Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 febbraio 2011

Il problema siamo noi, non i rom
La destra li perseguita, la sinistra (nel migliore dei casi) li ignora E pura xenofobia continuare a confinare i nomadi in alloggi provvisori
gli Altri, 11-02-2011
Lia Bonelli
Il problema dei rom è un falso problema. E tutta italiana la decisione di confinarli nei campi nomadi, fingendo che questa sia la volontà dell'intera etnia. E frustrando il tentativo di uscire dal destino del ghetto. Lo dimostra la recente vicenda di Milano: il Comune aveva firmato un accordo per dare finalmente una casa ad una ventina di famiglie provenienti dal campo rom del Triboniano. A sorpresa, e per un meschino tornaconto elettorale, Letizia Moratti e la sua giunta hanno rinnegato quella decisione lasciando al leghista Matteo Salvini - che paragonò i rom ai ratti e invitò i tifosi dell'Inter a fischiare la loro squadra perché aveva pagato un biglietto allo stadio ai bambini delle baracche - il compito di ripetere la schizofrenia razzista che impone agli zingari di vivere nelle stamberghe, suscitando lo schifo e lo sdegno della gente comune, e impedisce loro di accedere alle case perché toglierebbero diritti agli italiani. I rom milanesi hanno fatto ricorso al tribunale, che ha dato loro ragione. L'Onu ha già condannato il razzismo istituzionale dell'Italia nei confronti dei rom, ancora prima che il ministro Roberto Maroni lanciasse l'operazione di schedatura a livello nazionale. Recentemente lo ha fatto anche Amnesty International nei confronti del Piano nomadi messo a punto dal sindaco Gianni Alemanno e dal prefetto Giuseppe Pecoraro. Secondo Amnesty, è pura xenofobia continuare a confinare i nomadi - che nomadi sono soltanto in piccolissima parte - in alloggi provvisori e raggruppati in aree lontane dal resto della cittadinanza, protette da telecamere e vigilantes come se fossero delle carceri a cielo aperto, accessibili soltanto ai residenti rom censiti alla Questura e possessori di uno speciale badge. Per l'opinione pubblica, tranne qualche eccezione, è un trattamento perfettamente normale sebbene nessuno mai proporrebbe una soluzione analoga per i senegalesi, i marocchini, gli ebrei, gli albanesi.
Il piano procede a rilento e l'unico vero obiettivo raggiunto è lo smantellamento del Casilino 900, un tempo il campo più grande e popolato d'Europa. Un obiettivo zoppo: soltanto a fine gennaio un gruppo di ex residenti del Casilino 900 ha protestato con il Campidoglio perché la promessa di un campo attrezzato nuovo di zecca tarda ad arrivare. Per Najo Adzovic, il delegato per la questione rom nominato da Alemanno, lo scopo ultimo è lentamente svuotare anche i nuovi campi attrezzati e finalmente inserire le famiglie nelle case e aiutare i rom a trovare un lavoro. Nel frattempo coloro che sono stati esclusi dal piano romano, ovvero i rom che non sono stati censiti e che vivono negli insediamenti abusivi come i quattro bambini morti carbonizzati domenica scorsa, vengono brutalmente sgomberati come se l'abbattimento delle baracche non producesse altre baracche, altri sgomberi, altri bambini bruciati come fiammiferi.
Il problema dei rom è un problema della sinistra e della destra. Morivano bambini con la giunta Veltroni, muoiono bambini con la giunta Alemanno. L'unica differenza è che, con un permissivismo misto a buonismo insensato, le giunte del centrosinistra hanno trascurato per lunghi decenni la questione. E così il sindaco del Pd di Sesto San Giovanni, supportato dal vicesindaco di Rifondazione comunista, costruisce una cancellata per impedire un insediamento di rom mentre il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, permette che il partito cittadino raccolga firme contro il campo nomadi, Chi cerca una soluzione condivisa, come Massimo Cacciari con il villaggio attrezzato per i sinti italianissimi di Mestre, incontra le barricate furibonde dei residenti che non vogliono si spenda un solo euro per gli appartenenti all'etnia rom, anche quando posseggono la cittadinanza italiana e svolgono un lavoro onesto. Le amministrazioni di qualsiasi colore politico trovano sempre un alibi, ed è lo stesso utilizzato nel caso della morte di Raul, Fernando, Patrizia e Sabatino: "Abbiamo proposto una soluzione tramite i servizi sociali, ma hanno rifiutato". La soluzione è quella di dividere la famiglia: alloggio in comunità a donne e bambini, e gli uomini a spasso. Chi accetterebbe, se non per un brevissimo periodo? La conseguenza è che un grosso numero di rom che vogliono davvero integrarsi nasconde la propria origine. Lo racconta con commozione Petruzzelli nel suo Non chiamarmi zingaro, dove una giovane sinti laureata cerca una casa dove però nessuno sia morto, perché nella cultura romani gli spiriti dei defunti aleggiano accanto ai vivi. Finalmente trova un appartamento consono, il proprietario è rapito dalla sua loquacità, e infine lei rivela di essere "zingara". E lui, preso in contropiede, non ha il coraggio di rescindere il contratto. Perché sarà pure zingara, ma è una brava ragazza.
Quello dei rom è davvero un falso problema. Provoca orrore ricordarlo nel 2011, ma ci sono rom che usano i propri figli per mendicare a suon di botte, e rom che fanno gli infermieri negli ospedali, rom che rubano il rame e rom che fanno i giostrai, rom che fanno gli autisti degli autobus   dell'Atac   e   rom   che
sfruttano il racket delle baracche facendo pagare il pizzo, rom che mandano regolarmente i figli a scuola e rom che vanno all'università. Rinchiuderli nei ghetti serve soltanto a perpetuare lo stigma.



