Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 marzo 2014

Sbarchi e polemiche Emergenza che non passa
Alfano: ridurre i tempi di permanenza nei Cie
Avvenire, 26-03-2014  
Domenico Marino
REGGIO CALABRIA- Sbarchi, polemiche e tragedie sfiorate. Consueto bollettino, ieri, dal fronte immigrazione con 85 migranti (siriani ed egiziani) giunti nel porto di Roccella Jonica, nella Locride, a bordo di una motovedetta della Capitaneria di porto dove erano stati trasbordati da un barcone in balia del mare forza 5. Sono 43 uomini adulti, 40 minori e due donne, una delle quali minorenne. Erano tutti in condizioni discrete e per nessuno è stato necessário il ricovero. Pare abbiano viaggiato per una settimana, ma non è noto il porto di partenza. Andrea De Bonis, esponente dell'Unhcr, ha chiarito che nei primi tre mesi del- l'anno sono oltre l0mila gli immigrati già sbarcati in Italia. Un dato di dieci volte maggiore rispetto all'analogo periodo del 2013. Ieri è stata una giornata intensa anche dal punto di vista politico per il dramma immigrazione. «È necessario un intervento legislativo per ridurre i tempi di permanenza nei Cie accelerando le procedure di identificazione e di espulsione», ha dichiarato il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, annunciando che il governo intende «rafforzare il sistema dei richiedenti asilo» affinché «le risposte arrivino prima». Sul titolare del Viminale sono piovuti gli strali del segretario della Lega Nord, Matteo Salvini: «L'incredibile accoppiata Renzi-Alfano sta riuscendo in ciò che neanche la Kyenge era riuscita a fare: riempirci di clandestini», ha affermato in conferenza stampa a Palazzo Madama con Massimo Bitonci e Nicola Molteni, bocciando il leader dell'Ndc per «la fallimentare politica sull'immigrazione e per le chiusure dei commissariati di polizia non ancora smentite». Bitonci ha poi citato i dati del programma Mare Nostrum che dovrebbe limitare gli sbarchi in Italia: «E un programma aberrante che costa mi-     
lioni di euro al mese». D'accordo con Alfano si sono invece detti il Senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani e il vice ministro agli interni Fillippo Bubbico. Eduardo Patriarchi (Pd) e Antonio Caridi (Ncd) hanno stigmatizzato le parole del leader del Carroccio, mentre i deputati democrati Khalid Chaouki e Giuditta Pini hanno formalizzato un'interrogazione al ministro Pinotti chiedendole «di riferire con la massima tempestività in Parlamento su quanto accaduto il 9 novembre scorso nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum nel Canale di Sicilia. Si apprende infatti da varie fonti che dalla fregata della Marina Militare Aliseo - hanno aggiunto i due parlamentari - è stato aperto il fuoco contro un'imbarcazione della quale la stessa era all'inseguimento.
Della vita degli immigrati stabili in Italia, e in particolare in Calabria, si è occupata l'organizzazione umanitaria Medici per i diritti umani (Medu), definendo «disastrose» le condizioni abitative, igienico sanitarie e lavorative di «circa 2mila migranti» che ogni anno arrivano nella Piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Ieri, durante una conferenza stampa alla Camera, Medu ha chiesto «al Governo e alla Regione Calabria, un piano di accoglienza». Per contribuire al contrasto dello sfruttamento dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia, il responsabile Ambiente, Territorio e Consumi di Coldiretti, Stefano Masini, suggerisce di «mettere più succo d'arancia nelle aranciate». Secondo Masini, ieri al flanco di Medu a Montecitorio, per migliorare le loro condizioni di lavoro durante la raccolta degli agrumi, basterebbe aumentare per legge la percentuale di succo d'arancia minima presente nelle bibite, superando l'attuale 12% ,e consentendo cosi un più ampio margine di redistribuzione.



la caccia in alto mare agli scafisti in fuga
Le immagini | In un video presentato ieri alla Camera si vedono due fucilieri di Marina della nave Aliseo aprire il juoco contro un barcone. L'episodio risale al 9 novembre 2013. Contraddizioni nella versione dello Stato maggiore
pagina99, 26-03-2014

ALESSANDRO LEOGRANDE
Canale di Sicilia, un punto imprecisato tra Italia e Africa, in acque internazionali. Dal ponte della nave Aliseo, impegnata nell'operazione Mare nostrum, parte una raffica di colpi verso un piccolo peschereccio.
