Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 luglio 2012

La burocrazia e lo studente palestinese «sospeso»
l'Unità, 06-07-2012
Italia-razzismo
Il percorso per ottenere la cittadinanza si conferma lungo, tortuoso ed estenuante. Ecco una testimonianza, particolarmente istruttiva, inviata a questo giornale.
«Sono uno studente palestinese di religione cristiana (Chiesa Greco-Ortodossa) costretto a lasciare Gaza per le ragioni che si possono intuire. Sono arrivato in Italia il 30 dicembre 2004 ed ho ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di studio. Dal mio arrivo ho conseguito una laurea in Scienze e Tecnologie Orafe presso l’Università Milano Bicocca e, attualmente, frequento il Master in Ingegneria nel settore orafo presso il Politecnico di Torino, sede di Alessandria. In questi anni ho pagato le tasse universitarie svolgendo un lavoro part-time come guardiano notturno presso la Fondazione “la Vincenziana”. Il 15 ottobre 2008 ho presentato domanda per asilo politico ed il 6 novembre dello stesso anno ho ottenuto lo Status di rifugiato politico.
Nel 2010 ho fatto la richiesta per ottenere la cittadinanza italiana, presso la Prefettura di Milano. A un anno dalla domanda, ho ricevuto comunicazione dalla Prefettura da cui si deduce che per concedere la cittadinanza si tiene conto non degli anni di residenza in Italia (che nel mio caso, nel 2010, sarebbero stati 6) ma della data in cui ho ricevuto lo Status di rifugiato politico, il 2008. Solo da quel momento partiva il conteggio dei 5 anni utili perché un rifugiato possa richiedere di diventare cittadino. In seguito a questo parere ho fatto ricorso al TAR, vincendolo. Ad aprile di quest’anno il mio avvocato ha inviato i documenti alla prefettura di Milano, ma a oggi non ho ricevuto alcuna risposta.
Il motivo principale per il quale chiedo che mi venga concessa la cittadinanza italiana nel più breve tempo possibile è che mi è stato offerto di lavorare presso una importante azienda orafa nel Canton Ticino, Svizzera, e lo Status di rifugiato politico è incompatibile con la normativa dell’Ufficio svizzero di Immigrazione. Se avessi la cittadinanza italiana, invece, potrei lavorare come “frontaliero”, senza neppure togliere la possibilità di impiego ad alcuno in Italia.
La mia famiglia vive in Australia. Anche loro, come me, sono rifugiati. Per andarli a trovare ho chiesto il visto all’Ambasciata australiana ma mi è stato negato perché sono rifugiato in Italia.
Sono molto amareggiato e mi domando come non sia possibile trovare un rimedio che consentirebbe a me di risolvere una questione vitale, alla società svizzera di trovare il collaboratore tecnico che da tempo cercava e allo Stato italiano di applicare le imposte sulle mio reddito in quanto residente in Italia».
La storia dello studente palestinese, ormai rifugiato, non è così singolare. Ogni anno numerose persone, oltre 40mila, presentano la richiesta di cittadinanza e dovrebbero ottenere una risposta entro 730 giorni, come prevede l’attuale legge in materia. Ma bisogna ricordare che i tempi sono rispettati solo in una percentuale irrisoria di casi. Ai più si prospettano anche tre, quattro anni di attesa. Non è forse giunta l’ora di darci un taglio?



