di Monfalcone.
Le proteste sono continuate anche nei mesi successivi a quelli estivi, fino a che il 5 novembre 2013 il Ministero dell’Interno ha svuotato il centro, disponendo il trasferimento delle persone trattenute verso altri cie. Una decisione presa a causa delle condizioni di degrado in cui verteva la struttura, tali da determinare la violazione dei diritti «non solo delle persone lì trattenute, ma anche di quelli che vi lavoravano». Attualmente il centro è chiuso e Alfano ha dichiarato che non sarà riaperto.
Sulle rivolte ci sono molte ombre che l’esposto vuole chiarire. Nel testo presentato vengono evidenziati i fatti, ricostruiti grazie alle testimonianze dei migranti, di associazioni e dei parlamentari che sono giunti sul posto chiamati d’urgenza durante quei giorni di proteste e di rivolte. Uno dei punti che viene maggiormente enfatizzato riguarda il ricorso a metodi coercitivi utilizzati dalle forze di sicurezza per placare le proteste. Bisogna ricordare, però, che quelle manifestazioni erano inscenate da persone trattenute in uno spazio circondato da sbarre e che avevano una ridotta possibilità di movimento. In questo contesto appare dunque spropositato l’utilizzo di lacrimogeni il cui gas è stato completamente inalato da chi si trovava lì dentro, causando malori.
Nei giorni della protesta sono state molte le persone a voler essere presenti e a seguire le vicende anche solo tramite il web e la stampa. Alcuni dei parlamentari accorsi sul posto, poi, hanno aderito alla Campagna LasciateCIEntrare, un movimento sorto nel 2011 per contrastare una circolare del Ministero dell’Interno che vietava l’accesso agli organi di stampa nei Cie. Appellandosi al diritto/dovere di esercitare l’art. 21 della Costituzione, ovvero la libertà di stampa, LasciateCIEntrare ha ottenuto l’abrogazione della circolare e oggi si batte per la chiusura dei Cie, l’abolizione della detenzione amministrativa e la revisione delle politiche sull’immigrazione. Ma è sull’abolizione dei Cie che bisogna continuare a insistere. Questi centri, infatti, presentano enormi carenze sotto il profilo della tutela dei diritti umani e, oltre a essere inutilmente dispendiosi, risultano palesemente inefficaci rispetto allo scopo per il quale sono stati istituiti.



Il "Super Mario" del Gambia scappato dalla dittatura: “Non tornerò più a casa”
Tra i rifugiati accolti nel seminario arcivescovile di Fermo anche il diciottenne Alhajie, stella della serie B nel suo paese. Picchiato e minacciato di detenzione, è arrivato in Italia col barcone dalla Libia. “Tiferò Italia” dice con gli occhi pieni di nostalgia
Redattore sociale, 09-06-14
FERMO - “Super-Mario del Gambia: chiamami così. Oppure media-boy: nel mio paese i giornalisti mi intervistano spesso dopo le partite in serie B. E ai prossimi Mondiali non ho dubbi: tiferò Italia!”.
Diciottenne, Alhajie sa già dire qualche frase in italiano. È sbarcato in Sicilia l’11 aprile scorso, dopo oltre tre giorni di navigazione senza bere né mangiare su una barca salpata dalla Libia. A condividere questa traversata altre 500 persone, tutte africane. “Vedi sul mio viso? Ho delle cicatrici e anche una costola rotta. Sono stato picchiato e minacciato di detenzione perché ero contro la dittatura che vige nel mio paese. Scrivilo questo, mi raccomando: non voglio più tornarci”, racconta, mentre il suo sguardo è un lago nero in cui si specchia la nostalgia per la mamma lasciata sola – è figlio unico di madre single – e per la sua terra, nonostante tutto.
Alhajie è uno dei 51 richiedenti asilo accolti nell’ala ovest del seminario arcivescovile di Fermo. La prefettura ha sollecitato l’aiuto ecclesiale e l’arcivescovo Luigi Conti ha mobilitato parrocchie, volontari, associazioni. Chiedendo a don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco e della Fondazione Caritas in veritate, di coordinare l’accoglienza in 36 ore. Lo hanno affiancato le Piccole sorelle di Jesus Caritas, in particolare sorella Rita Pimpinicchi, insieme a sorella Filomena – che insegna italiano al gruppo – e a sorella Diomira. I ragazzi, che hanno fra i 18 e i 31 anni, la chiamano “nonna”, mentre le altre due religiose sono per loro “sister” ma anche “mamma”.
Alhajie non ha avuto la possibilità di studiare, ma i piedi ce li ha buoni e anche il fiato: nella sua squadra giocava nel ruolo di “strike”, centroavanti o punta, segnando molti goal sia con il sinistro “ma meglio con il destro”. La madre in Gambia gli aveva regalato una maglietta della nazionale italiana e lui conosce di nome tutti gli azzurri o quasi. Ha già chiesto asilo politico e, per ora, ha appeso gli scarpini al chiodo: “Il mio primo obiettivo è imparare la lingua”, confida, con un’espressione da adolescente diventato troppo presto adulto. Si è imbarcato senza un soldo in tasca, senza bagagli né “biglietto” di ritorno, con addosso i vestiti e tanta voglia di un futuro diverso.
Ma se gli chiedi cosa sogna adesso, risponde laconicamente: “Non lo so”, mentre gli occhi guardano lontano e il sorriso gli si spegne in volto. “Ho bisogno di un buon futuro, di un avvenire diverso. Qui ho persone che mi aiutano e mi danno buoni consigli. Siamo qui perché abbiamo dei problemi nel nostro paese di origine e abbiamo bisogno che il governo italiano protegga le nostre vite”. In attesa dello status da rifugiato, lui vorrebbe comunque giocare a calcio. Lo fa nel campo del seminario, ma chissà se qualche club italiano è disposto a puntare sul talento e sulle gambe di un coraggioso diciottenne del Gambia, fuggito dalla dittatura. (lab)



