Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 settembre 2010

Europa anti-immigrati, il mosaico è completo
il Giornale, 22-09- 2010
Fausto Biloslavo
Gli euroscettici fanno leva sulle paure dell'immigrazione galoppante, delle minoranze scomode come i Rom e della moltiplicazione dei minareti. L'ingresso nel parlamento svedese dei "Democratici" di Jimmie Akesson, che a 31 anni viene bollato esageratamente come il nuovo Hitler, è solo l'ultimo dei successi della destra dura e pura nel vecchio continente. In realtà si tratta di movimenti con diversi gradi di estremismo e populismo, che stanno crescendo soprattutto nell'Est e nel freddo Nord.
In Danimarca il partito del popolo danese, fondato grazie ad una scissione dei conservatori dalla battagliera Pia Kjaersgaard, ha raggiunto il 15,3% dei consensi. L'ex "impero" comunista dell'Est sembra la culla dei partiti più nazionalisti e xenofobi, che vedono i Rom e altre etnie minoritarie come fumo negli occhi. A Budapest governano i conservatori di Fidesz, ma gli Jobbik, il «Movimento per un'Ungheria migliore» è il terzo partito e ha eletto per la prima volta 26 parlamentari. Secondo i seguaci di Gabor Vona i nemici del suo Paese da combattere sono «le multinazionali, gli ebrei, i rom e i comunisti».
In Slovacchia, però, i duri anti gay del Partito nazionalista avevano governato fino a pochi mesi fa con il centro sinistra. In Bulgaria il partito Attak, di Volen Siderov, attorno al 10% dei consensi, vuole cancellare i campi rom e propone il taglio degli aiuti alle famiglie dei nomadi che non mandano i figli a scuola. Corneliu Vadim Tudor sogna la Grande Romania, ma supera di poco il 7% dei voti. Pure nella Repubblica Ceca il partito di destra, Sovranità, di Jana Bobosikova non ha ancora sfondato.
Nella vecchia Europa i movimenti populisti sono in gran parte quelli storici, come il Fronte nazionale di Jean-Marie Le Pen, che sta lasciando lo scettro alla figlia Marine. Alcuni movimenti hanno subito scissioni ed evoluzioni o si prospettano fusioni. In Germania si avvicina l'abbraccio tra il partito neonazista della Npd e la formazione xenofoba della Dvu. In Austria Jörg Haider, prima della sua morte, aveva triplicato i consensi del suo nuovo movimento più moderato. Adesso l'Fpö di Heinz-Christian Strache, rimasto su una linea dura e pura, sta fagocitando i resti del consenso di Haider. In tutto si parla del 18% degli elettori.
In Olanda il testimone di Pim Fortuyn è stato raccolto da Geert Wilders, che vive blindato a causa della "guerra" dichiarata all'Islam. Il partito della Libertà, che guida, è il terzo movimento olandese, in grado di influenzare qualsiasi maggioranza parlamentare.
Il Belgio rischia di spezzarsi. La Nuova alleanza fiamminga guidata da Bart De Wever, ha vinto le elezioni del 13 giugno, aggiudicandosi 27 seggi nel parlamento belga. I "leghisti" fiamminghi sono favorevoli alla separazione dall'area francofona.
Un altro movimento storico è il Partito nazionale britannico di Nick Griffin, sempre tenuto ai margini della politica. Il movimento più euroscettico del continente è il Partito per l'Indipendenza di Jeffrey Titford, con il 15,5% dei consensi, che vuole far uscire la Gran Bretagna dalla Ue.
Nel cuore dell'Europa, anche se non fa parte dell'Unione, la Svizzera ha visto crescere e consumarsi la popolarità di Christoph Blocher del Partito dell'Unione democratica di Centro (Udc). Lo scorso anno si è svolto un discusso referendum sui minareti, dopo che il Partito popolare svizzero aveva raccolto 100mila firme. Fra i principali sostenitori del referendum c'era l'Udc. La destra nazional conservatrice ha vinto con il 57,5% dei sì alla proposta di modifica costituzionale che vieta nuovi minareti.



DOPPIOPESISMO
La Merkel caccia 10mila rom  ma la Ue non si scandalizza

il Giornale, 22-09-2010
Marcello Foa
La cancelliera e Sarkozy chiudono la polemica sui gitani. In realtà Berlino si comporta come Parigi Anzi, peggio
La polemica sui rom tra Parigi e Berlino? «Irrisoria, infondata, meramente mediatica», recita un comunicato di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, che si sono incontrati ieri a New York a margine dell' assemblea generale dell' Onu. Il presidente francese aveva affermato che la Germania si apprestava ad espellere i rom e il capo della diploma-zia tedesca, Guido Westerwelle, si era precipitato a smentire.
Colpa della stampa insomma, che avrebbe travisato le intenzioni dei due governi. E in parte è vero, ma non per le ragioni citate da Sarkozy e dalla Merkel. La polemica tra le due cancellerie c'è stata davvero. La «colpa» dei giornalisti, semmai, è di aver fornito, come fanno sovente, un quadro parziale della realtà, applicando criteri di valutazioni differenti anche quando i contesti sono molti simili. Ci sono leader politici che finiscono subito nel mirino e a cui non si perdona nulla, come Sarkozy; e altri che beneficiano molto spesso di una benevolentissima disattenzione da parte delle più autorevoli testate europee, come la Merkel.
La verità è che la Germania, sui Rom, si comporta esattamente come la Francia. Anzi, diciamola tutta: peggio. Ma nessuno lo scrive. Il governo di Berlino, ad esempio, lo scorso 19 agosto ha deciso di espellere oltre diecimila Rom kosovari, fuggiti alla fine degli anni Novanta. Trattasi, ne più, né meno di deportazione forzata di ex profughi di guerra, tra cui molti bambini nati in Germania. Il Consiglio d'Europa ha protestato, ma blandamente: «I Paesi dell' Europa occidentale dovrebbero smettere di rinviare forzatamente i rom in Kosovo», ha affermato il responsabile dei Diritti Umani, Thomas Hammarberg. E la polemica è finita lì. Non sono state presentate mozioni scandalizzate all'Europarlamento, né condanne della Commissione europea. Il governo del Kosovo ha dichiarato di «non disporre di risorse sufficienti per accoglierli tutti e gestire la loro integrazione», ma nessuno gli ha dato ascolto. Dunque la democraticissima cancelliere Merkel li allontana benché consapevole di condannarli a una vita di stenti e di privazioni. Insomma, se ne infischia.
Certo, il Kosovo non fa parte dell'Unione europea, contrariamente alla Romania, da cui proviene la maggior parte dei Rom espulsi dalla Francia; dunque legalmente Berlino, contrariamente a Parigi, non viola le direttive europee. E questo spiega tecnicamente il silenzio di Bruxelles. Ma moralmente non c' è differenza. Anche perché, a ben vedere, la Germania espelle anche i Rom comunitari.
L'incombenza non spetta al governo federale, ma ai singoli laender, che sono inflessibili. Dopo tre mesi di perma-
nenza in un campo, dove peraltro si deve pagare l'affitto e vivere in condizioni igieniche accettabili, i gitani che non hanno un lavoro regolare vengono allontanati senza tanti complimenti. Non è un caso che da una quindicina d'anni la politica tedesca nei confronti dei Rom venga biasimata nei rapporti delle Ong umanitarie e dello stesso Consiglio d'Europa, sebbene sempre a bassa intensità mediatica.
E dove finiscono gli zingari allontanati? Di solito in Francia e soprattutto in Italia e in Spagna, dove i controlli sono molto meno severi, dove insomma possono fare più o meno quel che vogliono.
Se poi i governi di Parigi o di Roma o di Madrid osano lamentarsi o addirittura prendere provvedimenti, vengono denunciati per xenofobia e devono subire le lezioncine morali della Ue di altri Paesi. Come, appunto, la Germania dove, stando ai sondaggi, il 70% dei cittadini non vuole un Rom vicino di casa. Eppure nessuno considera razzisti i tedeschi.



