Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 settembre 2011

Lampedusa: la rivolta degli immigrati Il Cie in fiamme, il fumo arriva in città
Nel centro di identificazione ci sono circa 1200 tunisini Alcuni extracomunitari sarebbero anche riusciti a fuggire
Corriere della Sera, 21-09-2011
LAMPEDUSA - Un incendio di vaste proporzioni ha danneggiato il centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa, in contrada Imbriacola. Il rogo sarebbe stato appiccato da immigrati di nazionalità tunisina, che da diverse settimane sono ospiti della struttura. Alcuni extracomunitari sarebbero anche riusciti a fuggire. La zona è presidiata dalle forze dell'ordine e dai vigili del fuoco, che stanno tentando di circoscrivere le fiamme. L'incendio, appiccato in diversi punti, ha causato una densa nube di fumo nero sospinta dal vento verso il centro abitato. Nel centro di prima accoglienza si trovano circa 1200 tunisini, che nei giorni scorsi hanno protestato a più riprese per chiedere il loro trasferimento. Non è la prima volta che il centro di accoglienza viene dato alle fiamme. Un episodio analogo, con danni consistenti alla struttura, si era registrato nel febbraio del 2009.
I FERITI - Almeno una decina di persone, tra migranti ed uomini delle forze dell'ordine, sono rimasti intossicati nell'incendio divampato all'interno del Centro di prima accoglienza di Lampedusa. Tra di loro anche un extracomunitario paraplegico, costretto su una sedia a rotelle. Il responsabile del poliambulatorio dell'isola, Pietro Bartolo, sta valutando l'eventuale trasferimento in eliambulanza per i casi più gravi, anche se nessuno versa in pericolo di vita.
MINORI IN PERICOLO - Save the Children esprime grande preoccupazione per l'incendio, in particolare modo per le sorti di una decina di minori presenti al momento nel centro e arrivati a Lampedusa nella notte di venerdì 16 settembre. «La situazione di tensione nel centro è sfociata nell'incendio di oggi e in più di un'occasione avevamo espresso il nostro timore che episodi del genere si potessero verificare» afferma Raffaela Milano, direttore Programma Italia-Europa di Save the Children. «Fino a due giorni fa erano presenti nel centro 4 famiglie con 6 bambini dagli zero ai sette anni, che a seguito delle richieste di Save the Children sono stati spostati in altre strutture esterne. Siamo in contatto diretto con il nostro team di operatori in loco per monitorare la situazione e torniamo a sollecitare l'immediato trasferimento dei minori presenti sia nel Cpsa che nell'ex Base Loran, dove si trovano attualmente 104 minori non accompagnati, in strutture apposite adeguate alla loro accoglienza».



Lampedusa, i clandestini mettono a ferro e fuoco il centro di accoglienza
Gli extracomunitari danno alle flamme il Cie e fuggono in 800. Il sindaco: «Un atto di guerra»
il Giornale, 21-09-2011  
Gaetano Ravanà
? C'era da aspettarselo. Le prime avvisaglie si erano avute ieri non appenai clandestini avevano capito che da li a poche ore sarebbero stati rimpatriati. II nervosismo all'interno del centro di accoglienza era palpabile. Ieri intorno alle 16 è scoppiato il finimondo. Un gruppo nutrito di extracomunitari ha dato fuoco a materassi, cuscini e mobilio all'intemo della struttura cosi come era successo nel febbraio del 2009. L'incendio, appiccato in diversi punti, ha causato una densanube di fumo nero sospinta dal vento verso il centro abitato. Molti abitanti della piü grande delle isole Pelagie si sono barricati all'interno delle proprie case, molti invece sono usciti in strada. Gli oltre 1200 tunisini ospiti del centro sono riusciti a fuggire versol'abitato. E in serata un centinaio di immigrati sono stati trasfe- riti con un volo militare da Lampedusa verso altri centri di accoglienza. Nei prossimi giorni dovrebbe toccare ai restanti tunisini.
I vigili del fuoco hanno impiegato più di un'ora a domare le fiamme che, a causa del vento, si sono propagate anche nelle campagne vicine.Uno dei tre padiglioni è andato completamente distrutto. Almeno una decina di persone, tra migranti e uomini delle forze dell'ordine, sono rimasti intossicati nell'incendio divampato all'interno del Centro di prima accoglienza di Lampedusa. Tra di loro anche un extracomunitario paraplegico, costretto su una sedia a rotelle. Gruppi di tunisini sono stati bloccati a fatica dalle forze dell' ordine che pe rfortuna, inquesto periodo, sono numerosi. Oltre trecento sono stati trasferiti allo stadio comunale dell'Isola, in attesa che arrivino disposizioni dal Viminale. Preoccupata la popolazione, ma preoccupato soprattutto il sindaco Bernardino De Rubeis che proprio domenica scorsa ave- va accolto il ministro La Russa a cui aveva anticipato che temeva disordini. «Da oltre un mese - dice il primo Cittadino - sto avvisando tutti della pericolosità dei tunisini che si trovano all'interno del centro di contrada Imbriacola, ma il mio grido d'allarme è rimasto inascoltato». II sindaco rivolge un appello «a Berlusconi e al ministro Maroni affinché convochino un consiglio dei ministri straordinario con l'emergenza Lampedusa all'ordine del giorno». Il sindaco definisce «gravissima» la situazione e sollecita «l'intervento immediate di navi militari per trasferire tutti i tunisini che ci sono sull'iso- la. Non è più possibile - sottolinea De Rubeis - che non ci diano ascolto. A questo punto mi chiedo, ma cosa si aspetta che a Lampedusa scoppi la guerra civile? Il nostro governo deve capire che l'attuale governo tunisino è peggio di quello che c'era ai tempi di Ben Ali. Si stanno liberando di tutti gli avanzi di galera mandandoceli da noi qui a Lampedusa». Dal Viminale si sottolinea che, nonostante le proteste, il programma di rimpatri andrà avanti come deciso con le autorità nell'ultimo incontro che Maroni ha avuto a Tunisi.



