Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 aprile 2015

Migranti, a Rodi un’altra tragedia si ribalta il barcone, 200 a bordo “Un milione di profughi in arrivo”
Drammatico naufragio in Grecia: 80 salvati, tra i cadaveri anche un bimbo Allarme sui nuovi sbarchi. Ieri soccorsi sei gommoni con 600 persone
la Repubblica, 21-04-2015
ROMA . Un puntino in mezzo al mare. Lo si vede da lontano, in balia delle onde, mentre si avvicina. Se ne distingue appena la sagoma. L’unica cosa che si scorge, nitidamente, è che là sopra sono tanti, tanti davvero (200 circa diranno qualche ora più tardi i testimoni alle autorità greche). Così tanti da rendere assai precario l’equilibrio del barcone che, infatti, in un istante, si capovolge: troppo pesante, lo scafo urta contro gli scogli. Gettando i corpi a mare.
E la tragedia è in diretta, filmata con il cellulare da turisti e residenti. Lì, a poche bracciate dalla costa di Rodi, hanno perso la vita un bambino, un uomo e una donna, mentre 80 sono stati tratti in salvo e gli uomini dei soccorsi sono ancora al lavoro per cercare i dispersi. Decine e decine di persone in mare, disperate, hanno cercato di trovare un appiglio che permettesse loro di galleggiare e di raggiungere la riva. È scattata subito una catena umana e diversi uomini si sono tuffati nell’acqua gelida per andare incontro ai superstiti e trascinarli a fatica verso la riva non sabbiosa ma irta di scogli taglienti. Secondo la Guardia costiera, il barcone era partito dalle coste della vicina Turchia ma gli scafisti lo hanno abbandonato quando ancora si trovava al largo dell’isola di Rodi, lasciandolo a destino che, con quel peso e quella costa, era scritto. Molti dei migranti a bordo, che secondo le autorità sarebbero per lo più di origine siriana, potrebbero aver raggiunto terra incolumi ed essersi poi nascosti.
Immagini di una tragedia che ogni giorno si fa più cruenta e di un bollettino che fa rabbrividire. Ieri, 638 migranti sono stati soccorsi, da imbarcazioni italiane, mentre navigavano nel Canale di Sicilia.
Erano a bordo di sei gommoni in difficoltà che hanno lanciato l’sos all’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, Oim. Un’emergenza che non accenna a diminuire. Ieri il procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia, nel corso della conferenza stampa di presentazione di un’operazione contro la tratta di immigrati, ha detto che in Libia «ci sono tra 500 mila e un milione di persone pronte a partire per l’Italia: sono siriani, eritrei, etiopi pronti a pagare, come hanno fatto tutti gli altri prima di loro, complessivamente seimila o seimilacinquecento dollari a testa per abbandonare i loro Paesi». Numeri che non lasciano molti dubbi: è solo all’inizio.
 
 
 
ERRI DE LUCA • «Lampedusa capitale d`Europa»
«Non li ferma neanche la pena di morte»
Giuseppe Acconcia
il manifesto, 21-04-2015
Abbiamo parlato della strage nel Canale di Sicilia con Erri De Luca, autore di «Solo andata», raccolta di poesie sul protagonismo e sull`umanità dei profughi che tentano di traversare il Mediterraneo. 
Qual è la sua reazione alla notizia così triste di centinaia di morti nel Mediterraneo? 
Bisogna arrendersi all`evidenza che i flussi migratori non sono regolabili. Non si possono mettae mutande di sicurezza all`Europa. Non ci sono riusciti gli Stati uniti con il Messico nonostante si trattasse di un confine di terra più controllabile del nostro. Il risultato è che gli anglosassoni non sono più la maggioranza negli Stati uniti. E questo non ha fatto che bene agli Usa che prosperano; il presidente Obama ha regolarizzato milioni di migranti. 
Anche l`Italia dovrebbe imparare ad accogliere i migranti anziché tentare di respingerli con leggi restrittive che alimentano l`Immigrazione clandestina? 
I flussi non possono essere regolati. I migranti sono un`energia potentissima per il paese che li accoglie. Ma bisogna fare un passo in più. Il Me, diterraneo è dilaniato da guerre nella sponda Sud. Il movente che spinge il profugo a migrare è più forte dei viaggiatori che lo hanno preceduto. 
Chi ha la casa in fiamme accetta di buttarsi nel vuoto. È come se si buttassero dalle finestre in mare. Uno dei superstiti ha dichiarato ieri che quando è arrivato sul bordo del mare e ha visto il relitto che lo avrebbe trasportato non ha avuto altra scelta che montare a bordo. Questo è un fenomeno rispetto al quale nessun ostacolo sarebbe sufficiente. Eppure si invocano blocchi navali e attacchi aerei mirati... Chi invoca le reazioni peggiori, tra cui molti politici che sono stati al potere in questi anni, le ha già provate tutte da respingimenti in mare ai divieti per i pescatori di salvare i profughi. Ma non capiscono che neanche la pena di morte sarebbe un deterrente sufficiente...? L`accoglienza non è un atto di bontà ma ha un tornaconto economico. 
I veri eroi di queste ore sono forse gli abitanti di Lampedusa? 
Lo scoglio di Punta Sottile non è il Sud di niente: è la capitale del Mediterraneo. Vedendo questi viaggiatori in estrema urgenza, gli abitanti di Lampedusa praticano tutte e sette le opere di misericordia dal vestire gli ignudi a dare sepoltura ai morti. Lampedusa è il nostro ambasciatore nel Mediterraneo. Loro sono la nostra guida nell`azione. Tanto che il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, dovrebbe essere nominata Commissario europeo per l`immigrazione. 
Ogni profugo ha poi la sua storia straziante alle spalle... 
In Libia i politici italiani hanno tentato di differire le partenze, di distribuire i flussi migratori costringendo i migranti nelle peggiori condizioni. Sono poi migliaia i profughi siriani che non possono certo essere assorbiti dalla sola Turchia...L`unica misura possibile è stabilire diritti di asilo nei posti più vicini ai loro bisogni, senza far ingrassare i trafficanti di corpi umani: una delle merci più redditizie da trafficare. Sarebbe utile creare centri di smistamento nei luoghi più vicini a loro per la prima accoglienza. Intendiamoci bene, per motivi umanitari non campi di quarantena. 
In che senso i profughi sono merce redditizia? 
Grazie al proibizionismo (Bossi-Fini, ecc. ndr), viaggiavano meglio gli schiavi afro-americani perché venivano pagati alla consegna. I corpi umani di adesso sono pagati alla partenza e non importa se vengono consegnati. 
La fine di Mare Nostrum ha aumentato le vittime dei naufragi? 
Mare Nostrum era l`unica politica ragionevole. Triton è insufficiente. Bisogna poi sospendere il Trattato di Dublino secondo il quale chi viene riconosciuto nel paese di approdo deve rimanere lì. Le autorità vengono costrette spesso ad aggiralo non identificando il profugo. Nell`assenza di Mare Nostrum sono nate tante iniziative private, come Moas, per il pattugliamento delle coste maltesi e libiche. Il magnate Christopher Catrambone vi ha preso parte e con il suo yacht ha salvato da solo oltre 3 mila migranti. 
Cosa dovrebbe fare invece l`Unione europea? 
L`Europa assorbe una grande quota di migranti. Il fronte principale di ingresso non è il mare ma le frontiere di terra. E così per fermarli ora cercano di costruire un muro tra Bulgaria e Turchia di 160 km. L`Europa dovrebbe delegare all`Italia compiti come Mare Nostrum a fronte dei giusti investimenti per gestire il flusso straordinario di profughi.
 