SE LA DESTRA CON I "ROM" SI AGGROVIGLIA

Secolo, 22-09-2010
Carmelo Palma
La scelta di Berlusconi di seguire Sarkozy dimostra la difficoltà di affrontare il problema senza pregiudizio
Mentre la minoranza xenofoba di Jimmie Akesson, depurata dalle componenti razziste e xenofobe, entrava trionfalmente nel Parlamento di Stoccolma ad ingombrare il passo alla maggioranza conservatrice del premier Reinfeldt, l'Europa non aveva ancora smaltito la sbornia anti-rom, ubriacata da un Sarkozy capace di dare il meglio nel peggio (alla Bossi, per intendersi) e di trascinare alla rissa le istituzioni dell'Unione, a partire da una Commissaria sventata, Madame Reding, a cui, nel fuoco della polemica, era sfuggita la differenza tra un'espulsione collettiva e ima deportazione di massa.
Ma se il cattìvismo di Sarkò non è parente del tedesco e le migliaia di rom incentivati a sloggiare dalla "paghetta" (300 euro per gli adulti, 100 per i bambini) corrisposta loro dal governo francese non somigliano al mezzo milioni di zingari ammazzati nei campi di sterminio nazisti, allora va tutto bene? Allora ha ragione Monsieur le Président, con la sua politica delle espulsioni per target etnici, che è sembrata, anche ai meno malevoli, più interessata a rintuzzare la concorrenza lepenista che a risolvere un problema di ordine pubblico? Insomma, ha ragione chi nello schieramento liberal-conservatore europeo sostiene che non è possibile arginare l'esplosione della destra xenofoba e razzista senza soddisfare, almeno in parte, i sentimenti che ne alimentano il successo? Perché è questo che Berlusconi ha scelto di dire, schierandosi, senza alcun interesse per la dimensione istituzionale dello scontro, dalla parte di Sarkozy, contro quella di Barroso e della cancelliera Merkel. Ed è questo anche il senso dell'"affinità elettiva" che il premier ostenta per l'alleato leghista.
Eppure la questione dei rom è paradigmatica dei nodi che la politica dovrebbe imparare a sciogliere, anziché aggrovigliare. E della capacità che le classi di governo dovrebbero dimostrare nel maneggiare questioni "estreme", senza
scadere nell'estremismo o nell'opportunismo cinico. Sulla vicenda dei rom, ha quindi senso provare a ragionare non partendo dal caso francese, di cui molti si è discusso, ma da quello italiano, che per certi versi è ancora più significativo. Il pregiudizio contro gli zingari non è solo diffuso, ma "giustificato" da una speciale diffidenza per una minoranza, che la superstizione popolare sospetta da secoli di stregoneria e confidenza col Maligno, ma che le statistiche giudiziarie non aiutano purtroppo a presentare, agli occhi dell'opinione pubblica, come una minoranza "qualunque". Così l'immagine dei rom non solo accresce la loro marginalità, ma consolida il pregiudizio contro di loro, fino ad "autorizzarne" una declinazione razziale, come se fossero, nel loro complesso, un tumore sociale e ciascuno, individualmente, una cellula attiva, capace di replicare e diffondere il male. Come ha scritto giustamente Adriano Sofri «nell'elenco delle minoranze designate a fare da capro espiatorio, tengono il primo posto, perché tengono l'ultimo nella scala della considerazione sociale. Agli "zingari" si pensa e si provvede all'ingrosso: al diavolo il principio per cui sono perseguibili gli individui, non le commuta». La riprovazione e il disprezzo nei confronti degli zingari non sono neppure dissimulati, ma dichiarati apertamente e "portati" orgogliosamente in società.
Gli zingari appaiono inoltre una presenza tanto invadente, quanto inafferrabile. Ne sono stimati dall'Opera Nomadi circa 160mila, lo 0,3% della popolazione residente, la metà dei quali di nazionalità italiana. Però il censimento sui campi nomadi, disposto dal Ministero dell'Interno alla fine del 2008, ha individuato 167 accampamenti, di cui 124 abusivi e 43 regolari, registrando la presenza di 12.346 persone, tra le quali 5.436 minori. Non esistendo la possibilità di censire su base etnica la popolazione residente, è probabile che molti rom e sinti, in particolare italiani, nascondano la propria identità per evitare discriminazioni e che molti altri vivano in una condizione border line, fuori dai campi, ma non totalmente dentro la società legale. Complessivamente, in Italia, gli zingari sono molti meno che in altri grandi paesi europei. Inoltre, a differenza di quanto si pensa, per la grandissima parte non sono più nomadi, né esercitano, come un tempo, mestieri girovaghi.
Dal punto di vista socio-demografico, le comunità rom e sinti appaiono un pezzo di terzo mondo alloggiato nelle pieghe invisibili del primo: hanno un'età media che non supera i 50 anni, sono per oltre la metà minorenni, con tassi impressionanti di analfabetismo ed evasione scolastica; hanno un'organizzazione sociale chiusa, familiare secondo una logica estesa e clanica, impermeabile al sistema di incentivi e sanzioni della moderna società civile.
Il pregiudizio diffuso contro gli zingari poggia, purtroppo, sulle fondamenta di una "diversità", i cui codici sono oggi inconciliabili con quelli culturali e giuridici delle società contemporanee. Infatti, peggio del pregiudizio negativo verso le persone rom, c'è solo il pregiudizio positivo verso la società rom, presentata come una riserva antropologica sopravvissuta a secoli di discriminazione e da salvaguardare nella sua "originalità", neppure si trattasse di una specificità etologica. Una classe politica responsabile, invece, dovrebbe realisticamente ammettere di avere a che fare con un problema tendenzialmente irrisolvibile - i rom sono la minoranza più numerosa dell'Ue -, che diventa però ingovernabile quando viene usato per alimentare gli esibizionismi identitari, siano essi buonisti o cattivisti, monoculturalisti o multiculturalisti. Che la minoranza rom più "visibile" viva in una condizione di confine tra l'emer-
genza sociale e la catastrofe umanitaria lo dimostra il fatto che a rappresentarla, più delle statistiche economiche, siano quelle epidemiologiche. Se si vuole davvero perseguire un obiettivo di parziale integrazione, a partire dai minori che vanno "strappati" ad una sorte in molti casi segnata, si deve però allentare e raffreddare la tensione, che alimenta insieme il pregiudizio e il risentimento. Le strategie di integrazione sono costose sul piano politico ed economico e lo diventano assai di più quando devono pagare la sovrattassa dei processi di piazza, istruiti abitualmente dalla Lega e dalle destre dure e pure, prima gridando, ad esempio, contro i campi nomadi irregolari, e poi urlando, ancora più forte, quando se ne costruiscono di legali con "i nostri soldi". La verità è che gli zingari sono sempre una rogna per i politici "di governo" e un affare per quelli "di lotta", in uno scontro dove la sinistra e la destra peggiori se le danno di santa ragione. E Berlusconi, oggi, dove sta, anzi dove va? Dove lo portano i sondaggi, as usual. E quindi con Sarkozy. Dove lo trascina la corrente di una destra, non solo italiana, che non è ideologicamente "sua" e con cui non si mischia, ma da cui, alla fine, non si dissocia. Torniamo quindi alla domanda iniziale. È prudente non avere su questi temi nemici a destra? È possibile, come forse Berlusconi spera di fare, coltivare la paura e praticare la misura, usare parole forti, ma tenere la mano leggera? Temiamo sinceramente di no. Le idee, con le loro potenti narrazioni, fanno davvero la politica, come dimostra, nel bene e nel male, la terribile storia novecentesca dell'Europa. E non le si ferma con la tela di ragno delle blandizie.



