Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 settembre 2014

Soccorsi a Cipro 300 migranti rifiutano di sbarcare: "Vogliamo andare in Italia"
Sono a Limassol a bordo di una nave da crociera che ha risposto al Sos
LIMASSOL (CIPRO) - I 300 profughi salvati stamattina da una nave da crociera che ha risposto all'Sos da un barcone in difficoltà, rifiutano di sbarcare a Cipro e chiedono di "andare in Italia". Lo ha riferito il direttore generale della compagnia di crociera Salamis Cruise Lines spiegando che la nave sarebbe dovuta ripartire stasera da Cipro ma gli immigrati soccorsi si sono rifiutati di sbarcare chiedendo di essere portati in Italia".



Senato. «Nei Cie non garantita la dignità dell`uomo»
La commissione Diritti umani di Palazzo Madama pubblica il secondo Dossier sui Centri di identificazione ed espulsione: sono strutture sottoutilizzate e poco efficienti
Avvenire, 26-09-14
I Centri di identificazione e di espulsione sono tornati sotto latente di ingrandimento della Commissione Diritti umani del Senato, che ha pubblicato un dossier sul suo sito. Attraverso audizioni e sopralluoghi nei centri di identificazione ed espulsione di Bari, Roma, Gradisca d`Isonzo, Trapani e Torino, «sono emerse numerose e profonde incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere, e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali» e trattenimenti «inadeguati» rispetto «alla tutela della dignità e dei diritti degli interessati».
La Commissione propone al governo misure per assicurare alle persone sottoposte al trattenimento il rispetto delle garanzie nazionali e internazionali. Ma anche una serie di interventi sulle procedure che regolano il sistema con l`obiettivo di rendere il ricorso al trattenimento una misura estrema, del tutto residuale e finalizzata esclusivamente al rimpatrio, e a ridurre al minimo i tempi di permanenza in quelle strutture.
La Commissione, si legge nel rapporto, ha incontrato persone che, «in presenza di un titolo di trattenimento amministrativo volto all`identificazione, all`espulsione o al rimpatrio, sono state private della libertà per prolungati periodi di tempo, impossibilitate a svolgere alcun tipo di attività ricreativa o formativa, in condizioni di vita precarie da un punto di vista materiale e umano». E ancora: «Il trascorrere di un "tempo vuoto" nei centri è una delle più forti criticità. La fatiscenza degli alloggi, la carenza di spazi e attività ricreative, l`insufficienza dei servizi di mediazione culturale e legale, la scarsa chiarezza nel comunicare ai trattenuti il regolamento del centro sono elementi riscontrati in tutte le strutture visitate, con poche eccezioni».
Tutti i centri, viene evidenziato, ospitavano un numero di immigrati ben inferiore alla loro effettiva capienza, perché funzionavano in manieraridotta perragioni di sicurezza o perché molti settori erano inagibili oppure danneggiati. «Numerose proteste si sono succedute negli ultimi mesi su tutto il territorio», sottolineano i senatori. La popolazione trattenuta «appare eterogenea da un punto di vista sociale, psicologico, sanitario e giuridico, e difficilmente gestibile in centri chiusi verso l`esterno, strutturalmente afflittivi, spesso inadeguati nei servizi e con scarsi mezzi di gestione».
I Cie risultano «sempre più sotto utilizzati in quanto a presenze e sempre meno incisivi in termini di espulsioni e rimpatri». I migranti rimpatriati attraverso i Cie nel 2013 sono lo 0,9% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità che si stima essere presenti in Italia (294.000). Nel 2012, solo l'1,2% del totale degli stranieri senza permesso di soggiorno presenti in Italia è stato rimpatriato dai Cie, cioè 4.015 persone su 326mila irregolari stimati.



