Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 gennaio 2014

Mare Vestrum
Aprire le frontiere (come fa Letta) è una soluzione, non l'unica
Il Foglio, 09-01-2014
  Il 3 ottobre del 2013, a largo dell'lsola di Lampedusa, morirono oltre 350 immigrati che tentavano di raggiungere le coste italiane. Fino a quel giorno, nel nostro paese erano stati rilevati 35 mila arrivi illegali via mare. Sulla scorta della tragedia, il governo Letta decise di avviare l'operazione "militare e umanitaria Mare Nostrum". Con navi, elicotteri e droni, dalla metà di ottobre abbiamo iniziato a sorvegliare le frontiere in mare per soccorrere eventuali barche di clandestini in difficoltà. Il 20 dicembre è stato reso noto che, grazie a 38 operazioni di soccorso, sono state salvate "oltre 6.000 persone"; da allora, almeno altre 1.000 sono state scortate dalla Marina sulla terraferma. Un risultato è stato raggiunto, non certo trascurabile: da metà ottobre infatti non abbiamo avuto notizie di tragedie simili a quella di Lampedusa. Questo non esclude incidenti che siano sfuggiti al controllo italiano, né può rassicurarci sul futuro visto che siamo pur sempre in inverno, quando il numero di traversate tentate solitamente scende. Il risultato però c'è. Si conferma cosi quanto scrivemmo dopo i fatti di ottobre: cioè che la colpa delle tragedie è delle Valtur schiavistiche, non nostra o della legge Bossi- Fini (ancora in vigore). Scrivemmo che per evitare gli annegamenti le strategie erano solo due: aprire le frontiere e organizzare un ponte aereo o marittimo con la sponda sud del Mediterraneo; oppure chiudere le frontiere e realizzare una politica di diplomazia per disincentivare le partenze. Il governo ha scelto la prima strada. Ne prendiamo atto, ma qualche domanda resta. Il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, disse che non tutti gli immigrati intercettati sarebbero stati portati in Italia: si ha notizia di collaborazioni di altri paesi? Inoltre: nei 7,000 sono conteggiati tutti i clandestini sbarcati o solo quelli aiutati? Viste le condizioni di sovraffollamento dei centri di accoglienza, tale ritmo di ingressi sarà sostenibile con l'arrivo delle stagioni calde? Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, aggiunse che l'Italia ce l'avrebbe fatta a sostenere da sola l'operazione Mare Nostrum "solo fino a dicembre"; è cambiato qual-cosa? Infine un'osservazione: la democraticissima Australia ha appena respinto, con le sue navi militari, due barconi illegali in arrivo dall'Indonesia. Il governo liberale - in un paese che rimane mèta d'immigrazione economica, qualificata e pure umanitaria - ha deciso che l'immigrazione si sceglie e non si riceve, e che gli annegamenti si riducono con la deterrenza. E' una strategia, anch'essa efficace a giudicare dalla riduzione delle pericolose traversate, e forse più sostenibile del ponte marittimo a tempo indeterminate.



Australia, la marina militare respinge i barconi di immigrati
Linea dura del governo Abbott: «Non abbiamo violato le acque territoriali indonesiane». Ma l’opposizione insorge: «Si rischiano stragi in mare»
La Stampa, 09-01-2014
Paolo Mastrolilli
L’Australia ha iniziato ad usare le navi della Marina militare, per respingere i barconi di immigrati che arrivano dall’Indonesia. La denuncia è partita dalle autorità di Jakarta, e quelle di Canberra non l’hanno smentita.
Gli analisti calcolano che negli ultimi sei anni oltre 50.000 rifugiati hanno tentato questo viaggio, pericoloso come e più di quello che porta dalle coste dell’Africa settentrionale a Lampedusa. Almeno mille di loro hanno perso la vita.
Tony Abbott l’anno scorso ha condotto una campagna elettorale basata anche sulla promessa di «respingere i barconi», diventando premier, e secondo il governo indonesiano ha iniziato ad applicarla. La denuncia è arrivata dal capo della polizia di Rote Island, l’isola più meridionale del paese, che spesso funziona da punto di imbarco per i disperati decisi a cercare una nuova vita in Australia. Il primo barcone, che trasportava immigrati provenienti da Sudan, Eritrea, Iran e Somalia, è stato intercettato dalla Marina di Canberra il 13 dicembre scorso, e respinto indietro il 19. Il secondo, invece, è tornato a Rote Island lunedì scorso.
