Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

16 aprile 2010

Con Izzedin l'Islam diventa soft
Colombe Sì al crocefisso nelle scuole. No al burqa.
E prediche in lingua italiana nelle moschee. L'imam di Firenze,
nuovo leader dei musulmani, cambia rotta. Radicalmente.
Panorama, 16-04-2010 
di SILVIO DEL VIVO

Sì al crocifisso nelle scuole, no al burqa, prediche in italiano nelle moschee e permesso di soggiorno «a punti», perché gli immigrati devono conoscere le leggi e la lingua del paese che li ospita. No, non è il programma della Lega: è il pensiero di Izzedin Elzir, 39 anni, palestinese di Hebron e imam di Firenze, da un mese presidente dell'Ucoii, l'Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia.
La sua nomina viene valutata dagli esperti di Islam come il segno di una decisa inversione di tendenza all'interno dell'Ucoii, considerata l'ala più intransigente dei musulmani italiani, legata, almeno in origine, alla Fratellanza musulmana, organizzazione che sfornò personaggi del calibro di Aynan al-Zawahiri. Ma se alla metà di marzo 113 delegati su 134 comunità sparse per tutta la Penisola hanno votato la colomba Izzedin, significa che qualcosa forse sta cambiando. Al punto che, come vicepresidente, è stata eletta una donna di nazionalità italiana, Patrizia Khadija Del Monte. Una rivoluzione rispetto alla precedente presidenza del cardiologo anconetano Mohamed Nour Dachan, finito spesso al centro di aspre critiche per alcuni suoi presunti incitamenti alla violenza per motivi religiosi, per i quali fu anche rinviato a giudizio dalla procura di Roma assieme al vice Amza Piccardo.
Izzedin la colomba è arrivato in Italia nel 1991 ed è stato subito accolto nella Casa internazionale La Pira, associazione creata dalla curia fiorentina dove gli immigrati possono imparare l'italiano e persino celebrare la preghiera del venerdì. Da allora quel giovane palestinese, minuto, con gli occhi vivaci, gli occhialini e l'atteggiamento da intellettuale, ha tessuto una fitta rete di rapporti istituzionali e interreligiosi che nel tempo lo hanno fatto diventare il punto di riferimento per chi vuole dialogare con l'Islam.
Prima imam di Firenze, poi portavoce dell'Ucoii, Izzedin ha via via dedicato meno tempo al suo banco di articoli in pelle, nel mercaro centrale di San Lorenzo, per farsi ricevere e intrattenersi con la Comunità di Sant'Egidio, l'Azione cattolica, le associazioni ebraiche, i gesuiti e i focolarini. Rapporti in rapida crescita, costruiti con un presenzialismo da campagna elettorale, che lo ha premiato. Matteo Renzi, oggi sindaco di Firenze, già nel 2004, da presidente della provincia, gli scriveva lunghe lettere pubbliche in cui annunciava il proprio digiuno in occasione del Ramadan.
Oggi Izzedin batte cassa e chiede una grande moschea a Firenze, «la cui costruzione però dovrà essere concordata con il comune» dice Elzir a Panorama «e magari finanziata con i contributi delle fondazioni bancarie».
Insomma, sono lontani i tempi dei garage abusivi dove le preghiere dei musulmani erano un problema di ordine pubblico. Oggi le cose si fanno in grande. In compenso vi si pregherà in italiano. Non solo perché, secondo Izzedin, «siamo cittadini italiani di fede musulmana», ma anche perché l'arabo è ormai parlato da una minoranza di quanti partecipano ai sermoni, e l'italiano è l'unico idioma comune fra tanti stranieri che si sono avvicinati all'Islam.
Riuscirà a esportare il suo modello toscano in tutta Italia? Izzedin, per farcela, punta ancora sul dialogo con tutti, «per convincere anche chi tende all'estremismo che la sua strada è sbagliata». Missione possibile? Izzedin, che ha votato Hamas, quando torna a Hebron parla coi terroristi per invitarli a smettere con gli attentati. Là non lo ascoltano granché", qui da noi, chissà. •