E il pomeriggio del 9 novembre 2013, il mare è calmíssimo, il cielo aperto. Il peschereccio sembra fuggire verso sinistra, per evitare i colpi. A sparare dalla nave militare italiana sono due fucilieri del Battaglione San Marco. Partono diverse raffiche, tra i commenti dei militari che dal ponte riprendono la scena con i loro telefonini. I fucilieri non sparano in aria, né puntano verso l'acqua, poco davanti la prua o poco dietro la poppa del peschereccio in movimento. Con il loro Mg, mirano direttamente alla poppa e alla parte posteriore della fiancata destra, più o meno all'altezza della linea di galleggiamento. I colpi sparati, a una quarantina di metri di distanza, attraversano probabilmente la stiva della piccola imbarcazione da una parte all'altra.
Il video è stato diffuso ieri alla Camera dei deputati nel corso di una conferenza stampa organizzata da Luca Marco Comellini del Partito per i diritti dei militari e Maurizio Turco dei Radicali. Nella seconda parte dei video diffuso, il peschereccio appare trainato dalla nave Aliseo, poche ore dopo le raffiche di colpi: è affondato per metà, imbarca acqua.
Le immagini sono inequivocabili, e suscitano molti interrogativi. Innanzitutto smentiscono nettamente quanto affermato dallo stes- so comandante dell'Aliseo, Massimiliano Siragusa, il 10 novembre del 2013, al termine delle operazioni. Siragusa quella sera disse a una tv siciliana che si erano mossi all'inseguimento di un barcone di scafisti che, in precedenza, aveva trascinato una carretta carica di migranti verso l'Italia, per poi lasciarla in acque internazionali. Mentre la carretta veniva soccorsa dalla nave Strom- boli, l'Aliseo si avvicinava al barcone dei presunti scafisti. Nell'intervista concludeva brevemente che i 16 a bordo erano stati arrestati (per loro è stata poi aperta una inchiesta per traffico di esseri umani presso la procura di Catania), mentre il barcone era affondato «a causa delle avverse condizioni meteorologiche»
«Ma come dimostra il video», insiste Comellini, «il mare era calmo. E altamente probabile invece che il barcone sia affondato per i colpi ricevute"
Lo Stato Maggiore della Marina militare, con un comunicato presentato, ha ammesso l'uso delle armi quel pomeriggio di novembre, «come ultima ratio» e «in maniera progressiva per costringere ad interrompere la fuga e portare a termine l'arresto degli scafisti. Soltanto dopo circa due ore d'inseguimento la nave madre interrompeva la fuga e consentiva l'ispezione da parte di un team di fucilieri di Marina"
Ciononostante, la stessa ricostruzione dello Stato maggiore non fuga il dubbio principale: è lecito sparare contro gente disarmata, si tratti pure di presunti scafisti? Alla precisa domanda su quali siano le regole di ingaggio valide per l'operazione Mare nostrum, sinora la Marina militare non ha risposto
Eppure è indubbio che i due marò a bordo dell'Aliseo non stiano sparando di testa propria, ma stiano rispondendo a precisi ordini. Cosi come, chiunque conosca il funzionamento di una missione in alto mare, sa bene che misure che implichino l'ultima ratio" dell'uso delle armi devono essere avallate dai comandi generali di terra, a Napoli o a Roma.
La domanda su quali siano le misure consentite nell'operazione Mare nostrum (volta ad assistere i migranti in mare, ma anche a reprimere il traffico degli scafisti) rimane quindi aperta. Tuttavia, come sottolinea Comellini, «non esiste alcuna regola di ingaggio che permetta di sparare su chi non ha avanzato nessuna offesa di pari livello, e i presunti scafisti erano disarmati.» Non solo: fino a quando non si sale a bordo di una nave priva di bandiera, è impossibile sapere chi ci sia, quanti siano e cosa stiano facendo. «Per questo», ribadisce Maurizio Turco, «sparare ad altezza stiva è inconcepibile».