 
 
Quelle mani tese sulla zattera dei disperati a un metro da terra
la Repubblica,21-04-2015
GAD LERNER
SONO QUASI arrivati, hanno visto morire i loro compagni, il terrore è quel mare che continua a frustarli anche adesso che la riva è li, a pochi metri. Sono gli uomini nuovi che stanno cambiando non solo la storia ma anche la geografia del Mediterraneo. Molti di loro non avevano mai visto prima il mare. Lo temono. Non sanno nuotare. Basta uno spruzzo a spaventarli. Fra gli scogli della spiaggia di Zephiros, a Rodi, i soccorritori gli urlano di mollare quelle inutili assi di legno in cui s`è frantumato il barcone e di muovere finalmente i pochi passi che mancano per raggiungere la terraferma. Ma la schiuma delle onde li paralizza. Sono poco più di una dozzina, un paio di loro indossa un giubbotto salvagente ma è come se fossero nudi. Il video sembra restituire l`immagine della "Zattera della Medusa" di Géricault. Nel filmato, confuse dal frangersi delle onde sugli scogli, si sentono le parole di un soccorritore, si vedono le sue mani tese, un gesto di incoraggiamento: «Venite, venite...». Pochi metri ma per quell`umanità un abisso. Si lasciano scivolare di qualche centimetro, si fermano, tornano indietro, puntano disperatamente i piedi su una superficie che non li trattiene e li fa precipitare di nuovo verso l`acqua. Attorno a loro galleggiano pezzi di plastica, una maglietta, inutili salvagenti. Bisogna raccoglierli uno a uno, frantumi anch`essi di un moto d`umanità impossibilitato a fermarsi. La paura ce l`hanno dentro da troppo tempo, da vite intere, perché possa bastare l`incognita visione del mare ad arrestarli. Sono denutriti e disidratati, ma hanno unghie forti. Si aggrappano e non mollano la presa. 
Papa Francesco, che riveste l`incarico di parlare a tutti noi dubbiosi, ha sentito il bisogno di precisarlo perché sa che, in cuor nostro, non è affatto scontato: «Sono uomini e donne come noi». Davvero? Quegli scheletri dalla pelle scura che per secoli il senso comune relegava alla condizione di selvaggi, sul bordo del regno animale, saranno i nostrinuovivicini di casa? Francesco osadi più. Li definisce «nostri fratelli». Cercatori di felicità. Adire il vero quelli che arrivano in Grecia, allargando il fronte dell`esodo da ovest a est, dalla Libia alla Turchia come basi di partenza, hanno più spesso la carnagione olivastra dei mediorientali: da sola la guerra siriana ha prodotto più di quattro milioni di profughi, fra i quali intere famiglie della classe media in grado di gonfiare coi loro risparmi le ta- sche dei trafficanti. Niente di più ragionevole, per loro, che tentare l`azzardo di una traversata. Se anche le più efficienti flotte militari dell`emisfero nord, schierate a raggiera lungo l`intera sponda meridionale del Mediterraneo, si prefiggessero lo scopo di arrestarne il flusso con un blocco navale, così moltiplicando il numero dei morti senza nome, resterebbe impossibile fermarli. 
Stanno arrivando, inermi e con intenzioni pacifiche, nei luoghi delle nostre vacanze estive. L`ecatombe in corso non basterà a sbarazzarcene. La soluzione-tampone di sparare agli scafisti, ipotizzata già quindici anni fa quando partivano dall`Albania e traversavano l`Adriatico, non corrisponde alla dimensione epocale del rivolgimento planetario in corso. Nel suo linguaggio semplice, è stato sempre Francesco, pochi giorni fa, ricordando gli eventi del 1915, a parlare di genocidio. Ebbene, l`Europa contemporanea, afflitta dal rapido impoverimento dei suoi paesi rivieraschi, si trova di nuovo a fronteggiare la possibilità di un genocidio, come dimostrano le cifre dei morti e gli sguardi dei sopravvissuti. 
Chi scampa alla traversata, chi viene raccolto in mezzo al mare dai mercantili e dalle motovedette, reca a noi questa inoppugnabile testimonianza. Poco importa che si siano ammassati a bordo dei gommoni e dei pescherecci di loro spontanea volontà, dopo essersi svuotati le tasche. La loro condizione umana è in tutto e per tutto simile a quella dei deportati nel cuore dell`Europa settanta anni fa, stipati su carri merci blindati. Identico è l`andare verso l`ignoto, denudati, separati a casaccio dai familiari, umiliati come sottouomini. L`unica differenza è che sta diventando impossibile fingere di non vederli. Non un vescovo, ma una donna laica come Emma Bonino, lo ha detto ieri: l`Europa che ha innalzato il suo "mai più" dopo aver sopportato l`orrore dei forni crematori, finora non ha fatto nulla per impedire l`orrore dei forni liquidi. Pur disponendo di tutte le tecnologie e i mezzi tecnici necessari a monitorare i lager di raccolta dei profughi, i porti di partenza dei barconi e le loro rotte di navigazione, l`Ue con Triton ha dato ordine ai suoi militari di limitarsi al presidio della cosiddetta area Schengen: azione circoscritta non oltre i 30 chilometri dalle nostre coste. Una decisione subita con imbarazzo dalla Marina Militare italiana, tanto più che dal Viminale veniva giustificata asserendo che i 9 milioni al mese di Mare Nostrum - 300mila euro al giorno - sarebbero una cifra eccessiva. 
Così siamo giunti alla situazione odierna. Il cinismo dei governanti e l`indifferenza delle opinioni pubbliche si sono confermati palliativi inefficaci di un`Unione Europea rattrappita in una visione miope dei suoi interessi. Ancora oggi i responsabili politici esitano a utilizzare una parola che loro stessi hanno contribuito a rendere impopolare: accoglienza. La bontà e la cattiveria qui non c`entrano un ficosecco. Si tratta di gestire con realismo un flusso migratorio provocato da guerre sfuggite al nostro controllo, cercando di prevenire la saldatura ( in parte già avvenuta) fra i trafficanti che monopolizzano la navigazione marittima e i jihadisti che presidiano porzioni crescenti di terraferma.  Eppure ce n`erano, di opportunità d`azione tempestiva. Istituire presidi per l`identificazione e lo smistamento dei profughi già nei loro primi luoghi di transito. Condividere tra gli Stati membri l`accoglimento delle richieste d`asilo, in deroga agli accordi di Dublino. Garantire un servizio di traghetti e voli charter. Forse si fa ancora in tempo. 
Poveri europei messi al cospetto di una povertà assoluta. Trascinati in una sorta di guerra del mare che miete vittime a migliaia e che invano si vorrebbe poter ignorare. Però loro arrivano, e quando ci protendono le braccia da una zattera in mezzo a quel mare non c`è altro gesto d`umanità possibile che protendere verso di loro le nostre braccia. Non c`è altra salvezza che una salvezza comune. Trasformando i sommersi in salvati.
 
 
 