LA REPLICA
Odio e disprezzo in troppe dichiarazioni

Corriere della sera, 16-04-2010
di CLAUDIO MAGRIS

La ringrazio, Monsignore, per l'attenzione e la precisazione relativa all'articolo apparso sul Riformista. Purtroppo non si possono leggere tutti i giornali ed evidentemente io leggo più la stampa cattolica di quella politicamente schierata, anche se su posizioni a me vicine, e ho letto quell'articolo sul Nostro Tempo, che l'ha pubblicato — o ripubblicato — il 28 marzo. È comunque
assai rilevante che un giornale dichiaratamente cattolico come Il Nostro Tempo abbia fatto propria la tesi dell'inconciliabilità
di alcuni atteggiamenti della Lega con i principi cattolici. Lei, nella Sua lettera, distingue il fondarsi su valori cristiani dalla «condivisione con il pensiero della Chiesa». Ne prendo atto; io credevo che il pensiero della Chiesa si fondasse su quei valori e anzi coincidesse con essi.
Lei afferma, giustamente, che «non possiamo considerare gli immigrati come merce da lavoro», ma non ignorerà certamente tante dichiarazioni di esponenti della Lega, mai smentite né deplorate (e non soltanto quelle dell'ex sindaco Gentilini) che esprimono disprezzo, odio e rancore nei confronti degli immigrati. Potrei citare molte espressioni, talora irriferibili, come potrei citare gli attacchi astiosi e ingiuriosi della Lega ai due ultimi arcivescovi di Milano e molti altri ancora.
Quanto alla difesa dei valori non negoziabili (ad esempio la vita di ognuno, dal concepimento alla fine), su cui concordo pienamente, è curioso che la Lega, dopo averli affermati in campagna elettorale, dopo la vittoria abbia fatto una cauta retromarcia. Lei mi invita a non citare passi biblici, che evidentemente La mettono a disagio,
ma credo proprio che non potrò farlo, perché le Scritture, e specialmente il Nuovo Testamento, sono la chiave che più mi permette di capire la vita.
Mi consenta una piccola curiosità. Se Lei è così contrario alle citazioni bibliche, perché cita quel verso del Salmo 118? Spero che, in questo nostro scambio di lettere, Lei, pur nel dissenso, abbia inteso quanto mi stiano a cuore i valori cristiani, in nome dei quali mi sono permesso, a torto o a ragione, di rivolgermi a un vescovo ossia a un successore degli apostoli.









Pachino: estorsione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, in due finiscono in manette

Siracusa News,16-04-2010

Nel pomeriggio di ieri, Agenti della Squadra Mobile della Questura di Siracusa, unitamente al personale del Commissariato di P.S. di Pachino, hanno tratto in arresto, nella flagranza del reato, Sipione Giacomo, classe 1968, e Tommasi Nunzio, classe 1960, entrambi residenti a Pachino, per i reati di estorsione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nei confronti di un cittadino tunisino di 27 anni.

Al termine di una complessa attività investigativa, coordinata dalla Procura del Repubblica di Siracusa, eseguita con il supporto di intercettazioni telefoniche ed ambientali, gli investigatori della Polizia di Stato hanno acclarato che il 22 marzo scorso i due arrestati hanno tentato di estorcere al giovane tunisino la somma di 1.500,00 euro per fornirgli fittizia documentazione propedeutica al rilascio del permesso di soggiorno.

Dalle indagini emergeva, altresì, che i due indagati erano in contatto con alcuni cittadini extracomunitari, con i quali concordavano il compenso per il rilascio delle documentazioni di cui sopra, utili ad altri immigrati clandestini.

Per questi ultimi episodi sono in corso ulteriori indagini. Nell’ambito dell’operazione di Polizia si espletava una perquisizione che consentiva il rinvenimento ed il sequestro della somma di euro 500,00, trovata addosso al Sipione e di numerosi documenti rinvenuti nelle abitazioni degli arrestati. Sipione e Tommasi sono stati condotti nella Casa Circondariale di Siracusa.