Vedendo il video diffuso nella conferenza, e la naturalezza con cui i militari a bordo si riprendono, sorge anche un'altra domanda: quante altre missioni del genere si sono trasformate in "battute di caccia" in alto mare? Il timore è che sparare per fermare i natanti dei presunti trafficanti sia diventata pratica diffusa.
«Per questo», aggiunge Comellini, «in un paese civile i massimi vertici delle forze armate avrebbero già tratto le conseguenza. Il capo di Stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli e il capo di Stato maggiore della Marina Giuseppe De Giorgi dovrebbero dimettersi.»
Intanto la Procura militare di Napoli ha aperto un fascicolo di inchiesta.



Violenza sui migranti. Ong chiedono all'Onu di inviare osservatori a Ceuta e Melilla
Dieci Organizzazioni non governative: "Risolvere le gravi violazioni dei diritti umani dei migranti"
stranieriinitalia.it, 26-03-2014
Roma, 26 marzo 2014 - Dieci Organizzazioni non governative hanno richiesto al Marocco di intercedere per l'invio di osservatori internazionali su entrambi i lati della frontiera delle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla, per risolvere ''le gravi violazioni dei diritti umani'' dei migranti. In quanto uniche terre di confine fra l'Africa e l'Europa, Ceuta e Melilla sono prese d'assalto ogni giorni da centinaia di subsahariani che cercano di raggiungere il vecchio continente.
''Chiediamo al Consiglio nazionale dei diritti umani in Marocco e all'Onu di inviare degli osservatori internazionali a Ceuta e Melilla al fine di cercare di risolvere le violenze e le gravi violazioni dei diritti dei migranti'', si legge in un comunicato delle Ong.
Tra le pratiche denunciate figura ''lo spostamento forzato'' dei migranti dal Marocco alla citta' di Rabat. Secondo le autorita' locali, al momento circa 30 mila immigrati clandestini si trovano al confine. La Caritas e' stata quindi costretta a ''chiudere definitivamente i battenti'' a causa del ''sovraffollamento senza precedenti'' del suo centro in quella che e' considerata come una grave crisi umanitaria.



Immigrati, quelli che lavorano pagano le pensioni ai cittadini italiani
I numeri dicono che oggi solo lo 0,2% di chi riceve una pensione previdenziale è extracomunitario. Lo si legge sul VII Rapporto European Migration Network: "Immigrazione e sicurezza sociale, il caso italiano", a cura del Centro Studi e Ricerche Idos. Continuano insomma ad essere decisamente bassi i valori percentuali dei non comunitari sul totale dei beneficiari di trattamenti pensionistici
la Repubbblica.it, 26-03-2014
VLADIMIRO POLCHI
ROMA  - "I lavoratori immigrati ci pagano la pensione". Pare una frase fatta. Oltretutto già sentita. Ma ha dalla sua la forza dei numeri. Oggi solo lo 0,2% di chi riceve una pensione previdenziale è extracomunitario. Lo si legge sul VII Rapporto European Migration Network: "Immigrazione e sicurezza sociale, il caso italiano", a cura del Centro Studi e Ricerche Idos.
 Immigrati e pensioni. "Continuano ad essere decisamente bassi, seppure in forte crescita nel corso dell'ultimo triennio, i valori percentuali dei non comunitari sul totale dei beneficiari di trattamenti pensionistici: per le pensioni previdenziali (invalidità, vecchiaia e superstiti) l'incidenza nel 2012 è appena dello 0,2% e i beneficiari sono per il 90% persone che risiedono ancora in Italia e per il 62,4% donne; per le pensioni assistenziali l'incidenza dei non comunitari sul totale si ferma all'1% (nel 54,7% dei casi le beneficiarie sono donne)".
I disoccupati. "Gli stranieri, essendo stati nel complesso più duramente toccati dalla crisi, hanno un'incidenza più alta come fruitori delle indennità di disoccupazione e della cassa integrazione ordinaria. Inoltre, trattandosi di una presenza familiare (oltre 2 milioni di famiglie con un componente straniero), soggetta a maggiori difficoltà, è consistente anche la loro incidenza sulle prestazioni erogate a sostegno del nucleo familiare: secondo l'Istat, il 55,4% delle coppie straniere con figli ha un unico reddito e le coppie con figli in cui vi è almeno un disoccupato sono cresciute dal 13,% del 2008 al 21,3% del 2012".