PICCOLA POSTA

Il Foglio, 22-09-2010
Adriano Sofri
Caro Giuliano, ecco che cosa " non mi convince del tuo ragionamento di ieri, a parte opinioni diverse su temi già ipertrattati. Tu accogli l'argomento che confronta ed esclude: come si fa a combinare l'indifferenza della mattina al genocidio delle bambine sulla scala di continenti con la commozione della sera per un'espulsione di SMS L'argomento è di quelli suggestivi che portano molto fuori strada: esemplificazione per eccesso, come si fa a cenare, mentre un miliarduccio di persone muore di fame. Ma soprattutto: che cosa impedisce di "commuoversi" mattina e sera, per le bambine non nate e per i rom cacciati? Altra cosa che non mi convince. Prendendotela con l'ipocrisia della vigilanza anti etnicista, dici che fra poco non si potrà dire che gli zingari suonano benissimo il violino. Ben trovato, troppo bene. Perché se dico che "gli zingari rubano" la musica cambia molto. Alcuni zingari suonano benissimo il violino, alcuni zingari rubano, qualcuno - i più dotati, chissà - ruba e suona il violino, o ruba violini, eccetera; ciò che succede, in proporzioni da stabilire, anche per molti altri raggruppamenti di persone, gli abitanti dì Cremona, per esempio. Infine, che è il clou di tutta la faccenda, e non può sfuggirti. Qui non si tratta del viaggio, con allegato argent de poche, che i rom espul¬si fanno alla volta di un loro supposto paese, paragonato con il viaggio che i loro avi recenti fecero in un vagone piombato. Si tratta dell'effetto di una campagna propagandistica lanciata dalle autorità - in questo caso dall'Eliseo e dal suo ministero -che eclissa le espulsioni e le loro modalità per dire alla gente: ce l'avete o no con gli zingari? Siete d'accordo o no con noi che non ne possiamo più degli zingari? Ora, questa campagna sarebbe ignobile se mirasse a convincere la gente di una porcheria cui il sentimento della gente recalcitrasse. E' doppiamente ignobile perché moltissima gente detesta gli zingari, ed è questo penoso e irresistibile sentimento che le autorità carezzano. Per finire: se l'Eliseo e il suo ministero lanciassero una campagna tesa a persuadere il pubblico che gli zingari sono gran suonatori di violino (non so, come nel film Concerto di Mihaileanu, quello dalla lacrima così facile che abbiamo pianto sia io che tu) si potrebbe protestare contro una generalizzazione esagerata, ma il danno sarebbe minimo. Tutt'al più la gente si radunerebbe davanti a qualche campo delle minoranze rom a chiedere: Suonateci qualcosa. Possibilmente, l'Allegro vivacissimo di Tchaikovsky. Almeno dall'Eliseo, si dovrebbe pretenderlo. Intanto, il lapsus etnicista della circolare di polizia sui rom non è meno grave del lapsus europeista della signora commissaria. Ma non ci si può stupire che i convogli degli anni 40 abbiano avuto uno strascico così lungo che ogni volta che una porta viene chiusa una loro coda ci rimanga impigliata dentro.



DIRITTI DEI ROM
Il rispetto delle leggi
Corriere Della Sera, 22-09-2010
Caro Romano, non pensa che puntare l'attenzione sullo scontro tra Sarkozy e Ue, poi sull'intervento di Berlusconi, poi sui toni alti di questo e di quello, rischi di farci perdere di vista il vero problema? Ossia pretendere e fare in modo che chiunque, a qualsiasi titolo, sia presente in un Paese, ne rispetti le leggi, a partire da non rubare e mandare i figli a scuola. Pensare che ad alcune categorie si possa o addirittura si debba riservare un trattamento diverso, questo sì è razzismo, e ridurre la questione a «chi se li prende» equivale a lavarsene le mani, così come il buonismo di chi, dai quartieri alti, predica la tolleranza a chi i campi nomadi ce li ha sotto casa.
Claudia Dalmastri claudia.dalmastri@yahoo. ìt
Risponde Sergio Romano
Molti italiani non rispettano le leggi, ma non per questo vengono cacciati. Lei potrebbe osservare che i rom non sono cittadini italiani. Ma sono cittadini dell'Unione europea e godono quindi di diritti che vanno rispettati.