«Piano nomadi, il governo valuterà le esigenze di Roma»

Il vertice tra Alemanno e Maroni: schiarita dopo il no
Il Messaggero, 11-02-2011
CLAUDIO MARINCOLA
ROMA - Alemanno esce dal Viminale senza l'assegno che aveva chiesto ma almeno si è aperto uno spiraglio che fino a ieri sera non c'era. Il "no" del ministro dell'Interno Maroni non è diventato un "sì". Tuttavia la posizione del ministro ora sembra diversa.
Quella che fino a ieri era ritenuta dal guardasigilli una «richiesta immotivata», quasi irricevibile, oggi viene classificata in un altro modo. «Il governo - si legge infatti nel comunicato congiunto stilato al termine dell'incontro - valu¬terà le nuove esigenze del piano nomadi».
Certo, l'immagine che fa da sfondo non è proprio il massimo. Il sindaco di Roma costretto ad andare col cappello in mano da Maroni a chiedere nuove risorse per far fronte al dilagare dei flussi migratori. Non è il primo sindaco che lo fa e purtroppo non sarà neanche l'ultimo se la capitale non avrà una sua autonomia.
L'incontro di ieri è stato in bilico fino all'ultimo istante, preceduto tra l'altro da varie polemiche. Alla fine vi ha preso parte anche il sottosegretario Alfredo Mantovano.
I) ministro leghista aveva dato segnali di chiusura e insofferenza. di fronte ad una nuova richiesta di fondi in aggiunta ai 30,8 milioni di euro già utilizzati da Roma. Per ricomporre quello che stava diventando uno strappo Lega-Alemanno si sono mossi i pezzi grossi. Gianni Letta era pronto a mobilitarsi per intervenire, direttamente sul premier se la situazione non sì fosse sbloccata.
Poi la parziale schiarita: mercoledì prossimo, alla riunione dei commissari straordinari per l'emergenza nomadi il prefetto dì Roma Giuseppe Pecoraro porterà un aggiornamento del piano nomadi che sarà poi valutato dal governo.
La situazione resta dunque ancora indefinita. Specie se, come ha confermato ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini «sono ricominciati i flussi migratori della Tunisia». «cosa che non avveniva da tempo, e che ci preoccupa».
Insomma, se Alemanno chiede al governo di allentare i cordoni della borsa, Frattini fa lo stesso con la Ue. «C'è un problema di risorse europee che devono essere mobilitate con urgenza», rileva il mini-stro. E ancora, sempre rivolto a Bruxelles: «Alcune proteste sono dovute a ragioni politiche ma altre sono collegate alla povertà. In Egitto il 40% degli abitanti vive con 2 dollari al giorno e in Tunisìa c'è un sistema di distribuzione della ricchezza molto squilibrato. l'Europa deve intervenire».
In quanto all'emergenza romana, Frattini osserva «che se si lasciano le persone in condizioni assolutamente indecenti, poi i problemi ci sono e non possiamo accorgercene solo quando muoiono i bambini». Frase che buttata lì in questo modo suona critica circa l'operato di Alemanno e dei suoi collaboratori.
E l'opposizione? Lancia fendenti. Per il senatore dell'Idv Stefano Pedica «la città non può essere vittima degli equilibri politici nazionali e neanche merce di scambio per tenere calmi gli alleati leghisti». Bacchettate arrivano anche dal Pd che, dopo la morte dei 4 bambini rom a Tor Fiscale, aveva chiesto la convocazione di una seduta straordinaria dell'Assemblea capitolina. Ozzimo(pd), vice presidente della Commissione Politiche sociali: «Perché
in questi due anni pur avendo più di 30 milioni a disposizione nulla di quanto annunciato è stato portato a termine se non una mera, scriteriata, densificazione dei campi esistenti?».
Non la pensa così il delegato del sindaco di Roma per le politiche della sicurezza Giorgio Ciardi, per il quale «certe critiche di chi per anni non ha saputo far fronte all'emergenza nomadi e«risultano del tutto fuori luogo e irricevibili».



