Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 aprile 2011

Futuro da clandestini per i minori migranti arrivati a Lampedusa
Italia-Razzismo
l'Unità, 18-04-2011
In poche settimane, a partire dal 10 febbraio a Lampedusa sono sbarcati 700 minori non accompagnati. Persone con un’età inferiore a 18 anni (per lo più 15-17enni) che si allontanano dalla loro terra d’origine da soli, senza genitori e senza un tutore legale. Quei 700 approdati negli ultimi mesi non sono un fenomeno né raro né nuovo. Ogni anno al Comitato per i minori stranieri (organo istituito presso il ministero del Lavoro) arrivano tra le 7 e le 8mila segnalazioni. Si tratta di un dato approssimativo in quanto non tutti gli arrivi vengono registrati a causa delle reti criminali che li gestiscono, e anche quando la registrazione avviene è forte il rischio di una fuga successiva. Infatti, l’Italia non è considerata generalmente la meta finale ma una via di transito verso altri paesi come la Svezia o la Norvegia. Chi rimane ha diritto a un permesso di soggiorno per «minore età» valido fino al compimento dei 18 anni e non può essere espulso, come stabilito dall’articolo 19 del testo Unico sull’immigrazione. E sempre entro i 18 anni chi è stato affidato a un parente può richiedere un permesso di soggiorno per motivi di famiglia. E poi? Ecco che emerge la prima criticità: se non si dimostra di aver compiuto un «percorso di integrazione» di almeno due anni e di essere in Italia da almeno tre, non si avrà la possibilità di continuare a essere regolari. Ovvero il «titolo di soggiorno per minore età» non può essere convertito in uno per «lavoro» o per «studio». Ma se il requisito fondamentale sono quei due e tre anni, quanti saranno, tra i 700 minori tunisini sbarcati a Lampedusa, quelli che a 18 anni dovranno nascondersi in quanto «clandestini»?



TENSIONI TRA ITALIA E FRANCIA VENTIMIGLIA: IERI TRENI BLOCCATI
(AGI) - Parigi, 18 apr. - E' ancora scontro tra Italia e Francia sulla questione degli immigrati. Dopo il blocco temporanei alla circolazione dei treni provenienti da Ventimiglia, Parigi ha ribadito che "non c'e' alcun cambiamento" nella politica per l'immigrazione rispetto all'incontro che c'e' stato dieci giorni fa, a Milano, tra il ministro dell'Interno, Roberto Maroni e il collega francese. Il governo italiano ha definito "illegittima" l'interruzione della circolazione ferroviaria e il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha dato "immediate istruzioni all'ambasciatore d'Italia a Parigi di svolgere un passo diplomatico presso le autorita' francesi per esprimere la ferma protesta del governo italiano e per chiedere chiarimenti per le sopraindicate misure che appaiono illegittime e in chiara violazione con i generali principi europei". Conclude la nota: "E' stato altresi' sollecitato il consolato a Nizza ad attivare contatti immediati con le autorita' locali e ottenere chiarimenti al riguardo". ROMANIA PRONTA AD ACCOGLIERE 200 TUNISINI DA ITALIA Intanto, �a Romania si e' detta pronta ad accogliere circa 200 migranti tunisini provenienti dall'Italia, venendo cosi' incontro alle richieste di aiuto formulate da Roma. Bucarest, ha detto il presidente Traian Basescu, ha informato della decisione il presidente del Consiglio italiano. "Berlusconi ha chiesto aiuto all'Europa, e questa e' la reazione della Romania", ha aggiunto Basescu durante una conferenza stampa.
Nel Paese vi sono cinque centri regionali in grado di accogliere in tutto 450 richiedenti asilo.



Tunisini, ripresi i treni per Parigi Ma per l'Ue "lo stop era regolare"
il Giornale, 18-04-2011
Ieri lo stop da parte del governo francese ai treni diretti in terrotorio transalpino e di passaggio a Ventimiglia per bloccare l'ondata di immigrati nordafricani in possesso del permesso di soggiorno temporaneo. Dopo l'irritazione dell'Italia la circolazione riprende regolare. Molti sono già partiti. Ma secondo la Commissione Ue lo stop di ieri era giustificato da motivi di ordine pubblico
Ventimiglia - I tunisini viaggiano veros la Francia. I treni in partenza e in arrivo dalla Francia, questa mattina alla stazione di Ventimiglia, sono regolari. Alcuni nordafricani sono già partiti sui primi treni del mattino, altri hanno tentato la sorte saltando sui treni merci. Per il momento nessun immigrato col permesso di soggiorno temporaneo è stato respinto dalle autorità francesi. Nella notte il centro di accoglienza di Ventimiglia ha ospitato 150 immigrati, un’altra cinquantina ha dormito nell’ex corridoio della dogana alla stazione ferroviaria.
Per l'espatrio Al commissariato proseguono le consegne dei permessi di soggiorno temporanei e dei titoli di viaggio. Chi ha potuto si è fatto spedire dai parenti in Tunisia il passaporto e i soldi. I migranti, per entrare in Francia, oltre al permesso di soggiorno devono avere il passaporto e dimostrare di avere abbastanza denaro per potersi mantenere. Comunque le procedure per l’eventuale respingimento di chi è in possesso del permesso di soggiorno sono più lunghe, per cui si vedrà nei prossimi giorni se le autorità francesi consentiranno ai migranti in possesso dei documenti rilasciati dal governo italiano di rimanere sul suolo francese.
