Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 gennaio 2011

PER I PROFUGHI DEL SINAI
FIACCOLATA DI LUMI E SILENZIO
1 FEBBRAIO ORE 18.00
SCALINATA DEL CAMPIDOGLIO - ROMA

Da oltre due mesi alcune centinaia di profughi si trovano nelle mani dei trafficanti di uomini nel deserto del Sinai. Tra essi 80 eritrei provenienti dalla Libia e, poi, etiopi, somali, sudanesi. Tuttora non siamo in grado di sapere che fine abbiano fatto 100 di essi, presumibilmente trasferiti o venduti ad altre bande di trafficanti. Tra il 28 novembre e il 12 dicembre 2010, 8 persone sono state uccise e altre 4 sono state sottoposte a un intervento chirurgico per l'espianto di un rene come forma di pagamento del riscatto loro richiesto. A ciò si aggiunge che, nei confronti degli ostaggi, viene esercitata una violenza quotidiana: sono incatenati, affamati e tenuti in condizioni disumane. Gli unici che sono usciti da questo incubo sono quanti hanno avuto la possibilità di pagare un riscatto grazie all’aiuto dei loro familiari e amici.
Nel corso di questi due lunghi mesi, la Comunità internazionale è stata silenziosa e inerte. Ma non possiamo dimenticare che questa situazione è una delle conseguenze della politica europea di chiusura delle frontiere, che sempre più allontana le persone che cercano protezione nel nostro continente.
Per questo chiediamo che la Comunità internazionale si mobiliti immediatamente sia per combattere il traffico di esseri umani sia per garantire a queste persone la protezione internazionale di cui hanno bisogno e a cui hanno diritto: in particolare attraverso un piano di "evacuazione umanitaria" e un progetto di accoglienza dei profughi nel territorio dell'Unione Europea.
Consiglio Italiano per i Rifugiati, A Buon Diritto, Agenzia Habeshia, Centro Astalli
Don Mussie Zerai, Savino Pezzota, Luigi Manconi, David Sassoli, Paola Binetti, Gennaro Malgieri, Livia Turco, Matteo Mecacci, Benedetto Della Vedova, Luigi Zanda, Luisa Morgantini, Rita Bernardini, Guido Melis, Marco Perduca, Flavia Perina, Jean Leonard Touadì, Luigi Zanda, Claudio Cecchini e decine di associazioni, movimenti e sindacati.
con il patrocinio di: Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma.



Al Viminale Le indicazioni dopo undici mesi di lavoro. I luoghi di culto devono essere in regola con le norme di sicurezza
«Per i sermoni nelle moschee va usato l'italiano»
Documento del Comitato per l'Islam. Scialoja: sì, ma avvenga in maniera graduale
Corriere della Sera, 28-01-2011
M. Antonietta Calabrò
ROMA — Sermoni in italiano e luoghi di culto in regola con le norme di sicurezza. Il Comitato per l'Islam italiano, riunitosi ieri al Viminale alla presenza del ministro dell'Interno Roberto Maroni e del sottosegretario Alfredo Mantovano, ha presentato un documento, frutto di 11 mesi di lavoro, contenente queste indicazioni per favorire l'integrazione degli immigrati di religione musulmana. Questo anche perché in base alle previsioni più accreditate, come ad esempio, il rapporto «Il futuro della popolazione musulmana globale» del Forum on Religion & Public Life di Washington, appeno reso noto, entro 20 anni i musulmani in Italia raddoppieranno arrivando a 3 milioni 199 mila unità dal milione e 583 mila attuali (e il nostro sarà uno dei Paesi europei dove la crescita sarà maggiore).
Del resto solo l'anno scorso sono state censite 48 nuove moschee (adesso sono in tutto 748). Ma il quadro generale, non è dei più felici: mentre il numero di fedeli aumenta, i luoghi per pregare sono quasi sempre celati dietro nomi di associazioni culturali, collocate tra garage e sottoscala L'islam è la seconda religione d'Italia ma esistono solo due moschee riconosciute: la Grande Moschea di Roma e la moschea della Co.re.is a Milano. I centri culturali inoltre sono finanziati in modo poco trasparente: le moschee sostengono di essere finanziate dal khums, una tassa islamica. Ma il più delle volte non è dato sapere chi sta dietro le donazioni.
Per il Gomitato per l'Islam italiano invece gli edifici di culto «dovranno essere costruiti in totale conformità con la normativa edilizia e urbanistica e di sicurezza per la prevenzione degli incendi e degli infortuni, in zone compatibili con la destinazione d'uso». E inoltre è stata evidenziata poi «la necessità di assicurare il rispetto delle norme giuridiche che regolamentano l'esercizio di attività commerciali, anche di ristorazione, svolte all'interno dei luoghi di culto, nonché di assicurare trasparenza alla pratica dell'elemosina rituale, ai lasciti e donazioni da parte dei fedeli, così da garantire una gestione dei luoghi di culto in conformità alla disciplina civilistica e fiscale».
Ma soprattutto il documento consegnato a Maroni auspica che «tali luoghi siano aperti alla pratica del culto da parte di tutti i fedeli di religione islamica, di qualsiasi scuola giuridica, e che i sermoni vengano pronunciati in lingua italiana».
Quello della lingua non sarà un obbligo, ma un'indicazione, per evitare che la predicazione possa essere utilizzata per svolgere un'azione di propaganda e incitamento ad azioni violente, se non di vero e proprio terrorismo. La predica nella lingua del posto è una pratica adottata in altri Paesi, come Inghilterra 0 Stati Uniti.
D'accordo sul fatto che i sermoni all'interno delle moschee debbano essere recitati in italiano, ma con dei distinguo, Mario Scialoja, consigliere del Centro Islamico Culturale d'Italia che ospita la grande moschea di Roma, la più grande del paese: «Questo deve avvenire non- sic et simpliciter, ma in maniera graduale. Imporre subito la lingua italiana sarebbe una sciocchezza». Mentre apertamente critico è Ahmad Giampiero Vincenzo,-presidente dell'Associazione intellettuali musulmani italiani, membro della Assemblea generale della grande moschea di Roma e consulente per la Commissione Affari Costituzionali del Senato: «Il Comitato per l'Islam presso il Ministero dell'Interno compie l'ennesimo tentativo di legittimare se stesso a danno, però, dei musulmani italiani».
«Un ottimo documento» è invece il giudizio di Massimo Introvigne, responsabile Osce per la lotta contro le intolleranze e componente del Comitato: «Si è ottenuta la possibilità di far emergere il sommerso e di ottenere trasparenza».