La Corte di Strasburgo, Sì all'indennizzo per chi è detenuto illegalmente nei Cie in vista dell'espulsione
Rom fa causa allo Stato e vince
il Sole, 11-02-2011
Donatella Stasio
ROMA - Dopo la condanna dello Stato italiano al risarcimento dei danni per le condizioni «inumane e degradanti» in cui vivono i detenuti nelle patrie galere, dalla Corte di Strasburgo arriva un'altra condanna al risarcimento dei danni morali, che stavolta il governo dovrà pagare allo straniero trattenuto illegalmente nei Cie in vista dell'espulsione. Poiché il trattenimento è una limitazione della libertà personale, va riconosciuto il diritto all'indennizzo a chi lo subisce ingiustamente, al pari di chi subisce un'ingiusta detenzione in carcere. La Convenzione europea dei diritti dell'uomo lo prevede espressamente, le nostre leggi no. Quindi, se finora chi finiva illegittimamente a via Corelli o in uno dei tanti Cie sparsi per l'Italia non poteva chiedere il risarcimento dei danni morali, d'ora in poi potrà farlo. La sentenza - la prima in questo senso - è dell'8 febbraio e apre una breccia - come nel caso dei detenuti ospitati in carceri sovraffollate e disumane - a risarcimenti a catena ogni volta che un giudice annullerà l'espulsione e il trattenimento. Per evitare altre condanne, e le ricadute sulle casse dello Stato, il governo dovrà garantire al massimo la regolarità delle espulsioni e dei trattenimenti nei Cie.
Tutto nasce dal ricorso di una donna rom di origine bosniaca (anche nel caso del carcere, ad aprire la breccia era stato un bosniaco). Mediha Sefevoric viveva a Roma dal '95 con la famiglia, nei campi nomadi "Casilino 700" e poi "Casilino 900". Nel 2000 chiede lo status di rifugiata, ma non l'ottiene per vizi diforma (sarà accolta soltanto nel 2006). Il 26 settembre del '93 dà alla luce un bambino che però non sopravviverà e l'11  novembre la polizia le notifica un ordine di espulsione in quanto la sua presenza in Italia è irregolare. Nell'attesa, la trasferisce nel centro di Ponte Galeria. Il 24 dicembre, però, il tribunale ne ordina l'immediato rilascio: la sua detenzione è illegale perché contrasta con le norme sull'immigrazione (decreto 286/98), che sospendono le espulsioni per chi abbia partorito negli ultimi sei mesi, indipen-dentemente dal fatto che il neonato sia sopravvissuto o no.
Mediha si rivolge a Strasburgo il 7 aprile 2005 denunciando l'illegalità dell'ordine di trattenimento ma anche la mancanza, nell'ordinamento italiano, di una norma che garantisca, a chi è stato illegalmente chiuso in un centro, il diritto di chiedere l'indennizz.0. L'articolo 5 della Convenzione europea, invece, prevede il risarcimento di chi abbia subito un'ingiusta limitazione della libertà personale, sia essa la detenzione in carcere che il trattenimento in vista di un'espulsione. La Corte le dà ragione e, all'unanimità, l'8 febbraio ha condannato lo Stato italiano a risarcirle 7.500 euro.



Roma, braccio di faro sulla moschea

Il Messaggero, 11-02-2011
FRANCA GIANSOLDATI
ALL'OMBRA del più importante minareto italiano è in corso una dura lotta diplomatica per il controllo della Moschea di Roma, il centro istituzionale dell'Islam italiano. Da una parte si muove l'Arabia Saudita che preme per sostituire l'attuale segretario generale, Abdallah Reduane, conosciuto per avere posizioni moderate ed essere garante del dialogo, e dall'altra il Marocco. Il braccio di ferro va avanti da alcuni mesi e ha raggiunto il suo culmine con la richiesta di un ricambio in tempi rapidi ai vertici di questo luogo di culto.
Punto di riferimento per la comunità musulmana sul nostro territorio. Tutto è partito da uno confronto all'interno del consiglio d'amministrazione in cui siedono anche rappresentanti pachistani, egiziani, indonesiani, tunisini e del Bangladesh. Lo screzio aveva per oggetto la richiesta da parte dei sauditi di risanare i conti in rosso accumulatisi in questi anni per un passivo complessivo di circa 150 mila euro. Reduane è stato poi accusato di avere mostrato scarsa attenzione alla gestione ordinaria, soprattutto nell'amministrare il denaro proveniente dalle casse dell'Arabia Saudita. Con una mossa a sorpresa il principale finanziatore, il Regno di Al Saud, attraverso i suoi rappresentanti ha chiarito ai presenti una volta per tutte che non avrebbe più messo mano al portafoglio e che forse era ora di sostituire Reduane. A guardare le cifre modeste - così come il bilancio che non supera i 400 mila euro
l'anno, necessari a coprire le spese dei dipendenti, i contributi, le bollette e la manutenzione del luogo di culto - la querelle è parsa soprattutto un pretesto per aprire un contenzioso più ampio. Sicch,é al di là dei problemi di denaro (peraltro risolti in questi giorni attraverso un versamento del Regno del Marocco che ha appianato il buco), la vera questione che sta tenendo impegnate le diplomazie arabe riguarda la linea politica portata avanti dal segretario generale della moschea, un uomo aperto alla collaborazione e al dialogo con le istituzioni italiane, il Viminale, il Vaticano e persino la comunità ebraica ma soprattutto intrasigente nei confronti dell'Ucoii e dei Fratelli Musulmani le cui influenze di stampo integralista sono state rigorosamente escluse. Di contro le pressioni esercitate dai sauditi andrebbero nella direzione opposta tanto che sono sempre di più coloro che si chiedono cosa accadrà in futuro se dovesse vincere la linea wahabita che preme per una vistosa correzione di rotta. Già un anno fa, quando iniziò il braccio di ferro tra sauditi e marocchini venne valutato con apprensione l'arrivo -all'interno della moschea -di un dirigente saudita, Fareed Al Khotani, direttore della Lega Musulmana Italiana. L'ex ambasciatore Scialoja però ha subito smorzato i toni della polemica e invitato a vedere le cose sotto un altro profilo: «Al Khotani è un diplomatico che non affianca affatto Reduane come qualcuno insinua e poi non è in corso nessuna lotta di potere. A me sembrano tutte cose campate per aria». Chissà.