Rivolta degli immigrati: Lampedusa in fiamme
Un gruppo di tunisini distrugge il centro di prima accoglienza. Infuriati i residenti. Il sindaco: «Sgomberare i clandestini»
Libero, 21-09-2011  
CATERINA MANIACI
Il fuoco, il fumo, la fuga, la paura, la rabbia: a Lampedusa torna l'atmosfera da incubo. Gli immigrati clandestini stipati nel Centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa danno fuoco a tutto quel che trovano e ilocali del Centro vengo- no devastati. Poi in molti si danno alia fuga: circa ottocento persone, che pero vengono rintracciate dai carabinieri. Decine gli intossicati tra extracomu- nitari e personale del centro. E gli abitanti dell'isola tornano ad avere paura. Mentre il Viminale annuncia: «I rimpatri continueranno come deciso». La procura di Agrigento ha annunciato che aprirà un'inchiesta sui fatti.
Appena le fiamme si levano dai locali del Centro la zona viene presidiata dalle forze dell'ordine e dai vigili del fuoco. L'incendio, appiccato in diversi punti, distrugge due dei tre edifici che costituiscono il complesso e produce una densa nube di fumo nero sospinta dal vento verso il centro abitato.
II sindaco dell'isola, Bernardino de Rubeis, reagisce con forza: «II centro è interamente devastate, è tutto bruciato, non esiste piü e non può piü ospita- re unsolo immigrato. Lampedusanon ha piü un posto. È l'ora che il governo intervenga dopo tanto immobilismo. Avevano avvertito tutti su quello che poteva succedere ed è accaduto. I clandestini devono essere sgomberati da Lampedusa, non si può piü resiste - re». Lo sfogo è duríssimo:« Quello che è accaduto è trágico e vergognoso. Si è determinato quello che avevano previsto, inascoltati dal governo nazionale, con 1500 immigrati che si sentono braccati e che si sono dimostrati gente di malaffare. Lampedusa li ha accolti e loro hanno commesso un danno gravissimo al territorio». Non solo. II sindaco avverte: «II fumo è arrivato al centro abitato, la gente sta male. Ades - so toccaal governo: faccia venire subito le forze delfordine, porti qui le navi militari affinche sgomberino in ventiquattr'ore l'isola, perche questo è uno scenario di guerra. Cè una popolazione che non sopporta piü, vuole scendere in piazza con i manganelli, perche vuole difendersi da sola». E in ef- fetti tra i residenti c'è qualcuno che chiede «le armi». Perche «la paura è tanta. Qualcuno faccia qualcosa. Non possono abbandonarci cosi». II sindaco chiede al governo anche «di intraprendere tutte le iniziative verso il governo di Tunisi affinché paghi i danni arrecati. Questi tunisini ci stanno creando una serie di danni gravi perche non vogliono essere rimpatriati. E allora che Tunisi li accolga nelle patrie galere, questa gente deve essere arrestata».
Secondo l'opposizione la vicenda è ovviamente imputabile al governo, anzi si tratta di «una conferma dell'incapacità dell'esecutivo», rimarca Livia Turco, responsabile dell'immigrazione dei Pd. Intanto viene deciso di trasferire subito, in serata, un centinaio di immigrati tunisini, con un volo militare, da Lampedusa verso altri centri di accoglienza, mentre il Viminale comunica che i rimpatri di clandestini dalla Sicilia «continueranno secondo il programma stabilito», al ritmo attuale di due voli al giorno per cinquanta stranieri. Secondo il ministero, il senso dell'azione devastante avvenuta nel Cpa di Lampedusa va letto proprio come una "reazione" di protesta alla ripresa regolare dei voli di rimpatrio, dopo la visita del 12 settembre a Tunisi del ministro dell'interno, Roberto Maroni.



Tunisini trasferiti dopo l'incendio: da Lampedusa in volo a Sigonella
Duecento immigrati sono stati imbarcati su due C130 diretti alla base militare. Un migliaio ancora sull'isola
Corriere della Sera, 21-09-2011
CATANIA - Sono cominciati nella notte i primi trasferimenti di migranti da Lampedusa, dopo l'incendio doloso che ieri pomeriggio ha distrutto il Centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola. Circa 200 immigrati di origine tunisina sono stati imbarcati su due C130 dell'aeronautica militare, diretti alla base di Sigonella. Oltre un miglialio gli extracomunitari rimasti sull'isola: hanno trascorso la notte all'addiaccio all'interno dello stadio comunale. Solo un centinaio, tra cui una ventina di donne, sono rimasti nel centro, che tuttavia è inagibile: le palazzine dove vengono ospitati gli immigrati sono state infatti divorate dalle fiamme.
I danni sono ingenti, come ha confermato anche il responsabile della struttura, Cono Galipò, il quale non ha dubbi sulla natura dolosa del rogo, visto che poco prima nelle camerate dove si sono sviluppate le fiamme era stato effettuato un sopralluogo. La tensione tra i tunisini era cresciuta negli ultimi giorni, dopo la conferma, da parte del governo, della linea dura circa il proseguimento dei rimpatri. L'inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento contro ignoti dovrà adesso identificare gli autori dell'incendio e accertare le responsabilità. Ieri il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, aveva lanciato un nuovo appello al premier Berlusconi e al ministro Maroni per trasferire immediatamente tutti gli immigrati ancora sull'isola.