Basta moschee illegali E i sermoni dell'imam vanno recitati in italiano

La Consulta del ministero: «Nei luoghi di culto fuori controllo è facile reclutare terroristi»
il Giornale, 28-01-2011
Francesca Angeli
Roma Libertà di culto ma nel pieno rispetto delle leggi italiane. Trasparenza assoluta dei conti anche per tutte le forme di donazione. Sermoni soltanto in italiano. Altrimenti le moschee «fai date» e prive di controllo possono trasformarsi in una concreta minaccia per la sicurezza pubblica.
Queste le principali indica-zioni del Comitato per l'Islam italiano che si è riunito ieri al Viminale alla presenza del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e del sottosegretario, Alfredo Mantovano. Di fronte ad una «proliferazione di luoghi di culto al di fuori delle regole» il Comitato evidenzia la necessità di indicare alcuni criteri ai quali attenersi per evitare l'inevitabile esplosione di «incomprensioni e conflitti con la popolazione circostante».
L'unica via dunque è quella di far emergere tutte le realtà sommerse «all'interno di un'opera di persuasione, non di repressione o schedatura,
che induca a cessare la pratica di mascherare luoghi di culto dietro attività culturali, ricreative, sportive o commerciali». Quindi anche per i luoghi di culto «dovrà essere tenuta regolare contabilità» con la massima trasparenza per i finanziamenti, i lasciti e le donazioni. All'interno dovranno essere proibite le «attività di propaganda politica e ideologica» così come le attività commerciali se non si è in possesso delle regolari licenze.
Dovranno essere rispettate tutte le normative relative all'edilizia ed all'urbanistica e l'area dovrà essere scelta tenedo conto del rispetto della sicurezza e dell'ordine pubblico. La moschea poi dovrà essere aperta a tutti, anche ai non islamici che si impegneranno ovviamente a rispettare la sacralità del luogo. Si consiglia poi che i sermoni vengano tenuti in italiano. Regole fino ad ora ignorate.
La relazione del Comitato fa riferimento alla ricerca condotta dal professor Stefano Allievi, docente di sociologia dell'Università di Padova, secon-
do la quale sarebbero 764 i luoghi di culto per i musulmani. Si tratterebbe nella maggioranza dei casi di scantinati o ex garage adibiti alla preghiera e concentrati soprattutto al nord dove è più forte la presenza di  immigrati  di fede islamica. Soltanto tre le moschee vere e proprie: a Roma. Milano, Catania.
I luoghi di culto di solito nascono dietro la richiesta di aprire in un luogo pubblico un non meglio definito «centro culturale». Una volta ottenuta
la concessione dal Comune si trasforma la destinazione d'uso in luogo di culto. Una pratica ritenuta non legittima dal Comitato del Viminale perchè nel cambio non si tiene mai conto della «corretta applicazione della normativa edilizia».
Esiste poi un problema molto più grave. Alcuni di questi ex centri culturali a partire dagli anni '90, denuncia la relazione, si sono dedicati ad una «attività di indottrinamento, radicalizzazione e recluta-mento» ispirata «all'ultrafondamentalismo islamico» e sono stati gestiti «da persone condannate per diversi reati anche connessi al terrorismo internazionale».
Insomma i luoghi di culto fuori controllo rappresentano una minaccia «nei confronti della società italiana e della stessa comunità internazionale». Non possono essere tollerate «pretese di extraterritorialità» quando anche «autorevoli esponenti islamici sostengono che la moschea non soggiace che alle leggi dello Stato in cui sorge».
La storia recente di molti paesi europei insegna che è alto il rischio della formazione di «gruppi etnico-religiosi incapaci di dialogo». Esiste, prosegue la relazione, un difetto di impostazione nel programma del Pve (prevenzione dell'estremismo violento). Ovvero l'idea che dialogando con gli estremisti non violenti si possa gestire la situazione. Un errore compiuto sia in Inghilterra sia in Francia dove sono stati individuati «gli islamisti non violenti come possibile antidoto ai jihadisti», conclude la relazione, perchè i presunti non violenti spesso non sono affatto moderati.



