Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 febbraio 2011

Le buone pratiche negli ospedali che curano i migranti
l'Unità, 08-02-2011
Italia-razzismo  Osservatorio
Il pacchetto sicurezza voluto dal governo nel 2008 suscitò numerose polemiche. Una riguardava l’obbligo per i pubblici ufficiali di segnalare gli stranieri privi di regolari documenti. Il timore era che, soprattutto negli ospedali, fioccassero denuncie nei confronti di quanti chiedevano assistenza sanitaria. Per fortuna la nostra Costituzione (e il testo unico sull’immigrazione) parlano chiaro: tutti hanno diritto alle cure mediche, indipendentemente dal loro status giuridico. Un problema risolto, quindi, ma che non elimina le difficoltà d’accesso al sistema sanitario nazionale. I pazienti stranieri, infatti, spesso hanno difficoltà a comunicare in italiano e i medici, di conseguenza, a capire i sintomi e a eseguire diagnosi tempestive. In alcune Asl sono stati attivati progetti volti a facilitare la comunicazione medico-paziente.
Qualche esempio: al pronto soccorso del policlinico di Tor Vergata, a Roma, utilizzano un manuale illustrato che permette la comunicazione tramite immagini, inoltre è stata prevista la figura del “counselor interculturale” per fare da tramite e aiutare i pazienti a comprendere il percorso terapeutico; sempre a Roma, al San Filippo Neri, sono stati formati cento operatori in medicina transculturale; in provincia di Venezia è stato realizzato un numero verde, attivo 24 ore su 24, a cui rispondono operatori madrelingua; ad Ascoli la scheda di accettazione del pronto soccorso è stilata nelle lingue più parlate nella regione; in Liguria è stata creata una struttura per parenti di pazienti stranieri che possono essere ospitati fino a dieci giorni. Molto utili, queste iniziative, soprattutto se si tiene conto che buona parte di esse ha un costo contenuto. Non sarebbe il caso di iniziare a estenderle?



Lampedusa: tornano gli sbarchi, arrivati 200 extracomunitari

Corriere.it 9 febbraio 2011
MILANO - Sono 200 gli extracomunitari giunti tra la scorsa notte e mercoledì mattina a Lampedusa e nella vicina Linosa. L'ondata di sbarchi è ritenuta probabilmente legata alla tensioni politiche delle ultime settimane in Tunisia. Poco dopo le 8 di mercoledì i carabinieri hanno intercettato sulla costa di cala Francese a Lampedusa, 107 extracomunitari di cui non si conosce ancora la nazionalità. Nella zona è stata rintracciata anche una grossa imbarcazione. Sempre a cala Francese, la Guardia di finanza aveva fermato a mezzanotte 25 stranieri, mentre i carabinieri nel corso della notte hanno individuato nel porto Vecchio di Lampedusa 48 tunisini e nello scalo marittimo hanno bloccato un vecchio gommone appena entrato con a bordo dodici migranti. A Linosa, infine, sempre i carabinieri hanno fermato a terra tredici persone. Altri cinque immigrati erano stati soccorsi martedì sera a 26 miglia al largo di Pantelleria dalla Guardia di finanza. (fonte: Agi)



Rom, minoranza ignorata «L’Italia guardi a Madrid»