La Ue giustifica la Francia Parigi non avrebbe violato le regole europee sospendendo temporaneamente il traffico ferroviario in partenza da Ventimiglia verso la Francia. È questa la prima valutazione raccolta da fonti della Commissione europea, le quali ricordano che provvedimenti di questo genere possono essere presi se giustificati da motivi di ordine pubblico.



CONFINI "CALDI"
Migranti, tensioni a Ventimiglia Parigi blocca i treni
Avvenire, 18-04-2011
Si apre un nuovo fronte di scontro tra Italia e Francia. Parigi "blocca" per quasi mezza giornata i treni in transito da Ventimiglia proprio all'indomani dei primi passaggi dei tunisini con i visti temporanei e Roma non resta a guardare: il governo italiano protesta formalmente con il ministro degli esteri, Franco Frattini, che chiama l'ambasciatore a Parigi, invitandolo ad un passo diplomatico per chiedere chiarimenti. Perché misure come lo stop unilaterale del traffico ferroviario violano le norme Ue. E
mentre la Francia replica - per voce di fonti del ministero dell'Interno - che la decisione è legata solo a motivi di ordine pubblico, per presunti rischi legati ad una manifestazione a Ventimiglia di circa 200 persone (tra no-global ed immigrati), il clima tra Roma e Parigi torna a farsi rovente.
A circa una settimana dal vertice italo-francese di Roma, in agenda il 26 aprile, che vedrà il premier Silvio Berlusconi impegnato in un faccia a faccia con il presidente francese Nicolas Sarkozy, le tensioni non sembrano dunque destinate a rientrare. E si rannuvola il clima della vigilia che aveva visto sabato i francesi permettere il passaggio di un gruppo di tunisini che avevano varcato il confine con in mano il permesso temporaneo insieme a quel 'titolo di viaggiò che l'Italia ha concesso aprendo, a chi è in grado di soddisfare anche gli altri requisiti del Trattato (sussistenza economica e nessun problema con la giustizia), le porte dell'area Schengen.
Anche se Parigi motiva lo stop dei treni(rientrato solo in serata) che ha visto schierare anche forze antisommossa,
con motivi di ordine pubblico, la posizione di Oltralpe conferma il tentativo di fare 'barrierà agli immigrati che giunti dal Nordafrica spingono dall'Italia verso l' Europa del Nord.
Una posizione, quella francese, "dura, ingiustificata e incomprensibile", stigmatizza il ministro degli Interni Roberto Maroni ribadendo che Roma rispetta le regole: "Abbiamo dato agli immigrati i documenti di viaggio e tutto ciò che serve e l'Ue ha detto che siamo a posto con le norme Schengen". Ed è
anche per questo che Frattini - in contatto oggi con Maroni - ha chiesto all'ambasciatore italiano in Francia, ma anche al consolato di Nizza, di chiedere "chiarimenti" su quanto accaduto oggi. Perché misure come il blocco unilaterale del traffico ferroviario "appaiono illegittime e - ha spiegato la Farnesina - in chiara violazione con i generali principi Ue".
"Capiamo i timori per 300 no-global" ma - puntualizza Frattini - i permessi concessi dall'Italia agli immigrati "sono validi e la Francia li ha riconosciuti": "Mi rendo conto che ogni paese ha le proprie preoccupazioni anche di politica interna ma l'Ue richiede libertà di confini e se cominciamo a mettere muri non si va da nessuna parte", aggiunge invitando a "lavorare insieme" per un "futuro insieme Ue".  
I riflettori si puntano così sul vertice Roma-Parigi che sarà probabilmente la prima occasione di confronto. Per "riallacciare - ha detto Maroni - rapporti amichevoli e risolvere la questione" dopo che tra una parte e l'altra delle Alpi negli ultimi mesi non sono mancati gli strappi: l'immigrazione certamente ma anche il nodo del comando della missione in Libia, passando per le querelle economiche e
finanziarie.
"Né Italia né Francia, fino ad ora, hanno fatto qualcosa di illegale" ha fatto sapere intanto il presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, sottolineando comunque che "detto questo, resta il rischio che non sia rispettato lo spirito del Trattato Schengen, la libera circolazione" delle persone.
E mentre Parigi e Roma continuano a litigare un gesto di quella solidarietà da settimane chiesta da Roma all'Europa per affrontare l'emergenza immigrazione, arriva dalla Romania: il presidente Traian Basescu ha annunciato che il suo Paese è pronto ad accogliere 200 migranti tunisini, in risposta
all'appello italiano all'Unione europea.



La Francia blocca i treni dall'Italia (ma poi ci ripensa). Ferma protesta dell'Italia - Reportage
il Sole, 18-04-2011
Le autorità francesi nella mattinata di domenica hanno bloccato tutti i treni che si recano in Francia. Nessun convoglio, secondo quanto confermato dalla Polfer e dalla polizia di frontiera italiana, ha potuto varcare la frontiera di Mentone. In serata la Francia ha riaperto le frontiere. La circolazione dei treni a Ventimiglia sia in direzione della Francia sia verso l'Italia è ripresa una decina di minuti dopo le 19.