LA NOVITA'
Bari, scrivere una cartolina o email Arrivano i primi test per 46 stranieri

Prove il 7 febbraio per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo. Si dovrà anche leggere un testo scritto
Corriere della sera, 28-01-2011
BARI - Per i cittadini stranieri è tempo di test d'italiano. Il prossimo 7 febbraio, presso la scuola Media «G. Verga» (via Carabellese 34 di Bari) i primi 46 cittadini stranieri di diverse nazionalità sosterranno le prove di conoscenza della lingua italiana per ottenere il permesso di soggiorno di lungo periodo
La prova è riservata solo ad immigrati, titolari di permesso di soggiorno, che risiedono in Italia da almeno cinque anni.. Il test si articola in tre momenti: un primo relativo all’ascolto di un breve brano con risposte scritte; un secondo di lettura di un breve testo con risposte scritte e una terza nella quale il candidato dovrà scrivere un breve testo (una cartolina, una mail ecc).
Il test si considera superato se si ottiene l’80% del punteggio complessivo: il risultato sarà inserito nel sistema informatico dalla Prefettura e potrà essere consultato dagli interessati on line all’indirizza http://testitaliano.interno.it



VDA; 8 RESPINTI SU 22 A TEST ITALIANO

(ANSA) - AOSTA, 27 GEN - Sono stati 8 (su 22 partecipanti) i respinti al test di conoscenza della lingua italiana per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo che si e' svolto ieri ad Aosta. I risultati sono stati resi noti nella mattinata di oggi.
La commissione di esame ha giudicato negativa la prova di tre cittadini marocchini, due algerini, un ecuadoregno, un moldavo e un cinese. Gli immigrati che hanno sostenuto la prova provenivano dal Marocco (6 persone), dall'Algeria (4), dalla Repubblica Moldava (5), dalla Tunisia (3), dalla Cina (1), dall'Ecuador (1), Congo (1) e dalla Repubblica Dominicana (1).
L'esame prevedeva tre prove: un test di ascolto di un testo registrato, uno di lettura e uno di scrittura di una cartolina a un amico scusandosi di non poter partecipare al suo matrimonio. (ANSA).



Immigrati/ Viminale: rimpatriati 40 nigeriani

Diciannove espulsi da Italia e 21 da Regno Unito
Virgilio, 28-01-2011
Quaranta cittadini nigeriani, di cui 19 espulsi dall'Italia e 21 dal Regno Unito, sono stati rimpatriati alle 15 dallo scalo aereo di Roma Fiumicino con un volo charter diretto a Lagos (Nigeria). Lo riferisce il Viminale in una nota. I cittadini nigeriani rimpatriati erano trattenuti presso il Centro di identificazione ed espulsione di Roma. Altri 26 nigeriani identificati verranno rimpatriati non appena saranno definiti i ricorsi contro il diniego del riconoscimento dello status di rifugiato dagli stessi richiesto.