Il naufragio dell'Occidente
la Repubblica, 21-04-2015
EZIO MAURO
C'è tutta la sproporzione del mondo in cui viviamo, tutto il peso delle disuguaglianze che sopportiamo e pratichiamo, nella corsa di centinaia di migranti sul lato del peschereccio egiziano, per protendersi verso le luci del mercantile che si sta avvicinando a mezzanotte. Fino a far inclinare il barcone con la forza della disperazione e della speranza che diventano la stessa cosa: per poi rovesciarlo nel naufragio che condanna alla morte certa i profughi trasformati in prigionieri nelle stive chiuse a chiave dai trafficanti di schiavi.
Qualcosa di fisico e di metafisico insieme, come nei vecchi dipinti, nei racconti dei mercanti di uomini. Dobbiamo soltanto immaginare questa morte senza testimonianza e senza racconto, nell'era in cui tutto è rappresentazione. Noi che pensiamo che la sicurezza dipenda solo dalla sorveglianza e si realizzi soltanto con l'esclusione e la separazione, tenendo gli scarti umani a distanza, scopriamo che la distanza non ci protegge. Perché il numero dei morti la supera, e la annulla. Quel che non vogliamo vedere, lo dobbiamo contare e il saldo è la più grande tragedia di mare del secolo, a 180 miglia da Lampedusa, Europa.
È la rotta verso l'Europa che ci interpella e svela la contraddizione tra ciò che vorremmo essere e ciò che siamo. Quei 900 morti annegati nel Mediterraneo erano partiti dal Centro Africa puntando verso la costa di un'Europa che non conoscevano ma che inseguivano come una promessa di futuro, una sponda di sopravvivenza dove appoggiare il destino dei loro figli.
Così ci vede la parte più disperata del mondo: la terra della libertà e del lavoro. Noi potremmo tradurre: della civiltà dei diritti e del diritto, della democrazia e della dignità delle persone, se fossimo consapevoli di noi stessi e degli obblighi che nascono da questa responsabilità.
Non lo siamo. L'Europa vive la tragedia del Mediterraneo come una crisi regionale meridionale, equipara nei numeri i flussi di migranti dall'Est europeo a quelli che vengono dall'inferno delle guerre e rischiano ogni ora la morte sui traghetti della disperazione.
L'Italia sperimenta nel suo piccolo il dramma intero dell'epoca, con il governo nazionale costretto a fronteggiare una crisi di dimensioni globali. I politicanti più miserabili lucrano su questa impotenza strutturale della politica per desertificarla lasciando campo libero alle paure individuali di un mondo ignoto e fuori controllo, paure che non trovano più risposte pubbliche e collettive.
È come se si fosse rotto il cuore della civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri, i codici del mare, la storia del Mediterraneo. Il risultato è una scissione: tra la sicurezza e la responsabilità, tra la politica e la morale, tra la legge e l'umanità, tra l'Europa e le sue parti. Soprattutto, tra i vincenti e i perdenti della globalizzazione, potremmo dire tra i ricchi e i poveri del mondo, che hanno perso il nesso da cui prendeva forma quel libero vincolo reciproco e comune chiamato società.
Una contraddizione capitale per l'Europa, davanti alla sua storia e al significato della sua civiltà. L'Italia, e persino la sinistra, hanno un'occasione enorme per pretendere che l'Europa restituisca una legittimità morale ad una sua politica che non può essere fatta soltanto di vincoli ciechi e di parametri ottusi, coniugando sicurezza e umanità: cominciando noi, intanto, con un'azione responsabile
di soccorso di fronte all'emergenza. Per poi chiedere che la crisi del Mediterraneo diventi un problema di coscienza dell'Occidente, se vuole rispondere ai suoi doveri e alle nuove paure continuando ad essere la terra della democrazia dei diritti e della democrazia delle istituzioni.
 
 
 
Il naufragio dei valori europei
La Stampa, 21-04-2015
Bill Emmott
Può sembrare spietato descrivere la tragedia del barcone dei migranti come simbolica, dal momento che i corpi e le morti sono così reali. Tuttavia, a questo britannico filo-europeo, appare emblematica del modo in cui il vagheggiato approccio unitario e collettivo dell’Unione europea si sta traducendo in divisione, disillusione, risentimento e nel gioco dello scaricabarile.  
Oltre queste divisioni, la trasformazione del Mediterraneo in un cimitero è anche un simbolo di impotenza, del fallimento dell’economia più grande del mondo, di un gruppo di Paesi tra i più ricchi e avanzati a livello globale ad agire con successo o almeno in modo efficace davanti all’instabilità e all’afflusso dei rifugiati nei propri territori. 
Ma è anche un simbolo di ignoranza e mancanza di consapevolezza della visione d’insieme.  
Tutti i Paesi dell’Ue hanno le proprie battaglie politiche nazionali sull’immigrazione. Così ognuno di essi sembra credere che la sua battaglia, i suoi problemi siano unici per difficoltà e gravità. Questo fornisce una scusa per ignorare i problemi degli altri e incolparli di non dare loro nessun aiuto. 
Per citare alcuni esempi: la Germania è il Paese dell’Ue - in realtà, del mondo sviluppato - che raccoglie il maggior numero di rifugiati. Più di 100 mila si stabiliscono ogni anno in Germania. Questo ha provocato manifestazioni di piazza contro l’immigrazione. La Svezia riceve il maggior numero di rifugiati in proporzione alla sua popolazione (più di 80 mila l’anno scorso). Questo ha rafforzato il voto per il partito di destra dei Democratici svedesi alle elezioni generali dello scorso anno. 
La Francia ha la popolazione musulmana più ampia dell’Unione europea e la paura o la rabbia per questo stato di cose danno impulso al Fronte Nazionale di Marine Le Pen. La Gran Bretagna ha registrato il più rapido aumento della popolazione tra i maggiori Paesi dell’Ue, grazie soprattutto all’immigrazione, e se ne avvantaggia l’UK Independence Party di Nigel Farage (anche se le cose non sembrano mettersi bene per lui alle elezioni del 7 maggio). E l’Italia e Malta sono in prima linea davanti al flusso di migranti attraverso il Mediterraneo, soprattutto dalla Libia, e si sentono particolarmente sotto assedio. 
Tutto ciò dovrebbe suggerirci che nessuno è colpevole, ma tutti noi condividiamo la stessa, o una simile, serie di problemi: come regolare l’immigrazione clandestina, quanti rifugiati accogliere, come trovare il modo di integrare chi resta nella società, come affrontare i costi pubblici di questa integrazione, come affrontare le rimostranze dei cittadini che temono che i migranti stiano sottraendo loro il denaro o il lavoro. 
Ecco perché è una follia non avere un approccio pienamente europeo, che tenga insieme tutti gli aspetti della questione migratoria, soprattutto ora che si stanno intensificando i flussi migratori dal Nord Africa e dal Medio Oriente. 
Invece, gli europei stanno collaborando solo su singole problematiche e questo in genere significa troppi pochi soldi e troppa poca energia, come dimostrano Mare Nostrum e il suo successore Triton, e sempre maggior divisione. 
Una collaborazione più piena e coerente dovrebbe unire i temi dei controlli di polizia, del trattamento, dell’integrazione e della persuasione sotto lo stesso tetto, in modo che tutti i Paesi della Ue possano prendervi parte e scambiare informazioni ed esperienze. 
Siamo capaci di cooperare e coordinarci quando inviamo le nostre marine a combattere i pirati nell’Oceano Indiano, quindi perché non possiamo fare lo stesso nel nostro mare, il Mediterraneo, e ai nostri confini orientali attraversati dai rifugiati siriani? Potremmo, ma per rendere la decisione politicamente praticabile avremmo bisogno di un approccio condiviso per decidere quali migranti possano restare e dove possano essere autorizzati ad andare. 
Poi abbiamo bisogno di approcci condivisi su come integrare gli immigrati, che nell’immediato significa un approccio comunitario sui costi del welfare e sui diritti. Che renderebbe più facile convincere il pubblico in tutti i nostri Paesi che ciò che sta accadendo è giusto, riducendo la diffidenza e gli scaricabarile. 
Eppure, come l’ultima tragedia ha dimostrato, siamo lontani, molto lontani da questo punto. I valori europei stanno affondando. 
Traduzione di Carla Reschia  
 
 
 
Denaro, la tratta da seguire
Avvenire, 21-04-2015
Vincezo R. Spagnolo
Cifre, non esseri umani. Dollari ed euro sonanti da incassare per ogni uomo, donna o bambino stipato su gommoni malandati. Questo rappresentavano i migranti per i trafficanti senza scrupoli della rete internazionale smantellata ieri dalla Polizia e dalla procura di Palermo nell’inchiesta "Glauco II". Uno dei due boss indagati, al telefono, era compiaciuto della propria abilità: «Sono davvero stressato, tutta colpa del lavoro... Quest’anno ne ho fatti partire 7mila, forse 8mila...». E giù una grassa risata. Un solo barcone poteva fruttare un milione di euro. E se i "passeggeri" erano troppi e il barcone affondava? «Inshallah», osservava cinico un altro boss.
Loro pensavano solo ai profitti, con l’ambizione di investirli in Stati sicuri, come «in America o in Canada» dove «non ti chiedono la provenienza dei soldi». Come si fa a contrastare bande che operano in mezzo mondo? Arrestandone i componenti, è chiaro. Ma occorrono rogatorie internazionali, che avranno buon esito solo se gli Stati esteri da dove quei criminali si trovano (dalla Somalia all’Eritrea, dall’Egitto alla Turchia) dispongono di magistrati e forze di polizia efficienti e collaborative. Non a caso, i due boss di cui sopra sono rimasti a piede libero: operano dalla Libia, dove il tracollo delle istituzioni favorisce la loro impunità. Perciò, intanto, forse è opportuno colpire gli scafisti-schiavisti nel portafoglio, tallone d’Achille d’ogni criminale. «Seguite i picciuli», ossia il denaro, raccomandava Giovanni Falcone nella versione sicula del più noto follow the money.
Ed è ciò che, oltre agli arresti, i magistrati e i poliziotti di Palermo hanno fatto, rispolverando norme dimenticate e ricostruendo la filiera dei profitti che viaggiano via money transfer o con l’hawala, sistema informale di "prestito ad personam" usato anche (coincidenza inquietante) dal terrorismo jihadista.
E una volta trovati i profitti della tratta, cosa si può fare? Se sono depositati in banche occidentali o di Paesi "amici", la Ue dovrebbe chiedere, con la pressione che solo il "governo" di 28 Stati può esercitare, di poterli far sequestrare e confiscare, come avviene per i beni delle mafie. Se l’unica ragione di lavoro dei trafficanti di esseri umani è il denaro sporco che lucrano ogni giorno, toglierglielo di mano li farà smettere di ridere.
 