Avvenire, 09-02-2011
Luca Liverani
Sono una minoranza sparuta. Ma la politica e le istituzioni non riescono - o non vogliono - affrontare il problema. I Rom in Italia sono lo 0,3% della popolazione. Una percentuale di gran lunga inferiore non solo a quella dei paesi dell’Est, ma anche a nazioni simili a noi come la Spagna dove i gitanos sono il quintuplo, l’1,6%. Grazie alla strategia nazionale di integrazione promossa da Madrid oggi l’88% degli zingari spagnoli vive in case. E l’Italia non sa sfruttare le risorse a disposizione: per l’inclusione sociale spendiamo il 9% del Fondo sociale europeo, quando la media Ue è il 14%.
Molti di meno e molto più stanziali di quello che si pensa. E sul loro conto pesano pregiudizi figli di una discriminazione antica. È per questo che la Commissione Diritti del Senato, presieduta dal senatore Pietro Marcenaro, ha chiuso un’inchiesta, avviata a ottobre 2009 con audizioni, visite ai campi e una missione in Romania. In 93 pagine il Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia offre raffronti europei ed esempi di «buone pratiche» locali. «In Italia esistono undici leggi regionali sui Rom – si legge nel dossier che Avvenire è in grado di anticipare – e un reticolo di provvedimenti locali e ordinanze municipali, ma manca un piano nazionale che fissi univocamente linee di intervento flessibili e condivise». L’ultimo piano nazionale italiano è del 1985. L’indagine, che dovrebbe essere approvata questa mattina all’unanimità, si propone di «costruire una base di conoscenza condivisa» che «superi gli stereotipi» per individuare «politiche più efficaci nel garantire sicurezza e integrazione».
Quanti sono? Il Consiglio d’Europa li stima in 11 milioni e 155 mila, più del 2% della popolazione europea, oggi 501 milioni. In Italia le stime (ministero dell’Interno, Anci, Comunità di Sant’Egidio, Opera Nomadi) oscillano tra 130 e 170 mila, circa lo 0,3%. La metà sono cittadini italiani, gli altri sono della ex Jugoslavia, della Romania e in misura minore della Bulgaria. La presenza più importante in Europa è in Romania, 2,5 milioni, il 10%. Qui, in Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Serbia e Macedonia vive il 61,5% dei rom europei. Più numerosi che in Italia i rom in Spagna (800 mila, l’1,6%) Francia (280 mila, lo 0,5%) e Gran Bretagna (250 mila).
La Commissione indica la Spagna come esempio: «In Europa ha la legislazione più avanzata». Abrogate nel 1978 le leggi discriminatorie franchiste, il Paese ha creato una serie di organismi nazionali, a partire nel 1989 dal programma del Desarollo Gitano , sviluppo zingaro. Tra 1986 e 1999 il sistema di integrazione spagnolo ha portato all’elezione dell’unico parlamentare europeo di origine rom, Juan de Dios Ramirez Heredia. Il diritto all’alloggio è perseguito da specifici programmi urbanistici: nel 2007 l’88% dei gitanos disponeva di una casa, il 12% in baracche nelle periferie.
Buone pratiche esistono anche in Italia. La Commissione cita le 13 aree attrezzate familiari di Modena per 75 nuclei; gli 11 appartamenti assegnati a Padova, l’autocostruzione adottata a Settimo tornese, l’assegnazione di case a Bologna per 44 famiglie. Complessivamente però l’Italia è molto indietro. Forse anche perché non riesce a sfruttare a fondo le risorse a disposizione: dei 7 miliardi destinati all’Italia dal Fondo sociale europeo per il 2007/2013, usiamo per l’inclusione sociale 597 milioni, il 9%, quando la media Ue è il 14%.
Complesso il nodo dello status dei moltissimi rom ex jugoslavi, apolidi de facto: non sono cittadini italiani, anche se molti ci sono nati e cresciuti (almeno 15 mila), non hanno documenti perché il loro paese non esiste e quindi non possono essere espulsi. La Commissione sottolinea la necessità di «uno strumento di emersione».
La storia secolare di discriminazioni paradossalmente colpisce i Rom anche nella Giornata delle memoria. La legge istitutiva del 2000 cita come vittime del nazismo ebrei ed italiani. Nemmeno una parola per i Rom: con un triangolo bordò sulla giacca, nel Porrajmos, così chiamano la Shoà, ne furono sterminati tra i 500 mila e il milione e mezzo.



Maroni gela Alemanno sulla strage dei bimbi «Basta chiedere soldi»

