Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 novembre 2010

Nuovo sbarco a Crotone: 137 clandestini a bordo di un veliero
la Repubblica, 22-11-2010
CROTONE — Lo hanno bloccato a 11 miglia dalla costa crotonese con a bordo 137 clandestini: un veliero battente bandiera russa, che navigava a motore, è stato bloccato nello Ionio calabrese dalla guardia di Finanza. Ammassati a bordo iracheni e bengalesi, tutti maschi e in condizioni giudicate buone. Il motoveliero è stato condotto nel porto di Crotone dove gli extracomunitari sono stati rifocillati prima di essere accompagnati nel centro di accoglienza Sant'Anna di Isola Capo Rizzuto. Immediatamente avviate le indagini per individuare gli scafisti. Ancora una volta, si usano imbarcazioni di lusso per raggiungere le coste italiane: dall'estate scorsa sono stati undici gli sbarchi sullo Ionio a bordo di natanti costosissimi.



Zipponi: «Sull'accordo alla gru c'era il placet di palazzo Chigi»

Bresciaoggi.it, 22-11-2010
IL RETROSCENA. A una settimana dalla fine dell'occupazione, uno dei «facilitatori» rivela come s'è risolto il dramma. La svolta: «Decisivo aver riattivato i contatti con i 4, e che grazie a Cgil Cisl e diocesi le istituzioni abbiano rinunciato all'opzione militare»
Brescia. Fra i «facilitatori» che hanno agito senza clamore per risolvere il problema dell'occupazione della gru, e arrivare all'accordo che ha sciolto il dramma, c'è stato anche Maurizio Zipponi, responsabile nazionale del lavoro per l'Italia dei valori. Quasi un ricorso storico visto che fu lui, nell'estate del 2009, a mediare quando sulla gru, all'Innse di Milano, c'erano operai italiani. La sua testimonianza rivela alcune autorevoli «benedizioni» all'accordo, e le modalità in cui ci si è arrivati.
A richiamare sul caso-gru l'attenzione di Zipponi, che si trovava a Roma, è stata curiosamente una telefonata del padre, anziano operaio. «Mi chiama al telefono e mi dice "Sif drè a fa gnènt lé per chèi s-cècc? La màma la sta màl tòte le olte che la varda la televisiù"» (Non state facendo niente per quei ragazzi? Tua mamma sta male tutte le volte che li vede alla televisione, ndr.). Zipponi assume informazioni, segnala a palazzo Chigi la situazione critica e da un referente che non cita (ma dovrebbe essere Gianni Letta) riceve il via libera per muoversi. Nel week end che prelude all'accordo è sotto la gru. E registra il muro contro muro: «Da una parte l'opzione del ministro Maroni, aperta all'azione di forza, dall'altra il presidio che incitava i lavoratori a resistere. C'era insomma uno scontro fra due entità che stavano sotto la gru, mentre quelli che stavano sopra - con i telefonini ormai scarichi - erano tagliati fuori».
Il primo atto è stato ripristinare i contatti fra loro e le istituzioni attraverso un elementare sistema di walkie-talkie. «Ristabilito questo dialogo è ripartita la trattativa diretta con loro. Intanto qualcosa cambiava anche ai piedi della gru. Grazie a Cgil, Cisl e a padre Toffari, nelle istituzioni bresciane, ma con un punto di grande osservazione da parte della presidenza del Consiglio, è prevasa la linea del dialogo. Ci si è resi conto che la città si trovava sull'orlo del baratro: c'era il rischio di sprofondare nella guerra all'immigrato. In precedenza, però, era successa un'altra cosa important, e cioè che 41 associazioni - da Cl alla Cgil - si erano espresse per soluzioni ragionevoli. Brescia - commenta Zipponi - è una città moderata, ha nel lavoro il suo tratto distintivo, e il valore della vita è ancora un punto dirimente».
IN QUESTO scenario la situazione s'è sbloccata: «La decisione di scendere è stata dei quattro - assicura Zipponi - non è stata eterodiretta. Ha prevalso l'accordo nell'ambito dell'attuale legge, s'è individuato un percorso con cui ognuno di loro ha il massimo della protezione legale. Ad oggi nessuno di loro, e neppure degli altri scesi in precedenza dalla gru, si trova nè in galera, nè in un Cie, nè è stato espulso. I legali stanno facendo bene il loro lavoro».
Zipponi esclude che quella dei manifestanti sia stata una sconfitta: «Annozero ha dato alla protesta una visibilità che i lavoratori italiani si sognano. La logica militare, qualla sì è stata sconfitta. Tutte le forze politiche hanno capito che la Bossi-Fini va cambiata».
Nasce da lì la riflessione «di prospettiva» di Zipponi. «Raccolgo l'appello del sindaco Paroli per un nuovo patto sociale. Però bisogna sapere che dalla frittata non si ritorna alle uova. E la frittata è questa sanatoria che ha applicato due pesi e due misure, regolarizzando colf e badanti e non saldatori e muratori». Secondo Zipponi Brescia, con la sua vocazione di provincia industriale, «ha dato agli immigrati l'idea che qui c'è da lavorare, e che con il lavoro si ottiene il permesso».
PER L'EX SINDACALISTA è giusto partire proprio da lì, dal lavoro, per stabilire il confine fra legalità e illegalità. Altro terreno su cui affermare la legalità «è perseguire i cinque bresciani noti che hanno incassato 5.000 euro da ciascuno dei 200 immigrati a cui hanno promesso regolarizzazioni».
L'Idv sta cercando di mettere delle pezze in sede legislativa «prorogando di 12 mesi il tempo per l'immigrato che perde il lavoro e deve rinnovare il permesso di soggiorno», estendendo «il modello di Verona dove il procuratore ha stabilito che debba rimanere a disposizione della gisutizia, dunque in Italia, l'immigrato che denuncia chi l'ha truffato», e infine modificando la Bossi-Fini. Il tema di fondo, del resto, è ormai chiaro: «La Bossi-Fini affronta il tema in termini di emergenza. Ma oggi che i lavoratori stranieri rappresentano il 20-30% della forza occupata in settori-chiave, l'immigrazione va affrontata come fenomeno di sistema. Tenendo il lavoro come elemento-guida».



