Se la scuola diventa laboratorio di dis-integrazione
Unità del 16 giugno 2009
Allo stato attuale delle politiche per l’immigrazione, gravemente carenti sotto tutti gli aspetti, il più efficace strumento “spontaneo” di integrazione è rappresentato dalla scuola pubblica. Oggi, la frequentano oltre 600.000 minori stranieri (più del 7% nella scuola dell’obbligo). In quest’ambito di sostanziale convivenza pacifica si sono verificati recentemente alcuni fatti preoccupanti. A Padova in una scuola è stata diramata una circolare in cui si chiedeva agli studenti stranieri delle quinte di presentare il permesso di soggiorno (al fine di poter sostenere l’esame di maturità). A Genova una preside si è presentata in tutte le classi e ha scritto alla lavagna i nomi di chi avrebbe raggiunto la maggiore età nel corso dell’anno senza aver chiarito la propria posizione giuridica. Ed è di qualche giorno fa la notizia di una ragazza sprovvista del codice fiscale che temeva di non poter sostenere l’esame (cosa poi smentita dal ministro). Infine, a Milano, i figli di genitori irregolari non potranno partecipare ai campi estivi promossi dal comune. In ogni caso, a settembre, i problemi saranno più ingarbugliati. E i rischi di discriminazione o, comunque, di rallentamento dei processi di integrazione, se non di abbandono scolastico vero e proprio, saranno ancora maggiori. Infatti, come scrive tecnichedellascuola.it, “in base alle nuove regole il dirigente scolastico sarà tenuto a chiedere copia del permesso di soggiorno”: in mancanza di esso, “l’iscrizione verrebbe comunque accettata ma il dirigente dovrà segnalare i genitori all’autorità di pubblica sicurezza”. O meglio: così dovrebbe essere. Ma una simile scelta sarebbe così irresponsabile da indurci a sperare nel recupero di un po’di buon senso. E di sale in zucca.
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