Ferma protesta del governo italiano
Dopo la «sospensione unilaterale del traffico ferroviario a Ventimiglia, il Ministro degli Esteri Franco Frattini ha dato immediate istruzioni all'Ambasciatore d'Italia a Parigi di svolgere un passo diplomatico presso le Autorità francesi per esprimere la ferma protesta da parte del Governo italiano». Lo comunica la Farnesina in una nota spiegando che sono stati chiesti «chiarimenti per le sopraindicate misure che appaiono illegittime e in chiara violazione con i generali principi europei». È stato «altresì sollecitato il Consolato a Nizza per attivare contatti immediati con le Autorità locali e ottenere chiarimenti al riguardo».
Maroni: misura ingiusta
Anche il ministro dell'Interno Roberto Maroni è poi tornato sui rapporti con Parigi, dopo il blocco degli immigrati a Ventimiglia e dopo che la Lega aveva invitato al boicottaggio dei prodotti francesi. «Quella è stata una reazione giusta e forte a una posizione ingiusta e sbagliata», ha sottolineato. «Avremo un vertice il 26 aprile, un bilaterale, con Sarkozy e Berlusconi. Spero che quella sia l'occasione giusta per risolvere le questioni in senso amichevole. Abbiamo tutti gli interessi a mantenere ottimi rapporti, spero che quella», ha concluso il ministro, «sia l'occasione per riallacciare un rapporto amichevole con la Francia».
Parigi: il blocco è una misura temporanea
Il blocco dei treni diretti in Francia provenienti da Ventimiglia è «una misura temporanea per ragioni di ordine pubblico motivata dal fatto che era in corso una manifestazione» pro-migranti davanti la stazione di Ventimiglia. Lo ha riferito all'Ansa una portavoce del ministero dell'Interno francese.
A Ventimiglia corteo contro il blocco
Nuova protesta, alla stazione di Ventimiglia, contro la decisione della Francia di bloccare i treni provenienti dall'Italia. I migranti, quasi tutti tunisini che sognano di passare il confine, sostenuti da un nutrito numero di attivisti dei centri sociali e antirazzisti arrivati al confine con il cosiddetto treno della dignità, hanno occupato i binari della stazione e - al grido di «liberté liberté» hanno minacciato di incamminarsi a piedi verso la Francia.



Alla fine vince l’Italia: e la polizia francese fa passare gli immigrati
il Giornale, 17-04-2011
Paolo Bracalini
Sarkozy deve arrendersi: i tunisini da ieri attraversano liberamente il confine con un permesso di soggiorno temporaneo
Dopo l’«esibizione muscolare», la resa. Per l’Italia è una vittoria nel braccio di ferro con la Francia, per gli uomini di Sarkozy, specie per il «duro» Claude Guéant, l’omologo di Maroni a Parigi, un inevitabile ma faticoso adeguamento alle regole di Schengen. I francesi hanno dovuto accettare che i tunisini provvisti dei «permessi di soggiorno temporanei» (di sei mesi) rilasciati dall’Italia, possano entrare liberamente in Francia. Altro non è che il contenuto dell’accordo preso dal ministro dell’Interno italiano e da quello francese settimana scorsa, ma che la Francia ha cercato di ritardare fino all’ultimo, alla ricerca di cavilli che la esentassero dalla bomba profughi. Si era provato sottolineando la necessità - prevista da Schengen - che gli immigrati avessero sufficienti «mezzi di sussistenza» per il soggiorno, qualche decina di euro al giorno, limite che però molti migranti arrivati dalla Tunisia riescono a permettersi. Ma anche da ultimo il ministro dell’Interno francese ha provato a porre dei paletti, pur costretto ad aprire le frontiere ai tunisini arrivati in Italia prima del 5 aprile, data dell’accordo con la Tunisia. «L’unica possibilità è che le persone che hanno passato la frontiera siano in possesso dei documenti richiesti dalla circolare» inviata ai prefetti francesi. Cioè soddisfare cinque punti: il possesso di passaporto nazionale o di un Atd («Aliens travel document») rilasciato da un Paese membro, il possesso «di un visto valido», avere «scopo e mezzi di sussistenza» per il soggiorno, non creare «rischi alla sicurezza pubblica» né essere considerato una «minaccia per l’ordine pubblico». Ma è sul passaporto che la Francia ha provato a resistere, cercando di chiudere le frontiere a chi non ne è provvisto.
Stavolta, però, l’Europa si è schierata con l’Italia, chiarendo che gli Atd devono essere considerati validi a tutti gli effetti (equivalenti al passaporto) dalle autorità dei paesi Schengen quando siano accompagnati da permessi di soggiorno anche temporanei. Quindi nessun appiglio per Parigi. E infatti a Mentone i tunisini usciti dai commissariati di Ventimiglia stanno passando in controlli della gendarmerie francese. Che sia una vittoria diplomatica italiana lo si capisce dal tono del comunicato del ministro francese, che sottolinea come «non è cambiato niente nelle disposizioni per i migranti alla frontiera con l’Italia», anche se ora i migranti entrano mentre prima venivano respinti. Ma nemmeno questa è un’evidenza così certa per Parigi, visto che il ministro Guéant, dopo aver contattato la Prefettura della regione di Nizza, comunica che «non risultano ingressi».