IMMIGRATI: A LAMPEDUSA 650 GIUNTI NELLA NOTTE

(AGI) Palermo - Circa 650 immigrati sono stati soccorsi dalla Guardia costiera durante la notte al largo di Lampedusa, in 11 diverse operazioni. Un altro intervento e' in corso a 6 miglia a ponente dell'isola. I numeri sono dunque provvisori e in continuo aumento, mentre prosegue il massiccio flusso di arrivi innescato dalle tensioni politiche in Tunisia. Negli ultimi tre giorni, dopo l'ondata di queste ore, sono oltre mille gli extracomunitari giunti a Lampedusa dove si e' tornati all'emergenza immigrazione. -



Lampedusa, l'assalto dei barconi 852 clandestini soccorsi nella notte

Negli ultimi giorni ne sono sbarcati oltre mille. Divampa la polemica sulla decisione del ministro Maroni. I migranti sono stati lasciati all'addiaccio: protestano le associazioni umanitarie
la Repubblica, 11-02-2011
ALESSANDRA ZINITI
L'ultimo barcone lo hanno scortato in porto all'alba di oggi.  In cento sono sbarcati sulla banchina stracolma di immigrati che nelle ultime 48 ore hanno preso d'assalto l'isola di Lampedusa. Solo nella notte sono arrivati in 852: sommati a quelli che erano arrivati nei due giorni precedenti, superano quota 1000. E nell'isola è di nuovo emergenza, visto che da Roma persiste la direttiva di non aprire agli extracomunitari le porte del centro di permanenza temporanea che resta perfettamente funzionante 24 ore su 24 ma chiuso, come ha deciso il ministro dell'Interno Maroni.
La notte scorsa, Guardia costiera e Guardia di finanza hanno avuto il loro bel da fare. Ben 11 sono state le operazioni di soccorso dei diversi barconi che erano già stati avvistati ieri pomeriggio nel Canale di Sicilia e che sono arrivati, per fortuna, senza incidenti grazie al mare in buone condizioni. Numeri che sono previsti in continuo aumento come raccontanto gli stessi migranti  tutti fuggiti dalla Tunisia in seguito alle tensioni delle ultime settimane. Tutti inneggiano alla caduta di Ben Alì.
A Lampedusa, militari e volontari aspettano indicazioni su come gestire questa ondata migratoria che era stata ampiamente prevista e annunciata da minisbarchi delle scorse settimane, mentre ora in ogni barcone arrivano decine e decine di persone. 137 immigrati sbarcati ieri sera sono stati ospitati in un albergo dopo che il parroco dell'isola, don Stefano Nastasi, aveva messo a disposizione i locali della parrocchia pur di non lasciarli all'addiaccio.



Una nuova Lampedusa tra speranza e paura

L'isola si ribella alle ondate di immigrati: ci hanno dimenticati E sessanta pescatori hanno consegnato per protesta le licenze
La Stampa, 11-02-2011
LAURA  ANELLO
LAMPEDUSA - "Ne  arrivano ancora, ne arrivano altre sette». L'orizzonte le svela una dopo l'altra, queste barche che dal molo sembrano irreali, come la nave dell'Olandese volante. È quando si avvicinano, quando si cominciano a sentire le voci - «Italia Italia» - quando si distinguono le braccia tese, le mani che salutano, le facce che si sporgono, che quei fantasmi sul mare diventano veri. Uomini stremati, bagnati, con addosso il puzzo dell'attesa e della fatica, stretti dentro i gommoni come gli albanesi di vent'anni fa. L'esodo è incontenibile, tanto da fare invocare al ministro degli Esteri Franco Frattini un «Piano Marshall dell'Europa per il Mediterraneo».
Dopo la prima ondata dei 190, la seconda dei 211, l'altra sera ne sono approdati 79, e poi 77. Ieri ancora 65 e poi 40. Da Pantelleria, l'isola verde mai toccata dagli sbarchi, uno sparuto drappello di sette. Infine in serata, qui a Lampedusa, l'arrivo di altri cento. «Il Canale di Sicilia è pieno, sarà una lunga notte», dicono gli uomini della guardia costiera, mentre la tensione sale, e da Roma si cerca una via strategica per fermare la nuova ondata di immigrazione targata Maghreb.
Ma Ben Alì è caduto, con lui gli accordi e i controlli agli imbarchi, e da Jarjis, il porto più a sud della Tunisia, si paga un biglietto e si parte neanche fossero navi di linea. Tra lunedì e martedì, raccontano da laggiù, sono salpati - diretti qui - dodici battelli con a bordo più di mille clandestini.
Come in una legge del contrappas¬so, da quattro giorni non c'è neanche una barca di Lampedusa che esca dal porto. I sessanta pescatori hanno con-segnato le licenze alla Capitaneria e hanno detto che non intendono più lavorare così, nella stretta di una crisi che qui si chiama caro-carburante ma che ha a che fare anche con il Centro di soccorso e di accoglienza per gli immigrati, chiuso quando Roma ha dichiarato finita l'emergenza. E che continua a tenere serrati i battenti, perché mai e poi mai bisogna ammettere che il fronte si è riaperto.
«Abbiamo perso soldi e visibilità -dice Piero Billeri, presidente dell'associazione pescatori di Lampedusa - il Centro di accoglienza dava lavoro a cento famiglie tra operatori, società di pullman, mensa, e l'isola aveva sempre i riflettori puntati addosso. Il mondo si è dimenticato di noi, farsi sentire è difficile». La prima rivendicazione è quella sul costo del carburante, 20 centesimi il litro in più rispetto alla terraferma, «che per me la mia barca significano 20 mila euro l'anno in più rispetto a un pescatore di Mazara del Vallo o di Porto Empedocle, questo è giusto forse?». Proteste antiche, che si riacutizzano quando la crisi morde, quando l'isola dalle spiagge candide e il mare turchese è avvolta nell'inverno e qui si sente solo il sale che punge le labbra
Non tutti la pensano come lui, e il paese si spacca di nuovo come ai tempi dell'assedio, tra accoglienza e paura. «Preoccupati degli sbarchi? Neanche per sogno», taglia corto la titolare della tabaccheria, Maria Concetta Maggiore, mentre tra gli albergatori alle prese con le prime prenotazioni per l'estate comincia a serpeggiare il terrore delle disdette dopo la risalita dei numeri del turismo. «Non ho difficoltà a ospitare questa povera gente, ma il problema è che il ministero mi paga venti euro a notte per ogni ospite e io ci rimetto perché trovo le stanze distrutte», spiega Claudio Man Torrente, titolare dell'Hotel Macondo, un «tre stelle» utilizzato per accogliere i primi immigrati di questa nuova ondata, a dispetto degli 850 letti del Centro di accoglienza che restano immacolati.
Ieri, per i disperati arrivati al mattino, la parola d'ordine era fare in fretta: accoglienza, sommaria identificazione, visita del medico, vestiti asciutti, e poi di corsa nella pancia della nave di mezzogiorno diretta a Porto Empedocle. Gli altri cento sono stati invitati ad accomodarsi sull'asfalto della banchina, all'addiaccio, per passare la notte. «Stiamo monitorando la situazione per far sì che vengano assistiti adeguatamente. Sono persone che hanno dovuto affrontare i pericoli di una traversata in mare, gente che ha diritto a fare domanda d'asilo», dice Laura Boldrini, la portavoce in Italia dell'Alto Commissariato per i rifugiati. Parole che qui risuonano lontanissime, più della sagoma di un'altra nave che già si staglia sull'orizzonte buio.