I Cie sono inadeguati, afflittivi e sotto gli standard di dignità"
Il rapporto della Commissione diritti umani del Senato che dopo soli due anni torna a puntare il dito contro i Centri di Identificazione ed Espulsione. Emerge un regime di massima sicurezza solo per l'identificazione dei cittadini stranieri, sprechi e costi esorbitanti. Rimpatriano solo lo 0,9% degli irregolari presenti sul territorio italiano
la Repubblica, 26-09-14
RAFFAELLA COSENTINO
ROMA - Per la seconda volta in soli due anni, la Commissione Diritti Umani del Senato punta il dito contro i Centri di identificazione ed espulsione, già definiti nel 2012 "peggiori delle carceri". Il nuovo Rapporto sui Cie in Italia della Commissione presieduta dal senatore Luigi Manconi stabilisce che sono "al di sotto degli standard di dignità" e li definisce "centri chiusi verso l'esterno, strutturalmente afflittivi, spesso inadeguati nei servizi offerti e con scarsi mezzi di gestione".
Oltre 150 pagine d'inchiesta. Oltre centocinquanta pagine di analisi e resoconti delle ispezioni condotte nel corso di un anno su Bari, Roma, Torino, Trapani e Gradisca d'Isonzo, restituiscono una fotografia ancora più cupa della situazione nei Cie, nonostante in due anni il numero di centri operativi sia sceso da 13 a 5.
Inutili e molto costosi. Dai dati emerge che sono strutture inutili, visto che riescono a rimpatriare solo lo 0,9% degli stranieri irregolari presenti sul territorio, mentre costano, si stima, almeno 55 milioni l'anno. Ma non ci sono cifre certe sulle risorse che lo Stato investe nei Cie. La stima che viene riportata è dell'associazione Lunaria, indice del fatto che neanche il Parlamento riesce a sapere dalla pubblica amministrazione quanto costano esattamente fra spese di gestione, di manutenzione e di impiego delle forze dell'ordine. Un dato significativo contenuto nel rapporto è quello sul Cie di contrada Milo a Trapani. E' stato aperto nel 2012 e fino al 2013 la prefettura ha speso quasi due milioni di euro in manutenzione ordinaria e straordinaria. Le fughe dalla struttura sono state 800 nel solo 2013.
Gli sprechi. L'attuale reclusione fino a un anno e mezzo è un altro spreco, in attesa che passi anche alla Camera la riduzione a 90 giorni già approvata dal Senato. Per identificare una persona, dice chiaramente il rapporto basandosi su fonti di polizia, bastano 45 giorni. Oltre questo lasso di tempo, è praticamente impossibile portare a termine l'identificazione. L'Italia ha una collaborazione con Egitto e Tunisia in base ad accordi risalenti al 2007 e al 2011 e rapporti con Nigeria e Algeria. Inutile costruire Cie a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dalle rappresentanze consolari che devono effettuare il riconoscimento delle persone. Questo rende ancora più difficile e lunga la procedura di identificazione, come sarebbe nel caso riaprisse la "guantanamo" italiana a Palazzo San Gervasio .   
Rimpatriato solo il 50% dei trattenuti. Nel corso di un anno i senatori hanno visitato i Cie in quel momento aperti a Roma, Bari, Gradisca d'Isonzo, Trapani e Torino. Di questi, solo quello di Gradisca è stato chiuso dopo numerose rivolte e la morte di un trattenuto nel corso di una protesta, gli altri funzionano ancora per un numero di irregolari davvero piccolo. Secondo i dati del Ministero dell'Interno, nel 2014, al 9 luglio, i trattenuti risultano essere 2.124, di cui 1.036 rimpatriati. L'uso dei pochi centri aperti è anche sottodimensionato: ci sono ancora 500 posti liberi, secondo quanto riferito dal ministro Alfano. Le cifre degli ultimi anni, riportate nel dossier, mostrano che almeno la metà dei trattenuti non viene rimpatriata.
Carcere duro solo per essere identificati. Non per avere commesso reati penali, ma solo per essere identificati ed espulsi, gli uomini e le donne reclusi nei Cie vivono una detenzione durissima, secondo la descrizione riportata dai senatori. A Bari c'è "un muro di cinta in cemento armato alto 6 metri che delimita l'area  -  si legge nel documento - C'è poi una barriera in vetro infrangibile alta 3 metri immediatamente a ridosso della struttura detentiva. Su tale area affacciano anche i cortili, chiusi dal lato esterno da una barriera in ferro alta 5 metri. In ogni stanza ci sono 4 posti letto. I quattro letti sono fissati al pavimento". Nel corso della visita, sono emerse situazioni molto critiche. "In generale si percepisce nel centro un clima di tensione molto alta e di forte chiusura verso l'esterno - scrivono i senatori -  La struttura è opprimente perché il tempo che i trattenuti trascorrono al di fuori delle sezioni detentive è ridotto al minimo. I farmaci, ad esempio, vengono somministrati da una piccola finestra sulla porta blindata. Attraverso quella stessa finestra i trattenuti fanno sporgere le sigaretta perché gli operatori possano accenderle, non essendo ammessi accendini e fiammiferi".