Non si può dare a intendere che l’Italia l’ha spuntata sulla Francia, e infatti mentre Guéant ingoia il rospo alza il tiro sull’immigrazione (legale) in Francia, che nei prossimi anni «dovrà diminuire di 20mila unità all’anno, da 200mila a 180mila», ha spiegato il ministro di Sarkozy. Questo mentre da Tremonti arriva un’apertura all’immigrazione regolare: «In Italia ci sono 4 milioni di immigrati, tra cui moltissimi giovani che lavorano - dice il ministro dell’Economia a Washington per il Fondo monetario internazionale -. L’Italia è un Paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone, evidentemente non c’è domanda per questi tipi di lavoro da parte di altri». E quando gli chiedono se sia il caso di chiudere all’immigrazione o se i giovani italiani debbano adeguarsi, Tremonti replica secco: «Escludo la prima ipotesi».

 
 
Immigrazione: tra Italia e Francia la tensione resta alta
Panorama.it, 18-04-2011
Anna Mazzone
Il duello tra Francia e Italia prosegue lungo i binari del confine di Ventimiglia. Nel fine settimana sono stati fermati i treni che dalla frontiera di Mentone portano in territorio francese. Centinaia di turisti bloccati insieme ai tunisini. Roma si scaglia contro Parigi. L’Europa tace.
La situazione è ancora calda al confine italo-francese, anche se i treni hanno ripreso a circolare. Ma per diverse ore nella giornata di ieri il traffico da Ventimiglia è stato bloccato. “Motivi di ordine pubblico“, dicono le autorità francesi, alludendo all’occupazione dei binari da parte di gruppi di tunisini che, con i permessi di soggiorno temporaneo rilasciati dall’Italia, chiedevano di poter oltrepassare il confine. Nel pomeriggio di ieri un treno carico di attivisti per i diritti umani e di ragazzi dei centri sociali (il Treno della Dignità) è arrivato a Ventimiglia per unirsi ai tunisini e manifestare, organizzando una protesta sui binari, di fatto bloccati. Pronta la risposta del ministro degli Esteri Franco Frattini: “Faremo un passo diplomatico. La Francia chiarisca“.
Se questo è Schengen, verrebbe da dire. E in effetti la situazione ieri a Ventimiglia sembrava surreale. Centinaia di viaggiatori di tutte le nazionalità (e quindi anche italiani) sono per ore rimasti bloccati nella stazione di Mentone. Una cosa che non si vedeva da anni in Europa, dove le frontiere sono aperte e, appunto, il trattato di Schengen garantisce la “libera circolazione di persone, beni e merci”. Parigi si arrocca dietro la motivazione dei “disordini” che hanno bloccato i binari, ma la mossa del ministro dell’Interno francese, Claude Guéant, sembra avere un retrogusto diverso.
Nella giornata di sabato, mentre i primi flussi di tunisini varcavano la frontiera di Ventimiglia, Guéant annunciava il nuovo piano francese per i soggiorni di lavoro a cittadini stranieri, che passerranno da 200 mila a 180 mila. Ventimila persone in meno potranno ottenere l’autorizzazione di risiedere e lavorare in Francia. Un ulteriore irrigidimento (questa volta numerico), dopo le dichiarazioni degli ultimi giorni. In sostanza, Parigi dichiara di non aver bisogno di tanti lavoratori come in passato, in seguito alla pesante crisi economica che ha vessato il Paese e l’Europa.
Riduzione e contenimento sono le parole chiave a Parigi in questi giorni, dove l’Eliseo già è in piena campagna elettorale e il Fronte National di Marine Le Pen è dato in salita nei sondaggi. Segno che una parte dell’elettorato sta trovando nell’ultradestra xenofoba le risposte che cerca a un periodo di grande incertezza, sia economica che sociale. Nicolas Sarkozy preferisce dunque spostare l’ago della bilancia a destra e ridurre gli ingressi degli immigrati è una carta politicamente pesante agli occhi dell’elettorato francese.

Anna Mazzone è giornalista, vive a Roma ma sogna di trasferirsi a Istanbul. E’ direttore della rivista Formiche e collabora con il quotidiano Il Riformista, per il quale scrive di Giappone, Turchia e Caucaso.



Francia e Italia i due populismi
la Repubblica, 18-04-2011
BERNARDO VALLI
Da alcune settimane due populismi si scontrano in Europa offrendo uno spettacolo tutt'altro che edificante. Direi miserabile. L'aggettivo non è troppo forte, perché al centro della contesa ci sono quei profughi, economici o politici, la classificazione è spesso cancellata dal dramma umano, che ogni giorno approdano sulle nostre sponde dopo avere visto affogare non di rado nelle acque del Mediterraneo figli, genitori, amici. Nelle stesse acque nelle quali noi europei cominceremo presto a fare i nostri bagni estivi.