"Decent work e lotta alla povertà", Cgil in campo per un lavoro dignitoso

Casertanews.it, 22-11-2010
Castel Volturno - Il prossimo 23 novembre, alle ore 10.00, la Cgil di Caserta scende in campo, ancora una volta a Castelvolturno, presso l'Holiday Inn Resort , proponendo la prima Tavola Rotonda Nazionale del progetto "Lavoro dignitoso per tutti, un mondo migliore inizia da qui", mirato a far crescere la consapevolezza della portata dei problemi, a favorire e sostenere azioni in grado di incidere su quelle realtà la cui drammaticità è testimoniata dai dati ufficiali e dalla conoscenza diretta. Si tratta di una scelta significativa per parlare di migrazione, lavoro degno, diritti inalienabili dell'essere umano, e ancor più, dal momento che l'evento vedrà al tavolo dei relatori alcuni ospiti internazionali come Conny Reuter di "Solidar" e Hakkem Bashorun del "Nigeria Labour Congress", oltre a importanti esponenti della Cgil Provinciali, Regionali e Nazionali, di Progetto Sviluppo Internazionale e del mondo politico. In particolare, parteciperanno Renzo Concezione, direttore di Progetto Sviluppo, Michele Gravano, Segretario Regionale Cgil Campania, Camilla Bernabei, Segretario Provinciale Cgil Caserta, Jean Renè Bilong, dell'ufficio Immigrati Cgil Caserta, Severino Nappi, assessore Regione Campania, Italo Tripi, Presidente di Progetto Sviluppo, Caterina Arcidiacono, Laboratorio Mediterraneo, Vera Lamonica, Segretaria Nazionale Cgil. Tante voci, quindi, per un obiettivo comune, ovvero, ridurre squilibri e disuguaglianze nel mondo e offrire a tutti le strumentalità per migliorare le proprie condizioni di vita. Purtroppo tutte le più recenti ricerche internazionali dimostrano che negli ultimi anni - pur a fronte di una crescita complessiva della ricchezza - sono aumentati nel mondo gli sbilanciamenti e le differenze, e che la fame – che colpisce ancora più di un miliardo di persone - è in aumento. Oggi nel mondo un miliardo di persone vive sotto la soglia di povertà con un reddito inferiore ai due dollari al giorno. Questa povertà è associata alle pessime condizioni dei diritti del lavoro oltre che all'assenza di servizi sanitari, sociali e di accesso ai sistemi di istruzione. Ci sono ancora milioni di bambini che subiscono odiose forme di sfruttamento, mentre 12 milioni di persone sono vittime del lavoro forzato.
Ancora molti sono coloro che decidono di emigrare dai loro luoghi d'origine per fuggire situazioni di invivibilità, ai quali non si può negare il "diritto di sperare" di vivere una vita migliore. In questo ambito, proprio il Casertano continua ad apparire, oggi, come una delle aree di riferimento per i movimenti migratori di manodopera immigrata impegnata in agricoltura; ma purtroppo l'altra faccia della medaglia racconta di Caserta come una tra le prime province in Italia per il lavoro sommerso: molti lavoratori, infatti, restano per buona parte "invisibili", ignorati e privati dei diritti più essenziali, per cui la malavita organizzata trova terreno fertile per sfruttare, vessare e, talvolta, costringere a delinquere. Non si può dimenticare, ad esempio, la vicenda di Jerry Essan Masslo, un rifugiato politico sudafricano che, a Villa Literno, vent'anni fa, si ribellò a dei rapinatori che pretendevano la paga dell'intera giornata di lavoro nella raccolta dei pomodori. Jerry osò ribellarsi a quell'atto camorristico, arrogante e razzista, e venne ucciso. Fu il primo martire del lavoro nero. Eppure secondo recenti studi l'Italia è un paese che, nonostante la crisi che ha colpito l'intera economia nazionale, continua a richiedere manodopera straniera, soprattutto