Immigrati, Maroni: "C'è il rischio di un'emergenza umanitaria"

Libero.it, 11-02-2011
Venezia, 11 feb. - (Adnkronos) - "Come temevo la grave crisi sociale e politica dei paesi del Maghreb, in particolare Tunisia ed Egitto, sta portando ad una fuga di massa. In particolare, dalla Tunisia verso l'Italia. C'è il rischio di una vera e propria emergenza umanitaria". E' l'allarme lanciato dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, stamane in occasione di un convegno a Venezia sul tema 'Il Veneto: tradizione, tutela, continuita''.
Il titolare del Viminale ha spiegato che "in fuga da quei paesi stanno arrivando centinaia di persone sulle coste italiane. Stiamo mettendo in campo tutte le iniziative per fronteggiare questa crisi umanitaria".
E Maroni ha quindi annunciato che "la prossima settimana, giovedi' prossimo, ho gia' convocato il comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza a cui ho invitato anche il ministro degli Esteri, per decidere le misure più idonee, gli ho chiesto naturalmente il coinvolgimento della Comunita' europea, perche' gli strumenti necessari per porre rimedio a questa situazione non possono essere messi in campo solo dall'Italia".
Il ministro dell'Interno ha quindi sottolineato "il problema è che l'accordo bilaterale che abbiamo con la Tunisia e che ha permesso finora di gestire in modo efficace il contrasto all'immigrazione clandestina, non viene attuato dalle autorita' tunisine proprio per la situazione di crisi. C'è una incapacità di fronteggiare la situazione da parte delle autorità tunisine -ha concluso- che comporta questa situazione. Dobbiamo intervenire e studieremo le misure adeguate".
Riguardo le questioni politiche in Italia, Maroni si dice convinto che il governo "durerà, abbiamo recuperato la maggioranza in Parlamento e quindi dal punto di vista dei numeri la maggioranza c'è e continueremo a governare". E sul federalismo spiega: "E' uno dei sistemi culturali prima che istituzionali, per tenere insieme le diversità, per creare una unità di queste diversità, che porta ricchezza e maggiore energia".
Sul fronte delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia Maroni ha spiegato che "se uno pensa che qualcuno voglia cancellare queste diversità si ribella e cerca altre direzioni. Il metodo giusto è quello di far capire che possono sopravvivere queste diversità anche linguistiche all'interno di un contesto flessibile che non vuole cancellarle, ma che vuole tutelarle e salvaguardarle. E il federalismo nel 150° dell'Unità d'Italia può essere davvero la risposta giusta anche sul piano culturale".
Perché, ha concluso Maroni, "la lingua è la voce del cuore, rappresenta l'orgoglio di appartenere ad una comunità. Sono tante le lingue italiane e queste diversità vanno salvaguardate".