Ruperto, sottosegretario all’Interno: “L’Italia non ha alcuna responsabilità sulla tragedia del gommone”che portò alla morte di 63 persone.
Lo ha dichiarato alla senatrice Tineke Strik, delegata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di indagare sulla responsabilità del naufragio avvenuto nel marzo 2011.
Immigrazioneoggi, 06-07-2012
“L’Italia non ha alcuna responsabilità nell’incidente che costò la vita a 63 profughi nel mese di marzo del 2011”. Così ha detto il sottosegretario all’Interno Saverio Ruperto alla sen. Tineke Strik, membro della Commissione migrazione, rifugiati e sfollati dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, giunta in Italia mercoledì scorso per presentare alla Commissione per i diritti umani del Senato il suo rapporto sulla tragedia.
Secondo l’indagine della senatrice, corresponsabili della morte di 63 cittadini libici furono l’Italia, Malta, la Spagna e la Nato.
Alla Commissione per i diritti umani, la Strik ha precisato quali siano state le manchevolezze delle autorità di questi Paesi e in particolare dell’Italia, il cui comportamento va messo in relazione con gli accordi che sussistevano con la Libia, accordi che sembrerebbero avere trovato una recente e parziale conferma anche se solo a livello verbale. Il senso del rapporto, voluto dal Consiglio d’Europa, ha affermato la senatrice, è quello di cercare di evitare episodi così drammatici nel futuro; per prima cosa bisognerebbe che fra i Governi vi sia maggiore condivisione sulla interpretazione del diritto internazionale marittimo e da parte della Nato una maggiore preoccupazione di possibili episodi di fuga via mare da Paesi in guerra.
Secondo la Strik, occorrerebbe uno sforzo maggiore nell’osservanza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e andrebbero adottate per tale scopo tutte le misure possibili, anche a livello Ue, sia sotto il profilo del coordinamento sia sotto quello operativo.
Dopo la Commissione per i diritti umani, la parlamentare olandese ha incontrato il sottosegretario all’Interno Saverio Ruperto e il capo di Gabinetto del ministro Riccardi ai quali ha precisato che l’inchiesta disposta dal Consiglio d’Europa non mira alla ricerca di un colpevole, ma vuole rivedere e aggiornare le norme che regolano il soccorso in mare affinché simili tragedie non accadano più.
“Nel 2011 – ha detto la Strik – hanno perso la vita in quel tratto di mare oltre 1.500 esseri umani. Inseguendo il sogno di libertà, tentavano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere le coste europee. Dato che l’esodo non è finito, dobbiamo impedire che – aventi diritto o clandestini che siano – non vengano abbandonati se in difficoltà”.



Immigrati: Garante Lazio, al Cie di Ponte Galeria e' emergenza caldo
(ASCA) - Roma, 5 lug - Ospiti che passano gran parte della giornata all'aperto a causa delle temperature elevate, derrate alimentari e medicinali a rischio per il gran caldo e assenza di aria condizionata. E' questa la drammatica situazione che si sta vivendo al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, Roma. La denuncia e' del Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni che, sulla vicenda, ha inviato una lettera urgente al Prefetto di Roma chiedendo un intervento risolutore .
Attualmente sono 156 gli ospiti del Cie, 59 donne e 97 uomini. Oltre la meta' dei moduli abitativi del settore maschile e' privo del sistema di aria condizionata, rimasto danneggiato durante le proteste dello scorso anno e mai riparato.
''Con le temperature elevate di questi ultimi giorni - ha detto Marroni - gli stranieri sono costretti a stare all'aperto perche' nelle stanze il caldo e l'umidita' sono intollerabili''.
Stesso problema nelle parti della struttura utilizzate dall'ente gestore, la Cooperativa Auxilium, nei locali dell'infermeria (dove sono custoditi i medicinali) e nello spaccio alimentare. Sia i farmaci che le derrate alimentari sono a rischio di deperimento.
Per far fronte all'ondata di caldo, i detenuti hanno a disposizione solo due litri di acqua al giorno, distribuita solamente durante i pasti ''mentre in tutta Italia, con l'emergenza caldo, gli enti locali si stanno attrezzando per supportare le categorie maggiormente a rischio - ha aggiunto Marroni - al Cie di Ponte Galeria, dove sono trattenuti decine di stranieri in attesa di un rimpatrio coatto, tutto tace. Il risultato e' quello di aver aggravato una situazione, gia' di per se' critica per la privazione delle liberta' personali''.