Lampedusa, rimpatriati 200 tunisini dopo la distruzione del centro accoglienza
Il sindaco: basta con la linea morbida delle forze dell'ordine, negli stadi vengono picchiati gli italiani, qui succede di tutto
Il Messaggero, 21-09-2011
LAMPEDUSA - Sono cominciati nella notte i primi trasferimenti di migranti da Lampedusa, dopo l’incendio doloso che ieri pomeriggio ha distrutto il Centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola. Circa 200 tunisini sono stati imbarcati su due C130 dell’Aeronautica militare diretti alla base di Sigonella (Catania). Gli extracomunitari rimasti sull’isola, oltre un migliaio, hanno trascorso la notte all’addiaccio all’interno dello stadio comunale. Solo un centinaio, tra cui una ventina di donne, sono rimasti nel centro, che tuttavia è inagibile: le palazzine dove vengono ospitati gli immigrati sono state infatti divorate dalle fiamme.
I danni sono ingenti, come ha confermato anche il responsabile della struttura, Cono Galipò, che non ha dubbi sulla natura dolosa del rogo, visto che poco prima nelle camerate dove si sono sviluppate le fiamme era stato compiuto un sopralluogo. La tensione tra i tunisini era cresciuta negli ultimi giorni, dopo la conferma da parte del governo della linea dura circa il proseguimento dei rimpatri.
L’inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento contro ignoti dovrà adesso identificare gli autori dell’incendio e accertare eventuali responsabilità.
Ieri il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, aveva lanciato un nuovo appello al premier Berlusconi e al ministro Maroni per trasferire immediatamente tutti gli immigrati ancora sull’isola.
«Siamo stanchi di questa linea morbida adottata dalle forze dell’ordine nei confronti degli immigrati tunisini. Non si capisce perchè negli stadi, quando ci sono disordini, poliziotti e carabinieri usano subito le maniere forti contro gli stessi connazionali. Invece, a Lampedusa, accade tutt’altro. Ci vuole anche qui il pugno forte e rinchiudere le centinaia di tunisini che bivaccano da ieri per le strade al campo sportivo». Lo ha detto all’Adnkronos il sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis, all’indomani dell’incendio.
Decine di lampedusani presidiano da questa mattina il Comune per protestare contro l’incendio appiccato ieri da un gruppo di immigrati tunisini al centro di accoglienza ma soprattutto perchè chiedono che i tunisini non girino liberamente per l’isola. Il Comune si trova proprio di fronte al campo sportivo dove i tunisini hanno trascorso la notte all’addiaccio per l’inagibilità di gran parte della struttura incendiata. «I miei concittadini - spiega il sindaco Bernardino De Rubeis - hanno ragione e mi chiedono che i tunisini spariscano dalla loro vista. È una situazione che non può continuare. Il Viminale deve intervenire al più presto».
Boldrini: in fumo lavoro di tanti anni. «Sono amareggiata e rattristata: il nostro lavoro di tanti anni è andato in fumo». Con queste parole Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Unhcr, l’alto commissariato Onu per i rifugiati, commenta al Messaggero in edicola la rivolta degli immigrati tunisini a Lampedusa che ha portato alla distruzione del centro d’accoglienza. «Una rivolta simile si poteva prevedere e infatti noi l’avevamo prevista, mettendo in guardia le autorità», ricorda Boldrini. Adesso, «occorre trovare nel più breve tempo possibile una soluzione alternativa, fino a che la struttura non sia riparata. Lampedusa ora è sguarnita di un centro di prima accoglienza e le cose si sono fatte più difficili e complicate di prima».



De Rubeis a Napolitano: «Aiutateci, c'è bisogno di un segnale dello Stato»
Ribadita la richiesta dell'invio sull'isola di alcune navi per trasferire subito tutti i tunisini ancora lì
Corriere della Sera, 21-09-2011   
AGRIGENTO - È degenerata la protesta di alcune centinaia di tunisini che si stava svolgendo nei pressi del porto vecchio di Lampedusa, a due passi da una pompa di benzina. Secondo le prime informazioni alcuni migranti si sono impossessati di tre bombole di gas all'interno del vicino ristorante «Delfino blu» minacciando di farle esplodere. A questo punto le forze dell'ordine, in assetto anti sommossa, hanno caricato i manifestanti. Gli scontri hanno coinvolto anche alcuni abitanti dell'isola, che hanno dato vita a una fitta sassaiola nei confronti degli immigrati, che hanno risposto lanciando a loro volta pietre e suppellettili.
CLIMA DI CACCIA ALL'UOMO - A Lampedusa si registrano in questo momento disordini in diverse parti dell'isola, in un clima di «caccia all'uomo» che sta coinvolgendo anche gli abitanti. Altri scontri tra tunisini e forze dell'ordine sono avvenuti anche all'interno del Centro di prima accoglienza dove si trovano ancora un centinaio di immigrati. Gli extracomunitari avrebbero lanciato sassi e altro materiale contro gli agenti che presidiano la struttura. Nel poliambulatorio dell'isola stanno intanto affluendo i primi feriti, appartenenti alle forze dell'ordine. Il responsabile sanitario, Pietro Bartolo, ha chiesto l'invio di altre ambulanze dal centro di accoglienza.
L'SOS A NAPOLITANO - Un appello al presidente Giorgio Napolitano «a darci una mano, visto che ancora una volta siamo stati abbandonati» è stato lanciato dal sindaco di Lampedusa Bernardino De Rubeis, all'indomani dell'incendio doloso che ha distrutto il centro di prima accoglienza. «Vorremmo potere essere sempre orgogliosi di dichiararci cittadini italiani - spiega - ma a questo punto abbiamo bisogno di un segnale da parte dello Stato». Il sindaco ribadisce la richiesta, avanzata già ieri, dell'invio di alcune navi a Lampedusa per trasferire subito tutti i tunisini che si trovano ancora sull'isola. «Ci era stato promesso una decina di giorni fa - ricorda - e invece ne stanno trasferendo solamente 100 al giorno. Adesso che il centro è stato bruciato, non ci sono più neanche gli spazi per potere ospitare tutte queste persone. Se hanno deciso che la nostra isola deve diventare un carcere a cielo aperto che lo dicano una buona volta».
CAMBIO DI ROTTA - De Rubeis dice di «essere ancora in attesa di potere parlare con Berlusconi e con il ministro Maroni per sapere cosa intendono fare e come dovremo regolarci» e annuncia un cambio di rotta nella linea dimostrata fino ad ora nell'amministrazione nei confronti degli immigrati «continueremo ad accogliere solamente profughi ma non più tunisini, che arrivano da noi esclusivamente per motivi economici e non sono casi umanitari».
MIGRANTI IN CORTEO - Intanto sono circa 300 i tunisini che stanno manifestando per le strade di Lampedusa al grido di «Libertà, libertà». Gli immigrati sono fermi nella zona del porto vecchio, nei pressi della caserma della Guardia di Finanza e di una pompa di benzina. La zona è presidiata dalle forze dell'ordine in assetto anti sommossa, anche per evitare possibili contatti con la popolazione che teme nuovi atti vandalici dopo l'incendio di ieri. Un clima di tensione confermato anche dalla nuova aggressione a una troupe di Sky, che già ieri era stata malmenata.
UN MIGLIAIO I TUNISINI ANCORA SULL'ISOLA - Sono circa un migliaio (per l'esattezza 1040) i tunisini che si trovano ancora a Lampedusa dopo l'incendio che ieri pomeriggio ha distrutto quasi completamente il centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola. Durante la notte due voli militari, effettuati con un C130 dell'Aeronautica, hanno trasferito circa cento immigrati verso la base di Sigonella. Il ponte aereo predisposto dal Viminale per accelerare le procedure di rimpatrio proseguirà anche oggi, con altri due voli. Attualmente circa 400 tunisini sono all'interno dello stadio dell'isola, dove hanno trascorso la notte, mentre altri 200 sono raggruppati in prossimità del porto. A Lampedusa, nonostante la tensione e le proteste degli abitanti, tutte le attività economiche e commerciali si stanno svolgendo regolarmente. Persino i festeggiamenti per la Madonna del Porto, patrona del paese, sono andati avanti senza interruzione: la banda musicale ha attraversato all'alba di stamani le strade del centro abitato, come è tradizione.