IMMIGRATI: BENI, DIRITTO DI VOTO AMMINISTRATIVO PER I REGOLARI

Diritto-oggi, AGI, 15-04-2010
Chianciano (Siena), 15 apr. - “Se i diritti sono a rischio per tutti, per alcuni sono un miraggio. La condizione dei migranti e’ lo specchio dei rischi che corriamo. Su questo tema, e’ veramente l’ora di rompere il muro dell’ipocrisia e aprire gli occhi alla realta’: gli immigrati sono ormai una componente importante della societa’ italiana, una risorsa decisiva per interi settori produttivi, dall’agricoltura all’allevamento, dall’edilizia alla ristorazione; una colonna portante del sistema di welfare col loro lavoro di cura nelle nostre famiglie; danno un contributo consistente agli introiti previdenziali”. E’ quanto afferma Paolo Beni, presidente dell’Arci, nella sua relazione di apertura del congresso nazionale a Chianciano. “Tutti lo sappiamo ma fingiamo di non vederlo - aggiunge -. Non possiamo fare a meno di loro ma quasi ce ne vergogniamo, li guardiamo con diffidenza. Non ne avremmo motivo, ma la tv e certi politici continuano a presentarceli come una minaccia, e alla fine ci crediamo. E’ una follia. Chi ha gli strumenti per orientare il senso comune dovrebbe aiutare le persone a convivere coi cambiamenti, non assecondarne i pregiudizi e soffiare sul fuoco delle paure. Il risultato e’ una catena ventennale di fallimenti nelle politiche sull’immigrazione, e una legislazione medievale che discrimina fin dalla nascita. Oggi un quarto dei bambini che nascono in Italia sono figli di immigrati. Cresceranno fra noi, andranno a scuola coi nostri figli, parleranno la nostra lingua, diverranno cittadini in mezzo a noi ma resteranno stranieri. Una bomba a orologeria per la societa’ italiana. Per questo la legge sulla cittadinanza va riformata subito, se abbiamo a cuore il nostro futuro. Per questo una buona legge sul diritto di voto amministrativo per gli immigrati regolari e’ il passaggio chiave per una vera integrazione”. (AGI) Vim










Immigrati: Consulta, incostituzionali norme Regione Liguria che impediscono Cie

Libero-news, 16-04-2010

Roma, 15 apr. - (Adnkronos) - La Consulta 'boccia' le norme della Regione Liguria che impediscono i centri di identificazione ed espulsione sul territorio. Con una sentenza, depositata oggi, sul ricorso promosso dal presidente del consiglio dei ministri, la Corte Costituzionale ha infatti dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 1 della legge della Regione Liguria n. 4 del 6 marzo 2009, che modifica una precedente normativa sull'accoglienza e l'integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati, nella parte in cui afferma "l'indisponibilita' della Regione Liguria ad avere sul proprio territorio strutture o centri in cui si svolgono funzioni preliminari di trattamento e identificazione personale dei cittadini stranieri immigrati".

La costituzione e l'individuazione dei Cie, secondo la Consulta, "attengono ad aspetti direttamente riferibili alla competenza legislativa esclusiva statale" perche' si tratta di strutture "funzionali alla disciplina che regola il flusso migratorio dei cittadini extracomunitari nel territorio nazionale". "La norma impugnata, nel negare la possibilita' di istituire nel territorio ligure i centri di identificazione ed espulsione, ha, dunque - spiega la Corte - travalicato le competenze legislative regionali".

La Consulta osserva, infatti, che anche se deve essere riconosciuta la possibilita' di interventi legislativi delle Regioni sul fenomeno dell'immigrazione tuttavia "tale potesta' legislativa non puo' riguardare aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, ma altri ambiti, come il diritto allo studio o all'assistenza sociale".











"Immigrati sono risorsa per il Paese, colonna portante del welfare"

Stranieriinitalia, 16-04-2010

Chianciano Terme (Siena), 16 aprile 2010 - L'eguaglianza dei diritti è la condizione essenziale per l'integrazione. Partendo da questa premessa, l'Arci chiede di riformare la legge sulla cittadinanza e di concedere il diritto di voto amministrativo agli immigrati.