Maiolo (Fli): nomadi? Più facile educare i cani
Corriere dela Sera, 09-02-2011
Ernesto Menicucci
ROMA — È uno scontro frontale, di quelli che lasciano ferite. Roberto Maroni, ministro dell’Interno, risponde a brutto muso alla lettera del sindaco di Roma Gianni Alemanno e dal prefetto Giuseppe Pecoraro, nella quale Comune e prefettura— all’indomani della tragedia dell’Appia dove sono morti 4 bambini rom — chiedono al ministro «altri trenta milioni per il piano nomadi» , «poteri speciali» perché il commissario (lo stesso Pecoraro) possa «agire in deroga ai vincoli archeologici e urbanistici» e «500 tende dalla Protezione civile per allestire una struttura di transito» . Il Viminale ci mette poche ore a replicare. Dal ministero si parla di «sorpresa per le richieste di Alemanno» , si ricorda «che il Lazio ha già preso 20 dei 60 milioni stanziati dal governo per l’emergenza nomadi in tutta Italia (Lombardia, Campania, Veneto e Piemonte hanno avuto tutte di meno, ndr) e altri 13 milioni sono arrivati da Comune e Regione» e si fa presente che «la richiesta appare immotivata, perché il piano nomadi è stato approvato e finanziato da tempo e fino a ieri non è stata segnalata alcuna nuova esigenza» . E i poteri speciali? «L’attuazione del piano nomadi— fa sapere il Viminale — compete al sindaco e al prefetto, che è già commissario straordinario. L’ampliamento dei poteri, poi, spetta alla Presidenza del consiglio» . L’unica mezza apertura è sulle strutture per la tendopoli: «Faremo quanto è nelle nostre possibilità» , dicono al ministero. Per Alemanno, già sotto accusa da parte dell’opposizione e di una fetta dell’associazionismo, un colpo durissimo. Il sindaco ha provato a reagire: «Chiederò un incontro urgente al ministro, perché non si può pensare di far finta di niente di fronte a un problema che è sotto gli occhi di tutti. Non concedere nuove risorse al Lazio significa non voler risolvere la questione e continuare ad alimentare l’emergenza. Ci vuole chiarezza sulle assunzioni di responsabilità» . Maroni è furibondo anche con Pecoraro, sempre per la lettera. Il ministro si è sfogato coi suoi collaboratori: «Il prefetto si comporta da uomo politico o da capo di gabinetto del sindaco, dovrebbe ricordarsi che è un rappresentante del governo» . Un malcontento che ha un precedente: l’insoddisfazione di Maroni per come erano state gestite le manifestazioni studentesche che a dicembre hanno trasformato il centro di Roma in un teatro per la guerriglia urbana. Oggi Pecoraro sarà al Viminale: lo ha convocato il capo di gabinetto del ministro, Giuseppe Procaccini. Il clima è incandescente. E ieri mattina ci sono stati attimi di tensione al campo di Tor Fiscale. La mamma dei bambini morti ci è tornata, per accendere ceri e pregare: risulta indagata con gli altri genitori delle piccole vittime. In lacrime si è lasciata andare: «Se vogliono vado in galera. Che devo fare, uccidermi? Mi ero allontanata per dieci minuti, i bambini dormivano, nella baracca di fronte c’erano i miei cognati» . Liliana Elena Mircea racconta: «L’incendio è doloso, il braciere era esterno» . Gli investigatori, però, non hanno trovato riscontri. C’è un altro particolare: il Cotral, proprietario del terreno, nel giugno 2010 aveva chiesto alla Procura il sequestro dell’area già occupata dai rom perché ritenuta «pericolosa» . La richiesta è stata rigettata. Alemanno, a Uno Mattina, ha parlato dell’ipotesi di dare alloggi ai rom: «Se diffondessimo l’idea che basta venire a Roma per avere una casa popolare rischieremmo di attrarre centinaia di migliaia di nomadi provenienti da tutta Europa. L’accoglienza deve essere sostenibile» . Alemanno si è anche appellato al presidente Giorgio Napolitano: «Ci aiuti ad accorciare i tempi per gli interventi» . Contro il capo dello Stato è intervenuto Mario Borghezio, europarlamentare della Lega: «Ho più volte espresso la mia stima per Napolitano, ma ieri ha commesso un grave errore andando dalle famiglie dei bimbi rom mettendo in scena un ipocrita buonismo di stato» . Oggi, a Roma, lutto cittadino e la veglia per i quattro bimbi morti, officiata dal cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa. Un po’ di silenzio, e di raccoglimento, dopo le urla della politica.



«No al buonismo, più accoglienza e regole» Don Colmegna: l’obiettivo è una casa ma solo per chi rispetta questo patto

Corriere della sera, 09-02-2011
Andrea Galli
MILANO — «Tutti i rom? No. Tanti rom? Forse. C’è chi si merita un aiuto, un’opportunità. E ci sono diritti e doveri, precisi diritti e doveri da entrambe le parti. A me questo soltanto interessa. Crescere. Crescere insieme. Superare la palude delle liti, della propaganda, delle urla sguaiate, della rissa anche quando ci sono piccoli che muoiono. Soluzioni? Non facciamo annunci. Vediamo di fare quel che in concreto serve. Da dove iniziare? Dal superamento dei campi abusivi. E comunque, alla fine, lo dico davvero, io resto ottimista. Anzi: speranzoso. È un cammino lungo. Ma possiamo farcela» . Quattro bambini rom anche allora. Carbonizzati in una roulotte. Milano, periferia, inverno. Era il gennaio del 1995. Don Virginio Colmegna, all’epoca direttore della Caritas ambrosiana, disse al Corriere: «Il guaio è che tutti, e quindi anche la Chiesa, siamo in ritardo nel confronto culturale con le diversità, perché i nomadi, per noi, sono ancora troppo diversi. I ritardi si recuperano col tempo e con una paziente maturazione della coscienza di istituzioni e persone» . Oggi don Colmegna, nato nel 1945 a Saronno, in provincia di Varese, ordinato sacerdote nel ’ 69, è il presidente della Casa della carità. Una Fondazione la cui principale attività è «ospitare e prendersi cura di persone in difficoltà» . A cominciare dai rom. Don, la priorità è superare i campi abusivi, giusto? «Basta aree illegali. Lo chiediamo noi e lo chiedono gli stessi cittadini. Le persone debbono vivere in condizioni degne. Che a volte non vengono garantite nemmeno nei campi regolari» . Case per tutti? «L’inserimento abitativo è l’obiettivo. Però sempre secondo piani graduali, di accompagnamento. Con tappe, verifiche» . Siamo davvero pronti? E il caso di Opera, a ridosso di Milano, con le tende dei nomadi incendiate dagli abitanti? Era il 2006, non un secolo fa. «A Milano le politiche per i rom vengono inquadrate nel patto di legalità e sicurezza. Accoglienza e regole ben precise. All’interno di questo patto abbiamo accolto quei rom di Opera. Com’è finita? Che adesso lavorano e hanno un’abitazione. I nomadi, i nomadi, i nomadi... Ma cosa crediamo? Moltissimi di loro hanno delle potenzialità» . Si dice: non tutti accettano di lasciare le baracche, non tutti sono disposti a un lavoro al posto dell’elemosina ai semafori. Si aggiunge: ci sono stati casi di bimbi sfruttati. Le giriamo obiezioni chissà quante volte avanzate... «Guardi, nessuno ha fatto tante denunce quanto noi, contro le illegalità. E non sa quanti litigi, quanti allontanamenti abbiamo eseguito... Per piacere, smettiamola di pensare che chi sta in mezzo, noi come altri, è un buonista. No. Del resto sappiamo che certe opportunità sono un enorme vantaggio anche per loro» . In che senso? «Dire che abito in un appartamento e non in un campo rom mi dà maggiore possibilità che a un colloquio di lavoro non mi rispondano picche a prescindere... È così, inutile girarci intorno» . Qui in città è fresca la vicenda giudiziaria delle case popolari concesse ai rom e poi negate. Avevano firmato un contratto. Il giudice ha dato ragione agli immigrati, che si sono appena trasferiti. «E gli immigrati vivono nella massima tranquillità senza che i vicini di ballatoio abbiano fatto le barricate. Dov’è il problema? Queste case sono sì popolari ma individuate al di fuori del mercato. Non sono state tolte a nessuno. Dovevano venir ristrutturate e le abbiamo ristrutturate. Il contratto di locazione dura un anno. Passato l’anno, gli inquilini andranno via. Dov’è il problema? Sono d’accordo con quanto scritto sul suo giornale dal sociologo Mauro Magatti» . Quale passaggio in particolare? «Occorre prendere l’iniziativa per definire i termini di uno scambio che punti a fissare diritti e doveri reciproci. La costruzione di condizioni minime, e cioè condizioni abitative, scolastiche, lavorative, è quello che le istituzioni possono mettere in campo, mentre la comunità rom dev’essere chiamata a riconoscere e a rispettare una serie di regole» .