Se anche Bersani dice che gli zingari, «si sa, sono ladri»

il Riformista. 22-09-2010
RITANNA ARMENI
Quel che sta avvenendo in Europa nei confronti dell'immigrazione non è per nulla rassicurante. Non lo sono sicuramente le ultime notizie dalla Svezia dove per la prima volta è entrato in Parlamento un partito che * considera «l'immigrazione la più grande minaccia straniera dalla Seconda guerra mondiale». E neppure quelle provenienti da altri paesi nordici, finora considerati simbolo dell'accoglienza e paradisi liberal, come l'Olanda dove la destra antislamica potrebbe entrare al governo o la Danimarca dove il Partito popolare il governo lo appoggia già e ha ottenuto la promulgazione di leggi più severe su immigrazione e asilo politico. Dovunque in Europa spira un vento fortemente xenofobo, dovunque appare forte la paura contro lo straniero e il diverso, l'avversione etnica, dovunque si riscoprono il diritto del sangue, 1 ' appartenenza alla nazione. La «Svezia è degli svedesi» ha dichiarato il partito antimmigrati. «La Francia non è terra di nessuno» aveva affermato qualche giorno fa il ministro degli Interni francese Brice Hortefeux per giustificare l'espulsione dei rom decisa dal suo governo.
Nel panorama europeo sono il governo francese e quello italiano a mandare i segnali più preoccupanti. L'espulsione dei rom, le misure di sicurezza portate all'estremo, la proposta di una legge che comporti la perdita di cittadinanza se alcuni gravi crimini vengono commessi da stranieri, misure condite e accompagnate da dichiarazioni sull'identità francese più adatte alla destra nazionalista di Le Pen che alla destra repubblicana del partito gollista indicano un percorso preciso e denunciato con parole chiare da gran parte dei media francesi. Il direttore di Liberation Laurent Joffrin ha scritto con grande lucidità: «Alla visione repubblicana della Francia che non fa distinzione fra le origini dei suoi cittadini - visione condivisa da tutte le sfumature dell'arco costituzionale repubblicano, dai comunisti ai gollisti - si sostituisce di soppiatto un'idea antica e pericolosa, fondata sul diritto del sangue e sull'origine etnica».
Silvio Berlusconi e il suo governo hanno apprezzato misure e parole di Sarkozy a cominciare dall'espulsione dei rom. Del resto - come faceva notare qualche giorno fa un articolo di El Pais - il presidente francese e il premier italiano da un pezzo si inseguono sulle misure di sicurezza contro gli immigrati.  Quelle francesi si ispirano a quelle italiane e oggi il governo italiano appoggia il francese nella sua stretta identitaria e nelle sue spinte xenofobe.
Se la situazione è questa, - senza sottovalutare le resistenze che a essa vengono dalle istitu-zioni europee, o da grandi paesi come la Germania o la Spagna o dalla stessa Francia dove l'Ump si è spaccato proprio sulla espulsione dei rom -c'è da chiedersi perché la destra cavalchi oggi con tanta determinazione la spinta xenofoba, perchè oggi abbia aperto uno scontro che potrebbe diventare molto pericoloso e addirittura prefigurare - questa volta in Europa e non negli Usa, fra governi e immigrati tutti e non solo contro l'Islam - un nuovo "scontro di civiltà". Il motivo credo stia nella perdita di consensi che la destra italiana e francese ha registrato in questi mesi. I sondaggi su Sarkozy parlano chiaro. Quelli su Berlusconi anche. Oggi le sue ricette economiche e sociali appaiono inadeguate, insufficienti e inefficati. Non hanno prodotto sviluppo, hanno reso più difficili i già complicati processi di integrazione. Le promesse sono state tradite, gli obiettivi non sono stati raggiunti. La stessa capacità di governo è messa in discussione dalla crisi economica. E allora, se non si può rimontare sui consensi con nuove promesse che non sarebbero credute, né riconfermando obiettivi chiaramente irraggiungibili, si può puntare solo sulla paura e sulla paura per lo straniero. Quel che avviene in Europa dimostra che su di essa si può costruire, o meglio, si può ricostruire un consenso. Perché i partiti xenofobi oggi conquistano fasce cospicue dell'elettorato. Non è così per la Lega in Italia? Di quella paura si vuol fare un uso insieme strumentale e organico, contingente e culturale.
La paura è un sentimento forte, ben presente in società come quella del vecchio continente, che soffre la globalizzazione, che appare sempre più ai margini dei grandi processi economici del pianeta, che mostra, di fronte alle spinte provenienti dai colossi asiatici e dagli Usa, incapacità di innovazione, scarsa vitalità economica e culturale. Giustificare quella paura, appoggiarla, incoraggiarla,  fomentarla è una strada che può apparire semplice in momenti difficili. La stessa opposizione delle istituzioni europee può portare acqua a quelli che oggi appaiono quasi fautori di un nuovo scontro di civiltà. Non è difficile contrapporre alla "burocrazia di Bruxelles" le condizioni del popolo, in un ennesimo, ma sempre efficace contrasto fra èlites politically corredi e necessità concrete dei ceti popolari. È quel che il governo francese e italiano si apprestano a fare, anzi, stanno già facendo. Con una differenza. In Francia le posizioni di
Sarkozy hanno suscitato le reazioni immediate non solo della sinistra che sta riguadagnando terreno, ma anche della destra repubblicana che non vuole inseguire Le Pen sul suo terreno. In Italia la sinistra tace e quando parla si preferirebbe quasi che tacesse. Si legga questa frase apparsa sui giornali di qualche giorno fa a proposito della espulsione dei rom dalla Francia e dell'appoggio di Bossi alle misure francesi. «Si sa che gli zingari sono ladri. Al mio paese quando arrivavano si chiudevano porte finestre ma li trattavamo bene. Bossi, invece che occuparsi degli zingari dovrebbe occuparsi di altri ladri». L'ha pronunciata, pensando forse di dire cose di buon senso, Pier Luigi Bersani, il segretario del maggiore partito dell'opposizione di centrosinistra. Ma non c'è da rimanere sgomenti?



Nomadi 21 luglio; «Solo il 6% torna a scuola»
Rom, appello al sindaco «Fermate gli sgomberi, pagano solo i bambini»

Dnews, 22-09-2010
» «Gli sgomberi penalizzano soprattutto i bambini, solo il 6 per cento torna a scuola: bisogna fermarsi». La denuncia è dell'associazione "21 luglio", che lancia un appello all'amministrazione capitolina: «Il sindaco Alemanno sospenda il piano degli sgomberi in quanto esso non prevede una reale situazione alternativa così come previsto dalle convenzioni internazionali». L'associazione inoltre denuncia anche i problemi delle strutture di accoglienza scelte per ospitare i nomadi sgomberati. «Nell'ex cantiere di via Salaria l'igiene è carente, le norme di sicurezza non vengono rispettate e la struttura stessa è precaria. Nonostante tutto, questa struttura ospita 300 persone di cui circa 170 bambini». Inoltre, «nei 209 insediamenti informali censiti e che dovrebbero essere sgomberati vivono almeno duemila persone, tra cui circa 800 bambini».
Secondo Sveva Belviso, assessore alle Politiche sociali del Comune, le informazioni dell'associazione "21 luglio" sono «incomplete»: «Smentisco categoricamente che nella struttura di via Salaria possa piovere. L'ex cartiera è una sistemazione temporanea, gestita dall'Arciconfraternita SS. Sacramento e San Trifone che ha una lunga esperienza in termini di aiuto e assistenza. Quanto alla scolarizzazione dei bambini, l'associazione commette un'ulteriore imprecisione visto che su 80 bambini presenti nella struttura, 65 sono inseriti nel circuito scolastico e si sta lavorando per favorire l'integrazione anche degli altri bimbi».