Due esigenze di cui si e' fatto portavoce il presidente dell'associazione Paolo Beni, nella relazione che ha aperto il XV congresso nazionale dell'Arci a Chiancianno che si concludera' domenica prossima.

Sul tema dell'immigrazione, ha sostenuto Beni, "e' veramente l'ora di rompere il muro dell'ipocrisia e aprire gli occhi alla realta': gli immigrati sono ormai una componente importante della societa' italiana, una risorsa decisiva per interi settori produttivi" e "una colonna portante del sistema di welfare col loro lavoro di cura nelle nostre famiglie; danno un contributo consistente agli introiti previdenziali".

"Tutti lo sappiamo - ha aggiunto il presidente dell'Arci - ma la tv e certi politici continuano a presentarceli come una minaccia e alla fine ci crediamo. E' una follia. Chi ha gli strumenti per orientare il senso comune dovrebbe aiutare le persone a convivere coi cambiamenti, non assecondarne i pregiudizi e soffiare sul fuoco delle paure". "Per questo la legge sulla cittadinanza va riformata subito, se abbiamo a cuore il nostro futuro. Per questo una buona legge sul diritto di voto amministrativo per gli immigrati regolari e' il passaggio chiave per una vera integrazione".

"Invece -ha concluso il presidente dell'Arci - si insiste in un proibizionismo che serve solo ad alimentare il pregiudizio e confinare i migranti in uno stato di subalternita', senza diritti ne' tutele, spesso in condizioni di sfruttamento disumane. Fino ai tragici esempi di sadismo legislativo di questi mesi: il pacchetto sicurezza, il reato di clandestinita', la pratica disumana dei respingimenti in mare".

"C'e' un problema di razzismo in Italia, c'e' nella societa' e nelle istituzioni" - ha poi spiegato Beni. Si tratta, a parere del presidente dell'Arci, di un "razzismo popolare e di stato" che "si alimentano e legittimano a vicenda, in un nesso perverso fra diritto e senso comune in cui non e' il diritto a orientare il senso comune ma questo a condizionare il legislatore. Dobbiamo capire le ragioni di questa deriva. E' un razzismo senza ideologia - conclude Beni - la reazione patologica di una societa' impaurita che cerca rassicurazione nell'esaltazione identitaria e nell'ostentazione di superiorità".









Immigrati: Idv, da lega e pdl no a sepoltura neonata musulmana

Asca, 16-04-2010

(ASCA) - Roma, 16 apr - ''Non li vogliono neanche da morti.
Alcuni membri della Lega e del Pdl non conoscono neanche la pietas umana. Si dovrebbero vergognare. E gia' grave che abbiamo alzato le barricate e invocato la piazza protestando contro la sepoltura, con rito islamico, di una neonata, nell'aerea cimiteriale riservata ai musulmani. Questi signori non hanno neanche avuto la minima compassione per il dolore di due genitori che hanno preso una creatura appena nata''.

Lo afferma in una nota il portavoce dell'Italia dei Valori, Leoluca Orlando, commentando la proteste di esponenti leghisti e del Pdl, per la sepoltura, con rito islamico, di una neonata nel cimitero di Paderno, comune in provincia di Udine.

''Il capo gruppo del Pdl al consiglio comunale di Udine, Loris Michelini e il collega leghista, Luca Dordolo -aggiunge Orlando- non si fermano neanche davanti alla morte, di fronte alla quale siamo tutti uguali. Dopo le salviette igieniche anti immigrati, un'altra perla leghista con la complicita' del Pdl''.

''Cosa scriveranno domani sui volantini? Non vogliamo sulla nostra terra il corpo della piccola neonata musulmana, riportatela nel suo Paese? E' indegno di un Paese civile -conclude Orlando- solo aver pensato ad una simile forma di protesta''.