Il governo di Abbott non ha confermato o smentito, ma si è limitato a dire che i suoi mezzi non hanno violato le acque territoriali dell’Indonesia. L’opposizione è subito insorta, dicendo che questi metodi non solo non risolvono il problema dell’immigrazione alla radice, ma espongono l’Australia al rischio di provocare una strage, perché i barconi respinti sono in genere instabili e non in grado di sopportare queste sollecitazioni. Invece bisognerebbe assistere i rifugiati, che quando si trovano in mare sono già in condizioni al limite della sopravvivenza.
Anche l’Indonesia ha denunciato la nuova pratica, sostenendo che peggiora la situazione, provocando nuovi pericoli e tensioni. Jakarta aveva già deciso di non collaborare più ai tentativi di fermare i barconi, dopo la scoperta che i servizi segreti australiani avevano cercato di spiare il presidente Susilo Bambang Yudhoyono e sua moglie. Questo nuovo contrasto complica ancora di più le relazioni, allontanando una soluzione condivisa del problema dell’immigrazione  



Ministero revoca appalto, dimissioni al centro di Lampedusa
L'amministratore unico ha rimesso il proprio mandato all'assemblea dei soci ieri dopo la notifica del preavviso di recesso unilaterale predisposto dal ministero degli Interni
stranieriinitalia.it, 09-01-2014
Palermo, 9 gennaio 2014 -  L'amministratore unico di "Nuova Lampedusa Accoglienza", Roberto Di Maria, ha deciso di concerto con Legacoop Sicilia di dimettersi "considerato che da parte del ministero degli Interni si e' proceduto alla revoca del contratto di appalto".
Di Maria ha rimesso il proprio mandato all'assemblea dei soci ieri dopo la notifica, da parte della prefettura di Agrigento, del preavviso di recesso unilaterale predisposto dal ministero. "Avevamo sperato fino all'ultimo - si legge in una nota di Legacoop - che da parte del ministero si manifestasse la volonta' di aprire un confronto tale da predisporre di comune accordo un progetto di rilancio dell'attivita' di accoglienza che tenesse conto anche dei limiti e delle criticita' precedenti".
Obiettivo questo, assicura la nota, "che Legacoop continuera' a perseguire in altre forme e su cui il professore Di Maria ha confermato che continuera' a dare il suo contributo di elaborazione e consulenza alle cooperative, a cominciare dal lavoro di redazione di un report sul Cpsa di Lampedusa".
L'assemblea dei soci di Nuova Lampedusa Accoglienza ha nominato come nuovo amministratore unico Giovanni Ammendolia, presidente della coop Azione Sociale con un passato di dirigente della Cisl e di impegno nella cooperazione sociale.
    
    
    
Rosarno, la protesta contro le paghe indecenti per chi raccoglie le arance
Sabato il Coordinamento SOS Rosarno ha indetto una serie di iniziative davanti ai supermercati di Milano, roma, Firenze Bologna e Livorno. Nel "mirino", il "caporalato legalizzato". l prezzo che i produttori agricoli del Sud sono costretti ad accettare dalla grande distribuzione è di un euro per una cassetta da 20 chili di clementine, 50 centesimi per lo stesso quantitativo di arance
la Repubblica, 09-01-2014
MAURIZIO BONGIOANNI
ROMA - Una manifestazione per protestare contro le paghe indecenti a cui sono costretti i braccianti che raccolgono arance. Questo l'obiettivo del Coordinamento Sos Rosarno che per sabato 11 gennaio ha organizzato una serie di iniziative davanti ai grandi supermercati di Milano, Roma, Firenze, Bologna e Livorno. Nel mirino dell'associazione il "capolarato legalizzato": il prezzo che i produttori agricoli del sud Italia sono costretti ad accettare dalla Gdo (grande distribuzione) è infatti di un euro per una cassetta da 20 chili di clementine, 50 centesimi per lo stesso quantitativo di arance.