per quel che riguarda figure professionali poco qualificate o ruoli di operaio e la Campania è la regione del Mezzogiorno che accoglie la quota più consistente di immigrati, circa la metà di tutti quelli presenti nel Sud Italia. In un siffatto contesto il lavoro di sensibilizzazione e di promozione di incontri, di occasioni di dibattito e di messa a fuoco di idee e proposte sul tema del Lavoro Dignitoso assume una funzione ancora più importante, data la drammaticità delle condizioni di milioni di persone, di lavoratori e lavoratrici e tutti i soggetti sociali e anche le Istituzioni, possono giocare un ruolo importante. Ed è in questo contesto che si inserisce il progetto "Combattere la povertà: lavoro dignitoso e partecipazione sociale" portato avanti dalle ONG dei principali Sindacati italiani e dalle più grosse Associazioni, e che, a Castelvolturno, martedì prossimo, assume una valenza senz'altro più ragguardevole.
Fonte : comunicato stampa



Eldorado, per una settimana riflettori su immigrazione e razzismo

Si inizia con lo spettacolo delle ore 9.45 al Centro Teatro Universitario
estense, 22-11-2010
Prende il via oggi, per terminare  venerdì, il progetto “eldorado”: una settimana di spettacoli, proiezioni e un convegno sul tema dell’immigrazione e del razzismo. Il nome al progetto lo dà lo spettacolo Eldorado nato dalla lettura dell’omonimo romanzo di Laurent Gaudé sul tema dell’immigrazione dall’Africaall’Europa e creato dal laboratorio teatrale diretto da Michalis Traitsis presso il Centro Teatro Universitario di Ferrara.
Presentato più volte tra il 2009 e il 2010, anche all’interno del progetto teatrale “Passi Sospesi” condotto da Michalis Traitsis a Venezia con i detenuti della Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore, il lavoro viene ora riproposto nell’ambito di un più esteso programma di eventi, proiezioni video, riflessioni e testimonianze di studiosi, politici e giornalisti sul tema dell’immigrazione e del razzismo, rivolto agli studenti delle scuole del territorio ferrarese, agli studenti universitari e alla città di Ferrara.
Oggi, alle ore 9.45, presso la Sala Teatro del Centro Teatro Universitario (C.T.U.), in via Savonarola 19,  prima replica di “Eldorado”, riservata alle scuole ferraresi.
Alle 21, sempre al C.T.U. segue la proiezione del documentario “U stisso sangu – storie più a sud di Tunisi”, di Francesco Di Martino. Il film sarà presentato da Laura Lepore (antropologa, Comune di Ferrara). Alla proiezione sarà presente anche il regista che alla fine della proiezione incontrerà il pubblico.
“U stisso sangu” non è un film, ma un racconto. Il racconto di come la parola “viaggio” si possa trasformare nel termine “speranza”, e di come la prospettiva di un mondo possa cambiare, a seconda che lo si guardi da una parte o dall’altra del Mediterraneo. “U stisso sangu” racconta il dramma dei migranti che arrivano in Sicilia, attraverso le loro parole, i loro sguardi, le loro storie.
Dallo sbarco ai centri di accoglienza e identificazione, fino all’incertezza, alla paura e all’umiliazione, l’odissea moderna parte dalla disperazione e dai sogni di uomini e donne, per scontrarsi con la burocrazia e, ancor più grave, con la cultura di un mondo che spesso pare dimenticare che abbiamo tutti “U stisso sangu”.
Un essere vivente, una persona, si trasforma così in un “clandestino”: un possibile problema che ha bisogno di normative e di certificazioni, di accertamenti e perquisizioni che non lasciano solo l’inchiostro sulle dita, ma anche un profondo senso di umiliazione. Non c’è più lo stesso sangue, non esiste più la persona.



