Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 marzo 2014

Profughi, l’Ue ora cambi passo
Avvenire, 28-03-2014
Paolo Lambruschi
I numeri parlano chiaro, è di nuovo emergenza nel Mediterraneo. Sono state oltre 2.200 le persone salvate la settimana scorsa, in poco tempo si dovrebbe salire a 4.000 e gli esperti faticano a ricordare una situazione simile. Nei primi 90 giorni del 2013 erano sbarcate più di 900 persone, oggi siamo a quota 10mila. Si deve tornare al 2011 e alla fughe causate dalla primavera araba per trovare un quadro simile, per giunta destinato a peggiorare. Tutte le fonti umanitarie segnalano carovane di profughi in viaggio sulle rotte dall’Africa sub sahariana e dalla Siria verso la Libia.
Tuttavia ancora una volta l’ondata di sbarchi annunciati rischia di trasformarsi in un’emergenza. Manca sempre da Bruxelles un piano di redistribuzione tra i 28 Paesi membri della Ue dei profughi sbarcati in Italia per vicinanza geografica, ma che in Italia non vogliono restare. Nell’attesa che l’Ue batta un colpo, bisogna comunque organizzare bene l’accoglienza dei disperati in arrivo come ieri, in una nota congiunta e puntuale, hanno ricordato quattro organizzazioni – Cnca, Arci, Caritas italiana e Fondazione Migrantes – chiedendo di evitare situazioni già viste come il ricorso ad «alberghi fatiscenti e isolati», lanciando invece al governo Renzi un appello ad attivare rapidamente un piano organico per gestire l’emergenza e il sistema ordinario, coordinando Viminale, Anci e Terzo settore per evitare un’emergenza Nordafrica bis.
Gli sbarchi dimostrano ancora una volta il fallimento della strategia europea di contenimento dei flussi delegato ai libici attraverso i rimanenti accordi con il traballante regime del dopo-Gheddafi. Il patto è in realtà saltato, ha vinto il crimine, unica realtà organizzata in Libia. Rapporti americani parlano di saldature tra mafie italiane, africane e gang locali, emanazione delle tribù, per dividersi la torta del traffico di uomini, droga e armi. I costi umani di questa situazione sono molto alti. Le testimonianze dai centri di detenzione, spesso pagati da Roma e Bruxelles, denunciano celle stipate, torture e abusi sui migranti, ai quali basta pagare un riscatto ai secondini – miliziani o poliziotti – per riprendere il viaggio della disperazione. Avevano ragione gli esperti a prevedere, dopo il terribile naufragio di Lampedusa, non più arrivi stagionali, ma flussi inarrestabili verso la Fortezza Europa.
Le vie da percorrere per arginare il traffico di morte sono quelle affiorate nel dopo naufragio di Lampedusa e poi inabissatesi. Le ricordiamo: per quanto riguarda i siriani, profughi di guerra, prevedere corridoi di accesso nella Ue dal Libano e dall’Egitto; per quanto riguarda i migranti subsahariani, consentire alle ambasciate Ue la concessione di visti di ingresso provvisori o prevedere alternative di ingresso in Europa, dove poi andranno effettuate le procedure per la concessione o meno della protezione umanitaria. In assenza di tali provvedimenti, non v’è alternativa alla pur costosa e discussa operazione Mare Nostrum, voluta dal governo Letta per evitare ulteriori stragi dopo il disastro di Lampedusa. Il fatto che la nave "Aliseo" abbia sparato o meno sugli scafisti in fuga non cambia la sostanza delle cose: il pattugliamento della frontiera marina ha consentito il salvataggio in mare di migliaia di esseri umani su carrette a rischio naufragio. Va, perciò, mantenuto e magari con il contributo di altri partner europei.
Alcuni stati Ue – e parte dell’opinione pubblica continentale e italiana – ritengono "dannosi" tali salvataggi perché attirerebbero nuovi sbarchi. Idee inaccettabili e smentite dai fatti: davanti alla prospettiva di una vita migliore, i disperati in fuga da conflitti, persecuzioni e miseria non esitano a rischiare la propria vita in mare. Tocca all’Italia, che il primo luglio assumerà la presidenza Ue, rilanciare con forza il tema e imprimere una vera svolta a Bruxelles. È scaduto il tempo della mediazione al ribasso, è il momento di cambiare passo.