Profughi tunisini in Sicilia E si teme l'ondata egiziana

il Giornale, 11-02-2011
Manila Alfano
È l'onda lunga delle rivolte del Maghreb. All'inizio era la Tunisia. È da gennaio che gli uomini della guardia costiera vigilano senza sosta. I clandestini arrivano da sud. La fuga degli immigrati è l'altro lato della rivoluzione. Si scappa dalla terra d'origine, si approfitta del caos. L'Italia è lì, appena 150 chilometri e ci sei. Lampedusa, Agrigento, Marsala, Pantelleria. Basta allungare la mano. E allora i barconi in fila pronti per salpare per l'Italia aumentano. A gennaio fuggivano dalla Tunisia in fiamme, Ben Ali era appena scappato con la moglie e i chili di oro caricati sull'aereo. Loro erano diretti a Dubai. I disperati invece approdano sulle coste siciliane. Da gennaio a oggi il flusso non si è interrotto. Ieri un barcone con oltre 113 immigrati è stato intercettato da due motovedette della Guardia Costiera a circa 15 miglia a sud di Lampedusa. L'imbarcazione è stata scortata verso il porto dell'isola, dove in giornata erano già approdati altri 182 extracomunitari in tre sbarchi consecutivi.
Ma quello che preoccupa davvero sono le segnalazioni continue di altre «carrette» in arrivo, con centinaia di migranti a bordo. Tra mercoledì notte e giovedì a Lampedusa sono sbarcati 221 magrebini che si sono aggiunti ai 208 clandestini già arrivati a Lampedusa tra martedì e mercoledì. Si è riaperta «l'autostrada del mare» nel Canale di Sicilia. A solcarla sono stati decine di barconi di migranti verso le coste siciliane. E per fronteggiare la nuova emergenza il ministro degli Esteri, Franco Frattini, invoca un «Piano Marshall dell'Europa per il Mediterraneo». Ma ora è il Cairo a far paura. L'Egitto non è la Tunisia. Lo dicono i numeri, 80 milioni di egiziani: lo Stato più popoloso del Medio Oriente, contro i 10 milioni di tunisini. E lo scenario da golpe che si è aperto nel Paese non fa certo ben sperare. Si scappa dall'Egitto sconvolti anche dall'incertezza politica. L'esodo, questa volta rischia di essere molto più che un'emergenza. E viene subito in mente l'Albania degli anni Novanta. Gli sbarchi in massa sono iniziati proprio da lì. In questo momento di transizione chi può approfitta del caos per defilarsi, per fuggire. A far tremare è anche l'economia: l'ombra della crisi, della povertà, della fame. I ricavati per il canale di Suez sono calati dell'1,6 per cento dal mese di dicembre. E la banca centrale egiziana ha immesso sul mercato «una grossa somma in dollari» per bloccare la speculazione. La paura dell'esodo non è solo italiana. La Francia guarda atterrita verso il Maghreb. C' è il timore delle autorità per l'inasprirsi dei flussi verso l'Europa. Sono migliaia gli immigrati che potrebbero tarrivare, e l'effetto domino non è ancora risolto. In Sicilia intanto cresce il malcontento, il ministro Maroni ha ribadito che il centro d'accoglienza per immigrati a Lampedusa resterà chiuso, ma l'assalto all'isola è iniziato.



Milleproroghe. Doppio emendamento della Lega contro gli immigrati: abolizione dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) e fideiussione per aprire una partita iva.

Per il Carroccio con la soppressione dell’UNAR si risparmierebbero 2 milioni di euro, ma per molti è una rivalsa nei confronti dell’Ufficio antidiscriminazioni molto attivo contro le ordinanze dei “sindaci sceriffi”. Con il secondo emendamento, prevista una fideiussione di 20mila euro per aprire una partita iva.
Immigrazione Oggi, 11-02-2011
Un primo emendamento della Lega al decreto Milleproroghe per abolire l’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, guidato da Massimiliano Monnanni, alle dipendenze del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nella proposta, presentata dai senatori Mazzatorta, Garavaglia, Bodega, Vaccai e Valli, vi si legge una voglia di rivalsa del Carroccio per tutti i pronunciamenti dell’Unar contro i provvedimenti discriminatori nei confronti degli immigrati di molti sindaci “sceriffi” del Nord est.
Il senatore Pedica dell’IdV scrive in una nota “la proposta di abolire l’ufficio antidiscriminazioni razziali, Unar, avanzata con un emendamento al decreto Milleproroghe da parte della Lega, non soltanto è un’idea frutto della politica xenofoba e retrograda del Carroccio, ma è anche contraria a disposizioni europee, in quanto vige l’obbligo per ogni Paese della comunità di avere tale ufficio in quanto discende dalla direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone”.
Per l’esponente dell’Idv, “approvare l’emendamento metterebbe pertanto l’Italia al centro di una procedura di infrazione da parte di Bruxelles, che non potrebbe che chiudersi con una multa salatissima per il nostro Paese. Come vicepresidente della Commissione politiche europee non lascerò che la questione passi sotto silenzio e la porterò direttamente all’ordine del giorno della Commissione. La Lega vuole risparmiare due milioni sulla pelle degli immigrati, ma rischia di farne pagare molti di più per l’infrazione comunitaria”.
Con il secondo emendamento, a firma Garavaglia, Bodega, Vaccari e Valli, la Lega tenta di introdurre un forte disincentivo – dal sapore discriminatorio, tanto per essere coerenti con la prima proposta – per gli aspiranti imprenditori extracomunitari che all’atto dell'apertura della partita Iva dovrebbero depositare una garanzia fidejussoria bancaria o assicurativa a favore dell’Agenzia delle entrate, per un importo non inferiore a ventimila euro, da restituire alla cessazione dell’attività e una volta eseguiti tutti i versamenti fiscali e contributivi dovuti dalla società o dalla persona fisica straniera.