Rom questione di muscoli?

Italiarazzismo.it
Ubaldo Pacella
L’allontanamento dei rom, decretato dal presidente francese Sarkozy con il piglio tipico di una muscolarità tutta di facciata, ha trovato in Europa la sponda inascoltata del Presidente del Consiglio italiano.
Non è a ben vedere questione di poco conto, tant’è che nella società contemporanea le entità numeriche, le minoranze, i gruppi assumono una dimensione di rappresentanza non in funzione delle idee, piuttosto di come possono essere utilizzati da quella sorta di circo mediatico rappresentato dai media.
Un derelitto pastore del profondo degli USA, per questo perverso gioco di specchi incrociati, ha con farneticanti dichiarazioni costretto lo stesso presidente Obama ad un lavoro diplomatico di certosina pazienza. Tutto costruito sulle sabbie mobili del nulla.
Fenomeno inverso quello dei Rom. Fanno notizia ormai raramente, relegati ai margini della cronaca, così come lo sono della società. L’ambigua sopportazione che li circonda descrive l’essenza liquida entro la quale restano confinati.
Dimenticate per sempre alcune belle pagine di letteratura che  descrivono queste popolazioni nomadi, lasciata nella biblioteca di montagna la prosa di Sgorlon, non ci resta che fare i conti con fugaci immagini livide e straccione propinate dai più disparati Telegiornali. Trasuda da queste una sorta di insensibilità alle disgrazie,  un alzare il proprio schermo cencioso quale metafora di una autonomia, della diversità che queste etnie conservano, pur nello smarrirsi entro la società contemporanea, dove il nomadismo classico ha lasciato il posto a quello virtuale. Dove ci si muove per un progetto, almeno ipotetico, di lavoro, di libertà, di benessere. I Rom spesso non sono interessati a questo. Le malversazioni di cui è intessuto l’immaginario collettivo sovente restano legate all’ancestrale necessità di mantenersi, anche in modo illecito, senza radicarsi in alcuna forma con il territorio e le comunità.
Sono una minoranza che sembra non chiedere dignità, né attenzione. Difficilmente protesta, rifiuta la ribalta pubblica, perché da essa ha quasi tutto da rimettere. Muovono raramente a compassione e comunità e amministratori pubblici sono ben lieti di non ospitarli, o comunque di confinarli in zone il più marginali possibili.
Ecco perché l’irrompere sulla scena della questione Rom, dettata dal Sarkò parigino con il fragore di un temporale estivo, appare destinata ad essere altrettanto rapidamente dimenticata. Tanto complesso è il rapporto con la gestione sociale dell’accoglienza di questi simulacri di tribù nomadi delle più diverse etnie e nazionalità. Si fa fatica a confinare la stessa riflessione nei diversi ambiti giuridici, sociologici, culturali e politici. Ogni parola d’ordine per quanto becera non è in grado di definirne i contorni. Le grida di greve sapore leghista che potrebbero levarsi da oscure coscienze tanto neglette quanto ignoranti con il fatidico: “ Rimandateli a casa” lasciano il posto al sorriso, se si pensa che molti Rom sono italiani. Che dire poi del fatto che in queste comunità allignano cattolici e ortodossi, musulmani e sincretisti. I Rom non sono un gruppo di diseredati uniti da destini diversi, bensì popolazioni con un passato fiorente di allevatori di cavalli o di artigiani, che la storia a finito per lasciare ai margini. Appartengono ad un passato sconosciuto, sono una presenza “ diversa” per questo considerata ostile. Un problema difficile da affrontare, più facile da rimuovere, con una manciata di euro e l’esibizione di quella autorità dello stato che d’altro canto non è in grado di controllare il territorio, di contrastare la criminalità organizzata, di sostenere politiche di accoglienza o di inserimento, di creare campi attrezzati e di costruire un reticolo sociale positivo che sappia coniugare con il sostantivo Rom valori positivi, non esclusivamente quelli del delinquere o della marginalità.
Comprendere  risulta assai complicato, sciogliere i nodi della storia impegnativo, affrontare gli squilibri e le contraddizioni tra le comunità locali e i Rom un rompicapo, anche per quei progressisti che a colpi di supponente lassismo, di ricette improntate ad una prodigalità dovuta da altri, di consigli lasciati piovere dai salotti buoni tra un tè e una conversazione colta hanno per decenni alimentato quella sorda indifferenza che si fa strada tra il popolo minuto. E’ questa che drammaticamente riaffiora oggi, nella crisi del pensiero, dei valori, degli ideali, quando il fumo di una economia dissennata si dirada e sul campo restano le spoglie di una società impaurita, fradicia di speranza, desiderosa di trovare un futuro che scivola via dalle mani come sabbia.
Affrontiamo con umiltà e metodi nuovi piste di dialogo inclusive con i Rom, più che con altre minoranze. Dismettiamo i panni di chi ha la prosopopea di vantare soluzioni che altro non sono che fangose imitazioni di antiche e orrende devianze. Non pensiamo che la rimozione, anche quella coatta, possa aiutarci.
Il problema non è solo giuridico, normativo, comunitario o sociale è una questione di strumenti culturali, di primato dell’etica. Nessuna sopraffazione potrà seminare la speranza e il cambiamento necessari per uscire dai ghetti e sovente questi presentano i confini della maggioranza silenziosa, dei cittadini onesti, delle comunità in buona fede. Non abbiamo il diritto di additare nessuno al ludibrio, tanto meno quello di zittire le nostre coscienze, soprattutto quando a proporlo in maniera strisciante sono politici cui si addice meglio il palco dell’avanspettacolo ringhioso e sboccato, che lo scranno dello statista.