 
 
IL DOVERE DI AGIRE PER SALVARE I PROFUGHI 
Corriere della sera, 21-04-2015
Mauro Magatti
Questa volta la politica non può autoassolversi. Sono almeno dieci anni che i barconi solcano il Mediterraneo. E da settimane si sapeva dell`esistenza di condizioni adatte ad un afflusso straordinario di migranti. Il disastro era annunciato. E ciò nonostante nessuno ha mosso un dito. Per quanto sia incredibile, fino a domenica i vertici della Ue hanno continuato a ripetere che la questione non li riguardava. Anche i ripetuti appelli di papa Francesco sono caduti nel vuoto. 
Chi è morto in mare ormai non potrà vedere restituita la propria vita. Per la loro sorte, l`Europa intera è colpevole di ignavia. Adesso, è per le decine di migliaia che premono sulle coste libiche che occorre agire. Oltre che per la nostra dignità. 
E dovere umanitario salvare chi sta per annegare in mare. Ma, al punto in cui siamo, non si tratta più solo di questo. Non basta la generosità per affrontare la crisi. Occorre un`azione politica. 
Ma la politica dov`è? 
Sta dove ormai da troppo tempo si è ritirata: lontana dai fatti veri e troppo appresso agli umori della opinione pubblica. Non è ingeneroso dire che, in questi anni, i leader europei, nazionali e locali hanno trattato la questione nel modo in cui sono usi fare con qualunque altro problema: tema rilevante se e solo se ha effetti sul consenso (immediato). Così, le destre a cavalcare spudoratamente la paura e il fastidio dei tanti che si sentono minacciati da quanto sta accadendo. E la sinistra ad accontentarsi di dichiarazioni generose in tema di accoglienza e solidarietà, salvo poi nei fatti correre dietro alle destre per non perdere voti. Come è accaduto nei giorni scorsi con la rivolta dei candidati pd alle Regionali. Tutto secondo copione. Nella sostanza, una politica miope e impotente, incapace di prendere l`iniziativa anticipando i problemi così da evitare le conseguenze peggiori. Senza capire che la ricerca del consenso a breve termine finisce per essere la causa della inazione e, per questa via, della perdita di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni: dato che non risolve i problemi, che ce ne facciamo della politica, del governo, della Ue? 
Da 48 ore la politica europea sembra avere avuto un sussulto. Prendiamolo per buono. Anche se è difficile scacciare il sospetto è che, passata l`emozione, tutto torni come prima; coni veti incrociati tra destra e sinistra e tra Paesi del Sud e del Nord Europa. 
È chiaro però che, di fronte al quadro che si è creato (oltre ai rivolgimenti che investono vaste aree del mondo islamico, lo spappolamento di interi Paesi: in primis, la Siria e la Libia), senza una assunzione di responsabilità politica, nazionale e internazionale, si rimarrà incastrati nel dilemma inaccettabile tra buttare a mare i profughi o aprire indiscriminatamente l`accoglienza. Dove tutti perdono: i migranti che muoiono e le democrazie che si consumano. 
Nel dibattito che vedrà impegnate le istituzioni europee nei prossimi giorni è bene fissare alcuni paletti. In primo luogo, l`emergenza va gestita in rapporto alla strategia di medio termine che si vuole perseguire. Non si dimentichi che affrontare la questione dei migranti vuol dire decidere le basi del nostro futuro. E da questa vicenda che passa la chiave dei rapporti che avremo con il Nord Africa, il Medio Oriente e l`Islam moderato. Perché quello che l`Europa sarà nella mente dei popoli islamici - e viceversa - dipenderà dall`intelligenza con cui sapremo affrontare le questioni che si nascondono dietro i tanti volti spaventati dei barconi. 
In secondo luogo, al punto in cui siamo, occorre decidersi ad intervenire sia sulle coste libiche sia negli scenari dove la guerra - in specie civile - è più forte. Certo, è necessario determinare come, chi e con quali mezzi e obiettivi. Ma non si può più eludere la questione. 
Infine, non ci si nasconda dietro un dito: l`ultima cosa che manca, in questo momento, sono i soldi che vengono immessi in grandi quantità da Fed e Bce nei circuiti finanziari. Per le risorse, basterebbe creare un canale di finanziamento ad hoc sotto diretto controllo dalla Commissione europea. A mancare è la visione politica del problema, cioè la capacità di prospettare all`opinione pubblica una soluzione dignitosa e che stia in piedi. 
Nel suo stile, di fronte all`urgenza, Renzi ha usato parole opportune. Ma la questione è intricata e occorrerà lavorare duramente e a lungo per costruire le condizioni politiche adatte per tracciare una via d`uscita. Si muova con la stessa determinazione che ha dimostrato su altri temi elettoralmente più remunerativi. Le elezioni sono tra tre anni. Non ci sono alibi: per l`Italia e per l`Europa la possibilità di esistere politicamente incrocia oggi il destino dei profughi in mare.
 
 
 