Provengono tutti da insediamenti abusivi "Abitano" qui dal novembre del 2009
Il campo di transito? Nell'ex cartiera
In 300, dopo gli sgomberi, vivono nei corridoi della struttura in via Salaria
IL Messaggero, 09-02-2011
ELENA PANARELLA
Da novembre 2009 centinaia di rom provenienti dal ex campo Casilino 700 e da altri insediamenti abusivi sgomberati durante tutti questi mesi (Centocelle, via Labaro, via Papiria,   via Naide,    via De   Mata...) sono ospitati nell'edificio dell'ex cartiera di via Salaria 971. Nel-lo stesso stabile poco prima di questi nuovi "ospiti" ci vivevano all'incirca 80 famiglie   di  immigrati con   molti   bambini. sgomberati due mesi prima e finiti chissà dove per far posto ai rom. Così, una volta liberato lo spazio, nel tempo sono stati trasferite qui decine e decine di famiglie che vivevano in diversi  insediamenti abusivi sparpagliati perla città. Un passaggio transitorio, che poi tanto transitorio non è. Oggi, infatti, ci vivono circa 400 persone di differenti et¬nie, quasi la metà minori. E molti non se ne vogliono andare, anzi ci sono persone che hanno chiesto addirittura il ricongiungimento con familiari che vivono in altre città. Sistemati, per così dire, uno accanto all'altro all'interno della struttura. Le stanze, lunghi corridoi, sono ricavate proprio lì. Ogni famiglia, non essendoci pareti divisorie, ha
utilizzato stracci e teli di plastica per salvaguardare la propria privacy. L'aria è stagnante, i servìzi igienici scarsi, rispetto al numero degli ospiti. «Ma sempre meglio che stare nel fango, al freddo. Ci passano tre volte al giorno i pasti e se non abbiamo alternative per il momento , restiamo qui», si lascia scappare qualcuno. Alle sei del pomeriggio fuori il grosso cancello, c'è il rientro. Decine di uomini e donne con i loro carrelli pieni di tutto, tornano "a casa" do¬po una lunga giornata di lavoro.
«Nelle camerate la luce viene spesso lasciata accesa tutta la notte - spiegano dall'Associazione 21 luglio, che ha seguito da vicino il percorso di molte persone che vivono all'interno dell'ex cartiera - La sicurezza della struttura è affidata a giovani dipendenti dì una cooperativa specializzata in giardinaggio senza alcuna esperienza in ambito sociale. Per i bambini mancano spazi per il gioco, per lo studio e per le attività  ludico-formative. Le norme per la sicurezza sono totalmente violate ed i 20 rom trasferiti dall'insediamento informale de La Muratella dopo il rogo in cui era deceduto il bambino di tre anni, corrono probabilmente gli stessi rischi di incendio di quelli che avrebbero corso nelle baracche in cui alloggiavano».
Ma quello che inevitabilmente (e purtroppo) colpisce, o per meglio dire stordisce, è l'odore nauseabondo che proviene dal cancello affianco. E sì perché a pochi passi c'è l'impianto Ama di selezione e trattamento dei rifiuti indifferenziati (provenienti dai cassonetti stradali verdi), proprio in via Salaria 981. Qui sì porta a termine la separazione della frazione secca ad elevato potere calorifico che viene trasformata in combustibile da rifiuti (CdR) destinato al recupero energetico. La rimanente frazione umida viene trattata per la produzione di "ammendante" utilizzabile per il   recupero   di aree degradate. L'impianto è in grado di trattare 750   tonnellate al giorno di rifiuti. Nessuna combustione chimica, ma la puzza è davvero tanta. Certo viene da chiedersi: ma qualcuno   oltre agli ospiti si è accorto che l'aria è irrespirabile? Non solo, ma è possibile che oltre a questa struttura di vìa Salaria e a quella (non autorizzata, ma utilizzata solo per le emergenze) del residence di via Amarrili (zona Tor Cervara) dall'inizio del Piano Nomadi non si siano trovate altre sistemazioni? Intanto nell'ex cartiera sono iniziati nuovi lavori di ampliamento, per ricavare altri spazi.