Trani città multietnica, voci da una città che cambia

Radiobombo, 16-04-2010

I flussi migratori degli ultimi vent’anni hanno profondamente mutato il volto delle nostre città. Tutto è accaduto molto velocemente: popolazioni provenienti dal nord e dal centro Africa, dalla Penisola Araba, dall’Europa dell’est e ancora più ad est fino al cuore del continente asiatico, hanno cominciato a popolare le nostre strade, a vivere nei nostri stessi palazzi, a lavorare nelle aziende locali.  La fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla MUltietnicità) ha calcolato nel 2009 una percentuale di stranieri in Italia che oscilla tra il 5 e il 16% su tutto il territorio italiano, intorno al 9% nella nostra provincia. Per rendere l’idea possiamo immaginare che circa una persona su dieci di quelle che incontriamo per strada, mentre magari siamo distratti nell’assolvere i nostri impegni, è di origine straniera. Come ha recentemente ricordato Don Mimmo durante un incontro tenutosi al Centro Jobel, il valore autentico delle  festività appena trascorse è nel riscoprirsi comunità, nel vedersi come un’unica famiglia. La comunità cittadina, si è detto, tende ad estendersi a culture e religioni diverse senza che questo riesca a minare il valore ecumenico della Natività. Ci siamo dunque chiesti in che modo le comunità di immigrati hanno vissuto il periodo natalizio e abbiamo deciso di girare questa domanda ad alcune famiglie di stranieri che vivono da diversi anni a Trani.

Abbiamo volutamente cercato risposte laddove l’integrazione appare già cosa acquisita, nella piena consapevolezza che in molti casi si tratta di un un percorso lungo e affatto semplice, a volte conclusosi egregiamente, altre appena cominciato. I recenti fatti di cronaca nazionale ci inducono a precisare questo aspetto, perché questo non venga escluso da una visione globale del fenomeno.

Incontro Hela in una stanza della Comunità Oasi2. Quarantenne,  tunisina, musulmana «non praticante», vive a Trani con suo marito da 15 anni e lavora come Colf. E'ricordando un proverbio tunisino che cerca di spiegarmi come la sua famiglia vive i periodi di festa: «non sotto il sole e nemmeno sotto l’ombra. Mia figlia vive al fianco di altri suoi coetanei italiani e cerco per quanto posso di accontentarla, perché anche lei vuole che a casa si faccia l’albero e che sotto l’albero ci siano i regali. Ma questi simboli del Natale non sono i simboli della nostra religione. Io non avrei nessuna difficoltà ad accontentarla ma non tutti la pensano alla stessa maniera. I fedeli musulmani più osservanti non accettano facilmente questi simboli, ed è meglio evitare di farsi gli auguri in questo periodo. Spesso mi trovo in difficoltà perché da un lato vivo in un paese che ha le sue tradizioni ed è qui che vive la mia famiglia, dall’altro sempre più spesso devo cercare di mantenere quelle del mio paese d’origine. Non sotto il sole e nemmeno sotto l’ombra appunto». Non sono mancate certo le difficoltà.

Hela mi racconta di una brutta esperienza avuta con uno dei suoi primi lavori come Colf. Per mesi non ha ricevuto il suo compenso ed ha dovuto ricorrere in Tribunale per vedersi regolarmente retribuita: «la causa è durata dieci anni. Alla fine ho avuto i miei soldi ma non è normale ricevere questo trattamento. È una questione culturale, so che molto spesso succede. Fortunatamente si è trattato per me di un unico caso perché qui la maggior parte della gente è accogliente, sono sempre stata trattata bene». All’inizio Hela ha specificato di non essere una musulmana praticante. Le ho chiesto dunque di specificare meglio cosa implica questa differenza e di spiegarmi come le cose siano cambiate nel tempo, in maniera tale da chiarire il perché di questa difficoltà che, a suo dire, sembra essersi accentuata negli ultimi anni. «A Tunisi» spiega «lavoravo come segretaria, vestivo all’occidentale, la mia formazione era laica, moderna. Mia madre ha addirittura studiato dalle Suore. Quando sono venuta in Italia non ho trovato grosse difficoltà, la mia vita era ovviamente cambiata ma non c’era molta differenza. Anche con le mie connazionali si viveva all’occidentale, non c’era nulla di male. Alcune di noi indossavano anche la minigonna. Negli ultimi dieci anni però i fedeli musulmani strettamente osservanti sono aumentati, in Tunisia, nel Marocco, e di conseguenza anche in Italia dove molti emigrano portandosi dietro le loro tradizioni che sempre meno sono disposti a mettere in discussione. Molte donne che prima non portavano il velo hanno cominciato ad indossarlo, altre cercano di evitare dei lavori che prima non avevano difficoltà a fare. Questo cambiamento sta coinvolgendo un po’ tutto il mondo musulmano, soprattutto quello uscito in tempi recenti dal colonialismo europeo».