“Terrore, morte e schiavitù: ecco da cosa scappiamo”
Nel racconto dei migranti che ce l’hanno fatta ad arrivare in Europa le immagini di una violenza che non lascia alternativa. “Nel mio Paese ero uno schiavo, fin da bambino, arruolato a spaccare pietre. Ora almeno sono vivo”. “Qui possiamo sperare”
La Stampa, 21-04-2015
Domenico Quirico
inviato a catania
Sul molo dieci, al porto, l’unica voce che voglio sentire è quella di un pescatore che vicino alle barche dai dolci nomi di donna, «Paola», «Maria Lucia», guarda la folla dei giornalisti e delle televisioni, le autorità, i soccorritori, che preparano l’arrivo della nave che trasporta i pochi superstiti della tragedia dei migranti. Parla sottovoce, riflessivamente, con quella discrezione che è propria dei marinai; la cautela, quasi il timore, di guastare col pensiero qualcosa che è accaduto e che dipende da elementi tanto incerti, il mare. 
Qui, al riparo del molo, non è inospitale, nemico e intrattabile come quello che ha ucciso, continuamente all’assalto della terra, lava perennemente il cemento che regge sicuro l’approdo. 
«In mare tutto è matematico, se carichi troppo la barca o sposti il peso ecco che affonda… Non si può barare con il mare».  
Via da qui, dunque, via dallo striscione «mai più naufragi», dalle scritte in tre lingue, atrocemente beffarde, che augurano «benvenuti a Catania». Come posso qui, su questo molo, nel vuoto dei morti, spiegare perché i migranti partono e vengono da noi; e perché muoiono. La domanda, l’unica domanda. 
Bisogna aprire, anche in me, un sepolcro da gran tempo murato. Io che pure ho accompagnato il loro viaggio, ma per scrivere un articolo e ora mi sembra bestemmia, devo buttarmi con avidità nella loro coscienza, nella parte che sta fitta nella loro carne come una spina: partire. Fino a diventare per tutto il resto ciechi e sordi. Rivedere questi uomini che si muovono, parlano, hanno rapporti, storia drammi, la vitalità, la forza, l’istinto è come ritrovare la vita del creato, degli animali e dei pesci. Bisognerebbe per capire raccontare tutto il dolore del mondo, un mondo di sconfitti a cui stiamo attenti come a una epidemia. Mentre nasconde l’unico vero tesoro. 
Ho chiesto ieri a un ragazzo nigeriano, uno che ha fatto il viaggio dalla Libia sulle barche della morte, davanti al campo siciliano di accoglienza che da due anni è la sua casa, se qualche volta aveva rimpianto: sarebbe rimasto a Benin City se avesse saputo ciò che lo aspettava nel viaggio e poi in Europa? Ma poi mi sono accorto che erano pensieri simili al vento, non si condensavano in lacrime né in disperazione perché una cosa non era possibile senza l’altra e quindi neanche l’altra è più ammissibile. Non si poteva restare, non possono restare. Nulla sta fermo, né noi né gli altri. Tutto ciò che restava nel magnifico pomeriggio siciliano nella pianura di Mineo, tra gli ulivi di un verde arrogante, era la malinconia, la malinconia che l’uomo sente per tutto ciò che passa. Ed egli è l’unico essere che lo sa, come pure sa che questo è un conforto anche se non lo comprende. 
Per capire è meglio lasciare Catania, la Catania del dolore ufficiale e pubblico, e andare proprio verso Mineo, sulla strada di Caltagirone e di Gela, dove è il più grande centro di accoglienza d’Europa, 3500 ospiti. Perché quella è davvero la destinazione finale del viaggio, non il molo delle autorità e delle telecamere. Mineo dove andranno magari già oggi i sopravvissuti e sarebbero entrati i novecento che invece sono rimasti laggiù, nel mare. 
Lungo la strada, ancora lontani dal campo, file di prostitute africane presidiano una campagna vuota di uomini e di campi, dove splendidi fiori gialli che coprono il lordume di pneumatici gettati, mucchi di calcinacci di qualche cantiere, antiche conduttore dell’acqua divelte. Escono con un guizzo dal loro silenzio di agguato, si disputano ogni raro automobilista con grandi gesti di invito. Alcune sono grosse, altre giovani e graziose: vite, tutte, trangugiate e sfiorite. Molte di loro vengono dal campo di Mineo, ma si allontanano per non «dare scandalo», per non attirare con il loro offrirsi le punizioni dei responsabili.  
Un gruppo di giovani neri arranca sulle infinite sconnessure della strada spingendo vecchie biciclette. Si vede che hanno appena imparato, sbandano, rischiano ad ogni istante di cadere. Vengono dal Mali, la terra lungo il fiume dove il deserto si spegne ansando nell’Africa dell’acqua e dei giganti vegetali. Conosco la loro città, dove ho visto Al Qaeda uccidere e prosperare. 
Hanno lasciato il Campo, si offrono lungo la strada per lavorare in nero per i contadini. Mi raccontano che qui non è come nel Sahel, dove la sabbia avanza e bisogna liberare ogni giorno la poca terra che è buona, bionda e fertile. Intanto la popolazione aumenta e bisogna dar da mangiare ai ragazzi. La guerra degli islamisti scesi dal nord ha completato la rovina. Con le mani diventate aride di cavatori di sabbia che non riescono a stringere un’altra mano tanto sono abituate a una fatica troppo pesante hanno attraversato mezza Africa per venire qui a piantare altri germogli e a raccogliere il frutto di altri. «Tutto cresce così in fretta, una meraviglia, come potevamo restare là a morire? Ci hanno detto che c’era un posto dove scendevano in mare flotte che partivano per il paradiso. Che cosa possono fare gli uomini se non correre dove si posa ricavare dalla natura qualcosa?».
Già. Li lascio all’imbocco di un viottolo che si perde tra gli aranceti, una grande montagna di ceste di plastica gialla li attende. Riconosco questa gente paziente, forte di una forza quasi naturale che noi disprezziamo. 
Ecco il campo, il residence delle arance, è scritto nei cartelli segnaletici. Villini lindi un tempo destinati agli americani, il centro sembra essersi cacciato nella valle e essersi addormentato nel sole. Proprio all’ingresso si giocano partite accanitissime di calcio. I soldati presidiano l’uscita e i loro gipponi percorrono costantemente i reticolati che lo cingono. Per entrare occorre un permesso della prefettura: mi spiace, non le faccio perder tempo, mi dice gentilissimo e risoluto un funzionario.  
I migranti domani verranno qui, scopriranno che possono assentarsi dal campo per 48 ore. Ma dove possono andare? Un bus è fermo in attesa, fa servizio per Mineo, la cittadina sulla montagna. Lunghe file di auto guidate da gente del posto si allungano intorno: fanno servizio a pagamento per Catania e Messina. Dove i migranti vanno a mendicare, dove c’è meno rischio che vengano individuati. I superstiti del naufragio scopriranno i traffici che sono possibili, vendere comprare scambiare. Fino a ieri avrebbero incontrato gli organizzatori dei viaggi, che vivevano qui e che ora sono in prigione. Si accorgeranno che devono far code per tutto e che è meglio dormire quindici ore, per non finire in qualche rissa o traffico pericoloso.  
Sono morti per tutto questo? Per odiare questo lindo carcere aperto nel nulla e per sognare «il documento», l’ossessione che apre le porte del mondo?  
«Lo sai perché comunque sono venuto qui?», mi dice un eritreo seduto sul guard-rail come su un mondo: «Perché nel mio paese ero uno schiavo, un vero schiavo fin da bambino, arruolato a spaccare pietre. Qui almeno sono vivo...». 
Davanti a queste storie, come possiamo proporre la domanda: perché? Viene tristezza a chiederlo a questo gruppo di ragazzi che si rincorrono sulla strada vuota davanti al campo e ridono di un riso naturale, sano, nuovo, una espressione non consumata da convenienze. Uno è un poco più avanti negli anni e già con un viso più forte e solcato; gli altri, come se il rischio e il pericolo li avesse sfiorati al primo vento della gioventù, si capisce che tutti ubbidiscono a una occhiata di quell’uno.  
Lui, che è siriano, infatti risponde: «No, nessuno ci vuole qui, sono uno straniero e potrò esser contento che non mi si scacci in un campo peggiore. Non sono né libero né ricco ma nel mio paese era la stessa cosa. Questo è già un paradiso, un paradiso di ombre se vuoi, separato da tutto ciò che importa agli altri e anche a me. Un paradiso per sperare un momento. Ma mi guardo indietro, dove vivevo io sono solo rovine, due miei fratelli sono stati uccisi, suo fratello, lo vedi quello piccolo?, è stato sgozzato perchè non aveva soldi per pagare il riscatto… dovevano star dietro una ringhiera a guardare i massacri, la gente seppellita viva sotto le macerie? Mentre il sangue monta di un centimetro ogni giorno ringraziare perché voi invece potete alzarvi, bere il caffè, leggere le notizie di noi sul giornale?». 
Un ragazzo del Mali e una giovane del Gambia mi chiedono di portarli fino a Catania. Accetto. Gli parlo dei morti in mare, il mare dove anche loro sono passati. Restano in silenzio. La campagna è come tramortita. Stanchezza, vecchiaia, rovina del mondo. Sembra impossibile che possa resuscitare. 
 
 
 