Fmi: per rilanciare la crescita economica occorre aprire all’immigrazione “con un approccio meno restrittivo”.

ImmigrazioneOggi, 22-11-2010
Per Strauss-Kahn “l’Europa si appresta a perdere la battaglia demografica”.
Non solo una necessità demografica, ma l’immigrazione rappresenta un fattore di fondamentale importanza anche per rilanciare le economie dopo la crisi economica. A pensarla così è Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale, che intervenendo all’European Banking Congress ha chiesto ai governi europei “un approccio meno restrittivo sull’immigrazione”.
Per Strauss-Kahn, l’Europa sta “combattendo una battaglia demografica che si appresta a perdere” per questo, oltre a politiche di bilancio, per rilanciare la crescita economica è necessario aprire ai flussi migratori con “una approccio meno restrittivo”.



Margherita Hack la signora delle stelle

Il Gazzzettino, 22-11-2010
Anna Renda
È la scienziata più famosa d'Italia, fiorentina doc ma triestina d'adozione, il suo nome è legato a doppio filo all'astrofisica mondiale avendo lavorato con gli astronomi più importanti dell'ultimo secolo, in numerosi osservatori europei e americani, per organizzazioni internazionali quali l'UAI, l'ESA e la NASA. Già docente di Astronomia e prima donna in Italia direttrice dell'Osservatorio Astronomico di Trieste, Margherita Hack (88 anni) è conosciuta al grande pubblico per le sue numerose apparizioni televisive, per la simpatia del suo carattere sanguigno e schietto dalla caratteristica parlata toscana e soprattutto per il suo impegno in ambito sociale e politico. Grazie a questa immagine popolare e ai suoi numerosi libri (l'ultimo è "Notte di Stelle" scritto con Viviano Domenici)che si sono spesso imposti nelle classifiche dei best seller, è riuscita a spalancare a molti le porte dell'astronomia. Candidata più volte per il partito dei comunisti italiani e dichiaratamente atea, benché cresciuta in una famiglia di teosofi, è un'animalista convinta e vegetariana fin da bambina.
Pochi conoscono le importanti ricerche e i testi fondamentali da lei realizzati in ambito scientifico, ma tutti conoscono il suo volto, la sua voce, e soprattutto le sue idee sui temi più attuali e scottanti; prima appariva in televisione, da qualche anno fa anche spettacoli teatrali, è anche questo un modo per comunicare? «Anche il teatro è un'occasione per parlare dei problemi che più mi stanno a cuore, della politica di oggi, delle leggi vergognose, dei lager per gli extracomunitari dello sfruttamento dei poveri, delle disuguaglianze sociali, dei diritti degli omosessuali, dell'eutanasia... Prima facevo Variazioni sul cielo, con piccoli interventi sull'astrofisica, adesso L'anima della terra (vista dalle stelle) con Ginevra Di Marco. Lei canta canzoni sugli immigrati, i discriminati e gli emarginati, io commento. In quest'ultimo fine settimana eravamo a Bologna, Reggio Emilia e Ravenna, ora gli spettacoli riprenderanno a marzo».
Cosa le piace di più di se stessa? «La mia semplicità».
E la cosa che più detesta? «Che perdo facilmente la pazienza, e da brava toscana bestemmio».
La volta che è stata più felice. «Quando vinsi i campionati universitari di atletica con il salto in alto e in lungo, poi quando ho avuto la cattedra a Trieste».
Il suo rimpianto? «Non essere potuta andare alla Olimpiadi, ero stata selezionata per le nazionali, poi nel '43 con la guerra, si bloccò tutto». L'ultima   volta che ha pianto? «Sbucciando le cipolle».
L'incontro che le ha cambiato la vita. «Con Aldo (mio marito) al giardino del Bobolino a Firenze, lui aveva tredici anni io undici».
II suo sogno di felicità? «Ho avuto tutto quello che desideravo: un lavoro che mi piace, una famiglia che mi ha insegnato a essere libera e responsabile,  un  compagno con cui sono andata d'accordo. Cosa posso sognare di più?».
La cosa più preziosa che possiede? «Di prezioso non ho nulla. A parte il computer, dove ci sono tutti i miei lavori (che per prudenza ho salvato anche nei dischetti)».
Cosa sognava   di fare da grande? «Prima l'esploratrice dell'Africa Nera, dove c'erano gli antropofagi, poi l'astronauta».
L'errore che non rifarebbe? «Se ne fanno tanti. Di grossi per fortuna non ne ho fatti. Ma a volte ci si comporta male con qualcuno, si fanno delle ingiustizie, e si capisce solo dopo».
La maggior stravaganza compiuta? «Sono sempre stata stravagante. Me ne frego delle convenzioni. Ci si aspetta sempre che mi comporti da scienziato e invece continuo a comportarmi come quando avevo undici anni. Mi piacerebbe ancora andare a suonare i campanelli come facevo da ragazzina e poi scappare».
Il capriccio che non si è mai tolto? «Quello che desideravo l'ho avuto. Mi sarebbe piaciuto andare in orbita ma siccome quando si poteva farlo ero già troppo vecchia, non ci ho pensato più».
La volta che si è sentita fiera di essere italiana? «Da piccola, quando l'Italia  vinse il primo campionato del mondo di calcio. Adesso quando vedo che ci sono ancora persone valide, oneste. Ho stimato molto Pertini, e tra le donne Nilde lotti"». La volta che sì è vergognata di essere italiana? «Sempre quando vado all'estero. Abbiamo un governo di ignoranti e arroganti. Mi vergogno di quel 50 per cento di italiani che li ha votati». Il libro che sta leggendo?
«Niente, non ho tempo, sono ai lavori forzati. Non leggo neanche il giornale, a parte i titoli e qualche articolo che mi interessa».
Lo sport che ama? «L'atletica e tutti gli sport véri, il nuoto, la pallavolo, anche il calcio se non fosse diventato solo uno spettacolo».
Destra o sinistra? «Sono sempre stata a sinistra. Ma dov'è la sinistra?».
Cos'è per lei il Nordest? «Dove vivo. Ho visto che c'è brava gente che lavora tanto. Peccato che il forte sviluppo economico si sia imposto a danno di quello intellettuale».
E Venezia? «È bella. Ma c'è troppa acqua. È una città triste. Roma mi piace di più, mi esalta».


CIE TORINO, ALTRI 6 STRANIERI SI CUCIONO LE LABBRA
(AGI) - Torino, 20 nov. - Ancora gesti autolesionistici di protesta al Cie di Torino. Sei immigrati si sono cuciti le labbra, analogamente a quanto fatto ieri da altri 4 ospiti della struttura, mentre un settimo, sempre oggi, ha oggi ingoiato un tagliaunghie e un accendino. Quest'ultimo e' stato portato in ospedale. I protagonisti della protesta di oggi sono stati un marocchino e 6 tunisini, tutti senza documenti, in attesa di identificazione e rimpatrio.



