Anche nello sport la cittadinanza ha un carattere escludente

Italia-razzismo
Il 25 luglio cominceranno le Olimpiadi di Londra a cui l’Italia si presenterà con 292 atleti, 53 in meno di Pechino 2008. Questa diminuzione non si è riscontrata nel numero di sportivi italiani naturalizzati che rimane, come ai giochi cinesi, di 24. Ovvero 24 persone non più straniere ma oramai italiane.

Si tratta, però, di un numero sottostimato perché in quei 24 sono inclusi solo i nati all’estero che hanno ottenuto la cittadinanza italiana per residenza o per matrimonio. Diverso il calcolo che era stato fatto in occasione degli ultimi europei di atletica, quando il 18% della squadra italiana risultava formata da atleti di origine straniera, proprio perché non si operava alcuna distinzione tra i nati in Italia o all’estero. A questi giochi chi è diventato cittadino a 18 anni (e dopo aver presentato la richiesta non oltre il compimento dei 19 anni), rientra tra gli atleti da sempre italiani.
Non si vuole qui polemizzare, ma di certo una simile distinzione non fa emergere il rischio a cui questi atleti vanno incontro: non poter gareggiare in rappresentanza dell’Italia se, tra i 18 e i 19 anni, non riescono a ottenere la cittadinanza. E questo, si sa, non è un passaggio facile o che si possa dare per scontato. Insomma anche nello sport, come in altri ambiti, la cittadinanza assume un significato escludente, e chi non ne è in possesso si vede precludere molte possibilità. Ma non è questo l’unico aspetto discriminante che si riscontra nello sport, come si legge nel bel libro di Mauro Valeri, Stare ai giochi. Olimpiadi tra discriminazioni e inclusioni (Odradek Edizioni, 2012). Valeri, sociologo e direttore dell’Osservatorio su sport e razzismo, esamina addirittura cinque tipi di discriminazione, quanti sono i cerchi olimpici. Si tratta della discriminazione di genere, di quella razziale, di quella verso le persone con disabilità, di quella nei confronti delle persone transessuali e intersessuali e di quella religiosa. La sua è un’analisi condotta attraverso la ricostruzione delle biografie di quanti, in ambito olimpico, sono stati esclusi o penalizzati per uno dei cinque motivi sopra indicati. Ma racconta anche di come lo sport diventi terreno di dibattito proprio su quelle cinque questioni. Basti pensare al connubio tra Islam e Olimpiadi, e nello specifico a come faranno gli atleti musulmani a partecipare ai giochi se, per una settimana, gare e Ramadan (che prevede l’astensione, dall’alba al tramonto, dal mangiare e dal bere) coincideranno. A Londra saranno presenti 3.000 atleti musulmani, e, nonostante il digiuno possa essere rinviato, sono molti quelli che hanno dichiarato di volerlo rispettare. Il Comitato Olimpico Internazionale, come si legge nel libro di Valeri,  cerca di affrontare il tema religioso solo nelle sue implicazioni pratiche, mantenendo la religione “fuori dai giochi”. Invece molte delle richieste a cui deve far fronte sono rivendicazioni che riguardano l’identità culturale della persona. Speriamo che le Olimpiadi di Londra potranno essere anche un’occasione di confronto sul vasto e complesso tema dell’integrazione.
l'Unità, 19-07-2012

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