Intervista di Lanfranco Palazzolo
Monica Quirico, giornalista e saggista, non si aspettava che il partito svedese xenofobo potesse arrivare al 6 per cento
Quando l'immigrazione fa paura
La Voce Repubblicana, 22-09-2010
La destra xenofoba dei Democratici di Akesson ha pollaio via tanti voti ai socialdemocratici. Lo ha detto alla "Voce Repubblicana", parlando delle ultime elezioni svedesi, Monica Quirico, giornalista e saggista. La studiosa collabora con alcune riviste svedesi. E ha pubblicato numerosi testi sulla politica e la società svedese come il recente "Tra utopia e realtà: Olof Palme e il socialismo democratico " (Editori Riuniti. University Press).
Professoressa Quirico, cosa pensa dell'esito "olandese" delle elezioni in Svezia che ha visto comunque l'affermazione del centrodestra, che ha però perso la maggioranza assoluta dei voti? L'esito di questo voto e il successo della destra xenofoba erano fatti imprevisti?
"L'esito di questo voto non era imprevisto, perché i sondaggi sono stati coerenti e chiari dall'inizio delle elezioni fino alla fine del confronto che ha portato al voto. I sondaggi svedesi sono stati affidabili nel dare la vittoria del centrodestra e nel prevedere l'ingresso dei Democratici di Jimmie Akesson in Parlamento. Ma non mi aspettavo uno scarto cosi forte tra centrodestra e centrosinistra. E non mi aspettavo che il partito di Akesson arrivasse quasi al 6 per cento".
L'affermazione dei Democratici ci induce a pensare che la Svezia è diventata un paese meno tollerante?
"Io non credo che la Svezia stia diventando un paese meno tollerante. Il problema è nato a seguito della concentrazione degli immigrati in alcune aree. In alcune città come Malmoe sono nati dei veri e propri ghetti di immigrati. Un sobborgo di Stoccolma si è trovato ad avere una percentuale di iracheni superiore rispetto a quanti non siano stati accolti negli Stati Uniti. Questa concentrazione di immigrati ha creato indubbiamente un caso. Il leader dei Democratici Akesson è stato molto abile a fomentare l'allarme immigrazione, adducendo statistiche sulla criminalità in quelle zone che poi sì sono rivelate infondate e sono state smentite da altri esponenti politici moderati. I Democratici hanno pescato molti voti tra i disoccupati. Pare che il profilo standard del loro elettore sia: maschio, giovane e disoccupato. Ecco perché hanno portato via voti ai socialdemocratici. Il fallimento della polìtica dei socialdemocratici nel mercato del lavoro si è fatto sentire".
Come farà il centrodestra svedese a trovare ì voti che mancano per formare una maggioranza in Parlamento? Si tornerà alle urne in tempi brevi?
"Non penso che si tornerà alle urne. E' probabile che il centrodestra tenti la strada di un accordo con i Verdi. Per quest'ultimo partito sarà davvero imbarazzante spiegare la nuova alleanza con il centrodestra. Ma nello stesso tempo diranno che lo faranno per senso di responsabilità nazionale. E per evitare che i Democratici di Svezia diventino l'ago della bilancia della politica svedese".



Nuove polemiche  Ue-Parigi Reding a Sarkozy: sulla vicenda rom critiche sessiste

il Sole, 22-09-2010
«Abbiamo costruito l'Europa su certi valori, per evitare che non fossero mai più deportate famiglie intere per colpire un individuo la cui attività non piaceva a un governo. Quello che ho detto la settimana scorsa, criticando la politica francese nei confronti dei rom, era che non volevo vedere più misure prese contro gruppi di persone. Ci sono regole in Europa che permettono di espellere singole persone». Viviane Reding (nella foto), commissario Ue alla Giustizia, è tornata a polemizzare con Nicolas Sarkozy. «In politica se è , un uomo a battere il pugno sul tavolo, è virile. Se lo fa una donna, è isterica».



In Europa l'immigrazione toglie i voti alla sinistra

ItaliaOggi, 22-09-2010
SERGIO SOAVE
I risultati delle elezioni svedesi, nelle quali la coalizione di centrodestra ha ottenuto una sostanziale conferma e il partito che si definisce democratico e che viene considerato di estrema destra è entrato in Parlamento per la prima volta, hanno suscitato commenti pressoché unìvoci. L'immigrazione incontrollata provoca uno spostamento a destra dell'elettorato e favorisce l'affermazione di partiti che della lotta all'immigrazione fanno la loro principale bandiera. Si tratta in effetti di un fenomeno che si presenta più o meno in tutta Europa, ma con caratteri assai diversificati. Ci sono partiti di antica origine neofascista, come il Front National francese, che recuperano consensi nella nuova situazione, e formazioni di tipo nuovo, come quelle olandesi che si sono caratterizzate per una lotta contro l'islamizzazione in difesa della secolarizzazione e della libertà dei costumi. Alcuni osservatori collegano a questo fenomeno anche la Lega nord, che per la verità nasce da una spinta all'autonomia territoriale e da una sorta di rivolta fiscale.
Quello che, invece, non viene chiarito è quale sia l'origine sociale e politica dei consensi raccolti dai partiti anti-immigrazione. È un fatto che in quasi tutti i casi il successo elettorale di queste formazioni è accompagnato da una sconfitta o addirittura da un crollo delle formazioni di origine socialista. Da qualche studio dei flussi elettorali emerge un passaggio diretto di settori di elettorato; soprattutto popolare, dalla sinistra all'estrema destra. D'altra parte anche in Svezia la tenuta del centrodestra e il crollo della socialdemocrazia fa pensare che sia accaduto qualcosa del genere. In Svezia la tradizione socialdemocratica di governo era stata scalfita solo da sconfìtte che duravano una sola legislatura, e anche questa tradizione è stata violata in questa occasione. Il problema della sinistra europea consiste nella distanza tra le enunciazioni di principio favorevoli a una società multietnica e multiculturale, e le difficoltà concrete a  realizzare processi di integrazione che non vadano a danno della parte più debole economicamente della popolazione autoctona.
Se una contraddizione di questo tipo risulta incontenibile anche in una situazione economica tutto sommato florida come quella svedese, a maggior ragione rappresenta un handicap per la sinistra nei paesi latini. Finché la sinistra denuncerà la «paura» suscitata dall'immigrazione senza provvedere a dare sicurezza ai ceti deboli, questa spirale che provoca emorragia di consensi difficilmente si arresterà.



Immigrati, lettera aperta del coordinatore provinciale Sel Pietro Di Sarno al sig. x

