L’assenza delle aziende nella protesta di Nardò contro il caporalato

 

Stefano Galieni - Osservatorio Italia-razzismo 2 settembre 2011
Non dimentichiamo quanto avvenuto a Nardò in provincia di Lecce. Per la prima volta la protesta dei braccianti immigrati si è trasformata in sciopero, per il rispetto dei contratti, contro il caporalato e lo sfruttamento.
 In tre mesi centinaia di lavoratori, sostenuti soprattutto dai volontari delle Brigate di solidarietà attiva e dell’Associazione Finis Terrae, hanno messo in discussione un sistema che sembrava immutabile, hanno denunciato il caporalato come reato e interloquito con le istituzioni. I tagli ai bilanci di Comune e Regione hanno impedito che il progetto, rivelatosi positivo nel 2010, potesse essere attuato anche quest’anno: minori risorse e partenza con grande ritardo. Lo sciopero è stata una vera sfida, condotta tra enormi difficoltà: minacce fisiche, indifferenza diffusa, carenza di cibo, rischio di perdere il lavoro. Quello che chiedevano i braccianti era la possibilità di essere assunti regolarmente, di non subire costrizioni e ricatti nella ricerca di un lavoro. In un clima di gravi tensioni e difficoltà si è realizzato uno straordinario salto di qualità. Le leggi che consentono a un segmento sociale, quello del lavoro migrante, di subire la più ampia ricattabilità sono state messe in discussione producendo, fra i lavoratori, consapevolezza collettiva. E questo si ripercuoterà, prevedibilmente, anche dove - in quei territori e in quei rapporti sociali - queste persone andranno a lavorare. Ma c’è stata una significativa assenza, quella delle aziende. Non si sono assunte alcuna responsabilità, non hanno investito un euro per garantire almeno la più elementare assistenza. Migranti e associazioni hanno chiesto alla prefettura di convocare le aziende per uscire dall’empasse. Risponderanno? 
 
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