Zagbla su arresto consigliere Lega per sfruttamento prostituzione

Monte Gargano, 28-01-2011
Vicenza - Il responsabile per il Veneto  dell’Italia dei Diritti : “Soprattutto quando una persona rappresenta le istituzioni, come un politico, dovrebbe guardarsi intorno prima di puntare il dito contro gli immigrati” Alessandro Costa, consigliere comunale di Barbarano, in...
Il responsabile per il Veneto  dell’Italia dei Diritti : “Soprattutto quando una persona rappresenta le istituzioni, come un politico, dovrebbe guardarsi intorno prima di puntare il dito contro gli immigrati”
Alessandro Costa, consigliere comunale di Barbarano, in provincia di Vicenza, è stato arrestato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. L’ex assessore alla sicurezza, militante, ora espulso, della Lega nord, gestiva un sito di annunci e incontri pornografici guadagnando grosse somme di denaro attraverso la  promozione, tra gli altri, di escort e trans. “In merito all’arresto di questo esponente politico appartenente ad un’area che fa della lotta all’illecito la propria bandiera, - interviene Emmanuel Zagbla, responsabile per il Veneto dell’Italia dei Diritti – ritengo sia necessaria una grande riflessione, generale, sulla questione della legalità. Questa vicenda dimostra, nei fatti, che nessun partito politico è immune da coinvolgimento in atti riguardanti il  problema della prostituzione. Noi, come Italia dei Diritti, per prima cosa, invitiamo gli esponenti dei partiti, nella fattispecie la Lega,  a misurare i toni in merito delle accuse rivolte agli immigrati, in quanto nessuno potrà mai dire che gli stessi, sono venuti in Italia soltanto per delinquere o per compiere reati di  prostituzione. Deve esserci una moralità generale, non di parte. Soprattutto – prosegue Zagbla - quando una persona rappresenta le istituzioni, come un politico, dovrebbe guardarsi intorno prima di puntare il dito contro gli stranieri, immigrati, che devono spesso confrontarsi con problemi legati alla discriminazione e con non poche privazioni”.
Il trentottenne Costa già nel registro degli indagati dal 18 agosto accusato dei medesimi reati, è ora in carcere a Padova, gli viene contestata anche l’accusa di aver organizzato festini a luci rosse e incontri a pagamento tra inserzioniste o escort e professionisti veneti. L’ex militante del Carroccio è stato sorpreso in flagranza di reato mentre riceveva il denaro da un procacciatore della sua rete.
“Pur non giustificando chi compie il reato della prostituzione – prosegue l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - riteniamo sia necessario innanzitutto valutare cosa spinge, in misura maggiore le immigrate, a sopportare l'essere costrette a dedicarsi ad una attività che in Italia è illegale. In conclusione mi auguro che Costa sia pulito e che non abbia commesso i reati a lui imputati. Contrariamente sarebbe da preoccuparsi, proprio perché compiuti da un rappresentante che della legalità fa bandiera politica. Se lo fa un uomo pubblico, - chiosa Zagbla -  figuriamoci quelle poverette che arrivano in Italia con la promessa di un lavoro e finiscono, oppresse, sulle strade”.