L'appello degli enti: «Basta emergenze rifugiati»
Avvenire, 28-03-2014
Paolo Lambruschi
Basta emergenze rifugiati. Basta accoglienze in luoghi fatiscenti e irraggiungibili, basta sprechi. Con una nota congiunta, Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Cnca e Arci chiedono al governo Renzi un cambio deciso di rotta vista la poderosa ondata di sbarchi che si sta preparando. Solo nei primi 90 giorni del 2014 sono stati infatti registrati 10mila arrivi contro i 900 del 2013.
Le quattro organizzazioni, da sempre attive nell’accoglienza delle persone in difficoltà, nel 2011 avevano accettato di mettersi a disposizione del governo per l’emergenza Nordafrica, rimanendo poi delusi dalla mancanza di programmazione. Ora lanciano un messaggio chiaro in vista di una stagione che si preannuncia calda: «È inaccettabile – scrivono nella lettera aperta alle istituzioni pubbliche – che una questione come l’arrivo dei rifugiati sul nostro territorio, che si ripresenta ogni anno con l’inizio della primavera, possa essere affrontata come se fosse un’emergenza. Le istituzioni aprano subito un tavolo di confronto con le organizzazioni che hanno acquisito esperienza e competenza nel campo dei richiedenti asilo per definire, in tempi rapidi, un piano nazionale di accoglienza e integrazione».
Il riferimento è a quanto sta accadendo in questi giorni tra Comuni e Viminale. L’arrivo improvviso di migliaia di nuovi richiedenti asilo è stato affrontato dal ministero dell’Interno in autonomia, attivando le prefetture per reperire strutture di accoglienza sui territori, fuori quindi dal circuito di accoglienza dello Sprar gestito dall’Anci e senza un vero coordinamento. Questo, sostengono gli enti, ha creato sui territori «confusione, sovrapposizioni e resistenze comprensibili».
Si chiede dunque collaborazione tra istituzioni competenti. E si ricorda che dopo pochi giorni di accoglienza straordinaria nel 2011 la mancanza di coordinamento portò al collasso del sistema e l’allora ministro Maroni dovette rivolgersi al terzo settore. «La vicenda della cosiddetta emergenza Nordafrica – spiegano i promotori – è emblematica di un approccio che non paga: non si assicurano condizioni dignitose ai richiedenti asilo, si coinvolgono alberghi e altre strutture inadeguate, si creano tensioni con organizzazioni locali che pure sarebbero disponibili ad accogliere. Evitiamo di fare anche quest’anno gli stessi errori». A margine, è utile ricordare che i costi stimati per 18 mesi di accoglienza (con molte ombre) furono di un miliardo di euro. Un business sulla pelle dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
Gli enti ribadiscono la propria disponibilità ad accogliere, «ma in un contesto strutturato, con un investimento e un livello di coordinamento adeguati al fenomeno». Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas e da pochi giorni responsabile della questione anche per Caritas Europa, registra «purtroppo una incapacità di strutturare un sistema nazionale di accoglienza credibile». Forti rileva che il dovere di accoglienza dello Stato italiano «nei fatti continua ad essere attraversato da correnti sotterranee, più o meno consce, di rifiuto verso lo straniero e verso il "non cittadino", a cui si aggiunge la fragilità degli enti territoriali. Quanto avvenuto nel 2011 si sta ripresentando in questi giorni, attivando accoglienze in emergenza. Il tutto avviene dalla mattina alla sera, con una richiesta della locale prefettura alla Caritas».
Si attende la risposta dal governo prima che gli sbarchi riprendano in massa.



L'Europa vista dalla FRONTIERA ITALIA
l'Espresso, 28-03-2014  
PAOLO FORCELLINI
Si parla d'immigrazione nel corso dei due appuntamenti dei "Dialoghi dell'Espresso" 2014 che, intorno al tema "Frontiera Italia", si terranno a Bari mercoledi 2 aprile, uno alle 11 del mattino e uno alle 21 ,entrambi al Teatro Petruzzeili.