Le parole di Hela mi vengono in buona parte confermate da Adel, iracheno, a Trani da 35 anni, lavora come fotografo. A differenza di Hela, Adel è un musulmano praticante. La sua storia personale meriterebbe un articolo a sé per intensità e bellezza. Un uomo di cultura vastissima, fine conoscitore delle Sacre Scritture, nei suoi ragionamenti cita a memoria il Corano, l’Antico e il Nuovo Testamento, il Talmud. Rimanere troppo a lungo sul tema dell’intervista è praticamente impossibile. Adel si lascia andare a riflessioni di carattere generale e insieme possiamo scambiare opinioni sulla recente storia europea, sui rapporti tra Europa e Medio Oriente, ma anche sulle influenze reciproche tra filosofia occidentale e filosofia islamica. Racconto ad Adel delle impressioni di Hela e delle mie difficoltà a reperire contatti di immigrati di fede islamica da poco arrivati a Trani. «È normale» mi dice « hanno paura, a loro non piace parlare di sé stessi. Io li conosco, parlo spesso con loro. Molti degli immigrati che si stabiliscono qui vengono da villaggi e da piccole comunità nordafricane. Lì vedevano come se tutto fosse uno, chiusi nella loro visione del mondo e delle cose. È difficile abituarli a vedere anche l’altro, il due. Pochissimi hanno studiato e quello che sanno della vita è quello che hanno appreso in quel piccolo mondo. Quella è la loro sicurezza, ecco perché tendono a chiudersi ancora di più, ecco perché difficilmente si aprono all’altro. Le loro tradizioni, la religione appresa nei villaggi è tutto quello che hanno e che sanno e vogliono tenersele strette. È per questo che non vedono di buon occhio i simboli della festa cristiana e a volte magari preferiscono evitare di fare gli auguri. Hanno paura di perdersi». Chiedo ad Adel se questo però non renda più difficile l’integrazione.

«Devi sapere» replica «che molti degli immigrati che vengono qui, soprattutto nel sud Italia, mantengono fortissimi legami col proprio paese di origine, con la loro famiglia. Buona parte di loro lavora nei campi come braccianti. Il loro obbiettivo è tornare nei propri paesi perché le loro radici sono lì, lì è la loro famiglia e per i musulmani la famiglia ha un ruolo importantissimo, un collante molto più forte che qui in Italia. Già la distribuzione degli spazi negli appartamenti lo dimostra: ognuno ha la propria privacy ma molto più vissuti sono gli spazi in comune al centro di ogni casa. Certo, alcuni di loro si adatteranno alla vita occidentale e preferiranno rimanere qui. Io sono tra questi. Ma i casi come il mio sono sempre meno. Questa tendenza è confermata anche dal fatto che a Trani non c’è una vera e propria comunità musulmana, come ad esempio nelle grandi città del nord. Questo perché di fatto non si ha intenzione di creare una comunità stabile. Sono immigrati si, ma vivono in un paese molto vicino a quello d’origine dove torneranno appena raggiunta una posizione economica accettabile». Ogni domanda che gli rivolgo è un pretesto per fare dell’ottima conversazione e Adel è una di quelle rare persone con cui si può conversare davvero su tutto. Mi faccio spiegare come nella sua famiglia si siano vissute le festività natalizie e di come vive le tradizioni del paese in cui vive da decenni. La sua risposta un po’ me la aspettavo, è la risposta di un uomo religioso ma ragionevole, osservante dei precetti coranici e al contempo colto e aperto al dialogo. «Dio è uno. La religione musulmana è la più giovane dei grandi monoteismi e il Profeta Maometto ci ha insegnato a rispettare le altre usanze, le altre confessioni, senza rinunciare a diffondere la sua parola. Io in quanto musulmano devo rispettare le altre tradizioni e scambiarsi gli auguri o festeggiare la Natività di Cristo è un gesto di solidarietà che Dio apprezza. D’altro canto Cristo è uno dei nostri Profeti e nella Sura si parla dell’Immacolata Concezione di Maria e della Sua nascita. Tuttavia non posso fare a meno di notare come negli ultimi anni stia cambiando il modo di vivere queste sacre ricorrenze. La spiritualità sta cedendo il posto alla funzione sociale e forse si bada più a far aumentare i commerci che ad un vero arricchimento spirituale. È una tendenza che può essere cambiata. A me piace l’Italia, è il paese più bello del mondo, e qui non ho mai avuto problemi perché a Trani la gente è ospitale e mi ha sempre accettato senza riserve». Continuiamo a conversare per diverse ore fino a tardissima sera. Lascio il suo studio con la stessa sensazione che mi accompagnava dopo le lezioni universitarie: un sacco di nozioni fluttuanti nel cervello e un’insistente voglia di fumare.