Gli immigrati sulla gru prima ingannati poi cacciati dall’Italia

l'Unità, 20-11-2010
Italia-razzismo   Osservatorio

A malincuore dobbiamo raccontarvi che fine hanno fatto alcuni degli stranieri che per 17 giorni sono rimasti sulla gru a Brescia. Due di essi, egiziani, di 20 e 29 anni che, secondo la Questura, avrebbero organizzato la protesta, sono stati espulsi dal nostro paese. Insomma li hanno fatti scendere con l’inganno e li hanno espulsi con un ulteriore inganno. Sopraffazione e beffa, insieme. Ma prima che il caso Brescia sparisca dalle cronache italiane – perché, lo sappiamo, abbiamo la memoria corta - proviamo a spiegare il danno prodotto dalle decisioni governative a quanti speravano di uscire dall’anonimato con la sanatoria per colf e badanti. Nel 2009 gli italiani che avevano assunto stranieri “in nero”, utilizzandoli nel lavoro domestico, potevano regolarizzarli presentando una domanda di assunzione all’Ufficio Immigrazione della prefettura della provincia di residenza. Cio’ attraverso il versamento nelle casse erariali di 500 euro. Un’operazione che ha fruttato allo Stato circa 154milioni di euro. Ma quei soldi, a che cosa sono serviti? Pare che la metà sia stata destinata ad un fondo rimpatri che finanzia le procedure di espulsioni di stranieri privi di documenti. Questo significa che i soldi versati per la regolarizzazione, quando è stata ottenuta o quando non è stata ottenuta, finanziano il rimpatrio dei non regolari. Compresi i due egiziani. I quali lasciano l’Italia chiedendo a tutti gli uomini di buona volontà di mettersi nei loro panni. Almeno questo. Resta un interrogativo: cosa fareste se uno stato straniero vi offrisse di uscire allo scoperto rassicurandovi e garantendovi un permesso di soggiorno per vivere e lavorare – perché di questo si tratta – e poi, dopo avervi imposto una tassa, vi desse la caccia per espellervi?