Il presidente del Consiglio ha definito quell'esodo uno "tsunami", cioè una catastrofe naturale, un fenomeno maturato nelle viscere del Mediterraneo e quindi senza volto. Insomma, una sciagura da scongiurare. Francia e Italia si comportano appunto come se quei profughi fossero un'onda di maremoto.
La tenzone tra i due populismi ha assunto toni grotteschi nelle ultime ore a Ventimiglia, al confine tra Francia e Italia, dove di solito transitano fortunati turisti o pendolari del posto tra la nostra Riviera e la Costa Azzurra, e dove hanno fatto irruzione gruppi di quei profughi reduci dalla spesso tragica traversata del Mediterraneo. Il governo italiano li ha dotati di permessi provvisori a suo avviso conformi agli accordi di Schengen. Ma il governo parigino, tramite il prefetto delle Alpi Marittime, ha impedito senza preavviso ai treni provenienti dall'Italia di varcare la frontiera, al fine di impedire il loro ingresso in Francia.
Due comportamenti che offrono, in egual misura, un'immagine non certo
nobile dell'Europa. Non è per motivi umanitari che il governo italiano ha dotato i migranti, per lo più tunisini, di permessi non riconosciuti validi, a torto o a ragione, dai francesi. Si tratta di una evidente, furba mossa per sbarazzarsene. Ed è per un'altrettanto furba mossa che il prefetto delle Alpi Marittime, ubbidendo al suo ministro dell'Interno, ha adottato l'interpretazione parigina degli accordi di Schengen, o ha preso come pretesto la modesta manifestazione franco-italiana in favore dei migranti in corso a Ventimiglia, per respingere i tunisini, molti dei quali hanno parenti in Francia.
Da parte italiana ci si è risentiti anche perché autentici cittadini della Repubblica italiana non hanno potuto varcare il confine, per via dei treni sospesi. Al colmo dell'indignazione, il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha chiesto al nostro ambasciatore di esprimere una ferma protesta al governo francese. Un incidente diplomatico prodotto da due meschine furbizie a confronto, che interviene in un momento di difficili rapporti tra Roma e Parigi, ed anche di isolamento di Roma nell'Unione europea, dove si evita spesso di familiarizzare con l'odierna Italia politica.
Una crescente ondata di populismo accomuna Italia e Francia e al tempo stesso inasprisce il loro dissenso. A Roma il governo dipende da un partito xenofobo, indispensabile alla maggioranza parlamentare, e solerte nell'alimentare i sentimenti contro gli immigrati. Un dirigente della Lega occupa addirittura il ministero dell'Interno.
A Parigi, a un anno dalle elezioni presidenziali, Nicolas Sarkozy conosce i peggiori sondaggi. L'ultimo gli aggiudica il 28 per cento dei consensi, un quoziente che potrebbe annunciare un'impossibile riconferma alla testa della Quinta Repubblica, nel caso Sarkozy intendesse riproporsi. E che, in tal caso, non esclude neppure un'umiliante eliminazione al primo turno. Quest'ultima ipotesi potrebbe avverarsi se la candidata del Front National, Marine Le Pen, andasse al voto decisivo del secondo turno con il campione della sinistra, ancora da designare.
Nicolas Sarkozy cerca dunque di recuperare i voti dell'estrema destra. I quali decisero la sua elezione quattro anni or sono, ma che, stando ai sondaggi, sarebbero stati riassorbiti nel frattempo dal Front National, da quando la figlia di Jean-Marie Le Pen, il fondatore, ha rinnovato, modernizzato, il discorso dell'ormai vecchio padre. A differenza della Lega, xenofoba ma anche anti-nazionale, il Front National è xenofobo e nazionalista. Entrambi i partiti hanno in comune l'avversione per gli immigrati. Ed è insistendo su questo tema, sia pur nei limiti impostigli dalla carica, che Nicolas Sarkozy spera di recuperare i consensi perduti. Il suo discorso ha compiuto una sterzata in direzione dell'estrema destra. Il rifiuto dei profughi dirottati verso la Francia dal governo italiano è l'evidente conseguenza dell'attuale politica di Sarkozy. Non a caso il suo ministro dell'Interno ha appena proposto di ridurre anche il numero degli immigrati legali.
Cosi i due populismi giocano con i migranti come se fossero una calamità, come se fossero oggetti destinati a far perdere voti. La Lega governa a Roma e il Front National minaccia politicamente il presidente a Parigi. Umberto Bossi appoggia la ridicola idea di boicottare champagne e camembert; e il prefetto delle Alpi Marittime, ubbidendo a ordini superiori, ferma i treni italiani alla frontiera.



"Noi, prigionieri di Schengen"
L'ira dei turisti italiani: meno male che siamo in Europa, mai vista una cosa simile
La Stampa, 18-04-2010
MASSIMO NUMA
INVIATO A VENTIMIGLIA
A ship? Una nave? No, non c’è nessuna nave». La donna bionda dai capelli corti e l’aria esausta che comanda la biglietteria di Ventimiglia, alle 17, sta ancora cercando di spiegare - in inglese - a due turisti russi cosa sta succedendo in questo segmento di Europa, regolato dal trattato di Schengen, niente frontiere, libera circolazione, mai più nessuna barriera. Pura teoria. Non ci sono più treni per la Francia, la linea è stata semplicemente abolita, e non ci sono servizi sostitutivi, non ci sono bus o navette.