Il «lager» di Lampedusa
Il Riformista, 21-09-2011
LAURA LANDOLFI
? Una colonna di fumo che si dirige verso il centro abitato di Lampedusa, è quel che resta di due dei tre edifici che costituiscono il Cpsa dell'isola.
L'incendio è scoppiato intorno alle 15, e ha distrutto diversi padiglioni del Cpsa di Contrada Imbricola. Ad appiccare le fiamme, ieri, sarebbero stati alcuni dei 1300 tunisini attualmente ospiti del centro che si oppongono al rimpatrio. Molti gli intossicati, alcuni avrebbero approfittato per darsi alla fuga (circa 800, tutti rintracciati, si sarebbero radunati in una zona vicino al porto), gli altri sono in- vece stati spostati al Cie o nel- campo sportivo, sotto la stretta sorveglianza delle forze del- l'ordine. Mentre la procura di Agrigento aprirà un'inchiesta.
Il timore iniziale era per i minori giunti sull'isola venerdi scorso, secondo una denuncia di Save the Children. Falso allarme: fortunatamente, ci fanno sapere dalla Protezione civile, erano già stati spostati in altre strutture.
«E tutto bruciato, non esiste piu e non può piú ospitare un solo immigrato. Lampedusa non ha piu un posto», denuncia il sindaco Bernardino De Rubeis. E furioso aggiunge: «Se ne devono andare nelle prossime 48 ore. Anche con le navi militari».
Una tragedia annunciata dato che già nei giorni scorsi Lampedusa era stata al centro di rivolte e tafferugli da parte dei tunisini, una questione che il sindaco avrebbe piu volte segnalato: «E ora che il governo intervenga dopo tanto immobilismo. Avevano avvertito tutti su quello che poteva succedere ed è accaduto». La situazione sarebbe aggravata dal malcontento delia popolazione (che però non ha tardato a soccorrere gli extracomunitari fornendo loro bottiglie d'acqua).
Queila dei tunisini, rispetto altri immigrati, è una nota dolente: secondo l'accordo firmato da Roberto Maroni, i tunisini giunti nel nostro paese dopo il 6 aprile sono tutti in attesa di essere rimandati a casa, a differenza di immigrati provenienti ad esempio dalla Libia che nei mesi scorsi sono stai "smistati" nelle diverse Regioni. La miccia (è il caso di dirlo) è probabilmente esplosa dopo la visita dei giorni scorsi di Ignazio La Russa. Il ministro della Difesa aveva parlato di intensificazione dei rimpatri, dovuta a «un accordo ulteriore con i tunisini che consente, nell'arco della settimana, di rimpatriare coloro che non hanno diritto a rimanere». Dal Viminale nessun passo indietro: «I rimpatri continueranno secondo il programma stabilito», al ritmo attuale di due voli al giorno per 50 stranieri. Intanto un centinaio di tunisini sono stati trasferiti con un volo militare da Lampedusa verso altri centri di accoglienza.



Fiamme net centro, 8OO in fuga
Immigrati, rivolta nel Cie di Lampedusa
il Sole, 21-09-2011
Un incendio di vaste proporzioni e scoppiato nel pomeriggio nel centro d'accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa (foto), dove erano ospitati circa 1300 immigrati tunisini. Circa 800 gli immigrati che erano riusciti a fare perdere le loro tracce ma 400 sono stati rintracciati dai carabinieri vicino al molo Favaloro. II rogo è stato appiccato da immigrati che da diverse settimane erano ospiti della struttura.