Abusi di psicofarmaci e divieti.  Ponte Galeria, il Cie della Capitale, "la richiesta di psicofarmaci è altissima. Non è possibile, per motivi di sicurezza, introdurre nel centro penne, pettini, libri con copertina rigida". La descrizione continua così: "gli alloggi consistono in camerate da 6 o da 4 letti, ancorati al suolo, le pareti esterne sono spesso scrostate. Nello spazio antistante i dormitori, c'è un tavolo di metallo con delle panche, sempre ancorati al suolo". A Gradisca d'Isonzo, "ogni modulo è recintato da alte pareti di plexiglas e coperto da reti metalliche ed è composto da 8 stanze con 8 posti letto ciascuno. Le stanze hanno le finestre sigillate e non permettono il ricambio d'aria. Anche i bagni sono ciechi e appaiono in condizioni igieniche precarie (ristagno d'acqua). L'unico arredo è costituito dal letto, fissato a terra. Nel centro è vietato l'uso di cellulari. Non sono ammessi giornali, libri, penne. La possibilità di movimento è ridotta al minimo".  Alta tensione, abuso di psicofarmaci, tentativi di fuga, numerosi atti di autolesionismo causati dalla sofferenza delle condizioni di reclusione, sono gli altri aspetti del sistema dei Cie denunciati dalla Commissione di Palazzo Madama.
Le storie. I senatori mettono in evidenza che la limitazione della libertà personale, in base alla Costituzione, deve essere regolata con leggi del Parlamento. Al contrario, l'ubicazione dei Cie, le strutture da utilizzare a questo scopo, e anche le regole all'interno dei centri, sono stabilite solo dal Viminale. In tanti poi finiscono al Cie senza che questo sia necessario. È questo il caso di molte collaboratrici domestiche e dei lavoratori che al momento del rinnovo del permesso di soggiorno non sono più in possesso di un contratto di lavoro valido. Alla scadenza del permesso di soggiorno, i lavoratori stranieri in quella situazione possono richiedere un permesso per attesa occupazione per un anno di tempo. David, incontrato dalla Commissione a Ponte Galeria, era stato fermato a Firenze al banco di un mercato in cui lavorava, e trovato con il permesso di soggiorno scaduto ma nel periodo di tempo previsto per l'"attesa occupazione", ma è stato portato ugualmente al Cie.  Una signora di nazionalità cinese sposata con un italiano aveva il permesso di soggiorno scaduto da oltre due mesi e per questo è stata portata al Cie. A Ponte Galeria è rimasta per 30 giorni perché il trattenimento è stato convalidato.
Le incongruenze. Sui Centri di identificazione e di espulsione, conclude la commissione, "sono emerse numerose e profonde incongruenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere, e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali, nonché di modalità di trattenimento inadeguate rispetto alla tutela della dignità e dei diritti degli interessati". Tra le criticità: il tempo vuoto, la fatiscenza degli alloggi, la carenza di spazi e di attività, l'insufficienza di mediazione culturale e legale.  