Da qualche anno il Comune di Trani ha dato in concessione alla comunità ortodossa rumena la piccola chiesa di San Martino. Un centinaio di fedeli, in aumento nell’ultimo periodo. Sul portone di ingresso c’è il numero di Padre Claudiu Craciu. Lo chiamo ma conosce poche parole in italiano e nessuna di inglese. Mi confessa di essere in Italia da poche settimane ed è molto gentile nel mettermi in contatto con Padre Marius, un teologo della Chiesa Bizantina Ortodossa. Padre Marius mi parla delle loro liturgie, del lungo e ricchissimo cerimoniale che fa da sfondo alle festività natalizie celebrate con rito Bizantino Ortodosso. «La riscoperta e il mantenimento di queste tradizioni è molto importante per la nostra comunità», mi spiega Padre Marius. «Noi vogliamo da un lato mantenerle ma anche farle riscoprire ai nostri fratelli cristiani. È per questo che quest’anno si è cercato di unire la celebrazione del Natale Ortodosso e del Natale Cattolico con una serie di iniziative che hanno visto una larga partecipazione di famiglie di entrambe le confessioni religiose. Si è trattato di un momento molto importante, per noi è essenziale il dialogo interreligioso che è l’unico modo per salvaguardare la tradizione. La fede è in pericolo, la Globalizzazione tende ad appianare non solo le differenze ma anche le usanze, i riti, le tradizioni. Bisogna preservare insieme questi momenti, cogliere il valore profondo della liturgia e condividerlo con tutti i cristiani».

Per questioni storiche (ma più corretto sarebbe dire geopolitiche), era abbastanza prevedibile che le comunità di stranieri provenienti dall’Europa dell’est soffrissero meno l’integrazione, anche se le difficoltà le hanno avute anche loro e a volte continuano ad averle. Ma questo non è il caso di Olsi, albanese, trentacinquenne, anche lui cristiano ortodosso, arrivato in Italia nel ’91 in uno di quei barconi che da Tirana portavano il loro carico di umanità disperata sulle coste pugliesi. Tutti ricordiamo quelle immagini drammatiche che oramai fanno parte della nostra memoria collettiva. La sua storia è ricca di difficoltà ma è un altro buon esempio di integrazione e di speranza. Oramai si sente italiano Olsi, qui è casa sua, qui è la sua famiglia. Gli riesce quasi difficile rispondere alle mie domande perché per lui è l’Italia il suo paese, non si sente straniero e ringrazia la città che lo ha ospitato perché gli ha dato la possibilità di avere una nuova vita. «È così per molti degli albanesi arrivati in Italia in quegli anni. Noi abbiamo la nostra chiesa, la nostra religione, ma il resto della vita è come quella degli altri italiani. Ci sentiamo italiani e oramai molti tornano sempre più raramente in Albania per feste e ricorrenze. La nostra vita è qui».


























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