A Bari, allora. Perche le coste dell'Adriatico pugliese sono state il primo teatro della migrazione in Italia. Quando, ormai più di vent'anni fa, nel 1991, sbarcarono proprio su questa linea di fronriera decine di migliaia di albanesi convinti di trovare
l' America in Italia e che arrivavano con ogni tipo di sgangherata carretta del mare sulle coste del Gargano o del Salento. Memorabile l'arrivo a Bari della nave Vlora, in agosto, con a bordo circa 20 mila Cittadini del "Paese delle Aquile". Ed è sempre in Puglia che sono sorti i primi centri di accoglienza,identificazione ed espulsione per immigrati, dove tutt'ora viene dirottata una parte dei profughi che arrivano a Lampedusa provenienti dall'Africa.
Quindi un'occasione di approfondimento di una tematica "bollente" dei nostri anni,e assai probabilmente anche di molti anni a venire, in un luogo símbolo, la prima frontiera dell'ltalia e dell'Europa.
Se è vero che la questione delle migrazioni è in primo piano da tempo e a lungo vi rimarrà, è altresi certo che in questo specifico momento assume un rilievo del tutto particolare. Per almeno due ragioni.
In primo luogo perche si stanno approssimando le elezioni europee. I "dialoghi" baresi avvengono solo poche settimane prima dell'apertura delle urne e mentre in molti Stati dell'Unione crescono di numero e di peso politico formazioni euroscettiche, spesso xenofobe se non esplicitamente razziste, come in Francia dove nelle recenti amministrative il Front National di Marine Le Pen ha ottenuto un risultato clamoroso e preoccupante. Fra questi partiti, accomunati da un secco "no" all'immigrazione, si stanno stringendo contatti, consultazioni, vere e proprie alleanze per la creazione di un fronte che vorrebbe scardinare dall'interno le stesse istituzioni europee.
In secondo luogo vanno considerati gli effetti della crisi economica, in atto ormai da più di un lustro. Il principale dovrebbe essere la riduzione dei flussi migratori verso alcuni Paesi, per il minore appeal di alcune mete. Nel caso dell'ltalia, in realtà,ciò non èawenuto: nei primi ottanta giorni di questo 2014 sono arrivati via mare nel nostra Paese oltre diecimila migranti, molti di più che nello sresso periodo dello scorso anno, anche a causa della nuova rotta che si è aperta nella disastrata Libia del dopo Gheddafi. Bisogna però tener conto che spesso lo Stivale è solo una tappa di passaggio verso altre destinazioni con economic che promettono più chance ai nuovi arrivati. In ogni caso la crisi rende piu complesso il governo delle grandi masse di lavoratori stranieri già da tempo stabilitisi nei principali Stati europei (Germania, Spagna, Gran Bretagna, Francia e, con un'immigrazione più recente, l'ltalia, contano, in ordine decrescente, ciascuno fra i sette milioni e mezzo e i tre e mezzo di immigrati).
Le difficoltà economiche conducono a un aumento dei conflitti fra popolazioni autoctone e profughi, poiché le prime, a torto o a ragione, ritengono che vengano loro sottratti posti di lavoro sempre più scarsi; inoltre anche gli immigrati sono colpiti da disoccupazione e questo comporta nuovi problemi persistemi di welfare già seriamente stressati.
All'evento serale del Petruzzelli interverrà, tra gli altri, Massimo D'Alema.
L'ex presidente del Consiglio ha appena scritto il libro "Non solo euro. Democrazia, lavoro, uguaglianza. Una nuova frontiera per l'Europa" (Rubettino). Da ex ministro degli Esteri e da vicepresidente dell'Internazionale socialista ha potuto avvalersi inoltre di osservatori privilegiati sui flussi migratori europei e sul dibattito politico che interno a essi si è sviluppato nel Vecchio Continente.
La regia degli incontri è atfidata, oltre che al direttore dell'"Espresso" Bruno Manfellotto, a due giornalisti del nostro settimanale, Gigi Riva e Fabrizio Gatti, che si sono a lungo occupati di queste tematiche, il primo in particolare con reportage sulle rivolte nelle banlieue francesi e il secondo, ad esempio, calcando, sotto falsa identità, le orme dei clandestini attraverso i deserti africani, il Mediterraneo e i centri di identificazione ed espulsione italiani.