Il toto-tendopoli tra La Rustica e il XVIII Municìpio

Il Messaggero, 09-02-2011
Inizia il toto-aree sulla sistemazione delle tendopoli. E spuntano le prime indiscrezioni sulla scelta dei luoghi che si stanno prendendo in esame proprio in queste ore, da destinare ai rom. Ci sarebbe quella a La Rustica nel VII Municipio, alla periferia est della Capitale. Ma l'area per il momento che sembra la prescelta è nel XVIII Municipio (zona ovest).
In giornata il sindaco Gianni Alemanno, che ha sostenuto di non volere più veti, ha chiesto «di derogare ai vincoli archeologici nella Capitale, pur di fare, adesso rapidamente, i campi regolari per i nomadi». Sindaco e prefetto, nelle vesti di commissario straordinario, si sono messi comunque subito al lavoro, per realizzare la prima tendopoli: entro la prossima settimana. Sarà gestita dalla Protezione Civile. Gli sgomberi dei rom che occupano insediamenti abusivi inizieranno subito dopo. «Sgombreremo oltre cinquanta microcampi, ma solo dopo aver allestito la tendopoli - spiega il prefetto - Solo chi accetterà l'assistenza entrerà nelle tendopoli: cercheremo i volontari ovviamente, sperando che siano tanti». «Il nostro obiettivo è, stato dei luoghi permettendo, allestire la tendopoli già fra la fine di questa settimana e l'inizio della prossima», ha aggiunto Pecoraro. Ieri mattina, infatti, due funzionari del Comune hanno già fatto un sopralluogo in due aree ritenute idonee. Sono di proprietà comunale, e si trovano in periferia. La scelta però ancora non è stata fatta.
Ma una cosa è certa: di campi regolari nuovi ne servono almeno tre. È scritto nella lettera, che il sindaco e il prefetto hanno inviato al ministro dell'Interno, Maroni. «È indispensabile ed urgente l'allestimento di almeno altri tre nuovi villaggi attrezzati, oltre alla ristrutturazione e all'ampliamento della Barbuta, in corso di realizzazione, che costerà oltre sei milioni». E sei milioni, si legge nella lettera, saranno assorbiti dall'allestimento di uno dei tre nuovi campi considerando «il costo di acquisto - sì tratta di un terreno pubblico - e lavori di realizzazione».