QUELLI CHE, PER OTTENERE LA CITTADINANZA, DENUNCIANO IL VIMINALE

PER LA LEGGE BASTANO DUE ANNI, MA IL MINISTERO ACCUMULA UN RITARDO DOPO L'ALTRO. COSÌ, CENTINAIA DI IMMIGRATI, ASSISTITI DALLA CGIL, STANNO SCEGLIENDO LA VIA DELLA CLASS ACTION
il Venerdi, 28-01-2011
MARINA ZANOLLI
Vogliono diventare cittadini italiani, e ne hanno ogni diritto. Ma, per riuscirci, sono costretti a portare in tribunale nientemeno che il mini¬stero dell'Interno, che accusano di non rispettare i termini di legge entro i quali la cittadinanza italiana va riconosciuta a chi ha i titoli per ottenerla.
Sono le centinaia di extraco-munitari residenti in Italia da oltre dieci anni che, in questi giorni, stanno dando la propria adesione a una class action contro la pubblica amministrazione, colpevole - sostengono - di non portare a compimento l'iter burocratico entro i due anni previsti dalla legge. Le loro firme stanno affluendo, numerosissi¬me, dall'inizio dell'anno, all'ufficio romano dell'lnca, il patronato della Cgil che cura le pratiche e l'azione legale. Firme che pro¬vengono da un po' tutte le 797 sedi degli uffici per la tutela dei diritti civili della Cgil, ma anche da altri settori locali del sindacato e da Federconsumatori. Una volta riunite in un solo fascicolo, le contestazioni saranno spedite al ministero dell'Interno, responsabile della concessione della cittadinanza agli stranieri. «Il termine massimo fissato dalla legge per dare risposta alla domanda di cittadinanza è di 760 giorni» spiega il legale responsabile della class action, Luca Santini. «Per avere l'autorizzazione a produrre la fissione nucleare ci vuole meno» ironizza «e, in ogni caso, il limite dei due anni troppo spesso non viene affatto rispettato».
Il primo passo dell'azione legale collettiva consiste in una diffida formale al ministero, ai sensi del decreto Brunetta voluto dal ministro all'Innovazione «per migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione». Entro novanta giorni, dovrà arrivare una risposta. Se questa sarà positiva, la vertenza si concluderà qui. In caso contrario, il secondo passo consisterà in un ricorso al Tar, accompagnato dalla pubblicazione dello stesso sul sito internet del ministero, in modo che l'azione possa essere estesa anche ad altri stranieri interessati.
«Ho fatto domanda di cittadinanza nel 2007 e non ho ancora avuto risposta» dice Rekia El Kolaia, marocchina di Rabat in Italia dal 1990 e madre dì un figlio, nato a Trento. «Continuo a telefonare a Roma per capire cosa non va» spiega, «ma mi dicono solo di aspettare, aspettare...», Fino a ieri, queste lungaggini l'avevano solo infastidita, ma oggi, in piena crisi economica, teme che lo status di straniera possa nuocerle e farle perdere il lavoro. Da cuoco a informatico, Koffi Berlin Kouassista, nato in Costa d'Avorio, da venticinque anni a Perugia, ha sottoscritto l'azione di classe perché, dice,«la mia vita è qua, dove lavoro e pago le tasse e dove vanno a scuola i miei figli».
Sul tavolo di Daniela Morlacchi, dell'lnca nazionale, stanno arrivando le adesioni di chi è in attesa da tre, quattro, cinque anni: «Tempi non giustificabili; una vera persecuzione».
Alla direzione centrale del ministero dell'Interno per i diritti civili si difendono: le richieste di cittadinanza sono passate da 30 mila a 60 mila dal 2004 al 2009,
con un picco di domande accolte tra il 2006 e il 2008.



Undicimila gli stranieri in provincia
Il Messaggero, 28-01-2011
L'immigrazione nel paese e a Rieti, senza clamori né pregiudizi: tutto nel dossier statistico sull'immigrazione
realizzato da Caritas e Fondazione Migrantes presentato all'Auditorium Varrone da Luigi Ricciardi. I dati, per cominciare: in un contesto nazionale dove a inizio 2010 si contavano 4.235.059 immigrati regolari (pari al 7% della popolazione totale), il Lazio ne accoglie 497.940, di cui 10.901 a Rieti, con un'incidenza sulla popolazione residente del 6,8 per cento. Nel 2009 sono nati 146 bambini stranieri, mentre gli iscritti nella scuola dell'obbligo sono 1.659 (ed è a loro che si deve la sopravvivenza di molti plessi). Sul territorio risultano impegnati su questo fronte la Caritas e gli operatori locali del sistema Sprar, il Sistema di protezione per rifugiati politici che nel reatino ha attivato negli ultimi anni diversi progetti. La Caritas opera con il gruppo di volontariato "Il Samaritano" e il centro di ascolto, che solo nel 2009 ha effettuato 4500 interventi, erogando contributi per 67mila euro. Molto utilizzato anche lo sportello di orientamento al lavoro (oltre 2000 gli iscritti), una sorta di "collocamento delle badanti" che non risolve solo il problema del lavoro di colf italiane e straniere ma anche il bisogno di assistenza di famiglie e anziani reatini. All'incontro, coordinato dal direttore della Caritas don Benedetto Falcetti, hanno partecipato anche gli assessori ai Servizi sociali di Provincia (Luigi Taddei) e Comune (Ettore Saletti), il direttore della Caritas della diocesi Sabina Poggio Mirteto don Rocco Gazzaneo e il giovane Arber Behari, rappresentante della comunità albanese, (a.l.)