D'Alema e gli altri partecipanti discuteranno dei diversi modelli di politiche per l'immigrazione, ad esempio di quello assimilazionista" francese (integrare gli immigrati facendoli divenire "citoyen' a tutti gli effetti) o quello "comunitarista" britannico (riunire gli immigrati in comunità, quartieri, anziche 'disperderli" nel complesso della società facendo loro smarrire l'identità nazionale). E affronteranno questioni quali lo "ius soli", il diritto di voto (amministrativo e politico), se sia o meno giustificato l'allarme sociale che circonda gli stranieri o se essi non rappresentino piuttosto un'opportunità per il Paese che li ospita.
Al mattino il protagonista dell'evento sarà Fabrizio Gatti che s'incontrerà con gli studenti delle scuole medie superiori
del capoluogo pugliese. Il giornalista de "l'Espresso" presentera un suo racconto scenico, "Alle cinque della sera". Si tratta della riproposizione sul palcoscenico dell'inchiesta che lo stesso inviato ha dedicato alcuni mesi orsono al viaggio
di numerose famiglie in fuga dalla Siria in fiamme. Odissea conclusasi l'11 ottobre 2013 con il naufragio, in acque in- ternazionali e dopo un lungo rimpallo di responsabilità fra le autorità di Malta e quelle italiane, del barcone che trasportava 500 profughi di cui 260 risultano ufficialmente dispersi e, tra questi ultimi, un centinaio sono i bambini. In soli undici giorni del 2013 la tragica contabilità delle vittime delle migrazioni via mare ci dice che intorno a Lampedusa vi sono stati 646 morti.
Dopo il racconto di Gatti si aprirà un dibattito con gli studenti sulla base di una serie di domande "provocatorie": «E possibile lasciar morire in nome della legge? È possibile non sapere nell'era di Facebook? Noi dove eravamo l'11 ottobre 2013 ? ». ?



Sono "Condizioni disumane dei braccianti nella Piana di Gioia Tauro" la denuncia di Medici per i diritti umani
sono circa duemila i migranti che ogni anno arrivano a Rosarno e nella Piana  per la raccolta degli agrumi. Provengono in massima parte dal Burkina Faso, dal Mali, il Ghana, la Costa D'Avorio, dal Senegal. Il 64% prende in media 25 euro al giorno
la Repubblica, 26-03-2014
EMANUELA STELLA
ROMA - I duemila migranti (in massima parte giovani provenienti da Burkina Faso, Mali, Ghana, Costa d'Avorio, Senegal) che ogni anno arrivano a Rosarno e nella Piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi, vivono in condizioni disastrose e sono vittime dello stesso sistema di sfruttamento imposto, fino a mezzo secolo fa, ai braccianti italiani. La denuncia è dell'organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu), che chiede al Governo e alla Regione Calabria un piano di accoglienza in grado di far fronte all'emergenza. "Da febbraio a oggi - ha detto  il coordinatore generale di Medu, Alberto Barbieri, durante una conferenza stampa alla Camera - abbiamo assistito 180 braccianti, provenienti per lo più dall'Africa sub-sahariana, nelle baraccopoli e nei casolari abbandonati di Rosarno, San Ferdinando, Rizziconi e Taurianova".
L'89% lavora in nero. Tra i pazienti visitati, il 70% possiede un regolare permesso di soggiorno, il 45% è titolare di un permesso per protezione internazionale o motivi umanitari. L'89% lavora in nero, e il 64% percepisce in media 25 euro al giorno. Sono quasi tutti uomini di meno di  35 anni; il 46% di loro non riesce a lavorare più di tre giorni a settimana per turni di 7-8 ore; uno su quattro lavora anche 10 ore consecutive. Un terzo dei migranti riesce a consumare solo due pasti al giorno e la maggior parte delle malattie diagnosticate è legata alle pessime condizioni abitative e igienico sanitarie: vivono anche in 30-40 in stanze anguste e pericolanti, nei casolari abbandonati delle campagne. La tendopoli di San Ferdinando, ha aggiunto Barbieri, può ospitare fino a 450 tende, ma contiene il doppio di migranti ed è priva dei servizi essenziali: i 40 mila euro stanziati dal Ministero dell'Interno per questa stagione sono stati usati per la disinfestazione e per il parziale ripristino della fornitura elettrica.