La sanità. "Quanto alle spese sanitarie, risulta che la loro incidenza per la popolazione straniera, inclusa anche la componente irregolare, si mantiene a livelli più bassi rispetto all'incidenza che i cittadini stranieri hanno sulla popolazione residente, anche perché si tratta di persone giovani e fondamentalmente sane, nonostante le precarie condizioni di insediamento. Anche la bassa incidenza degli immigrati sui titolari di pensione trova una giustificazione nella ridotta componente di stranieri che abbiano superato i 65 anni (nel 2012 erano in media lo 0,6%). Tuttavia le collaboratrici familiari immigrate, quelle con un'età media più elevata e quindi più prossima alla pensione, sono destinate ad aumentare".
Il futuro. In base alle stime, "i cittadini stranieri presenti in Italia, che nel 2010 hanno inciso per l'1,5% sugli ingressi in età pensionabile, porteranno la loro incidenza al 2,6% nel 2015, al 4,3% nel 2020 e al 6,% nel 2025, anno in cui si stima che gli ingressi in età pensionabile saranno 43mila tra gli stranieri e ben 747mila tra gli italiani, per cui i pensionandi immigrati passeranno da 1 ogni 46 (all'inizio del periodo) a 1 ogni 19. È evidente che il differenziale pensionistico tra le due popolazioni andrà riducendosi, ma permarranno tuttavia significativi margini che andranno a beneficio della gestione pensionistica, tenuto conto che la popolazione straniera in quell'anno, secondo le previsioni, inciderà per il 12,3% sul totale dei residenti".



Lo studio: nel 2025 sarà straniero il 6% dei pensionati
Indagini previsionali promosse dal Centro Studi e Ricerche Idos e pubblicate nel rapporto ''Immigrati e sicurezza sociale: il caso italiano''
stranieriinitalia.it, 26-03-2014
Roma, 26 marzo 2014 - A fronte dell'1,5% del 2010 l'incidenza dei cittadini stranieri sugli ingressi in eta' pensionabile in Italia salira' al 2,6% nel 2015, al 4,3% nel 2020 e al 6,0% nel 2025, anno in cui si stima che gli ingressi in eta' pensionabile saranno 43mila tra gli stranieri e ben 747 mila tra gli italiani, per cui i pensionandi immigrati passeranno da 1 ogni 46 (2010) a 1 ogni 19.
Lo rilevano le indagini previsionali promosse dal Centro Studi e Ricerche Idos e pubblicate nel rapporto ''Immigrati e sicurezza sociale: il caso italiano'' che la Rete europea migrazioni (Emn) presenta oggi a Roma.
''E' evidente - si legge nel documento - che il differenziale pensionistico tra le due popolazioni andra' riducendosi, ma permarranno tuttavia significativi margini che andranno a beneficio della gestione pensionistica, tenuto conto che la popolazione straniera nel 2025, secondo le previsioni, incidera' per il 12,3% sul totale dei residenti (il doppio rispetto all'incidenza sugli immigrati pensionandi)''.
Gli esperti evidenziano, inoltre, un aspetto del quale poco si parla cioe' la futura condizione degli immigrati pensionati che potranno contare sulla loro pensione, non solo bassa come lo sara' per la maggior parte degli italiani, ma ancora di piu' perche' i contributi pagati dagli immigrati sono calcolati su una retribuzione inferiore mediamente del 25% rispetto a quella degli italiani. Gli immigrati pensionati saranno destinati, salvo adeguate misure di contrasto, ad aumentare le schiere dei poveri e questo costituira' un problema molto serio che e' bene affrontare per tempo.