L`odio feroce e le falsità di chi si nasconde dietro i nickname
Corriere della sera
Gian Antonio Stella
"Nessuna pena, 70o zozzoni in meno da sfamare!», scrive in un post «Mldic», l`anonimo che per vomitare odio online si è scelto come nickname quello del generale serbo noto come «il boia di Srebrenica». E conclude: «Nessuno li ha chiamati, speriamo nel mare grosso sempre». Una ferocia raggelante. Ma niente affatto isolata. Il naufragio del peschereccio libico, col suo carico di anime inghiottite dal mare a poche ore di navigazione dalla terra dove sognavano una vita diversa, pare aver fatto emergere non solo il dolore di milioni di italiani ma anche il cinismo più becero di una minoranza di anonimi. Razzisti elettrizzati dalla possibilità di dare sfogo, nascosti dai «nickname», ai loro sfoghi biliosi. 
Sia chiaro: non parliamo delle critiche alla gestione dell`emergenza. Ogni opinione ostile alle scelte degli ultimi governi e ogni rimpianto per il «cattivismo» di Bobo Maroni, i patti scellerati con Gheddaff e i respingimenti, per quanto possano risultare indigesti a chi s`appella agli accordi internazionali, ai diritti umani, alla Costituzione, ha diritto a essere espressa. Ovvio. Anche criticare pesantemente Renzi e Alfano, Orlando o Mattarella è del tutto legittimo. Ci mancherebbe. Così come sono sgradevoli ma legittime le ironie, dopo certe intercettazioni dell`inchiesta Mafia capitale («con gli immigrati si fanno molti più soldi») sul ruolo delle cooperative: «Mi associo con deferenza al lutto che coop rosse ed onlus vaticane e non, hanno subito...». 
Negli sfiati di cui parliamo, però, c`è di più. «Si temono 700 morti... io avrei temuto di più 700 vivi da mantenere!», posta «Moshe» a commento di un pezzo sul Giornale titolato «Ecatombe nel Mediterraneo, si temono 700 morti». Ivano Colzani, uno dei pochi che si firma, fa i conti: «1.350 (costo mensile per profugo) x 700 (nr. presunto di profughi affondati) x 12 (numero di mesi di presenza e mantenimento sul suolo italico) = 11.340.000 Euro risparmiati». Che i numeri siano falsi perché sostenere provvisoriamente un profugo fino alla definizione del suo status costa molto meno, come spiega un documento contro i luoghi comuni del Dipartimento per le libertà civili e l`immigrazione del ministero dell`interno, non importa. 
Conta lo sfogo: «Non capisco perché questi profughi che partono da Paesi sud-sahariani non si vadano a rifugiare nelle nazioni africane confinanti dove non c`è guerra e vengano dritti in Italia», sbuffa Parsifah. Non sa che in realtà secondo l`Onu ci sono nel mondo 5o milioni di rifugiati e il Kenya ne ospita mezzo milione, la Repubblica del Congo quasi due di sfollati interni, il Sudan 743 mila esterni e 1,2 milioni interni, la Nigeria un milione e mezzo, il Sudafrica 2 milioni? Secondo Parsifah, invece, vengono tutti in Italia «perché i nostri politici venduti hanno fatto leggi che garantiscono a questa gente una casa e uno stipendio che un giovane disoccupato italiano può solo sognarsi...». «Tersicore» conferma: «E chiaro che se si promette a tutti i poveri del mondo alloggio, vitto, e sanità gratis per tutta la vita, e senza dare nulla in cambio, e a nostre spese...». La casa? Lo stipendio? Il vitto? In regalo tutta la vita? L`importante è spararla... 
E falso che «non danno nulla in cambio», come dimostra la fondazione Moressa secondo cui, ad esempio, esistono già 497 mila aziende fondate da immigrati che complessivamente contribuiscono con circa l`8% al Pil? Chissenefrega! «Sono "africani"», spiega sprezzante l`anonimo Rapax: «Non combattono, fanno lavorare le donne, si fanno predare... e hanno capito che è meglio non fare un c...o e farsi mantenere da dei cog...ni occidentali... almeno accettino i rischi». 
«Avviso ai pescatori: stanno abbondantemente pasturando il Canale di Sicilia, si prevede che quelle acque saranno molto pescose questa estate», posta su Facebook il gruppo musicale Nobraino. «È ormai da molti anni che non mangio il tonno in scatola. l`ultimo che avevo divorato, perché ne ero molto ghiotto, aveva un colore NERO!!», scrive schifato «Scandalo». E prosegue: «I pescatori siciliani pescano tutto!! quindi per non diventare cannibale ho deciso di non mangiarlo!!». «Obiettore» si associa: «Non mangerò più pesce pescato nel Mediterraneo». 
A proposito, e la sepoltura dei corpi? «Non pagheremo mica noi i funerali di questi clandestini vero??!?!?», chiede «giangol». «Bare a nostro carico? saranno anche queste di mogano da 8.000 euro cada una...», butta lì sarcastico l`anonimo «non rassegnato». Niente di nuovo: dopo il naufragio dell`ottobre 2013 già si lagnò un certo «Stegalas»: «Altro sperpero di denaro pubblico: nei loro posti, i cadaveri manco li seppelliscono decentemente, li calano nella nuda terra dentro un sudario ed amen... Noi invece: 363 bare di buona qualità per un totale di 1.500 x 363 = 544.500 euro... 363 loculi per un totale di 1.800 x 363 = 653.400 Tour marittimo: circa 20 mila euro». Insomma: quanti soldi! «Sarebbe bastato lasciare al mare il compito di fare pulizia...». 
Sono in diversi, a invocare quella «pulizia»: «Spiace dirlo, ma amico mare...», posta «gianniverde». «Forza Mediterraneo, avanti così», esulta Luci6o. «Appena 700? Peccato avrebbero dovuto essere almeno 7.000 e con loro tutti i cattoconu misti italidiotit!!!!!!!», strilla «emigrante 48». «Finalmente una notizia positiva dal fronte del mare. I nemici invasori hanno subito una notevole perdita! Ma non è sufficiente per vincere la guerra contro i clandestini invasori. Speriamo in sempre più consistenti naufragi futuri», scrive «seccatissimo». 
«Non danno soldi ai pensionati perché dobbiamo mantenere tutti quegli animali bastardi che vengono qua», telefona Daniele da Brescia al filo diretto «la catapulta» a Radio Padania. E il conduttore, senza fare una piega: «Penso che dicendo animali si riferisca ai clandestini che arrivano a frotte dalle coste dell`Africa...». 
E tutto in mezzo a noi, a poche ore dalla morte in mare di centinaia e centinaia di uomini, donne, bambini. E senza che chi in questi anni ha seminato odio provasse un minimo di rossore. 
 
 
 
L’Europa naufraga su Triton
Cronache del Garantista, 21-04-2015
Dopo gli oltre settecento migranti domenica notte morti al largo di Lampedusa, ieri l’Europa registra un’altra immane tragedia del mare. Nel mare Egeo, precisamente davanti all’isola di Rodi, è affondata un’imbarcazione che trasportava circa 200 migranti è affondata al largo dell’ isola greca di Rodi. Almeno tre i morti, dei quali uno è un bambino.
Dopo tanto attendismo, per non dire di peggio, la Commissione europea ha annunciato che proporrà un programma pilota con cui distribuire i migranti tra i 28 Paesi dell’ Ue. Il commissario all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha spiegato che dopo il vertice dei ministri degli Esteri e dell’Interno del blocco, Bruxelles sta studiando un piano d’azione in 10 punti da «mettere in atto immediatamente». Il via libera potrebbe arrivare già del vertice dei capi di Stato e di governo di giovedì. Il piano, tra l’altro, «prevede il rinforzo delle operazioni Triton-Poseidon e la cattura e distruzione dei barconi usati dai trafficanti».
Tra le misure anche anche lo schieramento del team Easo (l’ufficio di supporto per l’asilo a livello europeo) in Italia e Grecia, l’indicazione di considerare meccanismi di ricollocazione su base volontaria, più voli di ritorno nei Paesi e il rafforzamento della missione di controllo delle frontiere in Niger. Eva Joly, membro della commissione per le Libertà civili e gli Affari interni, ha chiamato in causa «il Parlamento europeo, che, in quanto co-legislatore potrebbe senza alcun problema adattare ogni anno i fondi allocati per il programma di salvataggio in mare in funzione del contesto internazionale».
Intanto ci sono da contare altri morti, dopo il naufragio di un barcone al largo di Rodi. Stando alle prime informazioni raccolte tra i superstiti, i profughi – per lo più siriani – si sono buttati a mare quando hanno visto il natante imbarcare acqua. La maggior parte di loro si sarebbe messa in salva anche grazie all’aiuto degli abitanti dell’isola, che si trovavano sulla spiaggia.
La polizia portuale greca ha comunicato che sono morti tre migranti, fra i quali un bambino. Altre 93 persone sono state salvate. Tra loro trenta sono state ricoverate in ospedale.  Al momento non si conosce il numero esatto delle vittime, perché non è stato ricostruito ancora con precisione quanti migranti erano bordo. Ma se davvero fosse confermato che c’erano duecento persone, allora tutto fa ipotizzare che il bilancio potrebbe risultare molto più pesante.
Le operazioni di soccorso vanno avanti, nella speranza di non ritrovarsi di fronte a una nuova tragedia come quella del Canale di Sicilia. Intanto la Grecia, complice anche la crisi del Paese che incide sui controlli, sta diventando una delle principali porte di ingresso nella Ue. Ogni giorno, ha stimato la guardia costiera, entrano almeno cento persone, tanto che primo trimestre dell’anno sono stati accolti 10.445 migranti senza documenti via mare contro i 2.863 persone. Tanto che il governo Tsipras, come quello italiano, ha chiesto l’intervento dell’Unione europea, per gestire l’emergenza.
Con diciassette mezzi di soccorso, proseguono senza sosta le ricerche nel Mediterraneo delle vittime e di eventuali sopravvissuti dell’ultimo terribile naufragio che secondo qualcuno avrebbe provocato anche 900 morti nella notte tra sabato e domenica nelle acque libiche. Al momento i sopravvissuti sono soltanto ventotto. I quali hanno riportato testimonianze agghiaccianti. «Ci siamo aggrappati ai morti per non finire a fondo». Infatti due di loro sono ritrovati mentre annaspavano in mezzo ai cadaveri, urlando con le ultime forze per attirare i gommoni che perlustravano la zona.
Ieri mattina a Malta è giunta a Malta la nave ”Gregoretti” della guardia costiera per sbarcare le 24 salme. Ancora presto per capire la vera entità della tragedia. «Dobbiamo sapere quanti erano, se effettivamente c’erano tanti bambini a bordo», ha spiegato la portavoce dell’Unhcr Carlotta Sami ai microfoni di Sky Tg24. Al momento c’è soltanto la speranza che la barca di una ventina metri, potesse contenere meno delle 950 persone, che secondo uno dei sopravvissuti c’erano a bordo.
Ieri a Palermo, la Procura di Palermo, ha emesso 14 fermi (dieci sono ancora latitanti) contro altrettanti cittadini stranieri che dalla Sicilia gestivano lo sbarco dei clandestini sulla terra ferma. L’aggiunto Maurizio Scalia ha spiegato che c’è «un giro d’affari di milioni di dollari con profughi costretti a pagare fino a 6mila dollari per raggiungere le coste  italiane e altri mille euro, circa, per lasciare l’ Italia e raggiungere un Paese del Nord Europa».
 