Le biglietterie automatiche sono disattivate, le code ormai invalicabili. E non ci sono mai state navi, traghetti. Si può solo prendere un taxi per farsi portare a Mentone. Sguardi allibiti. Seguono, in fila ordinata: numerosi gruppi di francesi con biciclette e zaini (su alcuni convogli Sncf ci sono le rastrelliere), famiglie in short e infradito convinte di rientrare a casa in poche ore, turisti che, dalla Costa Azzurra, avevano deciso di fare una puntata in Riviera.
Gli attivisti dei centri sociali hanno convinto i tunisini ad occupare i binari. Urlano slogan contro la Francia e Sarkozy. Poi coro di insulti destinati alle forze dell’ordine, accusate di premere troppo da vicino gli extracomunitari. I migranti sventolano i biglietti acquistati poco prima, ora inutili. La stazione piomba nel caos, i reparti antisommossa circondano gli antagonisti che sognavano di arrivare a Marsiglia nel tardo pomeriggio con il «treno della dignità», in programma c’era anche una festa con i locali Social Forum. I viaggiatori restano per un po’ sui binari, poi si disperdono nella piazza. Aggrappati ai cellulari, appena sfiorati dalle avanguardie deluse di don Gallo, il sacerdote genovese tra i promotori dell’iniziativa di sostegno che s’è trasformata in un boomerang, dalla pattuglia agguerrita del «supporto legale», gli avvocati del movimento antagonista, rimasti al palo pure loro. Dice l’avvocato Paolo Languasco, del comitato «Uniti contro la crisi»: «L’Italia di Maroni s’è piegata alla Francia, contro il diritto alla libertà dei migranti». Divisi se andare ad occupare il vicino consolato francese o star lì, a gridare per ore «Libertè-Freedom», assieme ai tunisini, sempre più confusi e inquieti.
Alcuni migranti lasciano la stazione e tentano di raggiungere la Terra Promessa con altri mezzi, scegliendo il più basso dei profili. Offrono soldi, banconote da 100 euro, agli italiani disposti ad accompagnarli oltrefrontiera con le loro auto, confusi tra figli e mogli. Li aiutano anche senza compenso, per un banale moto di solidarietà. I più, ci riescono. I telefoni passano di mano in mano, le voci degli amici sfuggiti in tempo dal «treno della dignità» arrivano già dalle città francesi, dallecomunità tunisine che li stavano aspettando da giorni. Quindici minuti di viaggio con in batticuore, ma la Gendarmerie ha concentrato i suoi sforzi lungo i percorsi ferroviari. I poliziotti italiani vedono tutto e lasciano fare. In tanti ce l’hanno fatta e ora sono felici. Fine dell’odissea. Dall’altra parte, a meno di dieci chilometri, sguardi pieni di rimpianto e di tristezza. Stanchi, ancora assediati da polizia e carabinieri, nella piazza trasformata in una discarica, dove volano cartacce e rotolano bottiglie di plastica vuote, tra resti di cibo, vestiti e borse abbandonati nelle aiuole. Loro aspettano rassegnati il bus grigioverde della Croce Rossa che li riporterà al punto di partenza, il centro di accoglienza di Ventimiglia, in attesa che le trattative diplomatiche riprendano.
In stazione ci sono i viaggiatori rimasti a piedi, italiani e francesi. Anche qui, caos e degrado. Le toilettes, nel lungo corridoio vicino ai binari sono diventate un affollatissimo punto di incontro per gli immigrati; rivoli di liquami invadono il pavimento, rifiuti ovunque.
Aspettano anche i ferrovieri italiani rimasti senza treni. Non sanno nulla di cosa potrebbe accadere. Sono una decina, seduti sui muretti dei sottopassaggio: «I francesi hanno esagerato, mai visto in vita mia una cosa del genere, eppure sto per andare in pensione - dice un capotreno, con il trolley trasformato in un sedile - quando hanno saputo che una quarantina di tunisini, con i loro "amici" italiani, stavano per salire sul treno, hanno soppresso la linea! Incredibile».
Stephanie, vent’anni, zaino e calzoncini, vive a Nizza: «Spero che mio padre mi venga a prendere, sto aspettando da quasi sei ore che la situazione si sblocchi, non sono riuscita nemmeno a comprare il biglietto». Dopo le 18, i primi treni a sfrecciare di nuovo sono i Tgv. Ma quelli, a Ventimiglia, non si fermano. Altro che Schengen.


 
Boubakeur: io dico basta a questo egoismo europeo
Il Messaggero, 18-04-2011  
FRANCESCA PIERANTOZZI
PARIGI - «Aver bloccato í treni e schierato i gendarmi è un gesto brutale da parte della Francia, ma chi dà un brutto spettacolo in questo momento non sono né la Francia né l'Italia, ma l'Europa. Io dico basta a questo egoismo europeo». Dalla Moschea di Parigi, il rettore Dalil Boubakeur parla con umanità, ma anche realismo, dell'«ondata» tunisina che fa bruciare le frontiere (e i rapporti) italo-francesi. Liberale, primo presidente del Consiglio del Culto musulmano di Francia, interlocutore privilegiato delle autorità e figura di spicco dei sei milioni di musulma- ni francesi, Boubakeur assicura che se la comunità musulmana è pronta a fare la sua parte e ad esprimere anche nei fatti solidarietà «ai fratelli tunisini», gli aiuti «seri e massicci» devono arrivare dai governi: «Ci vuole un piano Marshall per il nordafrica».