Contro la Coop. Imporre prezzi così bassi comporta l'abbattimento del costo della manodopera, di cui fanno le spese i lavoratori stagionali (quasi tutti immigrati) che lavorano per pochi euro l'ora e in condizioni di sfruttamento. Nel mirino allora degli organizzatori ci sono le grandi catene: Auchan, Carrefour, Esselunga ma soprattutto la Coop. "La Coop si aggiudica la fetta più grossa del mercato" spiega all'agenzia RedattoreSociale Arturo Lavorato di Sos Rosarno. "Ma, diversamente dalle altre, è quella che punta di più su un'immagine di qualità e responsabilità sociale d'impresa, pur attuando politiche sui prezzi al ribasso come tutti gli altri. Mettere sugli scaffali un po' di prodotti del Fairtrade accanto a quelli provenienti dai beni confiscati alle mafie e dallo sfruttamento selvaggio delle campagne è, a nostro avviso, ancora più grave". Replica immediata della Coop: "Nella zona di Rosarno non acquistiamo clementine e arance né a nostro marchio, né a marchio del produttore. Acquistiamo agrumi in altre zone della Calabria
Rosarno senza tregua. Scopo dell'iniziativa è quello di far uscire allo scoperto la situazione che si vive ancora oggi a Rosarno: "Nei campi c'è una divisione etnica del lavoro", continua Lavorato. "I lavoratori africani sono considerati più produttivi perché di solito arrivano in Italia da soli e per monetizzare al massimo nella raccolta a cottimo lavorano più degli altri, a ritmi disumani. C'è una sorta di gara nello sfruttamento, le condizioni di vita sono indicibili". A Rosarno, dopo i gravi fatti del 2011, c'è ancora una tendopoli della Croce Rossa costata un milione di euro, dove vivono 1500 persone senza luce elettrica, con bagni fatiscenti e in condizioni disumane. E la stessa cosa rischia di ripetersi a Nardò, in Puglia, oppure a Saluzzo e Castelnuovo Scrivia in Piemonte dove altri stagionali vengono reclutati per la raccolta frutta.
Eticità e trasparenza nei supermercati. "Chiediamo che la Coop e le altre sigle della gdo aprano un canale di commercializzazione etica del fresco in cui venga riconosciuto un prezzo adeguato al produttore sul campo" conclude Lavorato. "Questo prezzo equo deve consentire di sostenere i costi di produzione e della regolare assunzione della manodopera". Secondo Sos Rosarno questa operazione di filiera responsabile dovrà essere esposta all'interno del supermercato con una sorta di ticket per la trasparenza, che permetta ai consumatori di vedere il prezzo pagato all'agricoltore e di scegliere con maggiore responsabilità.
 LA RETTIFICA DELLA COOP
Riceviamo dalla Coop e pubblichiamo. "Si premette che Coop dalla zona di Rosarno non acquista clementine ed arance né a proprio marchio, né a marchio del produttore. Risultano quindi prive di fondamento le accuse riportate in un comunicato apparso su internet a cura dell'organizzazione SOS Rosarno.
Al contrario poco lontano, a Polistena (Rc) per la precisione, è stato inaugurato a luglio di quest'anno un poliambulatorio di Emergency costruito grazie agli sforzi congiunti di Libera, Emergency, cooperativa Valle del Marro, Parrocchia Santa Maria Vergine e la Fondazione il Cuore si scioglie, una onlus creata da Unicoop Firenze (una delle cooperative del nostro sistema)  per sostenere progetti di solidarietà. Il poliambulatorio si rivolge proprio ai più deboli, a coloro che sono sfruttati e tenuti ai margini della società. E l'impegno in questa direzione continua, per realizzare a Polistena centri di aggregazione e numerose altre iniziative negli immobili confiscati alla 'ndrangheta. Ciò significa che Coop è attivamente vicina (e da sempre) a coloro che si oppongono a pratiche di sfruttamento e opera sul territorio con politiche commerciali coerenti con questi principi.
Coop acquista agrumi da altre zone della Calabria, con grande attenzione verso gli aspetti etici e  qualitativi delle produzioni come nel caso della clamentine acquistate dalla cooperativa libera valle del marro nella piana di Gioa Tauro e a prezzi ben più alti di quanto segnalato nel suddetto comunicato.