Nuovi europei/ “Ecco perché ho votato in Italia, ma non in Egitto”
Corriere.it, 09-06-14
Lorena Cotza
Il 25 maggio Omar Abou El Kheir ha votato per la prima volta in Italia. Si è recato al seggio liberamente, ha potuto scegliere tra un’ampia rosa di candidati, ha espresso la sua preferenza con la consapevolezza che quel voto sarebbe stato regolarmente conteggiato e riconosciuto. Ma per l’altra sponda del Mediterraneo, nel Paese in cui è nato e cresciuto, le cose andavano diversamente.
    “Ho la doppia cittadinanza – dice Omar – ma quest’anno ho scelto di non votare in Egitto”.
Si è trasferito per la prima volta a Milano cinque anni fa e oggi Omar ha 21 anni e studia Scienze dei materiali all’Università Bicocca. “Nel mio gruppo di amici in Italia quasi tutti siamo andati alle urne. Ma nessuno dei miei amici in Egitto ha voluto votare, perché non ci sentivamo rappresentati da nessuno dei due candidati”.
Mentre in Europa si iniziavano a conteggiare i voti e si apriva il dibattito sull’ascesa dei partiti euroscettici, il 26 maggio gli egiziani sono stati chiamati a eleggere il nuovo presidente. Sono state le seste elezioni degli ultimi tre anni. Con il 93% dei voti, il generale Abdel Fattah al-Sisi si è assicurato una schiacciante e prevedibile vittoria. Ex-capo delle Forze Armate, nel luglio 2013 al-Sisi ha spodestato il leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi e da allora ha instaurato un governo che, seppur presentato come democratico e attento alle richieste del popolo, secondo molti osservatori si è rivelato dispotico e oppressivo.
    “Ci sono molti punti di domanda su queste elezioni – spiega Omar – Il primo giorno solo il 6% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne, poi al-Sisi ha concesso una giornata extra per votare e improvvisamente ha detto che c’era stata una partecipazione del 46%. Ma non credo che questo sia vero, perché chi davvero lo sosteneva lo avrebbe votato nei primi due giorni”.
Le elezioni sono state boicottate sia dai sostenitori di Morsi sia da gran parte dei rivoluzionari di piazza Tahrir, che nel 2012 avevano guidato la rivolta che aveva portato alla cacciata del dittatore Mubarak. Il governo di al-Sisi ha represso duramente ogni dissenso e centinaia di oppositori sono stati incarcerati e condannati a morte. Il voto della settimana scorsa è stato definito una farsa: il 16 giugno si svolgerà il secondo turno elettorale, ma il risultato è già scritto.
Mentre il voto in Egitto si è rivelato un puro esercizio formale per legittimare il governo di al-Sisi, votare alle elezioni europee ha permesso a Omar di vivere un momento di partecipazione reale, e di sentirsi un cittadino la cui opinione sarebbe stata ascoltata. Ma la storia di Omar rappresenta ancora un’eccezione: ci sono circa un milione di minori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia, che al compimento dei 18 anni potrebbero votare se passasse la legge sullo ius soli, ma che risultano ancora “stranieri” e sono dunque esclusi dal diritto al voto.
Per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del diritto alla cittadinanza, il 2 giugno, in concomitanza con la festa della Repubblica, il Comitato 3 Ottobre e OIM hanno organizzato una flash mob a Roma. Un’altra manifestazione si è svolta anche a Lampedusa.
    “Il voto è un diritto fondamentale – dice Omar – perché noi stranieri siamo una minoranza, e abbiamo bisogno di qualcuno che ci rappresenti in Parlamento per difendere i nostri diritti”.
Quest’anno Omar ha partecipato al laboratorio di teatro di strada sul tema delle elezioni europee, per contrastare i discorsi discriminatori in campagna elettorale e sensibilizzare il pubblico sui diritti dei migranti, del progetto Our Elections Our Europe. Lo spettacolo “La Favola del Paese di Cuccagna” è stato realizzato sei volte nelle piazze e nei parchi di Milano.
    L’esperienza ha permesso a Omar non solo di riflettere sull’importanza del voto, ma anche di superare alcune diffidenze: “Questa è stata la prima volta che ho lavorato con un gruppo di italiani. Prima pensavo che nessuno ci volesse, ma non è così. Lentamente, le cose stanno cambiando anche qui in Italia. E ho imparato a superare la paura di non essere accettato”.
Ispirato dal progetto e dall’incontro con il burattinaio Damiano Giambelli, che ha guidato il laboratorio teatrale, Omar ha ora deciso di iscriversi a un corso di clown-dottori, per continuare a esplorare l’uso del teatro con scopi sociali. Appena concluderà la laurea triennale, sogna però di lasciare l’Italia e andare in Germania per cercare lavoro.
È difficile prevedere in quale Paese si troverà tra quattro anni. Ma se sarà ancora in Europa, sa che andrà a votare con la certezza che quel voto sia un contributo importante: perché, come viene ricordato nello spettacolo, quando si va a votare “ognuno ha solo un fagiolo, un fagiolo che da solo non ha nessun valore, ma tutti insieme fanno una zuppa buona”.




 

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