 
 
«Stavo a galla aggrappato a un cadavere»
Il racconto dei salvati in viaggio verso Catania «C`erano 50 bambini» Individuato lo scafista
Corriere della sera, 21-04-2015
Giusi Fasano
CATANIA I morti che salvano i moribondi. Braccia che non si muovono più come salvagente per chi può ancora respirare. Succede anche questo nel cimitero Mediterraneo. Alcuni sopravvissuti raccontano dei compagni di viaggio che gli hanno salvato la vita. Da cadaveri. «Siamo caduti in acqua tutti assieme. Era buio, tutti che annaspavano, provavano a stare a galla, ma non c`era niente a cui aggrapparsi. Stavo per annegare quando ho toccato qualcosa, era un morto che galleggiava e mi sono aggrappato a lui». 128 superstiti recuperati ancora vivi dal mercantile portoghese erano al limite della resa. Hanno consumato le ultime forze per urlare e farsi sentire dai marinai, per sbracciarsi un`ultima volta sperando che il fascio di luce del cargo riuscisse a individuarli, per provare a nuotare verso la salvezza e «fra i cadaveri», per dirla con le loro parole. 
È ovvio che nessuno di loro potrà mai dimenticare un solo istante di quei minuti a metà strada fra la vita e la morte. Ma più di tutto resteranno nella loro memoria le urla strazianti di «quelli che stavano sotto», alcune centinaia nella stiva, sul fondo della nave-carretta e altre centinaia a un livello più in alto ma sempre sotto coperta. «Erano stati chiusi dentro per evitare che provassero a salire» ha raccontato uno dei migranti. Questione di soldi, anche. Se paghi di meno hai meno chance di sopravvivere in caso di naufragio. Se metti sul piatto più soldi, invece, ti spetta anche la possibilità di farcela, ammesso che tu riesca a trovare un appiglio a qualcosa e a resistere finché qualcuno non viene a salvarti. 
Su quella barca c`erano tre livelli: i dannati giù, nella parte più bassa della pancia, in mezzo i disperati di seconda classe, e in alto, all`aperto, i più fortunati. Quando la gente in coperta ha cominciato ad agitarsi perché ognuno cercava di raggiungere per primo il cargo dei soccorsi, il barcone ha iniziato ad ondeggiare, pericolosamente. Là sotto, al livello meno uno e meno due, non avranno visto niente di quello che stava succedendo. Ma certo hanno capito che se la barca si fosse rovesciata sarebbero morti tutti andando a picco. Così hanno fatto la sola cosa che potevano fare: urlare. Centinaia di voci a implorare e a battere i pugni sulle fiancate di quella che sarebbe diventata la loro bara. 
Nessuno è sceso a salvarli o quantomeno a provarci. Le regole d`ingaggio del viaggio prevedevano che le loro vite fossero, appunto, sacrificabili più di quelle che stavano in coperta. E mentre la clessidra delle loro
 esistenze esauriva il tempo, le urla esaurivano le forze. I sopravvissuti raccontano che fossero fra i 700 e i 1000 e che fra loro ci fossero almeno 200 donne e una cinquantina di bambini. Sono finiti tutti assieme in fondo al mare, a 400-450 metri di profondità mentre in pochi, pochissimi, salivano sul mercantile della salvezza. Fra i 28 salvi c`è anche lo scafista, un tunisino individuato durante la traversata da Malta a Catania proprio grazie alle testimonianze dei migranti, interrogati dalla polizia nel lungo viaggio sulla nave Gregoretti della Guardia costiera. Nelle prossime ore si capirà se si sono salvati, e chi sono, anche gli eventuali suoi complici. 
Dopo giorni disperati di acqua e di morte oggi i superstiti, che a Malta non sono mai scesi dalla Gregoretti, toccheranno di nuovo terra. Guarderanno il mare da lontano, finalmente. 
 
 
 
Riccardi: «Migranti? Tragedie annunciate, figlie della mancanza di visione politica»
Vita, 21-04-2015
Stefano Arduini 
L'ex ministro della Cooperazione internazionale e fondatore della comunità di Sant'Egidio: «Dal vertice di giovedì mi aspetto il via libera a corridoi umanitari e il sì al riconoscimento del diritto d'asilo direttamente in Africa»
Ministro della cooperazione internazionale dal novembre 2011 all’aprile 2013, fondatore della comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi fin dalla sospensione di Mare Nostrum, aveva previsto che il Mediterraneo si sarebbe trasformato  in un cimitero di immigrati.
Professore, la notizia delle ultime ore è che a Rodi si è naufragata una nave con a bordo 200 migranti. Solo poche ore prima un altro barcone si era inabissato nelle acque del mare di Sicilia. I morti stimanti sono oltre 700. Che fare adesso?
Siamo di fronte a una tragedia annunciata. Questo va ribadito e chiarito subito. Senza Mare Nostrum abbiamo rinunciato alla capacità della nostra marina e al loro know how, che i pescherecci o altri tipi di imbarcazioni naturalmente non possono avere.
Di chi sono le responsabilità, solo dell’Italia?
L’Europa si sta dimostrando miope. Manca totalmente una politica del Mediterraneo. E questo riguarda l’Italia, ma anche Cipro, Malta, la Grecia e la Spagna. Altro dato da avere ben presente: ci sono Paesi come Libano o Giordania che accolgono molti più profughi dell’Europa rispetto alla loro popolazione. E ancora: la maggior parte delle persone che provano ad arrivare in Europa, non sono rifugiati economici, ma è gente che scappa dalla guerra. Se vogliamo essere efficaci occorre prenderne atto e intervenire di conseguenza.
Ovvero?
Cosa succede oggi in Siria? Che ne è stato di Aleppo? Quale ruolo sta giocando l’Europa? Abbandonare la Siria al suo destino è stata una decisione insana. E a pagare il conto non sono solo i siriani. Quel conto lo pagheremo anche noi. La parola chiave è “pacificare”. Per farlo però è necessario avere una politica, in Siria, in Libia e in Africa.
Giovedì si terrà il vertice europeo sull’immigrazione. Se lei partecipasse cosa proporrebbe?
La prima: consentire ai migranti che ne hanno diretto la possibilità di chiedere protezione direttamente dall’Africa. Il Niger è un crocevia importante. Si potrebbe partire da qui. Poi occorre aprire un corridoio umanitario che consenta agli immigrati che ne hanno diritto di arrivare senza dover attraversare il Mediterraneo, ma nemmeno la Libia. Senza pagare cifre esorbitanti e senza rischiare la vita.
L’Europa oserà tanto? È ottimista?
Sì sono ottimista. Un fallimento sarebbe una resa drammatica per tutto il Continente.
Sant’Egidio intanto si è appellato all’Onu…
Quello è appello di ultima istanza, l’Europa però non può abdicare al suo ruolo.
Un’ultima considerazione: in Italia dal punto di vista operativo e dell’advocacy la voce della società civile in questi casi si fa sentire e anche in modo robusto. Dalle società civili del resto d’Europa invece si fa fatica a sentire anche solo un sussurro…
È lo specchio di una crisi di coscienza dell’umanitario a livello internazionale. La crisi di chi si accontenta di fare di fare il “proprio dovere” in modo istituzionale.
 