Il tema dello sfruttamento di migliaia di lavoratori stranieri, in gran parte clandestini, che vengono impegnati nelle campagne del sud per effettuare la raccolta stagionale di frutta e verdura,  è da anni alla nostra attenzione. Il punto di partenza dell'azione di Coop per combattere sfruttamento e lavoro nero è stata la decisione nel 1998 di certificarsi secondo lo schema SA8000, impegnandosi affinché le produzioni a marchio Coop fossero realizzate nel rispetto dei diritti umani, il rispetto dei diritti dei lavoratori comprensivi dell'equo salario,  il rispetto della sicurezza e della salubrità sul posto di lavoro. Questo implica che questi standard sono previsti nei capitolati di acquisto e negli anni Coop ha fatto effettuare oltre 1.100 ispezioni sulle proprie filiere per verificarne il rispetto. Anche sui prodotti non a proprio marchio, Coop pretende garanzie etiche ai propri fornitori.
A fronte di questi impegni nel 2010 Coop è stata giudicata la migliore catena distributiva in Europa per responsabilità sociale da parte di Consumers International, un'organizzazione che raggruppa oltre 220 associazioni di consumatori di 155 nazioni; nel 2013 anche Altroconsumo ha giudicato Coop di gran lunga la migliore catena distributiva in Italia per gli impegni etici. Siamo pertanto stupiti dall'iniziativa che, per evidenziare un così grave problema, punta il dito in modo strumentale, su chi questo problema lo sta combattendo concretamente, da anni, in prima linea. Siamo a disposizione per mostrare tutte le evidenze di quanto sopra affermato".



PERCHE' LO STATO PAGA LE SIGARETTE AI MIGRANTI
la Repubblica, 09-01-2014
Corrado Augias

Egregio dottor Augias, so benissimo che quanto sto per dire, a lei e ai lettori di Repubblica, è materia sensible e controversa. Vorrei fare qualche cònsiderazione in merito ai migranti di Lampedusa. Il budget per ogni ospite del centro di accoglienza è di 33,42 euro al giorno. Moltiplicati per 30 giorni fanno 1002 euro al mese. Mia suocera pur avendo pagato i contributi per 20 anni prende 500 euro al mese di pensione... e non può certo permettersi le sigarette. Dall'inizio dell'anno la cooperativa "Lampedusa accoglienza", che gestisce i due centri per i migranti sull'isola, ha speso 450 mila euro per le sigarette. Il capitolato di appalto col ministero dell'Interno prevede infatti che venga fornito a ogni migrante maggiorenne un pacchetto di sigarette al giorno. La domanda che faccio, con discrezione ma con altrettanta forza è se questo le sembra giusto. Se non crede che l'accoglienza verso esseri umani infelici sia giusta ma che non lo sia lo sperpero del denaro pubblico. Peril fumo, poi.
 Giordano Barberini — Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
E materia cosi sensibile e controversa che la notizia, resa pubblica giorni fa dall'Ansa, è stata enfatizzata soprattutto dai giornali di destra. Queste le prime righe del dispaccio: «Dall'inizio dell'anno la cooperativa' 'Lampedusa accoglienza", che gestisce i due centri per i migranti sull'isola, ha speso 450 mila euro per le sigarette. Il capitolato di appalto col ministero dell'Interno prevede infatti che venga fornito a ogni migrante maggiorenne un pacchetto di igarette al giorno» Lascerei da parte la suocera del signor Barberini e i suoi buoni motivi di risentimento. Sono ben altri i problemi di quella gente che non le sigarette, le quali possono anche essere usate (è stato detto anche questo) come una specie di tranquillante per aiutarli cioè ad affrontare situazioni drammatiche; se volessimo affrontare la questione in termini brutali: a tenerli buoni. La verità è che tutti i paesi europei, non solo l'Italia, sono impreparati ad affrontare problemi nuovi di queste dimensioni; passano da un eccesso all'eccesso opposto. È di pochi giorni fa la storia tremenda della disinfezione fatta con la pompa, eccesso intollerabile. Ora la storia delle sigarette, un pacchetto al giorno; eccesso anche questo. Con la fine del 2013 anche il Regno Unito ha dovuto aprirsi a romeni e bulgari. Titoli eccessivi sui giornali inglesi della sera: ci invaderanno. Per fortuna ci sono anche altre storie. Da Bari Giuliano Foschini ci ha raccontato (Repubblica, 6.1.14) la vicenda di due ragazzi, un somalo e un eritreo, Campioni di corsa, scoperti in un campo. L'aspetto incredibile è che la stessa storia (chiusa in modo molto diverso) la racconta Giuseppe Catozzella nel romanzo-verità Non dirmi che hai paura appena uscito da Feltrinelli.