In Italia 10 mln di giovani Prato città con più stranieri

Presentati a Firenze i dati della ricerca a cura di Save The Children. La Toscana è la regione più "vecchia" d'Italia
in Toscana.it, 11-02-2011
Il 2011 è l’anno dei giovani per la Regione Toscana ma oggi non si parla di fondi stanziati ma di diritti e doveri dei minori. Sono stati presentati a Firenze i numeri e i dati della prima delle mappe de L’isola dei tesori Atlante dell’infanzia a rischio pubblicato da Save The Children.
Se i giovani sono un “tesoro”, le province “forzieri” d’Italia sono – dati Istat 2009 – Roma (697.387 minori), Napoli (671.000), Milano (636.610) e Torino (351.566), che contengono una parte consistente degli oltre 10 milioni di under 18 che vivono nel nostro paese. Le province più giovani – quelle cioè con le percentuali più elevate di minori – sono prevalentemente al sud: Napoli è in pole position con quasi il 22% di minori sul totale della sua popolazione, seguita da Caserta (21,3%), Crotone e Catania (tutte oltre il 20%). Unica eccezione tra le province del nord è Bolzano con il 20% di under 18. Il picco negativo spetta a Ferrara che ha la percentuale più bassa d’Italia (12,6%).
Il “tesoro degli immigrati” sono invece 932.000 minori stranieri residenti in Italia. Tra loro 6 su 10 sono di seconda generazione, cioè nati in Italia: Prato con il 19,7% di minori di seconda generazione sul totale della sua popolazione straniera, è la prima città d’Italia. Seguono Mantova, Cremona, Brescia a Reggio Emilia. Nel sud Trapani e Palermo.
Ma ci sono anche  bambini e adolescenti senza volto e senza nome, invisibili perchè le loro vite  sono clandestine o nascoste: centinaia di minori stranieri e spesso soli che soggionano brevi periodi nelle comunità per poi scappare, o che finiscono in circuiti di sfruttamento lavorativo, sessuale o di devianza. Nel 2010 risultavano almeno 4.500 i minori stranieri non accompagnati presenti in Italia. Un dato sicuramente per difetto che non include, per esempio, i minori neocomunitari. Stranieri sono anche alcune migliaia di minori lavoratori: pari al 9% di tutti i minori che lavorano stimati in circa 400.000. Sono soprattutto cinesi a Roma, Milano e Firenze-Prato; romeni e albanesi a Roma e Bari, nordafricani in Sicilia e Calabria.
1 milione e 756 mila sono i minori che vivono in povertà relativa, cioè famiglie che hanno una capacità di spesa sotto la media: circa il 65% si trova nel sud d'Italia. A questi vanno aggiunti altri 649 mila ragazzi, il 6% della popolazione sotto i 18 anni che vive in povertà assoluta.
Per quanto riguarda il verde a disposizione dei bambini in Toscana è ben messa Pisa (1521 mq a persona). ottima posiizone per tutta la regione per l'asilo nido. Ne usufruisce il 16,9%.