Un nuovo modello di agricoltura. "Servono risposte concrete e coerenti - ha insistito Barbieri: - la Prefettura di Reggio Calabria si è e impegnata ad avviare un tavolo, bisogna lavorare da subito per un'inversione di tendenza". "Nelle prossime ore - ha aggiunto  Khalid Chaouki (Pd), coordinatore dell'intergruppo immigrazione - possiamo provare a invitare a un tavolo informale i ministeri dell'Interno, dell'Agricoltura e del Lavoro, assieme alle associazioni, per individuare un nuovo modello di agricoltura". "Per uscire dallo sfruttamento bisogna fare vera agricoltura, mentre in quei posti le pratiche sono al di fuori del sistema produttivo", ha aggiunto Stefano Masini della Coldiretti.  
Incompatibili con la civiltà. "Sulle spalle di questi uomini si regge di fatto gran parte del comparto agricolo della Piana di Gioia Tauro: eppure il modo in cui sono trattati è incompatibili con quei principi di civiltà che un paese rispettoso dei diritti fondamentali della persona dovrebbe sempre e comunque garantire", sottolineano i responsabili di Medu. "Poco o nulla sembra essere cambiato rispetto alle condizioni materiali e ambientali che costituirono l'humus dei drammatici fatti di Rosarno del 2010. Nella nuova tendopoli di San Ferdinando, allestita dal Ministero dell'Interno circa un anno fa - dicono ancora i responsabili - le tende possono ospitare fino a 450 persone mentre attualmente il campo contiene circa il doppio di migranti, stipati, oltre che nelle tende, in baracche e rifugi improvvisati fatti di legno e teloni di plastica".
Non esistono i servizi essenziali. "Già nello scorso novembre un giovane migrante che non aveva trovato posto all'interno del campo, è morto di freddo in un'auto. L'intero insediamento - dicono quelli di Medu - è privo dei servizi più essenziali. La fornitura elettrica è mancata del tutto da maggio a gennaio, quando è stata ripristinata esclusivamente l'illuminazione prodotta dai lampioni esterni al campo. Il riscaldamento degli alloggi e dell'acqua come la possibilità di cucinare gli alimenti, sono esclusivamente affidati ai numerosi fuochi accesi tra le baracche, che contribuiscono a rendere le condizioni di sicurezza dell'insediamento particolarmente precarie".
Disastrose le condizioni abitative. Se le condizioni all'interno della tendopoli sono pessime, ancora più drammatica è la situazione abitativa e igienico-sanitaria delle centinaia di braccianti stranieri che trovano rifugio nei numerosi casolari abbandonati sparsi in tutta la Piana di Gioia Tauro. "Gli edifici diroccati e in condizioni fatiscenti visitati dagli operatori di MEDU sono privi di elettricità (nei casi più fortunati alcuni migranti dispongono di generatori a benzina), di servizi igienici e di acqua potabile, che deve essere raccolta spesso a centinaia di metri di distanza. I migranti si trovano a dormire, anche in numero di trenta o quaranta, in ambienti freddi e angusti, scarsamente areati e privi di luce, tra pareti invase dall'umidità e tetti semidistrutti che lasciano filtrare l'acqua piovana. Gli spostamenti quotidiani avvengono unicamente a piedi o - nonostante la pericolosità delle strade -  in bicicletta, dal momento che i trasporti pubblici sono inesistenti".  
Al massimo, due pasti al giorno. "Un terzo dei migranti visitati dai medici di MEDU riesce a consumare solo due pasti al giorno, mentre la maggior parte delle malattie diagnosticate, in una popolazione giovane e sostanzialmente sana, è legata alle pessime condizioni abitative ed igienico-sanitarie e alle durissime condizioni di lavoro. Tutti i migranti intervistati dispongono di guanti come presidio di sicurezza durante il lavoro, mentre solo il 29% fa anche uso di scarpe anti-infortunistiche. Nel 97% dei casi i braccianti devono acquistare per proprio conto i  presidi di sicurezza, poiché questi non vengono forniti dai datori di lavoro".