Boldrini: «L'avevamo previsto ora sarà tutto più complicato»
Il Messaggero, 21-09-2011
CARLO MERCURI
ROMA - «E adesso. come si fará? Se stanotte arriveranno altri migranti dove li metteranno dal momento che è andato tutto distrutto?>. Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, è sconsolata. «Si, sono amareggiata, rattristata. Il nostro lavoro di tanti anni è andato in fumo».
Ma non si poteva prevedere una rivolta simile?
«Si, si poteva prevedere e infatti noi l'avevamo prevista. In un comunicato di pochi giorni fa avevamo messo in guardia le Autorità. Avevamo notato un aumento della tensione tra gli immigrati. Il Centro di Contrada Imbriacola poteva contenre 850 immigrati e invece li dentro ce n'erano 1.200. Questo Centro è nato per il primo soccorso e noi abbiamo esortato le Autorità a non trattenere troppo gli immigrati e a trasferirli presto altrove». E le Autorità non vi hanno dato ascolto... «Almeno non nelle dimensioni auspicabili».
Quali consigli si sente di dare ora?
«Occorre trovare nel piu breve tempo possibile una soluzione alternativa fino a che la struttura danneggiata non sia riparata. Lampedusa ora è sguarnita di un Centro di prima accoglienza e le cose si sono fatte piü difficili e complicate di prima. II Commissariato dell'Onu è molto preoccupato. Come si fará ora accoglienza per il prossimo futuro?».
Perche, secondo lei, è ripreso il flusso di immigrati dalla Tunisia?
«Un flusso di immigrati non si può mai bloccare completamente, ermeticamente. Si può arginare, certamente. Molto dipende dagli accordí bilaterali che sono stati presi da Italia e Tunisia».
Strano che siano ricominciate le partenze dalla Tunisia proprio ora che quelle dalla Libia sembrano essersi arrestate.
«Dalla Libia non ci sono più arrivi dal 17 agosto, giorno della battaglia di Tripoli. E' un buon segno, secondo lei?».
Lei che dice? ,
«lo d iço di no, che non e un buon segno. L'Alto Commissariato riceve telefonate disperate da parte di rifugiati del Corno d'Africa. Dicono che nelle zone portuali libiche è ormai caccia al nero ed è impossibile saltare su una barca e prendere il largo. Gli immigrati del Corno d'Africa vengono aggrediti e portati via, chissà dove. Sono alla merce degli eventi».
Quale futuro per i rifugiati in Libia?
«Vedremo che cosa farà il governo di transizione, quando sarà operativo. Dovrà tutelare i diritti di tutti. D'altronde, è fisiologico che la gente scappi dai conflitti. Dall'inizio della guerra sono un milione e trecentomila gli immigrati che sono fuggiti dalla Libia. Riversandosi in massima parte in Tunisia ed Egitto. In Italia ne sono arrivati solo 28.000. Non c'è stato quindi nessun esodo massiccio, come qualcuno aveva paventato».
L'Italia ha retto bene quindi, a parte l'incendio di Lampedusa.
«L'Italia ha detto no ai respingimenti e questo è già un fatto positivo».


 
«Ignorata una situazione evidentemente esplosiva»
La Stampa, 21-09-2011
Giacomo Sferlazzo, ass, Askavusa
LAMPEDUSA
«Un disastro annunciato». Giacomo Sferlazzo, artista lampedusano, organizzatore del Festival cinematografico sulle migrazioni, presidente di quell'associazione «Askavusa» che nei giorni dell'arrivo dei seimila tunisini era in prima linea a offrire giacigli e vestiti, ha l'aria dello sconfitto. «È un grosso colpo agli sforzi che abbiamo fatto in questi mesi per aiutare la convivenza. La gente è furiosa con i tunisini, adesso».
Comprensibile, nell'isola non si respira per il fumo, cresce la paura...
«Appiccare il fuoco è un'azione da condannare con decisione. Ma mi chiedo perché il governo non abbia colto in tempo la situazione esplosiva: l'altro giorno un agente è rimasto ferito, si ripetevano scon- tri ogni giorno».
Perché?
«Si può tenere gente che non ha commesso reati chiusa per settimane, mesi, dentro quello che è a tutti gli effetti un carcere, nell'assoluta incertezza? Si può impedire ai ragazzi, anche ai minori, di uscire a prendere una boccata d'aria, di fare un bagno al mare, di svolgere attività sotto la responsabilità delle associazioni?».
Secondo lei che cosa andrebbe fatto?
 «Tenere i migranti a Lampedusa non più di due o tre giorni e poi trasferirli nella Penisola. Invece temo.che il progetto del governo sia quello di trasformare quest'isola in un bunker militarizzato, e mi preoccupa il progetto in corso alla base Loran, dove sono ospitati i minori, che formalmente è una ri- strutturazione e invece sarà un ampliamento».



Sbarco di clandestini in Calabria "Siamo curdi, partiti dalla Turchia"
la Repubblica, 21-09-2011
L'approdo a Bianco, in provincia di Reggio Calabria. Sul barcone, 149 immigrati, tra i quali 40 bambini e 19 donne. Tre profughi sono finiti in ospedale
BIANCO (Reggio Calabria) - Nuovo sbarco di immigrati nello Ionio, ma questa volta l'approdo non è l'isola di Lampedusa: 149 clandestini, tra i quali 40 bambini di varie età e 19 donne, sono arrivati durante la notte a Bianco, sulla costa calabrese in provincia di Reggio.
I migranti viaggiavano a bordo di una vecchia imbarcazione da diporto di una quindicina di metri sulle cui fiancate c'è il nome "Biedasi", ed hanno riferito di essere partiti dalla Turchia e di essere di nazionalità turca e siriana ed alcuni di etnia curda.
Lo sbarco è stato scoperto durante la notte da polizia, carabinieri e finanzieri che hanno notato alcuni gruppetti di immigrati per strada. Una volta fermati i primi, hanno scoperto il luogo dello sbarco e l'imbarcazione abbandonata sulla riva.
Personale del Commissariato di Bovalino della polizia, che coordina le operazioni, ha allertato le associazioni di volontariato ed ha accompagnato i migranti nel centro operativo misto di Bovalino per fornire loro una prima assistenza in attesa di una sistemazione migliore. Tre immigrati sono stati portati in ospedale per accertamenti ma le loro condizioni non destano preoccupazioni.