Capodanno a Ponte Galeria
Corriere delle migrazioni, 06-01-2014
Alessandra Ballerini
Natale con con i tuoi e Capodanno con chi vuoi. Io ho voluto passarlo a Ponte Galeria, assieme all’onorevole Fabio Lavagno (Sel), perché per entrare nei Cie abbiamo sempre bisogno di un parlamentare che ci faccia autorizzare dalla Prefettura come “collaboratori” e perché stare con un amico fa sempre piacere, specie se è preparato e attento. Insieme a noi Luigi Manconi (Presidente Commissione Diritti Umani del Senato), le instancabili professioniste dell’associazione A Buon Diritto, un po’ di giornalisti di carta e tv. Lo sapevano al Cie che sarebbero arrivate le telecamere e così le tavole della mensa sono state imbandite a festa con pure la torta da fotografare, “intera, mi raccomando!”. Ma né i dolcetti né la partitella a calcio riescono a far dimenticare le sbarre che ovunque ti ritrovi di fronte e neppure possono nascondere il lordume dei cessi alla turca e la desolata sporcizia delle “stanze”. E nessun trucco né gioco di prestigio può cancellare le storie di queste persone, la rassegnata sofferenza dei loro volti.
Sono 87 oggi i migranti reclusi: 26 donne e 61 uomini, tra loro 17 profughi del mare arrivati qualche settimana fa sulle nostre coste, in fuga dai Paesi di origine. Sono molti i/le richiedenti asilo: vengono dalla Somalia, Nigeria, Costa d’Avorio, Tunisia e Libia. Di uno di loro, nato e cresciuto in Libia ma nigeriano di origine e cittadinanza, oggi è il compleanno. Vent’anni di fughe da festeggiare dietro le sbarre. Un altro viveva a Firenze con la sorella italiana e teoricamente sarebbe inespellibile, ma intanto sta qui ad aspettare che un giudice se ne accorga. Nella sezione femminile non va meglio. Ci sono donne vittime di tratta in attesa del permesso per protezione sociale ed altre che non lo prenderanno mai perché terrorizzate dalle vendette che una loro denuncia o anche solo istanza potrebbero comportare. Ci sono altre donne, cinesi, destinate, se non in possesso di passaporto, a trascorrere un anno e mezzo tra queste sbarre perché, come noto, le autorità diplomatiche cinesi non rilasciano documenti di viaggio ai loro connazionali irregolari. Una di loro è qui nel Cie da cinque giorni, da quando, dopo aver assistito a un delitto, è andata in questura a rendere testimonianza. Un comportamento da cittadina modello prontamente premiato con l’espulsione e il trattenimento, perché il suo permesso di soggiorno era scaduto da oltre 60 giorni. Un marito e dei figli, regolarissimi, l’attendono fuori. Speriamo ci sia un giudice giusto anche per lei. Quello che ha trovato finora ha convalidato il trattenimento. Seduta con lei c’è una bellissima donna della Costa d’Avorio che chiede con garbo, ma risoluta, di ascoltare la sua storia, perché “esemplare”, dice proprio così, dell’inefficacia delle nostre leggi. Lei ha un permesso di soggiorno olandese tuttora in corso di validità, quando è venuta nel nostro paese ha “sbagliato ma pagato col carcere”, finita la pena detentiva si credeva ormai libera e aveva già acquistato i biglietti per tornare in Olanda e invece l’hanno rinchiusa qui. Il giudice dapprima non credeva alla validità dei suoi documenti olandesi, ora pare essersi convinto, ma intanto tutti le dicono di aspettare. Cosa, non si sa. L’attesa è l’unica vera attività nel Cie. Si attende e si pensa. E i pensieri non fanno dormire e ti fanno ammalare. E se chiedi una medicina per il mal di testa o per il mal di pancia o per l’insonnia ti viene data sempre la stessa pillola. Un migrante mi chiede come sia possibile che una sola medicina possa curare tutto. Ed infatti non cura niente. Di certo non l’ansia e l’inquieta sofferenza data dal non conoscere la propria sorte né la durata o tantomeno il senso della propria detenzione. I migranti che vengono dal carcere ti assicurano che il Cie è peggio. Qui si paga non perché si ha sbagliato qualcosa ma perché si viene considerati sbagliati. È l’abnormità dei Cie: servono a punire persone senza reato né colpa, colpevoli di essere e non di fare. E questa abnormità, questa ingiustizia è parte della pena, la parte più feroce e sadica.