Ci risiamo

Mauro Valeri

Il fatto che riprenda a scrivere per questa rubrica in coincidenza con la ripresa anche di eclatanti episodi di razzismo nel calcio italiano forse non è un caso. I fatti. Mercoledì 17 novembre, la Nazionale italiana gioca un’amichevole con la Romania, a Klagenfurt in Austria. E’ una Nazionale multietnica, perché il c.t. Cesare Prandelli, dopo i disastri del periodo “lippiano” culminati nella brutta figura ai Mondiali in Sudafrica, ha pensato che fosse questo non solo un tentativo di avvicinare di più la Nazionale alla realtà del paese, ma anche perché convinto che nello scegliere i giocatori da schierare in campo non ha senso tener conto del colore della pelle o delle origini. L’importante è che sia un bravo calciatore italiano. L’abbiamo sempre sostenuto e abbiamo accolto questa decisione con molta speranza. Dopo il tanto atteso esordio di Amauri e di Balotelli avvenuti qualche mese fa, mercoledì è toccato a Cristian Ledesma che, come Amauri, è diventato italiano a seguito del matrimonio con una cittadina italiana. Ledesma, è nato in un paesino della Patagonia nel 1982, ed ha una faccia da Indio che sembra la versione malandrina di quel Zefirino Namuncurà, primo santo delle pampas, morto a Roma nel lontano 1905. Ledesma in Italia è arrivato nel 2001 per giocare con il Lecce. Qui conosce anche la sua futura moglie pugliese, Marta, con la quale ha due figli: Alice di 6 anni e Daniel di 3. L’Argentina non lo ha mai convocato, se non in uno stage nell’Under 20, che non vale nulla per la scelta di quale maglia della Nazionale maggiore si voglia indossare. Quando è stato convocato da Prandelli, ha subito dichiarato la sua felicità perché l’Italia è un paese che ama. E ha aggiunto anche di conoscere l’inno di Mameli. Ledesma non è certo il primo “oriundo” a giocare con l’Italia. Il problema semmai è che nel calcio italiano, e forse nello sport, il termine oriundo è utilizzato con molta confusione e, almeno ultimamente, con una declinazione negativa. Per molti commentatori (ma temiamo che valga anche per dirigenti e tesserati) sono oriundi sia coloro che hanno ascendenze dirette con genitori o nonni italiani, sia i ragazzi di seconda generazione, anche se nati e cresciuti in Italia, sia chi invece è diventato italiano a seguito di matrimonio (quello che qualcuno nella pallacanestro chiama, quasi con disprezzo, i “passaportati”). Lo stesso Ledesma ha dichiarato, a ragione, di non sentirsi un “oriundo”, ma semplicemente italiano, per legge e per scelta. Anche Balotelli è stato a volte classificato come un “oriundo”. Lui che è semplicemente un “italiano nero”, termine che, per come siamo messi in questo paese, già nel pronunciarlo sembra aver a che fare con più con Marte che non con la nostra storia. A Klagenfurt Balotelli e Ledesma sono stati vittime di insulti razzisti da parte di un groppuscolo di falsi tifosi che si riconoscono in un movimento politico che ha sede in molti stadi italiani, “Ultrà Italia”, che si era già messo in pessima evidenza a Sofia durante un’altra partita della Nazionale nell’ottobre 2008. Le istituzioni calcistiche e qualche quotidiano li hanno definiti “i soliti imbecilli” (che fa il paio con quella di “oriundi” per l’insensato modo con cui è utilizzata). In realtà, proprio il pericoloso precedente bulgaro dovrebbe mettere qualche pulce in più nell’orecchio dei responsabili delle forze dell’ordine (nelle trasferte internazionali non dovrebbe funzionare una specifica task force contro i razzisti?) e delle istituzioni calcistiche. La coreografia è la solita: saluto romano durante l’inno di Mameli; ululati contro Balotelli, a cui indirizzare i cori “non ci sono negri italiani”. Nuovo invece, in questa sorta di “almanacco degli orrori” il coro “Nell’Italia solo italiani”, indirizzato presumibilmente anche a Ledesma, al quale era indirizzato anche lo striscione appeso nel secondo tempo (“No a una Nazionale multietnica”), per fortuna immediatamente rimosso dagli attenti stewards dello stadio (uno dei quali, però, si è beccato una testata da un “ultrà” di Udine). 