 
Padova
Profughi accolti in parrocchie L'emergenza diventa risorsa
Avvenire, 21-09-2011
SARA MELCHIORI
Quattro "foresti" e di colore, ospitati nell'ex canónica in una comunità di poco più di 400 anime, si notano. Se poi arrivano dal Nord Africa, via Lampedusa, suscitano qualche domanda, dei timori, e un certo mormorio. «Ma - sottolinea commosso il parroco Fossaragna (Bovolenta, Pd) - quando finalmente li abbiamo visti in faccia e abbiamo riconosciuto che sono persone come noi, un po' alla volta le paure e le domande sono scomparse e l'accoglienza è stata festosa». Tanto che, pochi giorni dopo l'arrivo, i quattro ghanesi provenienti dalla Libia aiutavano in cucina e ai parcheggi alla festa patronale. Racconta cosi don Francesco Milan, in attesa di ospitare in casa altre due persone, l'esperienza che la sua comunità sta vivendo da qualche mese. Sono le storie di alcuni dei 38 profughi (tra i 243 finora arrivati a Padova), attualmente accolti in otto diverse realtà parrocchiali delia provinda, grazie all'accordo stipulato nel giugno scorso da Caritas e Federsolidarietà Padova che hanno individuato, nella formula dell'acco- glienza diffusa di piccoli gruppi, sostenuta da un progetto di accompagnamento, una risposta umana e dignitosa all'emergenza profughi. Caritas individuailuoghi (dagli appartamenti alle ex canoniche), e sensibilizza il territorio e Federsolidarietà indica la cooperativa sociale per la gestione dell'acco- glienza e i percorsi di inserimento. Un'esperienza che si sta rivelando positiva per chi accoglie e per chi viene accolto: «È importante - sottolinea don Luca Facco, direttore Caritas Padova - mantenere viva e continuare a sollecitare l'attenzione nell'ottica di fare in modo che l'integrazione diventi cultura». Per questo è stato realizzato un opuscolo che verrà distribuito in l0mila copie (scaricabile anche dai siti della Diocesi e delia Caritas di Padova) in cui si spiega l'origine di questa nuova forma di migrazione e si chiarisce la procedura attivata, senza evitare di affrontare i nodi critici: cosa accadrà dopo i sei mesi di accoglienza? Come occupare il tempo di queste persone visto che non possono essere impegnate se non in lavori socialmente utili? Saranno vagliate in tempo tutte le domande dei richie- denti asilo?
Ma l'emergenza, riprende don Facco, ha evidenziato «una grande opportunità, quella di dare concretezza a parole come accoglienza, ospitalità e accompagnamento».
«Ringrazio il cielo di questa esperienza - fa notare don Daniele Marangon, dell'Unità pastorale diAgna, dove sono accolti 5 giovani - prima del loro arrivo abbiamo sensibilizzato i consigli pastorali e si sono attivate nuove forze giovani. Queste persone non sono venute solo ad abitare, li abbiamo accolti e di loro dob- biamo diventare fratelli, padri, madri». Non a caso molti di questi giovani non esitano a chiamare mamma o papà le persone che li stanno aiutando. Un risvolto inédito giunge dall'Alta padovana, dove la presenza dei richiedenti asilo ha dato lavoro a un disoccupato italiano, ora assunto dalla cooperativa sociale per il loro trasporto.



Frosinone
Rifugiati ospitati nel monastero È l'integrazione che funziona
Avvenire, 21-09-2011  
DA ARPINO (FROSINONE) AUGUSTO CINELLI
Sono originari di Bangladesh, Pakistan, Camerun e Somalia, ma vivevano e lavoravano in Libia, da dove sono stati costretti a fuggire a causa della guerra in corso. Sono i quaranta profughi ospitati ormai da due mesi ad Arpino, nel Frusinate, presso il monastero di San Lorenzo dei Missionari Identes, Istituto religioso fondato da Fernando Rielo Pardal nel 1959 e presente nella cittadina laziale dal 1984, che nel proprio carisma contempla, accanto all'impegno per l'evangelizzazione, l'edificazione di un nuovo umanesimo radicato sulla dignità della persona. L'accoglienza del gruppo ad Arpino rientra nel piano per l'emergenza umanitaria per i Cittadini nordafricani predisposto dal Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza dei Consiglio dei Ministri. Il Commissario Delegato che fa capo allo stesso Dipartimento ha sottoscritto una convenzione di collaborazione per l'attuazione di un sistema di servizi per la prima accoglienza dei profughi con la "Fondazione Idente di Studi e di Ricerca" dei Missionari che, aprendo le porte dei monastero ai rifugiati, rispolverano cosi l' antica vocazione di accoglienza propria della tradizione monastica Cristiana. La gestione dei servizi per i profughi, che mira alla loro positiva integrazione nel tessuto sociale italiano e alia scansione serena e qualificata delle loro giornate e delle relazioni reciproche, è curata da una équipe di assistenti sociali, mediatori culturali e psicologi dela cooperativa romana "Sinergasia", cui si affianca il lavoro degli stessi Missionari I dentes e di volontari della comunità Cristiana e civile del territorio che si stanno rendendo disponibili per lezioni giornaliere di lingua italiana, incontri di cultura generale, attività di laboratorio e di animazione. Già in queste prime settimane si è registrata una positiva risposta del gruppo di rifugiati, che dimostra serio impegno verso il programma di apprendimento culturale e di inserimento sociale. Alcuni di loro stanno personalmente offrendo la propria competenza nell'uso del computer, guidando altri meno esperti nei laboratori di informatica. Oltre a fornire la dovuta assistenza nel disbrigo delle pratiche per il permesso di soggiorno, i responsabili del progetto di accoglienza si occupano del sostegno psicologico ai profughi, che, dopo aver in passato affrontato le fatiche del trasferimento in Libia, hanno ora vissuto il trauma delia guerra e del forzato distacco da famiglie e lavoro. L'esperienza di Arpino, seguita con attenzione anche dalle istituzioni locali, rappresenta una preziosa opportunità di dialogo interculturale ed interreligioso, come dimostra la recente iniziativa dell'Ateneo, nome dato dai Missionari Identes ad un incontro culturale in cui ciascuno esprime la propria identità attraverso l'espressione artística. In taie occasione, alla presenza di una rappresentanza della popolazione locale, gli stessi stranieri si sono resi protagonisti di esibizioni artistiche che hanno permesso di conoscere qualcosa in più sui loro Paesi, le loro tradizioni e la propria cultura di origine.


