Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri
Deportati in Libia il 6 maggio 2009, 4 mesi dopo sono ancora detenuti. Tra loro 24 rifugiati eritrei e somali, che grazie a un avvocato italiano hanno denunciato il governo alla Corte europea. Per la prima volta emergono le loro storie

ROMA – L'Alto Commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, denuncia oggi le politiche nei confronti degli immigrati. Persone, secondo l’esponente dell’Onu, "abbandonate e respinte senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale".  Tra l’altro, in un discorso previsto per domani, la Pillay cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e Italia, ad agosto. E denuncia che “in molti casi, le autorità respingono questi migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi”.

Ma che fine hanno fatto i primi 227 africani respinti a maggio dall’Italia? Redattore Sociale è andata a verificare, constatando che 24 rifugiati eritrei e somali, infatti, hanno denunciato il governo italiano alla Corte europea. E per la prima volta emergono le loro storie.

Era il sei maggio del 2009. Le autorità italiane intercettarono nel Canale di Sicilia tre gommoni con 227 emigranti e rifugiati a bordo. Per la prima volta in anni di pattugliamento, venne dato l’ordine di respingere tutti in Libia. Comprese le 40 donne. Quattro mesi dopo, siamo in grado di dare un nome e una storia a quei respinti. Alcuni di loro erano richiedenti asilo politico. E hanno nominato un avvocato italiano, Anton Giulio Lana, del foro di Roma, perché li difenda dinnanzi alla Corte europea dei diritti umani, a Strasburgo. Sono 11 cittadini eritrei e 13 somali. Quattro mesi dopo essere stati respinti, si trovano ancora detenuti nei campi libici. Nonostante siano richiedenti asilo politico, e nonostante siano difesi da un avvocato di rango internazionale. Eppure il ministro Maroni aveva dichiarato: “La Libia fa parte dell’Onu: lì c’è l’Unhcr che può fare l’accertamento delle persone che richiedono asilo”.(Ansa, 12 maggio 2009).



Chi sono i 24 rifugiati che hanno denunciato l’Italia alla Corte Europea? Sono disertori eritrei, fuggiti dopo anni di servizio nell’esercito, in un paese dove la coscrizione militare a tempo indeterminato è diventata una delle armi del regime di Isaias Afewerki per controllare la popolazione. Sono ex combattenti della seconda guerra eritrea-etiope, che dopo aver disertato si sono consegnati alla polizia eritrea per far rilasciare i genitori arrestati al posto loro. E poi ci sono i cittadini somali sfuggiti alla violenza della guerra civile. Uomini che a Mogadiscio hanno sepolto i parenti più cari e hanno lasciato le case distrutte dai violenti scontri armati tra le forze dell’Unione delle Corti islamiche e quelle del governo transitorio federale della Somalia, spalleggiate dalle truppe etiopi.



Il ricorso depositato dall’avvocato Lana fa appello all'articolo 3 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, che vieta la tortura e trattamenti inumani e degradanti, oltre che la riammissione in paesi terzi dove esista un effettivo rischio di tortura; all'articolo 13, che stabilisce il diritto a un ricorso effettivo; e all'articolo 4 del quarto protocollo della Convenzione, che vieta espressamente le deportazioni collettive. (gdg)

(Vedi i lanci 4 successivi)
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