E adesso la Procura di Ragusa indaga sui centri di accoglienza    
Pagati più pasti di quanti sono i rifugiati, appalti vinti da amici degli amici, clandestini non identificati e fuggiti via
il Giornale, 26-09-14
Stefano Zurlo

Ammanchi. Sprechi. L'incredibile caso del terrorista palestinese arrivato in Italia come clandestino, transitato per qualche giorno attraverso i centri di accoglienza, infine svanito nel nulla, con i suoi inquietanti misteri. C'è di tutto nell'inchiesta aperta dalla Procura di Ragusa sull' emergenza profughi. Una situazione drammatica perché nel 2014 gli sbarchi sono stati 135 mila. Un record con l'operazione Mare nostrum, nata per finalità umanitarie, a fare da gigantesca calamita per migliaia di disperati. Nel caos quotidiano degli arrivi si sono verificati episodi sospetti. E ora i pm hanno deciso di vederci chiaro. Il punto di partenza, a quanto risulta al Giornale, è stato un anonimo assai dettagliato che invitava le forze dell'ordine e la magistratura ad aprire gli occhi sulla gestione allegra di alcuni centri di accoglienza. In qualche caso ci sarebbe stata una sorta di moltiplicazione dei pani e dei pesci: per esempio un numero di pasti superiore a quello degli ospiti di alcune strutture. Da verificare anche i contratti stipulati per garantire beni e servizi. Qualcosa non quadra in un contesto già scivoloso: spesso gli appalti vengono assegnati a cooperative di amici degli amici, agganciati al potere politico locale. L' anonimo ha fornito dati precisi e questo fa sorgere più di un dubbio: si pensa possa essere una persona che ha lavorato in questi luoghi di frontiera, probabilmente un poliziotto. Un uomo in divisa che ha visto e annotato quel che non andava di là dell'impegno e della solidarietà verso gli ultimi. Può darsi che in taluni casi ci si sia limitati a favorire le cooperative raccomandate, inserendole nel circuito del business, ma il sospetto è che qualcuno abbia sconfinato nell'illegalità.
Insomma, tornano molte delle questioni denunciate dall'inchiesta del Giornale pubblicata nei giorni scorsi. L'apparato di accoglienza in questo momento è in tilt: è saltata la distinzione fra centri di prima e di seconda accoglienza, buona parte dei clandestini non viene nemmeno identificata e almeno l'80 per cento dei profughi scappa. Insomma, con una mano lo Stato salva i disperati che rischiano quotidianamente la vita nelle acque del mar Mediterraneo, con l' altra li abbandona al loro destino. Non li controlla. E li lascia andare via, anzi pare perfino agevolare una soluzione all'italiana del problema profughi, aggirando il Trattato di Dublino: i migranti espatriano alla chetichella puntando verso Francia, Germania, Scandinavia. E diventando, privi come sono di un'identità, un problema di quei paesi, dove ricomincia da zero la battaglia contro l'espulsione.
Fra le persone scomparse c'è anche il presunto terrorista di cui ha parlato il Giornale l'altro ieri. Le forze dell'ordine avevano capito che non si trattava di un migrante qualunque: sul suo cellulare sono state trovate alcune foto che lo ritraggono in tuta mimetica mentre imbraccia il fucile. Non solo: sulla mano destra gli agenti hanno notato un grosso callo che dimostra la consuetudine con le armi da fuoco. Il clandestino ha provato a spacciarsi per siriano, invocando quindi un trattamento soft, ma alla fine ha ammesso la sua origine palestinese e ha aggiunto di essere legato ai gruppi della guerriglia. Un racconto che ha messo in allarme polizia e 007. Ma queste parole non hanno fermato la macchina burocratica, intasata da troppi arrivi: il palestinese senza nome è stato spostato a Comiso, in un centro di secondaaccoglienza e da qui è sparito. Come tanti ospiti della struttura. Ora Ragusa indaga anche sulla biografia del soldato». E sulle sue troppe ombre.



Mare nostrum, navi altrui Soccorsi "scaricati" sui privati
Gli armatori sono in rivolta, la Marina non ce la fa a tener dietro agli sbarchi: "Un intervento su quattro tocca a noi. Obbligati a intervenire. A spese nostre"
il Giornale, 26-09-14
Gian Micalessin
La punta dell'iceberg è la storia della nave cisterna costretta ad interrompere per 8 volte in quindici giorni il trasporto di gas libico diretto in Italia per correre in soccorso dei migranti.