Merci cinesi, affari italiani chi si arricchisce con l'industria del falso
L'intreccio di interessi dietro un business da 7 miliardi. Quali sono le dimensioni di questa macchina silenziosa? E quanti danni crea all'economia? E quali profitti realizzano gli italiani che partecipano ai traffici?
la Repubblica, 28-01-2011
LUIGI CARLETTI
ROMA - In un piccolo ufficio con vista sul grande raccordo anulare, un giovane e taciturno funzionario dello Stato aggiorna quotidianamente la mappa di un metro per due che ha appeso all'unica parete lasciata libera da libri e faldoni. Con il lapis e la gomma, il funzionario corregge, integra, aggiunge. È una galassia di nomi e di luoghi che ogni giorno si arricchisce e muta i suoi confini. Quanto riesca a fotografare la realtà è difficile dirlo. È però probabile che dentro queste stanze apparentemente tutte uguali, nella blindatissima sezione antifrode dell'Agenzia centrale delle dogane, risieda il punto più avanzato della conoscenza di un fenomeno illegale che ogni anno, solo in Italia, fattura 7,5 miliardi di dollari e produce alla nostra economia danni incalcolabili.
La galassia cinese della contraffazione è un reticolo di piccoli boss impegnati a restare invisibili e di giovani aspiranti boss dai metodi assai meno discreti. Sono concentrati nelle aree italiane di maggiore immigrazione, ma anche nei crocevia del traffico internazionale (valichi e porti) attraverso i quali si smistano i container carichi di ogni tipo di merce.
Sono i signori del falso. Smuovono un'enormità di denaro illegale che riciclano in immobili o reinvestono in patria. Fanno affari con la criminalità. Pagano la loro quota alla mafia cinese. Sfruttano e danneggiano le migliaia di cinesi onesti che in occidente hanno cercato un futuro. E, da ultimo, danno lavoro a un piccolo esercito di professionisti italiani che sono gli indispensabili mercenari dell'illegalità. I pass-partout utili a superare le barriere della lingua, i controlli, la burocrazia.
Ma chi sono i signori cinesi della contraffazione e del contrabbando? Quanto sappiamo effettivamente del loro mondo nascosto? E come funziona la filiera dell'illegalità?
LE CHINATOWN ITALIANE
Per rispondere a queste domande bisogna provare a entrarci, in quel mondo. Un labirinto di silenzi, di gesti rituali e di fatica quotidiana. Perché è la fatica, nelle attività regolari come in quelle illecite, il segno distintivo di questa gente che non si risparmia mai. Dai laboratori full-time di Prato o di Carpi all'incessante lavorio dei negozianti delle varie chinatown di Roma, Milano o Napoli, le comunità che negli ultimi trent'anni si sono insediate in Italia sono fabbriche-mercati a ciclo continuo in cui talvolta distinguere ciò che è legale da ciò che non lo è diventa impossibile anche per chi le studia da tempo.
Nel complesso sono cinquantamila le imprese cinesi in Italia, molte delle quali regolari. "È vero, noi lavoriamo tanto. Abbiamo forti motivazioni, ambizioni e obiettivi", spiega Marco Wong, ingegnere, nato e cresciuto in Italia da genitori immigrati. Wong non ha dubbi sul fatto che l'illegalità sia di una minoranza e tuttavia ammette che le varie comunità fanno ancora fatica a dialogare con la società italiana, istituzioni comprese.
"L'immigrazione cinese in Italia è un fenomeno tutto sommato recente", osserva Giancarlo Maffei, ex consigliere della Provincia di Prato per i rapporti con l'oriente e tra i maggiori esperti italiani nelle relazioni con la Cina. "Per avere un dialogo effettivo, credo che si dovrà aspettare il passaggio di almeno una generazione".
Probabilmente è al di là da venire il tempo in cui un sindaco di origine cinese sul modello San Francisco governerà una grande città italiana. Oggi i cinesi di prima generazione sono per la maggior parte cinquantenni che appaiono barricati all'interno della nicchia etnica. Ostinati e guardinghi. Abitudinari e autoreferenziali. Per molti di loro il contatto con gli italiani si riduce alle relazioni indispensabili. Il sentimento della diffidenza è incoraggiato dall'attuale clima politico ma è anche assecondato dai boss delle comunità. Meno se ne sa, meglio è per tutti. E in particolare per gli affari.
I giovani sono altrettanto diffidenti ma meno prudenti. Capita che in poco tempo si ritrovino pieni di soldi che spendono in auto costose e in vestiti firmati non taroccati. Tra gli oggetti del desiderio la Porsche Cayenne è da anni al primo posto. Status symbol, ma anche segnali pericolosi che i connazionali più anziani guardano con allarme, consapevoli forse del fatto che la Guardia di finanza annota tutto.