 
Teramo Tina, un alto «no» all'asilo
Avvenire, 21-09-2011  
TERAMO. Rapita da un uomo che l'ha violentata, torturata e tenuta imprigionata per mesi. Il dramma di Tina è iniziato nel 1998, in Nigeria: sul le braccia piagate le indelebili cicatrici di quel período terribile. Ma da quel l'inferno, Tina è riuscita a fuggire e ha iniziato un lungo viaggio attraverso la Sierra Leone, la Liberia, il Marocco, la Spagna finché per mare è arrivata a Genova. E il settembre dei 2003. La donna raggiunge in treno Roma e si presenta in questura, per inoltrare una richiesta ai protezione internazionale. Le dicono di passare dopo un mese. Lei si insospettisce, teme che, ripresentandosi, la ricacceranno in Nigeria, dove subirebbe nuove sevizie. E allora affronta la clandestinità e, per soprawivere finisce anche per prostituirsi. Poi un amico la mette in contatto con un avvocato di Teramo, Loredana Briganti. Nel 2011 Tina finalmente presenta presso la questura della città la sua richiesta d'asilo, ottiene un permesso di soggiorno prowisorio, e aspetta il veraetto delia commissione di Caserta a cui l'Abruzzo fa capo territorialmente, composta da funzionari dei ministero dell'interno e rappresentanti dell'Alto Commissariato Onu. Il responso lo scorso 5 settembre: niente asilo, perché Tina «puo chiedere aiuto alle autorità nigeriane». Da quel giorno è iniziata la battaglia del suo avvocato e del gruppo umanitario EveryOne: perché in Nigeria le autorità hanno lasciato in libertà l'assassino dei genitori di Tina, intenzionato a vendicarsi del rifiuto della donna di concederglisi in moglie, e se lei dovesse rientrare in patria sarebbe condannata esattamente come la sua connazionale Kate Omoregbe, per cui l'Italia ha deciso invece la protezione umanitaria. Per il caso di Tina si sono mobilitati nei giorni scorsi i senatori Marco Perduca e Mariapia Garavaglia, mentre Everyone ha fatto appello all'Alto commissario Onu per i rifugiati Antonio Guterres. Anche la Provincia di Firenze è intervenuta, col presidente Andrea Barducci: «Dobbiamo salvare anche la vita di Tina».



Per Kate la vita ricomincia
Avvenire,21-09-2011
Giacinto Bosoni
LODI. Kate Omoregbe arriverà a Lodi stasera. Ad accoglierla saranno le religiose della Casa accoglienza "Rosa Gattorno" che si erano offerte di dare un tetto alla giovane nigeriana. Questo è quanto assicurato da suor Rosalia Leonardis, religiosa delle suore di Sant'Anna e dal leader dei Movimento per diritti civili Franco Corbelli, promotore, da quasi due mesi, della Campagna umanitaria a favore della nigeriana di 34 anni. La donna ha ottenuto asilo politico in Italia perché nel suo Paese rischia la pena di morte in quanto, Cristiana, avrebbe rifiutato di convertirsi all'islam. «A Lodi tutti l'aspettano - spiega la religiosa -. Kate sarà accolta come facciamo con tutte le ragazze, nessun privilegio ma tanto rispetto per la sua dignità di donna. Per il lavoro nulla è certo ma sappiamo che lei sa fare molte cose, ha già fatto la badante, le pulizie e ho saputo che sa fare anche la parrucchiera. Le possibilità non le mancano». «Dopo un periodo di prima accoglienza - spiega la religiosa - il nostro primo obiettivo sarà aiutarla a cercare il lavoro ma Kate e le altre nostre ospiti sanno che devono armarsi di pazienza e Speranza; sanno di dover conoscere la lingua italiana, integrarsi con donne che provengono da altri continenti. Qualcuno di loro trova anche lavoro nelle case di anziani, ammalati, persone con diverse difficoltà».
Lodi potrà essere la città adatta per Kate. Ne sono sicure suore e le volontarie della Casa di Lodi. «Sul territorio della città di Lodi si sta affermando la tolleranza e il rispetto per rimmigrato, c'è molta accoglienza e non ci sono discriminazioni razziali. Ospiteremo Kate con molta gioia, i lodigiani ci hanno già manifestato il loro desiderio di aiutarci in qualche modo e speriamo di far conseguire a Kate ma anche alle altre ragazze il traguardo di autonomia ed indipendenza da loro desiderato».
 