“Più succo nelle aranciate: così si riduce lo sfruttamento dei braccianti”
La ricetta di Coldiretti contro il “paraschiavismo” degli immigrati stagionali, che solo nella piana di Gioia Tauro raccolgono il 20 per cento degli agrumi del meridione: elevare per legge la percentuale di succo di arancia nelle bibite per dare più margine ai produttori
Redattore sociale, 26-03-2014
ROMA – Basterebbe aumentare di pochi punti la percentuale di succo d’arancia presente nelle aranciate, passando per legge dal 12 al 18% al litro, per migliorare le condizioni di lavoro dei braccianti stagionali stranieri nella Piana di Gioia Tauro e nel resto d’Italia. Ne è convinto Stefano Masini, responsabile Ambiente, Territorio e Consumi di Coldiretti che è intervenuto alla Camera dei Deputati nel corso di una conferenza stampa su sfruttamento e agromafie, dal titolo “Le Rosarno d’Italia”.
A un capo del tavolo c’era Lamine Bodian di Sos Rosarno, prima bracciante negli agrumeti e ora mediatore culturale, all’altro il rappresentante Coldiretti. In mezzo, i deputati Pd Khalid Chaouki (intergruppo immigrazione) e Marco Miccoli (Commissione Lavoro), e Alberto Barbieri di Medici per i diritti umani che ha presentato un rapporto dopo aver monitorato le condizioni disumane in cui ancora vivono e lavorano i braccianti africani a Rosarno.
Nella Piana di Gioia Tauro viene prodotto il 20% degli agrumi di tutta l’Italia. Si tratta di frutti usati per la trasformazione industriale. Le immagini mostrate da Medici per i diritti umani (Medu) con un video e delle foto testimoniano una condizione di paraschiavismo in cui ancora sono costretti a lavorare nei campi i braccianti africani che raccolgono quelle arance. Immagini che hanno colpito anche Masini, il quale ha esordito dicendo che “le testimonianze pesano sulle nostre responsabilità”, ma ha continuato affermando che “per uscire dallo sfruttamento occorre fare vera agricoltura”.
Anche Masini ha scattato una fotografia impietosa della situazione a Rosarno, non con le immagini ma con le parole, esprimendo il punto di vista di Coldiretti. “La dimensione delle aziende di quella zona è in media di 0,70 ettari, cioè al di fuori di una dimensione di impresa – ha spiegato – il proprietario, che io non chiamerei agricoltore, vende il frutto in piedi, cioè quando è ancora sulla pianta, a un intermediario che affida la raccolta a soggetti terzi, gestisce il commercio del frutto e la logistica. In questo sistema c’è una rete di criminalità organizzata che crea anche dei monopoli”. Secondo Masini “questa non è agricoltura, è sfruttamento del territorio e un’attività di rendita parassitaria”.
Per destrutturare questo sistema, sempre secondo il rappresentante di Coldiretti, “bisogna agire sulla ridistribuzione del valore”. Masini cita l’esempio di Sos Rosarno, una rete che garantisce l’assunzione regolare a un piccolo numero di africani attraverso la vendita di agrumi con i gruppi di acquisto solidale, che “per riscattare il lavoro tenta di creare una filiera corta”.
E qui arriva la centralità del succo d’arancia, nel quale finiscono le arance raccolte a Rosarno. Alla Camera si sta discutendo in questo momento la legge europea di modifica della disciplina delle bevande a succo di frutta. Per legge, un litro di aranciata deve contenere minimo il 12% di succo d’arancia, che è pari, secondo il prezzo pagato sul mercato ai produttori di arance, a 3 centesimi di arance, mentre la bottiglia di aranciata viene venduta al consumatore finale a un euro e cinquanta centesimi. “Aumentare di un punto percentuale la presenza obbligatoria di succo dentro le bevande all’arancia, sarebbe pari a 250mila quintali in più di arance acquistate dall’industria di trasformazione – spiega Masini – così se portiamo la percentuale dal 12 al 15% avremo 5 centesimi di arance invece di 3 come costo per quella bottiglia di aranciata da un litro”.
Secondo il rappresentante di Coldiretti “la percentuale di succo d’arancia per ogni litro d’aranciata dovrebbe passare al 18% per legge, perché questo aumenta il valore delle arance e può migliorare le condizioni di lavoro”. (Raffaella Cosentino)



Permesso unico per lavoro e immigrati autisti di bus. Pubblicato il decreto
Sul permesso sarà scritto se è valido per lavorare. Si allungano i tempi di legge per rilasci e rinnovi. Domande per i flussi esaminate solo se ci sono ancora quote. Cancellata una norma discriminatoria per le assunzioni degli autoferrotranvieri
stranieriinitalia.it, 24-03-2014
Roma – 24 marzo 2014 – Più chiarezza sui permessi che permettono di lavorare, tempi più lunghi (ma solo sulla carta) per la burocrazia dell’immigrazione, una nuova procedura per l’esame delle domande dei flussi. Ma anche la conferma che un immigrato ha tutto il diritto di fare l’ autista dell’autobus.