Casertanews.it , 22-09-2010
Pietro Di Sarno
Castel Volturno -- "In un'epoca in cui si parla di umanizzazione degli animali mi chiedo se non sarebbe il caso di parlare di animalizzazione dell'uomo.
E' questa la riflessione che mi è sovvenuta leggendo le affermazioni di qualcuno sulla vicenda di Castelvolturno. La prima immagine che mi è passata dinanzi agli occhi è stata quella di un cane che continua a fare la pipì per delimitare il proprio territorio e si tiene pronto ad aggredire qualunque altro dovesse entrarvi. E l'animalizzazione raggiunge il suo culmine quando parlando del feroce attentato camorristico perpetrato ai danni di ragazzi di colore, migranti, si afferma che il rischio è di difendere presunti spacciatori o criminali. Come se la sola presunzione giustificasse un atto di inaudita violenza, come se questa sola condizione giustificasse la presenza della camorra, come se questa supposizione giustificasse chi decide di farsi giustizia da solo, come se fosse possibile riprodurre a Castel Volturno o un posto qualunque della nostra provincia il vecchio Far West.
E allora vien da chiedersi se è possibile accettare, dopo anni di lotte per il progresso, nella speranza di un mondo più aperto ed accogliente, di trovarsi dinanzi a qualcuno che, con le sue parole, ci fa tornare indietro di almeno un millennio.
Le riflessioni che proporrei a chi affronta in un modo così triste, violento e drammatico la convivenza fra culture diverse sono ben altre. Ad esempio l'assoluta incapacità di favorire negli anni una reale integrazione tra i popoli, in cui la diversità si ponesse sul tavolo come una ricchezza e non come un problema. Ci siamo mai chiesti perché quando andiamo fuori dai nostri confini guardiamo con curiosità ed ammirazione le peculiarità dei popoli diversi dal nostro e cerchiamo di imparare per poi raccontare agli amici quanto siano belle le tante cose inusuali per noi e così in voga altrove ed invece quanto ci risultino putride quando queste diversità tentano di integrarsi nella nostra vita quotidiana?
A ben guardare probabilmente si dovrebbe riflettere sul perché il nostro territorio si presti sempre meglio di altri ad essere utilizzato per delinquere anziché per creare cultura e buone prassi e forse iniziare a chiedersi se non siano i nostri connazionali a sfruttare la disperazione di chi viene da noi con la speranza nell'animo di poter affacciarsi ad una vita meno triste.
D'altronde iniziamo a sentirci anche noi un po' come loro, ora che il nostro territorio invaso da rifiuti tossici e non, dalla povertà dilagante, da una criminalità che ci ha costretti in un clima di guerra, accompagnati passo passo da ragazzi che non trovando altri lavori sono costretti a rischiare la propria vita con abiti da militari. Si innesca un circolo vizioso in questo modo, dove noi rifiutiamo l'integrazione degli Africani, i Veneti rifiuti l'integrazione dei Napoletani, i Napoletani rifiutano l'integrazione dei provinciali, i Casertani quella degli Aversani fino ad arrivare al rifiuto del vicino di casa.
No, così non va, questo è un mondo che va all'indietro. Questa è la stessa logica che ci induce a dire "Ai Napoletani la monnezza dei napoletani" e ci fa pensare che la provincializzazione dei rifiuti sia cosa buona e giusta, salvo poi mantenere le cave di cemento necessario a tutta la Campania, quasi esclusivamente nella provincia di Caserta.
Ma in tutto questo che fine ha fatto la politica che si occupa del benessere dei cittadini, che si occupa di garantire una vita decente, di una vita vivibile in cui più nessuno debba sperare di trovare l'unico riposo possibile nella morte?
E no, non è più di questo che la politica si deve preoccupare. Il senso etimologico del termine ormai sfugge ai più. A questo punto potremmo anche chiamarla "Ecomica" pensando ad un misto tra economia e comicità. Si, perchè dinanzi a questo siamo.
Un sindaco non può giustificare un delitto camorristico atroce. Mai. Un amministratore non può mai delegare la giustizia ad un privato. In nessun caso.
Forse un ultima riflessione andrebbe fatta sullo stato del litorale domitio. Non credo che sia in queste condizioni a causa dei fratelli immigrati. Chi specula su chi caro signor x? Le associazioni di volontariato forse, che quotidianamente distribuiscono un pasto e l'assistenza sanitaria a migranti vittima della camorra, di cui si servono ogni giorno nostri connazionali, nostri concittadini, per soddisfare le proprie voglie represse? Le associazioni grazie alle quali alle prostitute del litorale domitio vengono forniti preservativi, utili a preservare tanti insospettabili padri di famiglia? E' proprio un mondo capovolto il suo, caro signor x.
Piuttosto si rifletta su quanto barbare ed indecenti siano state le azioni di politici e camorristi sul nostro territorio. Si, politici e camorristi, perché ancora oggi la differenza la fanno loro. Quelli che hanno distrutto il nostro territorio per interessi privati, quelli che quando parlano di amici nei comizi parlano di Zagaria e Iovine, quelli che in loro nome chiedono voti per il potere. E poi quel favore lo ricambiano e come. Deturpando il nostro territorio. Togliendo il terreno fertile ai contadini, facendo speculazione edilizia, cementificando il nostro territorio, che è quello con la densità abitativa più alta in Italia, a dispetto delle assurde condizioni in cui siamo costretti a vivere, gettando merda nel nostro mare, consegnandoci decine e decine di zone industriali dove non esiste più alcuna produzione, fatte solo per rubare soldi allo Stato. Ma tanto chi è lo Stato? I nostri politici hanno insegnato negli anni ai nostri concittadini che "si può fare!", tanto paga lo Stato, mica noi. Lo stato è quello di Roma. Quello lontano. Non siamo mica noi. E si, perchè non siamo mica noi quelli che pagano le tasse, quelli che se sono fortunati si alzano tutte le mattine alle sei e pagano metà del loro stipendio allo Stato.
Che dice signor X, le sembra il caso di fare una riflessione seria su queste cose? Ma no. Lei è troppo occupato a fare il populista, a sfruttare il malcontento della povera gente, a favorire una guerra fratricida, una guerra tra poveri. Lei è troppo occupato a far credere a chi non ha avuto e non ha il tempo per informarsi e studiare, perché occupato a trovare il pane per campare giorno per giorno, che Bossi è la soluzione di ogni problema, Si, quello che fa credere a tutti che il male dell'Italia intera siamo noi cittadini del sud.
Noi, che paghiamo le tasse come quelli del Nord, almeno noi onesti, e poi però a differenza loro non riceviamo nulla in cambio. Si, perché al Nord gli ospedali ci sono e funzionano, le scuole non cadono a pezzi come le nostre ed hanno attrezzature all'avanguardia, esistono addirittura i servizi sociali, e, da non credere, offrono la casa a chi non ce l'ha. Pensi che hanno anche le piscine pubbliche per i bambini. Mentre i nostri devono accontentarsi di giocare per strada, tra le auto parcheggiate. E allora vede signor X, io non credo per niente che il nostro problema siano i fratelli immigrati. Il nostro problema sono le persone come lei, che hanno bisogno di tenere la nostra provincia in queste condizioni per continuare a fare i propri porci comodi."