I tunisini che sbarcano in Italia vogliono quasi tutti venire in Francia, ma il governo francese ha blindato le frontiere. I musulmani francesi, e in particolare la comunità tunisina, come giudicano questa linea?
«Credo che la decisione francese - temporanea - di chiudere il traffico ferroviario sia stata un po' brutale. I musulmani francesi, ma credo di poter dire buona parte dell'opinione pubblica francese, sono pronti a mostrare solidarietà nei confronti dei loro fratelli tunisini. Credo che le autorità francesi debbano esaminare caso per caso le richieste dei tunisini che vogliono venire in Francia. Chi dimostra di avere dei parenti qui dovrebbe essere lasciato entrare. Detto questo, dobbiamo anche sottolineare che la comunità tunisina in Francia non è tra le più ricche».
Non pensa che la linea dura adottata dal ministero dell'Interno francese sia dettata soprattutto da problemi di politica interna?
«Non c'è alcun dubbio: l'estrema destra e il Fronte Nazionale hanno imposto l'immigrazione e l'Islam come elementi principali del dibattito pubblico. Esistono pero anche altri problemi: non ultimo il fatto che nel Sud della Francia, non lontano dal confine con l'Italia, a Nizza per esempio, esiste un'importante comunità tunisina che vive soprat- tutto in banlieue difEcili, dove coesistono esplosione demografica e esplosione della disoccupazione. Dunque è anche comprensibile la prudenza francese».
I musulmani di Francia prevedono di far sentire la loro voce su questa questione?
«In Francia siamo fieri di aver costruito un Islam aperto e capace di dialogare. Non ci siamo tirati indietro quando si è trattato di esprimere le nostre critiche sul dibattito sull'Islam. Adesso dobbiamo affrontare questo nuovo problema, dobbiamo essere presenti e capaci di rispondere al dibattito sull'immigrazione. Credo che la comunità musulmana debba concertarsi per esprimere una posizione comune. Sul problema dei tunisini bloccati alle frontiere c'è molta sensibilité, soprattutto perché questa immigrazione è legata alla rivolta in Tunísia e nei Paesi del Nord Africa per la liberta e la democrazia».
Cosa fare in questo momento?
«Occorrono misure d'urgenza prese a livello europeo per sostenere i nuovi regimi democratici in Tunisia, in Egitto... occorre un vero piano Marshall euro-mediterraneo. Dobbiamo far capire a questi popoli che Lampedusa non è il paradiso».



Parigi può bloccare i treni italiani?
La Stampa, 18-04-2011
FLAVIA AMABILE  
Per la prima volta tutti i treni italiani diretti in Francia sono stati bloccati alle frontiere per non far entrare gli immigrati con permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari. E' legittimo?
L'accordo di Schengen prevede l'opposto: la libera circolazione per i cittadini degli Stati firmatari, ma anche degli altri Stati membri della Comunità o di Paesi terzi.
Come funzionano i controlli?
Da anni non esistono più controlli tra Italia e Francia. L'accordo prevedeva proprio la nascita tra i Paesi che aderivano di un'area dove chiunque potesse circolare senza dover mostrare documenti di identità. Soltanto i cittadini di Paesi terzi, cioè esterai alla Ue, hanno bisogno di un visto e devono sottostare ai controlli.
La Francia ha firmato l'accordo?
Cinque anni prima dell'Italia, il 14 giugno 1985 insieme con il Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi.
Come spiegano allora a Parigi il blocco dei treni?
Negando che vi siano modifiche nella politica dell'immigrazione del governo di Parigi e, comunque, avvertendo che si tratta di un blocco temporaneo, non permanente. Secondo un funzionario dello staff del ministro degli Esteri, Claude Gueant, la decisione è infatti esclusivamente legata alla protesta organizzata a Ventimiglia. I manifestanti non ave- vano richiesto la necessaria autorizzazione alla prefettura di Nizza.
In quali casi gli Stati membri possono chiudere le loro frontiere?
E' un tipo di eventualità che si crea con le persone degli Stati terzi. L'Unione Europea sta iniziando solo ora a dotarsi di una politica comune per l'immigrazione sulla base dei principio di solidarietà, ma può capitare che gli Stati decidano di difendersi. La Francia lo ha già fatto nel luglio 2005, dopo gli attentati a Londra. L'Italia ha sospeso l'applicazione dell'accordo nel 2001 durante il G8 a Génova e nel 2009 durante il G8 dell'Aquila.
Che valore ha il permesso dí soggiorno temporaneo a scopo umanitario?