Gli italiani ammessi sono pochi. Quelli strettamente necessari. Qualcuno che superi la barriera della lingue, che sappia districarsi nella giungla delle norme e della burocrazia. Qualcuno di cui potersi fidare. Figure molto ben identificate nella galassia del malaffare cinese: commercialisti, spedizionieri doganali, dirigenti bancari, notai e agenti immobiliari. È un piccolo esercito di professionisti disinvolti quello che lavora per il grande business illegale. Un "circolo chiuso" che, in tutto il Paese, probabilmente non va oltre le cento unità. Perché i cinesi sono abitudinari anche in questo. Se un esperto italiano ha la preferenza di una "famiglia", in breve tempo può trovarsi a gestire uno o più clan. Centinaia se non migliaia di clienti. Funziona così per tutto, e da sempre.
Ci si muove nella maniera più vecchia del mondo: passaparola e rapporto fiduciario. Se poi quell'attività è ai margini della legalità, o del tutto fuorilegge, il rapporto si fa ancora più selettivo, rigido, prudente. Più l'italiano è avido, più è degno di considerazione. La fiducia diventa complicità.
PROFESSIONISTI SPERICOLATI
Ma è proprio questo centinaio di potenti e spericolati "spicciafaccende" italiani, oggi, a rendere il mondo del malaffare cinese un po' meno impenetrabile. Nella mappa della galassia illegale, quei nomi italiani rispondono a professionisti che operano nelle grandi città ma anche in provincia. Personaggi del sottobosco economico che forse neanche immaginano di ricoprire una posizione che viene monitorata quotidianamente. Alcuni di loro, da anni, sono gli inseparabili assistenti di imprenditori cinesi che mischiano sapientemente attività lecite con affari proibiti. Altri, fiutando le potenzialità del business, hanno pensato al salto di qualità. Giro d'affari più ampio e magari lo sbarco in una grande realtà. La capitale, per esempio. In alcuni casi - pochi per ora - le loro ambizioni sono finite nel mirino della magistratura.
Giuseppe Scognamiglio, originario di Pozzuoli, e Marco Quadri, di Jesi, sono due commercialisti. Insieme avevano aperto la "Centrale Fiduciaria srl", società finanziaria con sede a piazza Vittorio, luogo storico dell'immigrazione a Roma. Lavoravano al secondo piano di uno stabile in cui si trova anche l'agenzia numero 1 della Bnl. Nei loro uffici ricevevano i guadagni illeciti di svariate decine di clienti cinesi, tutti operatori del mercato del falso, dal tessile all'elettronica. Erano soldi da riciclare e per farlo, secondo la Dia (Direzione investigativa antimafia) bastava scendere solo qualche rampa di scale. Nella filiale della Bnl, grazie all'apertura di un centinaio di conti correnti, quei soldi venivano mascherati dalla concessione di mutui e poi fatti riemergere come "regolari pagamenti" per operazioni commerciali fittizie con misteriosi referenti in varie città della Cina.
Dopo una lunga indagine battezzata "Operazione Ultimo imperatore" e conclusa nel maggio scorso, la procura di Roma ha inquisito 47 persone, tra cui alcuni italiani: dirigenti bancari, operatori finanziari e, ovviamente, i due commercialisti. Ma ciò che desta impressione è il giro d'affari. "In poco più di due anni", spiegano gli investigatori della Dia, "la Centrale Fiduciaria ha movimentato oltre cento milioni di euro".
Cento milioni di euro in soli due anni. Un'orgia di denaro. Quali e quanti profitti (interessi, commissioni, parcelle) ha generato per gli italiani che hanno partecipato? E quante altre situazioni del genere potrebbero nascondersi, oggi, nel nostro Paese?
COMPLICITÀ IN QUESTURA
Tra le indagini condotte in altre città, sembra particolarmente indicativa quella della primavera scorsa a Prato. Nel mirino degli inquirenti finisce Ban Yun Dong, uno dei boss della potente comunità cinese, proprietario del ristorante Hong Kong e titolare di aziende di abbigliamento. Negli anni, Dong ha saputo costruire una rete di amicizie attraverso le quali, oltre a curare i propri affari, dispensa favori ai connazionali assicurando gli agognati permessi di soggiorno. Dopo appostamenti, pedinamenti e intercettazioni, su mandato della Procura, la polizia parte con gli arresti e per alcuni di essi è costretta a intervenire anche in casa propria: tra gli indagati ci sono infatti il vice questore e capo delle volanti Fabio Pichierri, l'assistente capo Michele Passeri in servizio all'ufficio immigrazione, la poliziotta Daniela Ognibene, l'agente delle volanti Emanuele Ghimenti. Altri tre poliziotti (due uomini e una donna) sono sospesi dal servizio. Finiscono nei guai anche due carabinieri dei Nas, Enrico Ostili e Giuseppe Brucculeri.