Con una perdita secca per l'armatore italiano di 83.200 dollari. Pari a 65.351 euro al cambio attuale. Ma non è un caso né raro, né eccezionale. Dietro le singole denunce degli armatori costretti a partecipare «obtorto collo» - e a spese proprie - alle attività di salvataggio di Mare Nostrum si muove un «iceberg» capace di far colare a picco i commerci del Mediterraneo e azzerare la competitività delle nostre rotte. Quell'«iceberg» secondo i dati in mano a Confitarma, l'associazione degli armatori italiani, ha raggiunto dimensioni incontrollabili. «Per capire la dimensione del problema e il conseguente danno economico bisogna sapere - spiega una fonte de Il Giornale dentro l'Associazione degli armatori - che quasi 40mila dei 140mila migranti raccolti nell'ambito di «Mare Nostrum» non sono stati salvati della Marina Militare o della Guardia Costiera, ma da navi mercantili. E il 25 per cento di queste erano italiane». Insomma mentre il ministro degli Interni Angelino Alfano smentisce i propri collaboratori spiegando di non voler finanziare l'accoglienza degli immigrati nelle famiglie italiane al costo di 30 euro al giorno , come proposto dal sottosegretario Domenico Manzione, Il Giornale mette il dito su un'altra piaga della missione Mare Nostrum. Non più tardi di mercoledì sera, la Guardia Costiera ha ordinato ad una petroliera italiana di cambiar rotta per andare a recuperare 335 fra uomini, donne e bambini alla deriva su una zattera. «In questo caso - spiega un'altra voce degli armatori - il problema non è solo economico. Le petroliere sono imbarcazioni con spazi angusti, studiate, in quel caso, per navigare con equipaggio di solo 16 persone. Far spazio a 300 persone su un'imbarcazione del genere è pericoloso non solo per la navigazione, ma anche per la salute dei marinai privi di strumenti per la prevenzione di eventuali contagi. E per gli stessi naufraghi che rischiano quantomeno un'intossicazione». Eppure proprio le navi mercantili, come scoperto da Il Giornale , sono le preferite dai trafficanti di uomini che studiano la loro rotta per indirizzarvi i barconi carichi di clienti. «Marine Traffic è un sito internet gratuito e di libero accesso che riporta posizione e rotta di tutte le navi mercantili in navigazione ai quattro angoli del mondo. - spiega un armatore italiano assai attivo sulle rotte libiche - grazie a quel sito i trafficanti individuano le navi più vicine alla costa libica, scelgono quella preferita in base a grandezza e nazionalità e v'indirizzano il barcone in partenza. Ormai è come andare ad un appuntamento all'ora preferita, con la nave desiderata». Il racconto è confermato anche dalle fonti dell'associazione degli armatori. «È tutto assolutamente vero. L'uso del sito di Marine Traffic è in voga da parecchio tempo e questo crea problemi soprattutto alle petroliere o ai traghetti costretti a seguire una rotta fissa. Rispondere ad una richiesta di salvataggio transitata dalle sale radio dalla Marina Militare o dalla Guardia Costiera è obbligatorio e così qualche armatore italiano si ritrova costretto a interrompere i viaggi delle proprie navi per 5 o sei volte di fila in periodi di tempo assai brevi». L'obbligatorietà del soccorso in mare e il salvataggio dei migranti orchestrato attraverso le sale radio di «Mare Nostrum» finisce con il metter a rischio, come scoperto da Il Giornale , la sicurezza degli operai e dei tecnici che lavorano nei numerosi impianti d'estrazione al largo delle coste libiche. Per garantire al meglio la loro incolumità tutte le piattaforme devono tener ormeggiate delle imbarcazioni d'appoggio capaci di portare soccorsi o trasferire il personale in caso di emergenza. Ultimamente però anche le piattaforme sono diventate un punto di riferimento per i barconi dei migranti e le sale radio di «Mare Nostrum» hanno incoraggiato, stando a quanto segnalato a Il Giornale , l'entrata in azione dei vascelli d'appoggio obbligati, per contratto, a restar ancorati agli impianti off-shore. Così nel nome di «Mare Nostrum» si sono calpestate le basilari norme di sicurezza studiate per garantire la salvezza dei lavoratori delle piattaforme in caso di esplosione o d'incendio.