41 i razzisti italiani identificati e riconsegnati alla polizia italiana, che, visto l’andazzo, presto ritroveremo sugli spalti di qualche stadio. Anche i tifosi rumeni non sono stati da meno, con i loro buuu contro Balotelli. Ma a loro volta si sono beccati qualche “zingaro” da parte dei tifosi italiano, a dimostrazione di quanto facilmente nel razzismo la vittima si atteggi a carnefice. Limitate a poche battute il parere di Abete, che non ha neanche avuto il coraggio di rivendicare l’iniziativa a favore dei Rom che aveva preso insieme ai colleghi rumeni (e della quale i giornali di fatto non hanno neanche parlato). Il lato positivo di tutta questa vicenda sono le parole di Prandelli: “E’ dura trovare le parole. Sono episodi che lasciano dentro tristezza, delusione e rabbia: si fanno tanti discorsi, ma poi siamo impotenti di fronte a queste cose. A volte avrei voglia di dire qualcosa di forte, di clamoroso, ma forse certa gente è meglio ignorarla. Comunque tutti devono sapere che la mia sarà sempre una nazionale multietnica, che prescinderà dal colore della pelle, aperta a chiunque abbia la cittadinanza italiana. E Mario deve sapere che ha l’affetto e la considerazione di tutti, perché non è vero che alla fine tutto scivola via, come fa a scivolargli addosso… Io vorrei vedere qualche gesto in più verso di lui: ecco, magari la prossima volta entriamo in campo e lo abbracciamo” (La Gazzetta dello Sport, 18 novembre 2010). Parole sensate, che sembrano un trattato di filosofia se paragonate ai silenzi a cui ci aveva abituato Lippi. Bravo anche Quagliarella che a Mario Balotelli ha dedicato il gol del pareggio. Bravo soprattutto perché ha capito, come ha fatto in campionato Felipe Melo, che il razzismo non riguarda solo la vittima, ma tutti, ed è fondamentale che anche altri calciatori ci mettano la faccia. Balotelli è riuscito a non rispondere (come aveva fatto in precedenza, e per questo in passato accusato di “immaturità”), mentre Ledesma ha preso una posizione più defilata (forse perché ha capito che in Italia se qualche vittima di razzismo protesta, diviene oggetto di una ulteriore e particolare attenzione e derisione da parte dei sempre più numerosi criptorazzisti). Se i suoi colleghi hanno preferito ribadire che è meglio non parlare di queste cose, perché si fa pubblicità ai razzisti (posizione rispettabilissima, se però ci fosse un loro maggiore impegno a parlarne apertamente in altre situazioni), Ledesma ha addirittura invocato la libertà d’espressione anche quando gli hanno detto che un suo collega, Gaetano D’Agostino, aveva ribadito che in Nazionale dovrebbe giocare solo chi è nato in quel paese (quindi per il giocatore della Fiorentina sono da escludere i ragazzi adottati o coloro che - come Claudio Gentile, Giuseppe Wilson, Simone Perrotta, Giuseppe Rossi - sono nati all’estero ma figli di immigrati!). Di sicuro D’Agostino non se la può prendere con Balotelli, visto che entrambi sono nati a Palermo!
Sulle stesse pagine dei quotidiani sportivi di giovedì, si parla di un attaccante diciassettenne belga, di origini congolesi, Romelu Lukaku, autore di una doppietta con la Nazionale nella partita giocata e vinta con la Russia fuori casa. Non risulta che in Russia ci fossero belgi razzisti a urlargli contro, né che qualche collega abbia avuto qualcosa da ridire.