 
 
Il lutto di Treviso
la Repubblica, 21-04-2015
ALESSANDRA LONGO
BANDIERE a mezz`asta e lutto cittadino. Il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo, ha deciso che la città veneta renda omaggio così ai migranti morti nel Canale di Sicilia. È un atto di sensibilità istituzionale che appare scontato di fronte ad una tragedia che interroga le coscienze di tutta Europa. Eppure non si può non notare con sollievo la scelta di oggi. In anni anche recenti Treviso si erà distinta per atteggiamenti di segno opposto diventando il faro di politiche dure e razziste, con il sindaco Gentilini. Il tempo passa non sempre invano ed è confortante, per la crescita di consapevolezza del Paese, pensare che i giovani di questa città, dove segavano le panchine per impedire che gli immigrati si sedessero, ora portino il lutto. Per quelle centinaia di morti senza nome e senza colpe, donne, uomini e bambini in cerca di riscatto, sventoleranno i vessilli a Palazzo dei Trecento e a Ca` Sugana.
 
 
 
LA TRAGEDIA DEI MIGRANTI. Crimini di guerra in tempo di pace 
Perché deve intervenire l'Onu
Le azioni necessarie per fronteggiare il dramma con una risoluzione
il Sole 24 ore, 21-04-2015
Barbara Spinelli
A tutti va ricordato che le normative sul soccorso dei naufraghi e sul non-respingimento sono divenute cogenti in contemporanea con l`unificazione europea, in memoria del mancato soccorso alle vittime dei genocidi nazisti. Sono la nostra comune legge europea. 
A questi attori bisogna rivolgersi oggi conuna preliminare e solenne domanda: smettete l`uso di parole altisonanti; passate all`azione; non reagite con blocchi navali che tengano lontani i fuggitivi dalle nostre case, come si tentò di tener lontani gli ebrei in fuga dal nazismo. Questo è un giorno di svolta. A partire da oggi occorre mettere la parola urgenza, al posto di emergenza. Bisogna dare alla realtà il nome che merita: siamo di fronte a crimini di guerra e sterminio in tempo di pace, commessi dall`Unione europea, dai suoi 28 Stati, dagli europarlamentari e anche dall`Alto Commissariato dell`Onu. Il crimine non è episodico ma ormai sistemico, e va messo sullo stesso piano delle guerre e delle carestie prolungate. Il Mar Mediterraneo non smette di riempirsi dì morti dal 28 marzo 1997, quando, nel naufragio della Katér i Radés, th profughi albanesi perirono nel canale di Otranto. Lo sterminio dura da almeno 18 anni: più delle due guerre mondiali messe insieme, più della guerra in Vietnam. È indecenza parlare di "cimitero Mediterraneo". Parliamo di fossa comune: non c`è lapide che riporti i nomi dei fuggitivi che abbiamo lasciato annegare. 
Le azioni di urgenza che vanno intraprese devono essere, tutte, all`altezza di questo crimine, e della memoria del mancato soccorso nel secolo scorso. Non sono all`altezza le missioni diplomatiche o militari in Libia, dove per colpa dell`Unione, dei suoi governi, degli Stati Uniti, non c`è più interlocutore statale. Ancor meno lo sono i blocchi navali, gli aiuti alle dittature da cui scappano i richiedenti asilo, il silenzio sulla vasta destabilizzazione nel Mediterraneo dalla Siria alla Palestina, dall`Egitto al Marocco - di cui l`Occidente è responsabile da anni. 
Le azioni necessarie nell`immediato, eccole: 
Urge togliere alle mafie e ai trafficanti il monopolio sulle vite e le morti dei fuggitivi, e di conseguenza predisporre vie legali di fuga presidiate dall`Unione europea e dall`Onu. 
Urge finanziare interventi di ricerca e salvataggio, non solo lungo le coste europee ma anche in alto mare, come faceva Mare Nostrum e come ha l`ordine di non fare Triton. Questo, nella consapevolezza che la stabilizzazione del caos libico non è ottenibile nel bre- ve-medio periodo. 
Urge che gli Stati europei collaborino lealmente (art. 4 del Trattato dell`Unione), smentendo quanto dichiarato da Natasha Bertaud, portavoce della Commissione: «Al momento attuale, la Commissione non ha né il denaro né l`appoggio politico per predisporre un sistema di tutela delle frontiere, capace di impegnarsi in operazioni di search and rescue». Una frase che ha il cupo suono dell`omissione di soccorso: un reato contro la persona, nei nostri ordinamenti giuridici. 
Occorre che l`Onu stessa si muova d`urgenza, e che il Consiglio di sicurezza fronteggi il dramma con una risoluzione. Se i crimini in mare somigliano a una guerra prolungata o a carestie nate dal tracollo degli Stati nei Paesi di transito o d`origine, non escludiamo interventi dei caschi blu. I soccorsi agli affamati e sfollati sono una prassi sperimentata delle Nazioni Unite. Va applicata oggi al Mediterraneo. 
Occorre rivedere al più presto i regolamenti di Dublino. Con una sentenza del 21 dicembre zon, la Corte di giustizia europea pone come condizione essenziale per procedere al trasferimento l`aver positivamente verificato se il migrante corra il rischio di essere sottoposto a trattamenti inumani. Si tratta di un vero e proprio obbligo di derogare ai criteri di competenza enumerati nelle norme di Dublino. 
Con la medesima tempestività, occorre tener conto che i Paesi più esposti ai flussi migratori sono oggi in Sud Europa (Grecia, Italia, Cipro, Malta, Spagna): gli stessi a esser più colpiti, dopo la crisi del 2007-2008, da politiche di drastica riduzione delle spese sociali. Spese che includono l`assistenza e il salvataggio dei profughi. Il peso che ingiustamente grava sulle loro spalle va immediatamente alleviato. Infine, la questione tempo. E dallo sterminio presso Lampedusa che Governi e Parlamenti in Europa preconizzano una cooperazione con i Paesi di origine e di transito, per "esternalizzare" le politiche di search and rescue e di asilo. Il Commissario Avramopoulos ha addirittura auspicato una "cooperazione con le dittature", prospettando i respingimenti collettivi vietati dalla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei Rifugiati derg (art.33) e dagli articoli 18 e 19 della Carta europea dei diritti fondamentali. 
Non c`è tempo per costruire relazioni diplomatiche - nei cosiddetti processi di Rabat e Khartoum - perché i fuggitivi sono in mare qui e ora, e qui e ora vanno salvati: sia dalla morte, sia dalle mafie che fanno soldi sulla loro pelle e riempiono un vuoto di legalità che l`Unione deve colmare. Gli Stati europei e l`Onu si macchiano di crimini e vivono inoltre nell`illusione. Carlotta Sami, portavoce dell`UNHCR, parla chiaro: «Far morire le persone in mare non impedirà ai fuggitivi di cercare sempre di nuovo la salvezza» dalle guerre, dalla fame, dall`odio che oggi si scatena contro i cristiani o altre minoranze, e in futuro anche dai disastri climatici. 
Il tempo delle parole e dei negoziati diplomatici è senza più alcun rapporto con l`urgenza che si impone. È adesso, subito, che bisogna organizzare un`operazione salvataggio dell`umanità in fuga verso l`Europa.
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