Lampedusa, un registro del Dna per le vittime
Avvenire, 26-09-14
Paolo Lambruschi
Un anno dopo il naufragio di Lampedusa molti morti non hanno ancora un nome e non è stato possibile identificarli con precisione. L’Italia aveva, però, promesso che avrebbe aiutato i parenti nel riconoscimento e nell’eventuale rimpatrio della salma.
Il governo italiano ha quindi da poco fatto partire un progetto che potrebbe consentire ai parenti di contribuire all’identificazione dei poveri resti. L’ufficio ritrovamento delle persone scomparse del Viminale ha infatti raccolto in questi 12 mesi il dna di parecchi dei 366 morti affogati la notte del 3 ottobre 2013 al largo dell’isola pelagica. Quindi ha chiesto aiuto alle organizzazioni di appoggio ai migranti più diffuse nel mondo o a quelle dei rifugiati, tutti in contatto sia con gli eritrei in patria che con quelli della diaspora, per rintracciare i parenti dei morti e pubblicizzare loro la possibilità di farsi prelevare anche vicino a casa un campione di dna. In questo modo i tecnici del ministero riescono a incrociare i dati e a verificarne la compatibilità. Il passaggio successivo è procedere all’identificazione dei poveri resti, oggi spesso anonimamente sepolti in diverse località siciliane, e consentire a fratelli e genitori di piangere sulla tomba dei propri cari.
Non è necessario che i congiunti vengano in Italia, grazie alla collaborazione di enti quali Migrantes e Croce Rossa, mentre l’Organizzazione internazionale delle migrazioni ha fornito a quest’ultima lo scorso novembre i nomi delle vittime e dei parenti. I medici che lavorano al progetto del Viminale potranno effettuare i prelievi di materiale genetico nelle missioni cattoliche e nelle sedi delle altre realtà in altri Paesi.
La gran parte degli scomparsi era infatti diretta in Gran Bretagna, Germania e nei paesi scandinavi e da lì sono finora giunte alle organizzazioni la maggioranza delle telefonate dei parenti che dopo un anno non hanno ancora pace. L’unico ostacolo è la riluttanza a presentarsi di chi vive in Eritrea o di chi, rifugiato e quindi oppositore del regime di Isaias Afewerki, teme che rivelare di avere un parente morto in mare in quella tragedia possa essere usato dagli agenti della dittatura per perseguitare chi è rimasto nel piccolo paese del Corno d’Africa isolato dal resto del globo.
La presenza l’anno scorso prima a Lampedusa dopo la tragedia e poi ai funerali di esponenti dell’ambasciata del regime dell’Asmara che volevano identificare morti e superstiti ha minato la fiducia di parecchi rifugiati nei confronti delle istituzioni italiane. Ma questa operazione di pietà può ricevere ulteriore impulso nei prossimi giorni, quando molti congiunti si recheranno a Lampedusa per la commemorazione di quella strage del mare.



Sabir, il Festival diffuso delle culture mediterranee
Corriere.it, 25-09-14
Germana Lavagna

«Il Mediterraneo…sono delle strade. Strade per mare e per terra. Collegate. Strade e città. Grandi, piccole. Si tengono tutte per mano. Il Cairo e Marsiglia, Genova e Beirut, Istanbul e Tangeri, Tunisi e Napoli, Barcellona e Alessandria, Palermo e… » (Jean-Claude Izzo, Marinai perduti)
Tutte le strade portano a Lampedusa, che non è solo il conteggio dei viandanti e dei dispersi, scoglio ed approdo lungo le infinite rotte che portano via dalla guerra e dalla fame. Dal 1 al 5 ottobre, sarà il palcoscenico di Sabir, il Festival diffuso delle culture mediterranee.
Voluto dal sindaco Giusi Nicolini e organizzata da Arci, Comitato 3 ottobre e Comune di Lampedusa, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e della Rai, il Festival ha già sollevato numerose polemiche, prima tra tutte quella con la Fondazione O’ Scia’, di Claudio Baglioni e della moglie Rossella Barattolo, che dal 2003 promuove e organizza una kermesse musicale per portare in primo piano Lampedusa e il tema dell’immigrazione.