Le richieste dell'Europa: entro aprile scuola, lavoro, riduzione della povertà

Il Messaggero, 09-02-2011
CRISTINA MARCONI
BRUXELLES - Poteva succedere ovunque, certo. Ed è proprio per questo che per la Commissione europea la tragica morte dei quattro bambini rom in un campo nomadi di Roma solleva questioni molto delicate. La più grande minoranza etnica del Vecchio Continente continua a rappresentare un problema scottante, poiché molti Stati membri applicano politiche ritenute inadeguate da Bruxelles, che non manca mai di far sentire le sue critiche, ma che però a sua volta si è finora dimostrata incapace di offrire una vera alternativa.
Appena pochi mesi fa, a settembre, la responsabile per la Giustizia, Viviane Reding, sfiorò la crisi diplomatica con Parigi dopo aver definito "una vergogna" una circolare ai prefetti, poi frettolosamente emendata, in cui si ordinava lo sgombero degli accampamenti illegali e in particolare di quelli rom, oltre ai rimpatri forzati, andando a violare, in teoria, sia la Carta dei Diritti fondamentali che la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini. La procedura d'infrazione, alla fine, non venne aperta, ma il messaggio europeo fu comunque chiaro: non si possono accettare violazioni dei diritti umani, almeno formalmente.
L'Ungheria, che da gennaio ha la presidenza di turno delI'Ue, ha deciso di fare della questione uno dei punti forti del suo semestre, avendo a che fare con il 2,02% della sua popolazione di origine rom. «La tragedia di Roma dimostra che l'integrazione dei rom deve restare in cima alle priorità dell'agenda politica», ha commentato Reding all'indomani del rogo di Roma, aggiungendo: «Stiamo lavorando con gli Stati membri per migliorare la situazione». Tanto che entro aprile ogni Stato membro dovrà presentare la sua strategia sulle tre linee guida principali, ossia «istruzione, riduzione della povertà e occupazione», su cui i governi sono invitati a ricorrere ai fondi europei disponibili, che sarebbero pari a 17 miliardi di euro. Sul tema è da sempre molto attivo anche il Consiglio • d'Europa, che ha criticato l'Italia a più riprese per il trattamento dei rom. Proprio ieri Thomas Hammarberg, commissario per i Diritti Umani dell'organizzazione, che non è un'istituzione europea e che ha sede a Strasburgo, ha denunciato la "pratica ricorrente" di molti paesi di rinchiudere gli immigrati irregolari minorenni nei centri di detenzione. Ma l'ultima e più chiara denuncia è quella contenuta nel rapporto annuale di Human Rights Watch, in cui si legge che in Italia «i rom e i sinti continuano a soffrire di elevati livelli di discriminazione e povertà, in condizioni di vita deplorevoli».



Sicurezza: un nuovo "asse" tra Europa e Africa

Avvenire, 09-02-2011
DA NAPOLI VALERIA CHIANESE
Europa e Africa insieme per combattere quei crimini che mettono in pericolo la sicurezza del Paesi e dei popoli e soprattutto offendono la dignità delle persone. È il senso della conferenza euro-africana in corso da ieri a Napoli e organizzata dal dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell'Interno. Crimini odiosi di cui la criminalità organizzata è spesso protagonista controllando e gestendo. La tratta di esseri umani, il traffico di droga, il terrorismo, l'immigrazione clandestina sono le sfide internazionali che i Paesi dell'Europa e dell'Africa devono affrontare e su cui si confrontano i rappresentanti delle polizie di 68 nazioni e di 11 tra organismi di sicurezza e organizzazioni umanitarie internazionali. Una collaborazione ampia sottolineata da Rodolfo Ronconi, direttore centrale   dell'immigrazione della polizia delle frontiere, «per trovare soluzioni comuni». Per il cardinale Crescenzio Sepe un'unione «di forze per sconfiggere il male e agire a vantaggio dell'uomo». Il bacino del Mediterraneo rappresenta il luogo di incontro e di unione dei due continenti e l'Italia è al centro di questo "confine liquido" tra due mondi e più esposta di altri a reati transnazionali. Da qui la maggiore sensibilità alle tematiche della sicurezza internazionale da parte del nostro Paese e la necessità di riunire intorno a temi comuni le diverse realtà interessate nella lotta al crimine. «Fenomeni - osserva il capo della polizia Antonio Manganelli - che possono essere contenuti e debellati con un'azione comune di prevenzione e di vigilanza ed anche favorendo lo sviluppo socio-economico» di quelle popolazioni che spinte dalla povertà o dalla guerra sono costrette a migrare divenendo preda di organizzazioni criminali. Cooperazione quindi è la parola chiave sia negli interventi anche preventivi per la sicurezza dei Paesi sia per lo sviluppo. Su entrambi gli aspetti è impegnata l'Unione Europea con progetti di partenariato e di cooperazione per la lotta alle forme note e nuove di criminalità organizzata. La cooperazione tra Paesi sul fronte della sicurezza è fondamentale anche per il ministro Roberto Maroni, che ha chiuso la prima giornata del vertice soffermandosi in particolare sull'importanza del-l'aiuto reciproco per fermare clandestina: «La cooperazione tra le polizie - ha sottolineato - è l'unico modo efficace». Il ministro ha quindi ribadito, a conferma delle sue parole, la fruttuosa collaborazione dell'Italia con la Libia, nazione che in questo momento «garantisce un governo stabile». Il ministro della Libia, da parte sua, ha ribadito l'ottimo clima di collaborazione e ha sottolineato come la politica dell'Italia si «ispiri ai diritti umani» Il problema della sicurezza rischia però di mettere da parte «i bisogni dei più vulnerabili, che rischiano di non ricevere la dovuta attenzione ai loro diritti» dice Laurence Jolles, rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. «Bisogna bilanciare le due cose - continua -. Nel nome dell'antiterrorismo si rischia una veduta unilaterale e di non prendere in considerazione altri aspetti».