La solidarietà nel borgo di Drosi. "A questa noncuranza sconcertante verso le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti immigrati, risponde nella misura delle sue forze la società civile della Piana con progetti e iniziative che dimostrano come sia possibile sviluppare validi percorsi di accoglienza e integrazione anche con risorse limitate - sottolinea MEDU - nel borgo di Drosi, nei pressi di Rizziconi, un gruppo di cittadini associati nella Caritas locale ha avviato dal 2010 un progetto che permette di accogliere ogni stagione circa cento lavoratori immigrati in abitazioni sfitte del paese, tramite il pagamento di un canone minimo.
Un'accoglieza adeguata e dignitosa. Medici per i Diritti Umani chiede alle istituzioni nazionali, regionali e locali un impegno concreto affinché da subito si proceda alla predisposizione di un piano che, valorizzando alcune buone prassi già sperimentate dalla società civile sul territorio, possa offrire un'accoglienza adeguata e dignitosa ai lavoratori stagionali che da fine ottobre giungeranno nella Piana per  la prossima stagione agrumicola. "MEDU rivolge un particolare appello al nuovo Governo e al Presidente del Consiglio Renzi affinché mettano in campo risorse e volontà politica per aggredire lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura, partendo anche dalla  Piana di Gioia Tauro e dalla questione dell'accoglienza. Un problema di civiltà che non riguarda solo migliaia di lavoratori immigrati, ma tutti i cittadini italiani".



Fondi antiaborto. "Non tagliate fuori le donne immigrate"
Ventimila firme in Lombardia contro il progetto della giunta Maroni di escludere dagli aiuti chi non ha cinque anni di residenza. Bonzi (Cav Mangiagalli): “Così aumenteranno le interruzioni di gravidanza”
stranieriinitalia.it, 28-03-2014
Milano - 27 marzo 2014 - Altro che “prima i lombardi”. La revisione leghista dei criteri per accedere ai fondi antiaborto farà aumentare le interruzioni di gravidanza.
È l’allarme lanciato da  Paola Bonzi, direttrice del Centro di aiuto alla Vita Mangiagalli, in una lettera aperta al governatore Maroni e all’assessore alla solidarietà sociale Maria Cristina Cantù. E c’è da fidarsi, visto che la sua associazione assiste ogni anno centinaia di mamme, anche indirizzandole verso quei fondi.
Tutto ruota intorno al taglio di risorse e ai nuovi criteri di accesso che Cantù vuole applicare al fondo regionale Nasko. Si tratta di un sussidio di tremila euro per l’acquisto di beni e servizi destinati a mamma e bambino concesso alle donne che rinunciano all’ interruzione volontaria della gravidanza.
Queste donne possono rivolgersi ai consultori familiari o ai Centri di Aiuto alla Vita, che predispongono per ognuna un piano personalizzato. Fino a oggi, tra i requisiti c’è un reddito particolarmente basso e la residenza in Regione da almeno un anno.
Ora l'assessore vorrebbe portare l’asticella a cinque anni di residenza, scelta che penalizzerebbe le immigrate.Cantù lo sa bene, se spiegando le sue ragioni in consiglio regionale ha lamentato che ”nei 3 anni della sperimentazione sono stati spesi oltre 18 milioni di euro, di cui il 75% è finito a extracomunitari”.
Il CAV Mangiagalli ha lanciato allora online la petizione “Una vita che nasce non ha colore”, che ha già raccolto oltre 20 mila adesioni.
Il testo parla di “discriminazione delle donne e dei bambini in base all'etnia di appartenenza, come se la vita di un bambino e la sofferenza di una madre valessero in funzione della loro nazionalità e origine geografica”. E denuncia “un’ operazione esclusivamente politica e propagandistica, apertamente razzista e contraria a tutte le Carte dei diritti riconosciute a livello internazionale”.