La diatriba ha coinvolto anche la penna di Andrea Camilleri, padrino di un altro Sabir – Festival di letteratura araba contemporanea, che si svolge dal 2005 a Ragusa, Modica, Scicli e Siracusa – che si è detto stupito di apprendere dai giornali l’iniziativa lampedusana.
Al di là delle bufere e dei litigi, anche sui fronti interni dell’organizzazione, il Festival, tra una settimana, aprirà i suoi battenti, rispolverando la vocazione storica dell’isola di crocevia di culture e di popoli, dove le voci dei portuali e dei viaggiatori si mescolavano nel sabir, appunto, una lingua franca nella quale confluivano tutti gli idiomi del Mediterraneo.
Il programma, i cui appuntamenti sono tutti a partecipazione gratuita, è fitto di incontri e di laboratori, affinché il Festival non diventi il palcoscenico di un esausto e sterile dibattito sulle esigenze dell’Europa, dove l’Africa non è mai veramente un interlocutore, ma sempre e solo il problema da risolvere.
Kamal Lahbib, una delle personalità più autorevoli della sinistra sociale e culturale magrebina, tra i tanti protagonisti del Festival, è stato chiaro su questa prospettiva:
    “Abbiamo fatto tante cose insieme, e posso parlare sinceramente: se dobbiamo venire a Lampedusa per ritrovarci, come succede quasi sempre in Europa, con noi a fare le belle statuine e voi a fare la politica, sappiate che rimarremo a casa. Rimarremo a casa se metterete al centro solo le vostre priorità europee, se il programma non guarderà al Mediterraneo davvero riconoscendo pari dignità ai due punti di vista. Solo da questo scarto può consolidarsi un’altra visione, un altro progetto mediterraneo”
Il Festival diffuso sarà uno strumento di prassi civica e un esercizio di democrazia, veicolato non solo dalle parole – i panel di dibattito con europarlamentari, intellettuali e artisti saranno tanti – ma anche dal teatro e dalla musica, la cui direzione artistica è curata da Ascanio Celestini e Fiorella Mannoia.
Tra le tante iniziative – qui il programma completo – la compagnia di Ascanio Celestini e Veronica Cruciani, in collaborazione con i ragazzi della Compagnia “Cantieri Meticci” di Pietro Floridia, organizzerà un laboratorio-cantiere di ricerca sul campo, durante il quale un gruppo di attori farà interviste agli abitanti, sia ai temporanei che ai permanenti.
Sulla linea dei due temi principali del Festival, Migrazioni e Partecipazione e democrazia euro mediterranea, si susseguiranno i panel su econimia e cambiamento climatico, mentre ai laboratori verrà delegata l’importanza del dato empirico, invitando i partecipanti a toccare con mano l’esperienza di chi viene dall’altro mondo. Come nel laboratorio Richiesta d’Asilo, organizzato dal Numero Verde per Rifugiati e richiedenti asilo dell’Arci, la sociologa Katia Scannavini, coadiuvata da n.3 osservatori, condurrà un focus Group su “Rifugiati e Cittadinanza” durante il quale i partecipanti si concentreranno sulle storie di vita di sei rifugiati.
Verrà presentato, inoltre, l’Osservatorio dei Migranti e Rifugiati nella regione del Magreb-Masreck, nato dall’esperienza della terza edizione del Forum Sociale dei Migranti riunitosi a Monastir lo scorso aprile, strumento di monitoraggio ed allerta delle violazioni dei diritti dei migranti e di advocacy verso i governi per una nuova politica migratoria umana, solidale e aperta sul mondo.



Marino: migranti ai Parioli Alfano: no ai 30 curo alle famiglie
Il ministro dell'Interno: sarà bocciata l'ipotesi di rimborso giornaliero per l'accoglienza
Corriere della sera, 26-09-2014
Ernesto Menicucci
Soldi alle famiglie che accolgono i rifugiati politici? No, grazie. A 48 ore di distanza dall'ipotesi circolata nel vertice tra Marino e il sottosegretario agli Interni Domenico Manzione (Pd), arriva la secca smentita di Angelino Alfano, vicepremier e responsabile del Viminale: «Quanto riportato - dice il leader di Ncd - da alcuni giornali circa la "decisione" di corrispondere 3o euro alle famiglie disponibili ad accogliere in casa immigrati adulti o minori, non corrisponde nel modo più assoluto a una decisione assunta dal ministero dell'Interno né tantomeno a una iniziativa in via di attuazione».