Tasse, 9 contribuenti su 100 in Lombardia sono stranieri

I ricercatori della fondazione Moressa che ha raccolto i dati: "Apporto importante alla crescita economica italiana, è utile anche al fisco regolarizzarli"
la Repubblica, 09-02-2011
ZITA DAZZI
Gli immigrati che abitano in Lombardia hanno un reddito annuale medio di 15mila euro, tremila in più di quanto guadagnino in media gli immigrati che vivono i altre regioni. Un immigrato su due in Italia non raggiunge nemmeno i 10mila euro all´anno. E così tanti cittadini italiani che vivono al sud. È una delle sorprendenti conclusioni a cui arriva il più recente studio della Fondazione Leone Moressa sulle dichiarazioni Irpef in Italia. Uno studio che confronta i redditi di italiani e immigrati, in base alla regione di residenza e al paese di nascita. Il rapporto analizza i redditi del 2008 sulla base delle dichiarazioni del 2009 secondo i dati forniti del ministero delle Finanze.
È leggendo queste pagine che si scopre che la produttiva Lombardia offre chances di guadagno maggiori rispetto a tutto il nord Italia, persino rispetto al Veneto e al Piemonte, dove pure c´è la piena occupazione degli extracomunitari in fabbriche e aziende di ogni settore produttivo. Ma è solo in Lombardia che la media dei contribuenti stranieri dichiara un reddito di 15.307 euro l´anno, vale a dire 7.941 euro in meno rispetto al contribuente medio "lombardo doc". Dalla sola Lombardia infatti arriva ben il 20 per cento del reddito complessivo dichiarato da cittadini stranieri residenti in Italia, che costituiscono il 7,8 per cento dei contribuenti italiani e dichiarano il 5,2 per cento dei redditi nazionali.
Gli immigrati sono l´8,9 per cento dei contribuenti lombardi con un aumento del 25,7 per cento in un triennio. Nel 63 per cento dei casi si tratta di lavoratori (che guadagnano quasi 12mila euro in meno all´anno rispetto ai colleghi italiani), mentre il 37 per cento è costituito da donne (5mila euro in meno rispetto alle colleghe italiane). Nonostante le differenze di retribuzione fra italiani e immigrati, quasi un quarto del reddito prodotto in Italia dagli stranieri si concentra in Lombardia (oltre 9 miliardi e mezzo in un anno, il 23,8 per cento del totale). L´88 per cento dei rediti dichiarati dagli stranieri proviene da lavoro dipendente.
Uno su due dei contribuenti stranieri viene dall´Europa dell´est e fra questi prevalgono (36 per cento) quelli dei paesi comunitari, in particolare i romeni che da soli rappresentano il 17,6 per cento dei contribuenti stranieri in italia. Seguono gli africani (18,3 per cento), gli asiatici (12 per cento) e i latino americani (1,5 per cento). Le entrate dovute ai cittadini dell´est Europa sono aumentate del 156 per cento in un triennio per quanto riguarda il fisco, anche se in media i loro redditi si attestano attorno agli 8.700 euro l´anno, meno rispetti agli 11.800 medi degli albanesi e ai 10.900 dei marocchini.
«Quantificare i contribuenti stranieri e i loro redditi – spiegano i ricercatori della Fondazione Leon Moressa – permette di confermare ancora una volta come gli stranieri siano – e con ogni probabilità continueranno ad essere – una parte importante della struttura sociale del nostro Paese, contribuendo alla crescita complessiva dell´economia italiana. E ci sarebbe un´incidenza ancora maggiore se il lavoro sommerso venisse regolarizzato. Operazione a tutela degli immigrati e a beneficio dell´intera collettività».