Cittadinanza per le seconde generazioni: per i sindaci italiani “è una questione di giustizia”.
L’Anci ha presentato ieri la ricerca “Da residenti a cittadini: il diritto di cittadinanza alla prova delle seconde generazioni”. Due italiani su tre favorevoli alla cittadinanza con lo jus soli.
Immigrazioneoggi, 06-07-2012
Sono circa un milione (993.238) i minori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia con un incremento dal 2000 a oggi pari al 332%. Se la quota della popolazione straniera sul totale dei residenti (italiani e stranieri) è attualmente del 7,5%, i minorenni rappresentano il 21,7% della popolazione straniera (4.570.317) e il 9,7% del totale dei minori. Con questi ritmi di crescita saranno due milioni nel 2029 i minori stranieri residenti in Italia, di cui un milione e 770 mila nati nella Penisola ma soltanto il 7 % di essi potrà diventare cittadino italiano se restasse in vigore la normativa attuale sulla cittadinanza.
È quanto emerge dal rapporto Cittalia-Anci, Da residenti a cittadini: il diritto di cittadinanza alla prova delle seconde generazioni, presentato ieri presso la sede dell’Anci nel corso della conferenza sul tema che mette a confronto esperti e decisori politici su un argomento di forte attualità per l’integrazione a livello locale.
Lo studio Cittalia-Anci segnala che nel 2029 raddoppierà il numero di minori stranieri residenti nelle città italiane, passando dall’attuale 9,7 % ad un 20,7 %, vale a dire due minori su dieci saranno di origine straniera. Se venisse modificata l’attuale legge sulla cittadinanza, basandosi sullo ius soli invece che sullo ius sanguinis in vigore attualmente, nel 2029 l’86 % del totale dei minori stranieri residenti diventerebbe cittadino italiano, invece che solo il 7 %. Se venisse approvata la legge di iniziativa popolare proposta dal comitato “L’Italia sono anch’io”, che chiede il riconoscimento della cittadinanza ai figli di genitori residenti in Italia almeno da un anno, si registrerebbe un cambio di prospettiva nettissimo con effetti positivi sulla riduzione dell’esclusione dei giovani stranieri e delle disparità di trattamento, garantendo maggiore accesso a diritti e servizi legati allo status di cittadini.
Nel corso della XVI legislatura sono stati complessivamente presentati 19 progetti di legge alla Camera dei Deputati (14 dei quali sono stati unificati in un unico testo), e 9 al Senato della Repubblica, per modificare la disciplina sulla cittadinanza prevista dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91.
Nel corso del convegno è stato presentata un’indagine Swg sulla percezione dell’immigrazione e dei diritti dei migranti da parte degli italiani. Secondo tale sondaggio emerge che la maggioranza dei cittadini, ossia il 55% del totale, dichiara di essere favorevole all’ottenimento della cittadinanza da parte degli stranieri a patto che paghino le tasse, frequentino per un anno corsi di storia e cultura italiana e possano sostentarsi adeguatamente.
Un’alta percentuale di italiani (44%) presenta inoltre un elevato grado di consapevolezza circa l’effettiva presenza straniera nel paese, con un forte aumento rispetto agli anni precedenti, mentre resta ancora parzialmente errata la conoscenza dei diritti dei migranti: il 23% ritiene infatti che gli stranieri dispongano di diritti ulteriori rispetto a quelli sanciti dalla legge. Inalienabile il diritto alla salute e alle cure urgenti per circa il 70% degli intervistati, ma su alcuni diritti, come l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, il 41% del campione ritiene bisogna salvaguardare in primo luogo gli italiani. Dall’indagine emerge che il forte dibattito pubblico su questi temi ha alimentato una maggiore conoscenza dei contorni della tematica da parte dell’opinione pubblica supportata solo parzialmente da una conoscenza diretta di questa particolare categoria (solo il 16% dichiara di essere in contatto con stranieri per aiuto domestico o in ufficio).