“I nuovi parametri che verranno approvati a giorni, di fatto, ridurranno il numero di donne da aiutare” spiega Bonzi nella sua lettera a Maroni e Cantù. “Il risultato sarà uno solo: una forte riduzione di donne che chiedono aiuto, o peggio ancora l’impossibilità di aiutare donne che vorrebbero tenere il loro bambino ma saranno costrette ad abortire per motivi economici. Siamo vicini alla follia”.



Germania: doppio passaporto per figli di immigrati nati nel Paese
La norma stabilisce che i figli degli immigrati che siano nati e abbiano trascorso almeno otto anni in Germania, frequentando le scuola del paese per almeno sei anni, possono ottenere anche il passaporto tedesco
stranieriinitalia, 28-03-2014
Roma, 28 marzo 2014 - I figli dei cittadini stranieri nati in Germania potranno ottenere la doppia cittadinanza.
E' quanto prevede una legge frutto di un accordo della maggioranza al governo, composta dai conservatori di Angela Merkel e dal Partito socialdemocratico.
La norma stabilisce che i figli degli immigrati che siano nati e abbiano trascorso almeno otto anni in Germania, frequentando le scuola del paese per almeno sei anni, possono ottenere anche il passaporto tedesco.
La legge era una della condizioni poste dalla sinistra per partecipare al governo con il CDU ed e' stata pensata soprattutto in favore della numerosissima comunita' turca in Germania, paese che gia' ospita quasi 11 milioni di immigrati. Per i cittadini della Ue e della Svizzera e' gia' possibile ottenere il passaporto tedesco dopo otto anni.



Verona, questionario razzista sottoposto agli studenti del liceo: riporta il logo dell’Università di Verona“
CIRDI, 28-03-2014
Scoppia un ennesimo caso razzismo da un questionario presentato in un liceo di Bolzano e che riporta logo e dicitura dell’Università di Verona. Una specie di “referendum” di una decina di pagine in tutto dove indicare il valore di gradimento e le differenze nei confronti dei “tedeschi dell’Alto Adige” e degli “italiani dell’Alto Adige”. Presenti anche domande dirette come “hai amici italiani?”, “hai amici tedeschi?”, “di cosa parlate?”, “dove vi vedete?” e quesiti sul livello di simpatia ed accoglienza di persone “omosessuali”, “ricche”, “povere” e “disabili”, “ricchi”. E’ poi ancora: “le differenze che ci sono tra italiani e tedeschi sono giuste?” o pagine dal titolo “è giusto che in Alto Adige i tedeschi siano superiori agli italiani?”.
Il bailamme è scoppiato tra i banchi del liceo classico in lingua italiana “Carducci” di Bolzano. Il questionario sarebbe stato prodotto in 300 copie e riporta il logo del dipartimento di Filosofia, pedagogia e psicologia dell’Ateno scaligero (che a Bolzano ha una sede distaccata) e pare essere stato distribuito anche in altri istituti superiori del capoluogo altoatesino. L’università ha poi spiegato che non si tratta di un ricerca “istituzionale” ma dell’errore commesso da una giovane ricercatrice, contrattista a tempo determinato. In breve pare che la studiosa abbia agito di propria iniziativa e abbia distribuito il questionario apponendo logo e dicitura dell’Ateneo di Verona senza passare per il comitato etico che si occupa di vagliare strumenti di questo tipo. E sul quotidiano locale, dopo essere venuto a conoscenza del fatto, il preside del Classico bolzanino avrebbe fatto ammenda
“Sono mortificato – dice Andrea Pedevilla, preside del liceo classico “Carducci” – da parte mia c’è stata una sottovalutazione grave dei contenuti di quel questionario. Oggi stesso verrà ritirato e convocherò tutti i rappresentanti di classe per spiegare loro la situazione. Soprattutto per spiegare loro che la scuola non condivide nulla di ciò che c’è scritto là dentro e che il valore scientifico di quella ricerca è zero”.
“Il consiglio del dipartimento di Filosofia, pedagogia e psicologia dell’università di Verona non è mai stato interpellato in merito all’autorizzazione del questionario distribuito nelle scuole secondario superiori di Bolzano da una ricercatrice a tempo determinato”. Lo dichiara la professoressa Luigina Mortari, direttrice del dipartimento”.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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