L'Italia oriunda

(Sangue e carta bollata)
Emiliano Boschetto
Christian Ledesma, regista della Lazio con doppio passaporto, nato e cresciuto in Argentina, è stato convocato in Nazionale, terzo oriundo dell’era moderna.
“Tu che te occupi di immigrazione e sei pure laziale (due cose che spesso mi vengono attribuite come peccati gravi) sarai contento adesso?”.
Si, da laziale. Ma non lo sono affatto per l’Italia, e non solo per quella calcistica.
“Caro Prandelli: meno Camoranesi e più Balotelli”.
Prandelli “(…) davanti alla drammatica débacle del calcio italiano ha proposto di aprire agli oriundi: se hanno la cittadinanza - dice in sostanza - non c’è problema.
E no caro Cesare, il problema c’è eccome. Proprio ora che finalmente anche in Italia ci si batte perché il confine della cittadinanza non sia più tracciato solo dal sangue che ti scorre nelle vene ma piuttosto dall’appartenenza civica, non vogliamo certo finire perché sia stabilito in base ad un mero percorso burocratico.
Italiano sia semplicemente chi vive, condivide e contribuisce al destino di una stessa comunità di persone legate ad una terra. E’anche per questo comune sentire che ci emozioniamo - in maniera spesso patologica - alle note dell’inno di Mameli prima di una partita. Forse è per lo stesso motivo, o almeno ci piace crederlo, che si emozionano persino quei ragazzi miliardari che sognavano proprio quella maglia – come penso ognuno di noi – rincorrendo il pallone in cortile a ricreazione. Ma quali colori sognava invece un Camoranesi? E quali i papabili Amauri, Zarate o il roccioso Cristian Ledesma? Sinceramente non mi emozionerei a vederli cantare l’inno italiano (ma credo neanche loro). Verrebbero invece i brividi vedendolo fare a Balotelli, Okaka o Obgonna, frutti dei nostri vivai e delle nostre scuole. E ancora di più quando sentiremo cantare Fernando Warnakulasuriya, talentuoso esterno di origine cingalese, o Mohammed Yusuf, piccolo genio di genitori algerini, ragazzi cresciuti, e non solo calcisticamente, in Italia. Diramare le convocazioni in base al solo passaporto è invece un segnale di involuzione. Innanzitutto perché non si investe sul futuro e sulla qualità – ovvero sui settori giovanili. Si mette piuttosto una toppa importando presunto talento ed aggirando così le ragioni strutturali di una crisi che si radica nella ancestrale incapacità – non solo calcistica a dire il vero – di innovare e di scommettere sui giovani. Ma è soprattutto sbagliato dal punto di vista civile: merita la nazionale chi è italiano per appartenenza, per vissuto. Perché è frutto dell’Italia - nel bene e nel male - dei suoi cortili e dei suoi prati, delle sue scuole e delle sue strade, dei suoi campacci di periferia soprattutto, e non chi ha ereditato un cognome da un lontano e spesso sconosciuto passato.
L’Italia a chi la ama, diceva qualcuno. L’Italia a chi la vive e a chi la sente propria, più semplicemente".
http://www.scuoladipolitica.it/static/magazine/Caro-Prandelli-meno-Camoranesi-e-pi%C3%B9-Balotelli-209.aspx



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