Il card. Vallini va a Tor de' Cenci «Migliorare le condizioni di tutti»
Visita del cardinale vicario nel campo nomadi: via siamo vicini, ma rispettate le regole e tenete pulito. In mattinata sgomberato il campo di Tor di Quinto
Corriere della sera, 06-07-2012
ROMA - Accolto da applausi il cardinale Agostino Vallini, accompagnato dal direttore della Caritas diocesana di Roma Enrico Feroci, ha visitato giovedì pomeriggio il campo nomadi di Tor de’ Cenci dove vivono più di 400 persone, in maggioranza bosnia e che nel piano del Campidoglio doveva chiudere già due anni fa.
LA VISITA - Il cardinale Vallini ha visitato tutto il campo fermandosi più volte a parlare con alcuni dei residenti e a salutare i bambini e le donne. Questa visita, che segue quella effettuata in altri campi come quello di Salone del 25 febbraio 2011, «vuole essere espressione della vicinanza e dell’impegno della Chiesa ai più bisognosi - ha detto Vallini -. Dobbiamo fare in modo di migliorare le condizioni di tutti noi ma io non sono qui per dire cose che non competono a me ma agli organi dello Stato».
«RISPETTATE LE REGOLE» - Poi Vallini rivolgendosi ai residenti del campo non ha mancato di ricordare loro «la necessaria osservanza delle leggi, quale presupposto indispensabile per una più facile accoglienza da parte dei cittadini» e li ha invitati a rispettare le regole ha ammonito: «Non dovete bruciare i copertoni delle gomme perché così facendo allontanate la benevolenza delle persone. Inoltre cercate di tenere più pulito all’interno del campo. Fatelo soprattutto per voi e per i vostri bambini. Aiutatevi gli uni con gli altri per rendere questo posto ancora più bello». Vallini al termine della visita ha benedetto il campo e pregato assieme ai residenti. Fuori dai cancelli del campo rom proseguiva la protesta dei cittadini di Tor de’ Cenci che hanno più volte ribadito di volere lo sgombero del campo e il trasferimento dei nomadi al campo de La Barbuta.
Tor di Quinto, sgomberato il campo nomadi Tor di Quinto, sgomberato il campo nomadi    Tor di Quinto, sgomberato il campo nomadi    Tor di Quinto, sgomberato il campo nomadi    Tor di Quinto, sgomberato il campo nomadi    Tor di Quinto, sgomberato il campo nomadi
Sgomberato il campo nomadi di via Baiardo (Jpeg)Sgomberato il campo nomadi di via Baiardo (Jpeg)
LO SGOMBERO A TOR DI QUINTO - E intanto, da giovedì mattina, dopo 16 anni il campo nomadi «tollerato» di via del Baiardo, nella zona di Tor di Quinto, non c'è più. Le ruspe sono arrivate e hanno iniziato ad abbattere le baracche, circa 70, abitate da 290 romeni e serbi. Questi ultimi (96) verranno trasferiti a La Barbuta, mentre 150 donne e bambini saranno ospitati nel centro comunale di via Visso 12.
PROTESTE - Invitati ad allontanarsi i romeni non censiti in passato. «Illegale», hanno protestato i rom di fronte allo sgombero. Il sindaco Gianni Alemanno, che ha assistito alla demolizione del campo, ha annunciato: «Il piano nomadi va avanti: entro l'estate pensiamo di chiudere tutti i campi 'tollerati'». In via del Baiardo, sull'area di proprietà del ministero dell'Economia, sorgerà un impianto sportivo per i dipendenti di via XX settembre.
CARD. VALLINI A TOR DE' CENCI - E giovedì pomeriggio il cardinal vicario di Roma Agostino Vallini è andato al campo nomadi di Tor de’ Cenci.
IL CAMPO NOMADI - Nel piano del Campidoglio, il campo nomadi di Tor de’ Cenci, dove vivono più di 400 persone, in maggioranza bosniache, doveva chiudere già due anni fa, ma non è escluso che il pressing di alcune associazioni e organizzazioni cattoliche possa far recedere il sindaco Alemanno dal suo intento. Vallini si reca di persona per verificare le condizioni in cui vivono i nomadi di Tor de’ Cenci, che si oppongono al trasferimento. Con lui, confermano dalla comunità, anche rappresentanti di Sant’Egidio.



Rom, sgomberato anche il campo di via Gatto Venti persone accettano una sistemazione
Nell'insediamento abusivo c'erano in tutto 200 famiglie
Corriere della sera, 06-07-2012
MILANO - È stato sgomberato dalle forze dell'ordine il campo nomadi abusivo in via Gatto a Milano, e altri tre insediamenti più piccoli in una vicina area privata, dove si erano stabilite in tutto circa 200 famiglie con baracche e roulotte. A tutte le famiglie presenti è stata proposta una sistemazione alternativa nelle strutture della Protezione civile e l'avvio di un percorso di integrazione seguito dai Servizi sociali. Soluzione accettata da 4 nuclei familiari, per un totale di 20 persone, che sono state trasferite in via Barzaghi.

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