Secondo l'accusa, il disinvolto imprenditore Ban Yun Dong, aveva messo a punto una serie di operazioni illecite che attraverso connivenze e scorciatoie evitavano controlli, davano vigore agli affari ma soprattutto al proprio prestigio nella popolosa comunità cinese del triangolo Prato, Firenze, Pistoia.
Complicità talvolta insospettabili, omertà diffusa e un'innegabile abilità imprenditoriale. Tutto questo rende la macchina dell'illegalità cinese un silenzioso rullo compressore. Ma quali sono le sue dimensioni reali? E quali danni crea alla nostra economia?
LA FABBRICA DEL "TAROCCO"
La fabbrica del falso non chiude mai. Produce e spedisce a getto continuo. In Italia il business della contraffazione fattura sette miliardi e mezzo di dollari all'anno. Nel mondo 250 miliardi. Il fenomeno è globale e non risparmia nessuno. In Italia, il 64% delle merci contraffatte proviene dalla Cina, Se si aggiungono i sequestri di container che arrivano da Hong Kong (un altro 5%) e dai porti della Grecia (sempre cinesi, altro 5%) si tocca la considerevole quota del 74%. Come dire che, per tre quarti, il falso che ci piove in casa esce da aziende della seconda potenza economica mondiale. Seguono Vietnam, Thailandia e Singapore.
Contraffazione, false fatturazioni, evasione dei dazi e dell'Iva, concorrenza sleale, riciclaggio di denaro, alterazione del mercato. Questo e altro, con il suo corollario di corruzione e complicità, forma l'imponente carico di illegalità che il traffico del falso porta con sé. Solo di evasione fiscale, la contraffazione costa allo Stato italiano due miliardi e mezzo di euro. E sono 130 mila i posti di lavoro che ogni anno si perdono. In più ci sono seri rischi per i consumatori.
A La Spezia le quindicimila borse "di marca" provenienti dalla Cina contenevano nella fodera interna forti quantità di cromo esavalente, sostanza altamente cancerogena. Altri casi simili si sono avuti nell'abbigliamento e nelle calzature. Perfino nelle sigarette e nel finto Viagra.
"Chi acquista certi prodotti forse non lo sa, ma spesso maneggia bombe chimiche che possono procurare danni molto gravi". Il maggiore Agostino Tortora, analista della Guardia di finanza, mostra l'elenco dei blitz eseguiti su tutto il territorio nazionale. Un quinto dei sequestri europei si fa in Italia.
Come difendersi? Stringere ancor più le maglie nelle importazioni? Aumentare i sequestri?
Misure certamente necessarie, ma per capirne la potenziale efficacia bisogna passare qualche minuto nella sala controllo dell'Agenzia centrale delle dogane, dove una dozzina di monitor offrono in tempo reale la situazione dei porti in tutto il mondo. Rotterdam e Amburgo, da soli, fanno più di tutti gli scali italiani. Il 62% delle merci cinesi in Europa passa da lì. E una volta che i container sono sdoganati, viaggiano su gomma e su rotaia senza più alcuna barriera. Così, mentre doganieri e finanzieri setacciano i nostri ingressi marittimi, via terra può arrivare di tutto. I cinque signori cinesi di Magdeburgo che gestiscono una grossa fetta della logistica del nord Europa, inondano il Vecchio continente di generi di ogni tipo. Nel traffico tra la Germania e l'Italia, la stragrande maggioranza di episodi di frode che vengono scoperti riguardano società di import-export e di trasporto con sede a Magdeburgo. Quasi tutte cinesi.
CINESI MADE IN ITALY
Intanto da Roma a Catania, da Milano a Napoli, passando ovviamente per Prato, Carpi e Reggio Emilia, s'avanza la nuova generazione dei cinesi made in Italy. Hanno 20-25 anni, stanno completando gli studi. "I più abbienti frequentano la Bocconi e la Luiss perché - spiega Marco Wong - una solida preparazione e una rete di relazioni giuste sono fondamentali".
Le facoltà economiche sono le più frequentate. Si formano i commercialisti e gli operatori finanziari di un domani che è già oggi. Ben attrezzati, padroni delle lingue, profondi conoscitori delle dinamiche sociali cinesi ma anche occidentali. Alcuni di loro stanno facendo pratica in studi di fiducia. È vicino il tempo in cui degli "spicciafaccende" italiani non ci sarà più bisogno.
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