Immigrazione non fa rima con ragione
La Stampa, 21-09-2011
GIOVANNA ZINCONE

La ragione, a quanto pare, frequenta mal volentieri il terreno dell'immigrazione.
L'apertura di questo anno scolastico ne sta dando qualche evidente prova.
La prima elementare della scuola di via Paravia alla periferia di Milano è stata smembrata non solo perché era piccola, ma anche perché c'erano solo 2 studenti italiani su 18. La stragrande maggioranza de- gli altri, cioè dei bimbi stranieri, a quanto è dato sapere, era nata in ítalia e aveva pure frequentato l'asilo, quindi non aveva handicap linguistici. Sul banco degli accusati è tornato il tetto dei 30% di studenti stranieri imposto alle scuole.
Certo, va riconosciuto che quel tetto è diventato flessibile: può ora tenere conto delle difficoltà reali e non di quelle solo ipotetiche dei piccoli immigrati. Ma allora perché non togliere del tutto il criterio della nazionalità e valutare piuttosto le sole competenze? È la multietnicità che va evitata, che fa comunque paura? Si osserva che i genitori italiani scappano dalle scuole con troppi stranieri: dovremmo precisare «poveri». Infatti, i genitori italiani, quando si trasferiscono all'estero, iscri- vono i figli in scuole internazionali e li collocano felicemente in classi in cui possono trovarsi ad essere anche gli unici bimbi italiani in una congerie di nazionalità diverse. Molti genitori, anche in Italia, fanno di tutto per iscrivere i loro pargoli in istituti internazionali. Senza alcun timore di traumatizzare i piccoli. Lo fanno solo in costose scuole straniere frequentate da eleganti ragazzini? Non necessariamente. L'esperienza positiva dell'asilo Bay, nel quartiere di San Salvario a Torino, dimostra che, se ben gestiti, gli asili pubblici multietnici piacciono molto a quei genitori italiani che vogliono semplicemente bambini aperti al mondo. E magari chi manda i figli in scuole con ragazzi stranieri può ottenere pure un altro inatteso vantaggio: compagni un po' più inclini alla disciplina. Infatti una recente ricerca dei Cnel ha reso noto che le famiglie immigrate criticano la scuola italiana perché da noi si studia troppo poco e non c'è rispetto per gli insegnanti.
Sappiamo, tuttavia, che gli studenti immigrati hanno in media qualche difficoltà in più, ma questo vale proprio per chi non ha avuto l'opportunità di entrare e restare nelle scuole italiane fin da piccolo. Quindi, che un bambino di via Paravia sia dovuto tornare a studiare in Marocco invece di frequentare la stessa scuola elementare della sorella maggiore non è una buona notizia. Tutto sommato, però, in questo tipo di misure almeno un piede la ragione lo ha posato: nel voler mischiare gli studenti, purché non si creino disagi e abbandoni scolastici, c'è del buono.
Non si può dire lo stesso dei progetti di legge della Regione Veneto che assegnano a chi risiede in regione da 15 anni una corsia preferenziale per l'accesso ai servizi sociali, inclusi asili, servizi alla prima infanzia, buoni scuola. Che questa mossa giovi al benessere dell'economia locale è infatti molto dubbio. Il rapporte Excelsior-Unioncamere-Ministero del lavoro anche quest'anno ci informa della carenza di candidati italiani per alcuni tipi di lavori. Mancano ad esempio infermieri, e noi sappiamo che stiamo importando personale sanitario, in particolare donne, dall'Europa dell'Est. Immaginiamo un'infermiera romena anche mamma, che probabilmente non può contare su una rete locale di familiari, e si sente respingere la domanda di iscrizione del proprio bimbo al nido. Se lo sa in anticipo, in Veneto non ci va proprio. Il mercato del lavoro italiano è carente pure di farmacisti e metalmeccanici. Che diciamo al papà lavoratore, fosse anche italiano ma di Parma, che servirebbe davvero a Vicenza? Per il bene dei tuoi figli resta dove sei? Le identité, l'affetto per i propri luoghi è un sentimento apprezzabile purché non straripi in danno per la stessa collettività che si vuole privilegiare, purché lasci spazio alla ragione. Del resto lo stesso rilancio della secessione padana, in un'Italia già affollata di problemi, non appare il massimo della ragionevolezza.
In generale, quando si tratta di prendere decisioni, sarebbe opportuno avere chiara la scala di priorità dei nostri scopi e basare le nostre strategie su una preventiva analisi del contesto e della realtà. Ad esempio, sfoltire le carceri, prima ancora che una necessità di ordine pubblico, rappresenta un dovere morale, al quale il nostro governo è stato più volte richiamato. In linea teórica, quindi, fece bene a suo tempo l'allora ministro della Giustizia Alfano, a comunicare con soddisfazione che l'Italia era stata il primo stato Ue a conformarsi alla decisione-quadro che consente di spedire nelle carceri del paese di origine le persone condannate o già detenute in un altro paese membro. Ma i sindacati degli agenti penitenziari sollevarono ben presto il dubbio che il provvedimento potesse rivelarsi un boomerang: perché i detenuti italiani all'estero, almeno secondo i loro dati, erano ben di più numerosi di quelli stranieri in Italia.
L'impressione generale è che dietro gli scopi dichiarati, spesso sensati, di questi e altri singoli provvedimenti in materia migratoria si nasconda un altro scopo, perfettamente razionale ma rischioso: incassare voti stigmatizzandogli immigrati. La strategia è apparsa per molto tempo pericolosa per i suoi effetti collaterali, di cui abbiamo dato qualche piccolo esempio, ma pur sempre un efficace strumento acchiappavoti. I risultati delle elezioni danesi cominciano a far scricchiolare anche questa ipotesi. Non solo lo xenofobo Partito dei Popolo Danese perde consensi, ma 3 elettori su 4 si sono dichiarati stufi delia sua influenza polit ica negli ultimi 10 anni. Anche se non lo fanno sugli scudi di una Vittoria gloriosa, i socialdemocratici e i loro alleati vanno al governo. Nei programma elettorale delia coalizione Vincente c'era anche qualche piccolo sconto sulla severità in tema di immigrazione. Questo non significa che avercela con gli immigrati non continui a pagare eleitoralmente, in Danimarca come altrove. Ma in tempo di crisi le priorità sono altre, gli elettori chiedono misure efficaci per rilanciare l'economia e ridurre l'insicurezza. Chiedono misure impregnate di ragione? E di una ragione non ristretta all'orizzonte delia convenienza elettorale immediata? Non è detto, ma di queste abbiamo urgente bisogno. E ovviamente di una leadership politica che sappia spiegarle e renderle accettabili all'opinione pubblica.



IMMIGRATI: PARTE RACCOLTA FIRME PER “L’ITALIA SONO ANCH’IO”
(AGI) - Roma, 21 set. - Pierluigi Bersani, Fausto Bertinotti, Ascanio Celestini, Graziano Delrio, Claudio Piersanti, Gianni Rivera, Andrea Segre andranno a firmare giovedi’ 22 settembre
al banchetto allestito a Roma, a piazza del Pantheon le due proposte di legge di iniziativa popolare per cambiare la normativa sulla cittadinanza e introdurre il diritto di voto per le persone di origine straniera.
Col deposito in Cassazione dei testi delle due leggi di iniziativa popolare sottoscritti dagli esponenti delle organizzazioni che hanno promosso la campagna l’”Italia sono anch’io”, e’ cominciata la raccolta delle firme necessarie per la consegna delle leggi in Parlamento. Ci sono sei mesi di tempo per raggiungere l’obiettivo delle 50.000 firme in calce a ciascuna delle due proposte di legge.
L’Italia sono anch’io e’ la Campagna nazionale per i diritti di cittadinanza promossa, nel 150° anniversario dell’unita’ d’Italia, da 19 organizzazioni della societa’ civile (Acli, Arci, Asgi-Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunita’ d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Fcei - Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2 - Seconde Generazioni, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco) e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del Comitato promotore e’ il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio.
Scopo della campagna e’ promuovere, anche attraverso lo strumento delle leggi di iniziativa popolare, l’uguaglianza di diritti tra italiani e stranieri che vivono, studiano e lavorano in Italia, cosi’ come sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione. (AGI) Cav

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Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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