Una secchiata d'acqua gelida sull'idea subito fatta propria dal Campidoglio. Alfano insiste: «Vorrei essere chiaro, senza polemiche con il sindaco di Roma: il ministero dell'Interno non tirerà fuori un euro per questo». E, di conseguenza, «ogni ipotesi di lavoro che mi dovesse essere presentata in questo senso, da chiunque provenga, sarà da me certamente bocciata».
Fine delle trasmissioni. Il progetto, mai nato, appare già «abortito». Anche se Marino replica «La possibilità che gli immigrat - è la nota del Campidoglio - possano venire ospitati dalle famiglie che ne facciano richiesti non è una "proposta Marino" bensì una modalità differente d'utilizzare i fondi del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), frutto del lavoro del ministero dell'Interno, discussa al tavolo nazionale immigrazione e già sperimentata in alcune realtà italiane, coordinate da nove Caritas diocesane, tra cui Milano, Savona e Genova». Il sindaco aggiunge: «Non è mia interazione addentrarmi in considerazioni di spettanza del Viminale La mia unica preoccupazione i valutare ogni soluzione per conciliare il disagio di una parte degl abitanti con le storie di disperazione di chi fugge dal proprio paese». Finita? Non ancora. Fonti vicine ad Alfano, infatti, riferiscono la controreplica del ministro: «Queste discussioni mi interessano poco. Io soldi non ne metto». Il «caso», sul piano istituzionale, è completo. E che, alla fine, Allano abbia voluto smentire Marino, Manzione, o tutti e due, oppure che tra Viminale e Campidoglio non si siano capiti (un conto è un progetto affidato alla Caritas, limitato nel tempo e nel numero, per un periodo di «inserimento» sociale; altro è prendere un rifugiato e farlo ospitare ad una famiglia) poco conta. Di sicuro, Alfano è intervenuto anche per mettere a tacere le polemiche alla sua destra. Secondo Fabio Rampelli (Fdi) «con Marino e Renzi l'emergenza diventa routine: Roma e le sue periferie sono il baricentro del disagio».
Marino (che ieri ha avuto un colloquio col prefetto Pecoraro), in ogni caso, insiste. La nuova idea è quella di «portare i rifugiati anche in altri quartieri di Roma: penso ad esempio ai Parioli». Perché, secondo il sindaco, «serve una distribuzione più equa: a Corcolle, ad esempio, ce ne sono 500 sui 7.400 presenti a Roma». Per questo, ultimamente, il sindaco con un'ordinanza ha chiuso due centri in IV Municipio (Tiburtino) e in VI (Tor Bella Monaca). E le periferie? «I problemi di Corcolle per noi sono centrali. Prima abbiamo dovuto tagliare gli sprechi, ma nei prossimi mesi saremo in grado di andare incontro alle esigenze delle periferie».



Chaouki (Pd): "Alfano riconsideri ipotesi 30 euro a famiglie"
"Coinvolgere le famiglie italiane nel percorso di integrazione dei migranti è una pratica di successo gia' sperimentata in diversi comuni italiani e in diversi Paesi europei
stranierininitalia.it, 26-09-14
Roma, 26 settembre 2014 - "Consigliamo al ministro dell'Interno Angelino Alfano di avere piu' prudenza, anche vista l'emergenza, nell'escludere a priori soluzioni utili nella gestione dei profughi da parte dei comuni".
Lo afferma in una nota Khalid Chaouki, deputato Pd e coordinatore intergruppo immigrazione.
"Coinvolgere le famiglie italiane nel percorso di integrazione dei migranti, e in particolare dei minori non accompagnati, e' non solo una buona idea ma - aggiunge - una pratica di successo gia' sperimentata in diversi comuni italiani e in diversi Paesi europei.
Riteniamo che aprire alle famiglie e coinvolgerle in questa difficile sfida che si presenta rappresenti davvero un valore aggiunto e non opportunita' da escludere a priori".

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SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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