Sono alcune delle novità contenute in un decreto legislativo arrivato sabato scorso in Gazzetta Ufficiale, che entrerà i vigore il 6 aprile. Il testo dà attuazione alla “direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di  un  permesso  unico che consente  ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato  membro.
Procedura unica e permesso unico, in realtà, in Italia esistono già: il permesso che viene rilasciato a chi arriva in Italia con i flussi, ad esempio, è già valido sia per lavorare che per soggiornare in Italia. Sostanzialmente, c’è anche parità di trattamento e diritti tra lavoratori italiani e stranieri, anche se rimangono differenze per l’accesso ad alcune prestazioni sociali, ma su questo fronte il decreto non interviene.
Il testo introduce però altri tipi di novità, a cominciare dall’inserimento della dicitura “Perm. Unico lavoro” sui permessi di soggiorno che autorizzano anche un’attività lavorativa . In questo modo un datore di lavoro saprà subito se può assumere un cittadino straniero arrivato in Italia per  un motivo diverso dal lavoro (ad esempio grazie a un ricongiungimento), ma che comunque, secondo la legge, può cercarsi un’occupazione.
Rimangono delle eccezioni. Anche se, a determinate condizioni, permettono di lavorare, non avranno la dicitura “Perm. Unico Lavoro” i permessi di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, per lavoro stagionale, per lavoro autonomo, per motivi umanitari, per rifugiati, per protezione sussidiaria, per studio e per alcune figure professionali che entrano in Italia al di fuori delle quote del decreto flussi.
Il decreto poi innalza da venti a sessanta giorni il tempo massimo entro cui, dal momento della domanda, dovrebbe essere rilasciato, rinnovato o convertito il permesso di soggiorno. E porta da  quaranta a sessanta i giorni entro cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione dovrebbe esaminare una domanda per i flussi e concedere il nulla osta all’ingresso del lavoratore in Italia.
È una norma che non farà sentire il suo effetto. Un allungamento dei tempi farebbe infatti scalpore se la pubblica amministrazione rispettasse quelli attuali: in realtà, come tutti gli immigrati sanno, i tempi per rilasci, rinnovi e conversioni dei permessi di soggiorno, o per le risposte alle domande per i flussi, oggi si misurano in  mesi, a volte anche in anni.
C’è invece una novità che semplificherà il lavoro degli Sportelli Unici per l’Immigrazione. Le domande per le assunzioni dall’estero d’ora in poi verranno infatti “esaminate nei limiti numerici” stabiliti dal decreto flussi, e quelle superano questi limiti potranno essere esaminate solo “nell’ambito delle quote che si rendono successivamente disponibili”.
Cosa cambia? Terminate le quote, gli Sportelli Unici per l’Immigrazione potranno ignorare tutte le altre domande, senza più essere tenuti ad emettere e motivare migliaia di rigetti.
Il decreto elimina esplicitamente anche l’obbligo ad esibire il contratto di soggiorno per rinnovare il permesso  per lavoro. Del resto, un vero e proprio contratto di soggiorno ormai viene stipulato solo al primo ingresso e quindi alla prima assunzione del lavoratore in Italia. Se poi cambia datore di lavoro, la “normale” comunicazione di assunzione contiene già le informazioni che erano previste dal contratto di soggiorno.
Infine, è stato cancellato un articolo di un Regio decreto del 1931 secondo il quale il personale di ferrovie, tramvie, autolinee e linee di navigazione interna doveva essere necessariamente cittadino italiano. Si tratta di una norma d’altri tempi, che già diversi tribunali avevano dichiarato implicitamente abrogata, perché discriminatoria. Molte aziende di trasporti, però, continuavano a ritenerla valida, escludendo gli stranieri dai loro bandi di assunzione.

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