Mentre usciamo incontriamo un signore appena rinchiuso. Stava tornando dalla sua famiglia in Senegal con le valigie piene di regali per i figli, ma gli hanno spostato il volo di un giorno e lui si è dovuto fermare a dormire la notte in albergo dove viene regolarmente registrato col passaporto. All’alba, delle divise bussano alla porta della sua camera e lo trascinano nel Cie. Intanto l’aereo per Dakar, del quale aveva acquistato il biglietto, parte senza di lui. Domani dovrebbe avere l’udienza di convalida del trattenimento e rischia di passare rinchiuso 18 mesi per poi essere espulso nel Paese dove stava andando spontaneamente. E tutto a spese nostre. Ci indica le valigie e ci spiega la sua storia, il suo dramma, in perfetto italiano. La sua unica fortuna è che ha potuto parlare con parlamentari attenti e quindi forse verrà “spedito” in Senegal tra qualche giorno e non tra 18 mesi. Quando ci saluta pronuncia una benedizione, che, soprattutto dentro un Cie, non fa mai male. Ricambiamo pronunciando dentro di noi l’urgente augurio “Mai più Cie”, che non è solo lo slogan della Campagna LasciateCientrare, ma un impegno incessante.




Australia, la marina militare respinge i barconi di immigrati
Linea dura del governo Abbott: «Non abbiamo violato le acque territoriali indonesiane». Ma l’opposizione insorge: «Si rischiano stragi in mare»
La Stampa, 09-01-2014
Paolo Mastrolilli
L’Australia ha iniziato ad usare le navi della Marina militare, per respingere i barconi di immigrati che arrivano dall’Indonesia. La denuncia è partita dalle autorità di Jakarta, e quelle di Canberra non l’hanno smentita.
Gli analisti calcolano che negli ultimi sei anni oltre 50.000 rifugiati hanno tentato questo viaggio, pericoloso come e più di quello che porta dalle coste dell’Africa settentrionale a Lampedusa. Almeno mille di loro hanno perso la vita.
Tony Abbott l’anno scorso ha condotto una campagna elettorale basata anche sulla promessa di «respingere i barconi», diventando premier, e secondo il governo indonesiano ha iniziato ad applicarla. La denuncia è arrivata dal capo della polizia di Rote Island, l’isola più meridionale del paese, che spesso funziona da punto di imbarco per i disperati decisi a cercare una nuova vita in Australia. Il primo barcone, che trasportava immigrati provenienti da Sudan, Eritrea, Iran e Somalia, è stato intercettato dalla Marina di Canberra il 13 dicembre scorso, e respinto indietro il 19. Il secondo, invece, è tornato a Rote Island lunedì scorso.
Il governo di Abbott non ha confermato o smentito, ma si è limitato a dire che i suoi mezzi non hanno violato le acque territoriali dell’Indonesia. L’opposizione è subito insorta, dicendo che questi metodi non solo non risolvono il problema dell’immigrazione alla radice, ma espongono l’Australia al rischio di provocare una strage, perché i barconi respinti sono in genere instabili e non in grado di sopportare queste sollecitazioni. Invece bisognerebbe assistere i rifugiati, che quando si trovano in mare sono già in condizioni al limite della sopravvivenza.
Anche l’Indonesia ha denunciato la nuova pratica, sostenendo che peggiora la situazione, provocando nuovi pericoli e tensioni. Jakarta aveva già deciso di non collaborare più ai tentativi di fermare i barconi, dopo la scoperta che i servizi segreti australiani avevano cercato di spiare il presidente Susilo Bambang Yudhoyono e sua moglie. Questo nuovo contrasto complica ancora di più le relazioni, allontanando una soluzione condivisa del problema dell’immigrazione 

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