Ai neodiciottenni «stranieri» cittadinanza in automatico

il Sole, 09-02-2011
Silvia Pieraccini
Pochi lo sanno, ma i 287  comuni toscani sono  pronti a colmare il gap di conoscenza: chi è nato in Italia da genitori stranieri, al compimento del 18esimo anno di età può acquisire la cittadinanza italiana con una semplice dichiarazione fatta all'ufficio di stato civile del comune dove abita. Nessuna incombenza burocratica, nessun test da superare, nessuna spesa da sostenere: solo una semplice attestazione di aver risieduto stabilmente in Italia fin dalla nascita, naturalmente con un regolare titolo di soggiorno. Unica condizione, posta dall'attuale legge sulla cittadinanza, è che la dichiarazione avvenga tra i 18 e i 19 anni d'età.
Compiuti i 19 anni la possibilità sfuma, ed è proprio questa finestra aperta solo per 12 mesi- una vera e propria deroga allo ius sanguinis che guida il nostro ordinamento - che ha spinto l'assessore alweifare della Regione Toscana, Salvatore Allocca, a inaugurare un'operazione di informazione a tappeto. Grazie a un accordo con Anci Toscana, nei prossimi giorni tutti i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che abitano in Toscana e stanno per compiere 18,anni, riceveranno una lettera che, accanto agli auguri per il compleanno, ricorderà loro la possibilità di ottenere la cittadinanza attraverso un percorso semplice e veloce. «Anch'io sono toscano» s'intitola la lettera, pronta per essere spedita a qualche centinaio di giovani: i numeri non sono grandi, basti pensare che gli stranieri nati in Italia nel 1993, e dunque potenzialmente interessati ad acquisire la cittadinanza nei prossimi mesi, sono 7mila.
«Abbiamo deciso dare questa informazione perché molti non ne sanno nulla-spiega l'assessore Allocca (Rifondazione comunista) - e perché volevamo dare un segnale di accoglienza delle istituzioni». Del resto il problema della cittadinanza, aggiunge l'assessore, è «fortemente sentito da chi è nato in Italia da genitori stranieri ma non può godere degli stessi diritti dei cittadini italiani». Proprio per attenuare le differenze, la lettera ricorderà altre due possibilità offerte dalla Regione a tutti i giovani, anche a chi non possiede la cittadinanza: l'accesso ai bandi per il servizio civile regionale e quello alle agevolazioni per il diritto allo studio universitario.
La regola sulla cittadinanza, ovviamente, vale in tutta Italia, e il caso toscano non è isolato: proprio in questi giorni anche il sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio, che è anche vicepresidente Anci, ha deciso di scrivere ai 39 neomaggiorenni reggiani figli di immigrati per spiegare la procedura per chiedere la cittadinanza sulla base della legge 91/1992. «È un atto dovuto di informazione per l'accesso a un diritto esigibile - ha spiegato il sindaco Delrio (Pd) -; questi giovani sono cittadini di fatto, ma rischiano di non saperlo».



Il test per il permesso di soggiorno? Scrivere una cartolina

il Giorno, 09-02-2011
Nicola Palma
Al via gli esami per gli stranieri che vogliono ottenere il documento senza scadenza: "Una passeggiata". Pensi sia sufficiente per una reale integrazione?
Milano, 9 febbraio 2011 -  Il futuro in un'ora. Venti domande in sessanta minuti. Più una finta cartolina da compilare e inviare a un amico. In italiano, ovviamente. Sono iniziati a Milano gli esami di conoscenza della lingua per gli immigrati che vogliono accedere al permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, che quattro anni fa ha sostituito l’ex carta di soggiorno: a tempo indeterminato, può essere richiesto solo da chi ha la residenza in Italia da almeno cinque anni. Indispensabile il superamento del test di comprensione orale e produzione scritta. Così ieri si sono presentati a centinaia presso i Centri territoriali permanenti (Ctp), le strutture autorizzate dal Ministero dell’Interno a preparare le prove.
Ore 15, via Mosso, a due passi da via Padova. Dovevano essere quaranta, alla fine si presentano in ventidue al Ctp Eda. Fuori dalla porta resta il signor Yemane, origini eritree, arrivato in Italia con la famiglia nel 2003: «Anche mia moglie Sanè doveva essere qui ma non è potuta venire per impegni di lavoro». Il «permesso lungo» è un sogno: «Ormai siamo destinati a restare a Milano - dice Yemane - anche perché i miei due figli sono nati qui e si sentono perfettamente integrati: questo documento ci consentirà di vivere più tranquilli».
Alle 15.55, in anticipo sui tempi stabiliti dal vademecum del Viminale, i più veloci salutano gli esaminatori dell’Istituto comprensivo Russo Pimentel: «È andata bene - sorridono Ramon e Ramonelle Bulanadi, padre e figlia di nazionalità filippina -. Era piuttosto facile questo test: ho avuto qualche incertezza sulla cartolina, ma credo di aver fatto abbastanza per superare la prova». Servono ottanta punti su cento per passare: ne vengono asegnati 30 al massimo per la comprensione orale e altri settanta per lettura e interazione scritta.
«I risultati si sapranno tra quarantotto ore (domani, ndr) - sorride Amith Pinto, ventiduenne pizzaiolo dello Sri Lanka - ma sono tranquillo: è stata una passeggiata». Certo, il livello delle domande è piuttosto elementare, anche se «bisogna considerare che molti non sono abituati a leggere la lingua a caratteri neolatini», precisa il professor Letterio Gerli. Insomma, sarà anche semplice capire il contenuto del file audio ascoltato, «però poi ci sono le opzioni di risposta da decifrare». Johnny, gruista ecuadoregno di ventitrè anni, è quasi spavaldo: «Sono sicuro di essere promosso». Mamma Patricia è più prudente: «Spero di non aver commesso troppi errori». Entrambi sono convinti che il test di lingua sia utile per l’integrazione: «Non è bello lavorare a Milano e non capire la lingua». All’ingresso del Ctp c’è un gruppo di cinesi: «Noi siamo qui per il corso di italiano, vogliamo imparare». E i dati del Centro certificano il cambio di tendenza: sono proprio gli orientali i più assidui frequentatori delle lezioni per familiarizzare con l’idioma di Manzoni.

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