La Chiesa II cardinale dopo il discorso del premier Cameron: un confronto comunicando valori ma senza perdere l'identità
Ravasi e il multiculturalismo: meglio l'interculturalità
Corriere della sera, 11-02-2011
Gian Guido Vecchi
CASTEL GANDOLFO — «Il multiculturalismo è fallito», ha detto il premier inglese David Cameron, innescando un dibattito continentale. Una riflessione che nella Chiesa è già iniziata da tempo, «ciò che dobbiamo fare è passare dalla multiculturalità alla interculturalità, dalla coesistenza di culture che non comunicano all'esperienza del dialogo, l'altro giorno avevamo una riunione di cardinali in vista di un eventuale documento», spiega il cardinale Gianfranco Ravasi. Che ieri ne ha parlato al 35° incontro dei vescovi amici del movimento dei Focolari, poco distante dalla residenza estiva del Papa: «Bisogna costruire un confronto che non sia scontro, nel quale anche i valori siano comunicati ma senza perdere la propria identità: una sorta di convivenza culturale, molto delicata e complessa».
La fede e la cultura laica, le diverse fedi. Il cardinale Ravasi, rivolto a una settantina di vescovi del mondo, non nasconde quanto sia arduo il processo educativo, «anche per i nostri fedeli non è facile». Il multiculturalismo «è un dato di fatto fin dall'antichità», ma oggi è diventato «emblematico nelle cit¬tà, dove si vedono compresenze di identità culturali diversissime», talvolta «quasi dei fondamentalismi che stanno uno accanto all'altro: con scintille, scontri». Di qui il passaggio necessario al modello «interculturale», che riguarda il rapporto con la propria identità e quella altrui: «Il dialogo, come dice questa bella parola greca, presuppone il dialogos e quindi il rapporto tra due logoi. Il che significa che l'interculturalità non ha come meta l'identificazione, la costruzione di un'unica società globalizzata». Il grande biblista sceglie un'immagine musicale: «La tentazione multiculturale era quella del duello: il più forte riesce a occupare più spazio. Ciò che dobbiamo creare con l'interculturalità è piuttosto un duetto, che in musica può essere costituito da un basso e da un soprano. Cosa c'è di più diverso di queste due voci? E perché ci sia armonia, è forse necessario che il basso canti in falsetto e il soprano abbassi il tono?».
No, l'essenziale è «avere una forte coscienza della propria identità, perché non si fa dialogo senza un volto, ed è questo il grande rischio dell'Europa: come diceva Eliot, se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura, se ne va il nostro stesso volto». Bisogna tuttavia guardarsi da «una malattia duplice», avverte il cardinale: «Da un lato il fondamentalismo, l'eccesso di identità, l'identità aggressiva, della spada, che può essere anche cristiana; e dall'altro il sincretismo culturale, la superficialità, la banalità, la stupidità, l'amoralità, una genericità incolore, insapore e inodore, la nebbia culturale che oggi domina».
Ecco la difficoltà: «Devi avere una consapevolezza forte dei tuoi valori e insieme rispettare quelli degli altri. Sapere ascoltare, senza per questo imitare...».
Il cardinale Ravasi, con il «Cortile dei Gentili» voluto da Benedetto XVI, ha iniziato un dialogo tra teologia e cultura laica che il 24 e 25 marzo lo porterà a Parigi: dalla Sorbona all'Unesco all'Académie. «È faticoso ma possibile: il problema è il livello basso, non l'ateismo colto ma l'indifferenza...».
A Castel Gandolfo c'era anche il cardinale Miloslav Vik, che fu ordinato sacerdote durante la Primavera di Praga e costretto dal regime a fare il lavavetri. Ha evocato l'esperienza di perseguitato, la sua scelta di «abbracciare la Croce come Gesù», in analogia a quanto accade oggi, «la fede messa ai margini, il rifiuto dei valori cristiani». E pure lui ha messo in guardia da velleità crociate: «Talvolta abbiamo una fede debole, e allora sorge la paura. Invece bisogna fare l'esperienza del Vangelo e, in base a questa, testimoniare: gli altri lo sentono». *



OLI 288: EGITTO - Unità tra sessi e religioni nell’Egitto in lotta

Saleh Zaghloul
Venerdì 4 febbraio 2011
Altra manifestazione milionaria in piazza della Liberazione (maidan al Tahrir). La preghiera del venerdì, che ha un significato particolare nella tradizione musulmana, sta per iniziare in piazza. Tutti vogliono partecipare alla preghiera, anche quelli che fanno servizio d’ordine ai sei ingressi della piazza per proteggere i manifestanti dagli attacchi dei resti delle forze di sicurezza del regime in borghese (sono in abiti civili, per apparire come cittadini sostenitori del regime e sfuggire all’intervento dell’esercito in difesa dei manifestanti) e dai famosi balttagìa (mercenari pagati dalla Mukhabarat - i servizi segreti - del regime, delinquenti comuni e criminali che solitamente impongono il loro controllo del territorio esercitando violenza nei confronti dei cittadini e terrorizzandoli. Ora sono mercenari al soldo del regime. Letteralmente sono i portatori di baltta; cioè ascia o grossa arma bianca). Nei giorni precedenti i balttagìa hanno invaso la piazza su cavalli e cammelli ed hanno attaccato i manifestanti. La notte precedente avevano attaccato i manifestanti con il lancio di bottiglie molotov e pietre.
Per permettere anche ai membri del servizio d’ordine di partecipare alla preghiera, circa diecimila dei cristiani egiziani presenti in piazza hanno formato una diga umana ai sei ingressi della piazza, proteggendo i loro compagni musulmani durante la preghiera.
Domenica 6 febbraio 2011: i cristiani egiziani hanno celebrato la messa domenicale in piazza al Tahrir circondati e protetti dai manifestanti musulmani.
Due scene che evidenziano la forte unità tra egiziani musulmani e cristiani nella lotta contro il regime di Mubarak ed evidenziano il ruolo negativo di questo regime sulla convivenza tra religioni diverse e le sue responsabilità negli ultimi avvenimenti, precedenti alla rivolta, che hanno causato molte vittime cristiane. Una delle caratteristiche dei regimi dittatoriali è quella di creare divisioni tra i cittadini di diverse etnie o religioni proprio per conservare un potere totalitario aggressivo e despota.
Le donne sono presenti ed hanno un ruolo molto attivo nella rivolta contro il regime, donne giovani e vecchie, con il velo e senza velo, con il vestito tradizionale e con i pantaloni o la gonna, donne laiche e religiose, musulmane e cristiane. I giovani uomini cercano soltanto di evitare che le donne facciano parte del servizio d’ordine agli ingressi della piazza e che affrontino la violenza dei balttagìa. Per il resto partecipano a tutte le attività, sono certamente le più attive negli ospedali di campo a curare i feriti, le più brave a portare cibo e quanto serve in piazza, sono le più brave a rappresentare la piazza quando sono intervistate dai media, sono le più organizzate, sono quelle che più hanno una visione chiara sulla prospettiva politica del paese, su come vorrebbero che si evolvesse la rivoluzione, sono le più determinate: non si tratta con il regime prima della caduta di Mubarak, sanno che è l’occasione della loro vita e della vita delle loro figlie e delle donne in tutta la regione per ottenere parità, libertà e democrazia.


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