Torna il Clandestino Day

Inviato da redazione il Mar, 21/09/2010 - 16:30
Cie clandestini diritti immigrazione Nordest
Beatrice Barzaghi (Terra a Nordest)
INIZIATIVE. Venerdì 24 settembre la seconda edizione della giornata a favore dei diritti dei migranti e contro i Cie.
Zelo è una frazione di Giacciano con Baruchella, provincia di Rovigo, Polesine profondo. Venerdì 24 settembre attorno all’ex base missilistica del paese si manifesterà contro i Cie (Centri di identificazione ed espulsione per immigrati) ma anche contro lo smantellamento dei processi di inclusione nella scuola, contro i respingimenti e per un nuovo comune dei diritti, aderendo alla campagna “Clandestino Day” dopo aver coinvolto nel 2009 quasi 500 associazioni in 60 città. Il Clandestino Day vuole essere una giornata a favore dei diritti dei migranti, a disposizione di tutti, «per intrecciare e allargare reti, per dare visibilità a tutti e a ognuno con le proprie forme e i propri linguaggi».
Il Coordinamento No Cie - In Veneto dalla fine di luglio è subentrata un’urgenza: opporsi alla paventata costruzione di un centro di identificazione ed espulsione che il ministro Maroni intenderebbe realizzare nel paese di Zelo. I Cie sono gli ex Cpt, strutture realizzate in siti militari in cui uomini e donne migranti si ritrovano rinchiusi per il reato di clandestinità, reato che, secondo l’appello lanciato dal settimanale Carta, con «respingimenti in mare, violazione del diritto d’asilo, sanatoria-truffa, permesso di soggiorno a punti e tetto scolastico» è un tassello aggiunto a «questo nuovo razzismo, istituzionale e popolare, a cui vogliamo opporci». In Polesine anche il Vescovo di Adria e Rovigo, monsignor Lucio Soravito, ha condannato gli ex Cpt, definendoli «delle carceri, con tutti i problemi di salvaguardia della dignità umana e di sicurezza per gli ospiti e il personale in servizio».
Moltissime realtà regionali hanno aderito quindi all’invito del Coordinamento rodigino di partecipare alla giornata di informazione e contestazione al Cie, e il messaggio lanciato è molto chiaro: «No al Cie, nè in Polesine, nè in Veneto, nè altrove. Sì invece a politiche sull’immigrazione che abbiano come punti fermi il rispetto della dignità umana, l’inclusione e la promozione dell’individuo». Tra le associazioni che aderiscono al coordinamento, l’African Diaspora Nigerian Women, l’Arci solidarietà, i Beati costruttori di pace, Noi siamo chiesa, La fionda di Davide, Emergency, il Centro di documentazione palesano, il Comitato primo marzo, la Rete Tutti i diritti umani per tutti di Venezia, Razzismo stop di Padova.
Il Clandestino Day si aprirà a Rovigo alle ore 17 con un presidio in piazza Vittorio Emanuele. A Padova dalle ore 17 si convergerà in piazza, davanti alla prefettura, dove ci sarà microfono aperto per le storie di clandestinità. A Stienta, sabato 25 settembre l’Associazione «Il Fiume» ospita don Andrea Gallo nella sala consiliare del Municipio
per parlare del suo ultimo libro «Così in terra come in cielo».



Domenica a piazza Vittorio una festa per gli addetti del settore: i migranti potranno avere informazioni legali e l'elenco delle norme per la tutela
Roma e provincia, stranieri 27 mila edili
la Repubblica, 22-09-2010
ANNA RITA CILLIS
Sono il 49% del total. I sindacati: "Più sicurezza, troppi incidenti sul lavoro"
UN OPERAIO edile su due è un immigrato: nei cantieri di Roma e provincia su 55mila addetti—dati rilevati da ottobre 2009 a giugno 2010— circa 27 mila sono stranieri, ovvero il 49,5 per cento. Una forza lavoro «dalla quale oggi non si può prescindere», spiega Roberto Cellini, segretario generale della Fillea Cgil di Roma e Lazio. Ed è a loro che è dedicata la "Festa interculturale per la sicurezza in edilizia" organizzata per il terzo anno consecutivo a piazza Vittorio domenica prossima. Evento per il quale scendono in campo la Asl RmA, i sindacati, l'Inail, le amministrazioni locali, le associazioni di categoria e Sant'Egidio. «Quest'anno per la prima volta — spiega Cellini — saranno allestiti anche gli stand dei sindacati dove i migranti potranno ottenere informazioni legali e l'elenco dei diritti sui luoghi di lavoro».
Lo scorso anno la manifestazione fu un «successo» ricordano gli organizzatori. Oltre settemila persone raggiunsero l'agorà più multietnica della Capitale per partecipare alla festa nata per accogliere le famiglie dei lavoratori migranti: un'occasione per divertirsi tutti insieme e fare il punto sulle condizioni degli stranieri impegnati nel campo dell'edilizia nella capitale. Domenica, da mezzogiorno alle sei del pomeriggio, oltre alla musica, agli spettacoli dal vivo, agli stand di cucina etnica, «saranno realizzate delle dimostrazioni su come lavorare in sicurezza, su come operare un intervento di primo soccorso — prosegue il segretario Cellini ma anche su come si monta e si smonta un ponteggio e si utilizza l'imbracatura anticaduta».
La sicurezza nei cantieri resta uno dei grandi temi da affrontare, il più delicato. Ora più che mai, come sottolinea la Fillea Cgil romana: «Sono drasticamente diminuite le ispezioni e questo significa meno controlli e dunque meno tutela. Perciò aumentano più incidenti». E proprio sui dati degli incidenti Roberto Cellini spiega: «Spesso vengono male interpretati perché, ad esempio, non è vero che sono diminuiti nel 2009 come in molti hanno sottolineato. Ci sono stati meno incidenti perché sono diminuiti gli addetti ai lavori». Nel 2009 ci sono stati circa 3300 incidenti, l'anno precedente 3733 «ma lo scorso anno i lavoratori edili erano 55mila, nel 2008 erano 61mila». E gli infortuni riguardano nel 20-30 percento dei casi proprio operai stranieri, ma secondo il segretario romano della Fillea Cgil si tratta di numeri «approssimativi visto che molti, dopo essersi fatti male vanno sìa pronto soccorso ma non denunciano l'infortunio sul lavoro». Lo scorso anno a Roma cinque migranti  hanno perso la vita mentre erano in cantiere. Nel 2008 gli operai deceduti furono sempre cinque. E in tutto il Lazio nel 2008 gli infortuni di lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni sono stati 1.034 di cui 838 nella provincia di Roma, sei quelli mortali. «La conoscenza dei propri diritti come dei doveri—conclude Roberto Cellini— nel caso dei migranti si traduce in emergenza sociale». Chi va alla festa quest'anno avrà anche un vademecum sul problema: la guida illustrata " Sicurezza sui cantieri edili".



Immigrazione: diritto di rimanere in Italia per chi divorzia dal coniuge dopo almeno tre anni

info oggi, 22-09-2010
Gabriella Gliozzi

GENOVA- La Cassazione ha accolto il ricorso di una donna, di origine ecuadoriana, alla quale era stato negato dal questore di Genova il rinnovo del permesso di soggiorno, per rimanere a vivere in Italia. La donna aveva infatti divorziato da un cittadino italiano, interrompendo la convivenza con lui. La Suprema Corte ha dato ragione alla donna, stabilendo che ella ha il diritto di restare in Italia e di ricevere il rinnovamento del permesso di soggiorno extracomunitario, perché ha divorziato dopo tre anni.
In pratica ‘il divorzio e l’annullamento del matrimonio con il cittadino dell’Unione non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadini dell'Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, a condizione che il matrimonio sia durato almeno 3 anni, di cui almeno un anno nel territorio nazionale, prima dell'inizio del procedimento di divorzio o di annullamento.’
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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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