Dopo le resistenze dei primi giorni, sabato la Francia ha iniziato ad accogliere gli immigrati in arrivo con il permesso rilasciato dal commissariato di Ventimiglia. Sulla decisione del blocco temporaneo presa ieri si attendono chiarimenti. Finora né l'Italia né la Francia hanno fatto qualcosa di illegale, ha precisato il presidente dei Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy. Ma ha anche avvertito che esiste il pericolo che il trattato di Schengen non venga rispettato per quel che riguarda la libera circolazione delle persone.
Su che base allora la Francia si sta opponendo alla libera circolazione degli immigrati?
Parigi ha avvertito che si muoverà all'interno dell'accordo, ma chiedendo l'applicazione dell'articolo 5 nella parte in cui si prevede il possesso, da parte degli immigrati, di risorse finanziarie e documenti. In realtà, se questi argomenti non dovessero bastare, resterebbe sempre da giocare la carta dell'approvazione di norme proprie per difendersi dal fenomeno migratorio incontrollato, come ha fatto l'Italia dotandosi dei reato amministrativo di clandestinità.
La Francia chiede che siano rispettati i requisiti necessari per il rilascio dei permessi. Quali sono?
L'articolo 5 dei Trattato prevede che per un soggiorno non superiore ai tre mesi nell'arco di sei mesi devono es- sere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi, di un visto valido se viene richiesto in base al Paese di provenienza. Devono anche giustificare lo scopo e le condizioni dei soggiorno previsto, disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti sia per la durata prevista dei soggiorno sia per il ritorno nel Paese di origine o per il transito verso un Paese terzo nel quale l'ammissione è garantita. Oppure devono essere in grado di ottenere legalmente questi mezzi. Infine non devono essere segnalati nel Sis, il Sistema di informazioni di sicurezza, né essere considerati una minaccia per 1'ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni in- ternazionali di uno degli Stati membri dell'accordo.
II Sis è l'unica garanzia per evitara che entrino sopgetti pericolosi. Comefunziona?
E' una banca dati per permettere di individuare soggetti pericolosi anche fra i cittadini Ue. Ci sono i nomi di ricercati e gente inseguita da una richiesta di estradizione, terroristi o comunque sospetti tali perché in contatto con terroristi. E ancora: trafficanti di braccia e di droga, pedofili, minorenni scomparsi. Ma spetta in realtà ai singoli Stati definire poi nei dettagli le liste degli «indesiderabili», nella cornice dei principi fissati dall'Unione.



Roma. Il bluff dell’emergenza immigrazione. Alemanno strilla, un prete assiste i tunisini
Agora vox, 18-04-2011
Fabio Barbera, Federico Pignalberi
Tutti i giornali parlano dell’invasione dei tunisini a Roma, che sono solo 117. Alemanno esagera (“saranno favelas, via i tunisini da Roma”) e recrimina di non essere stato avvertito. La Protezione Civile aveva avvertito la Polverini, che non lo sapeva. Dopo le violente proteste dei cittadini di Roma nord, i migranti si sono dati quasi tutti alla fuga e rifugiati a Termini, abbandonati a se stessi. Un prete li è andato prendere e li ha accolti nella sua parrocchia. Il reportage dei nostri inviati.
ROMA - Quando, venerdì mattina, quei 117 migranti tunisini sono saliti sui tre pullman che dovevano portarli lontano dal centro di accoglienza di Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, si vociferava che sarebbero arrivati fino a Bologna. Il capolinea, invece, era molto più vicino. Dopo poche ore, alle 17, i tre pulmini aprono le porte a Roma nord, in Via Flaminia all’altezza della stazione di Grottarossa, un quartiere del più esteso municipio della capitale, il ventesimo, che si estende in orizzontale fino a raggiungere Via Cassia. I pullman carichi di migranti si fermano a poche centinaia di metri dal centro di accoglienza cui erano destinati, ma non fanno in tempo a raggiungerlo. Appena la notizia dell’arrivo dei profughi tunisini si diffonde tra i cittadini del quartiere, un esercito di trecento uomini si materializza sul posto e blocca la strada: «O li portate via o finiscono male». Il Tempo di Roma li chiamerà “i mariti di Grottarossa”, ma c’è chi sostiene che alle proteste si siano uniti anche gli uomini di una comunità di magrebini che risiede nel territorio da diversi anni. Due giorni dopo alcuni di loro racconteranno ai cronisti di AgoraVox di essere stati presi addirittura a sassate. Visto il benvenuto, si disperdono come possono per la città abbandonati a loro stessi, essendo tutti dotati del permesso di soggiorno provvisorio, valido per sei mesi, concesso dal Governo. La protezione civile riuscirà a trattenerne sotto la sua tutela soltanto una manciata. Gli altri, per lo più, andranno in cerca di fortuna alla stazione Termini. Allo sbaraglio. È uno degli effetti voluti dal Governo con la concessione dei permessi temporanei: disperdere gli immigrati. Anzi, lasciare che si disperdano da soli. In modo da risolvere, almeno agli occhi dei media, il problema dei migranti tunisini.
Appena il presidente del XX municipio, Gianni Giacomini, viene a sapere degli incidenti a Grottarossa si infuria: «Nessuno ci aveva avvertito che sarebbero arrivati, io non ci sto allo scarica barile, sono subito venuto appena mi hanno avvisato e così non va bene. Dovevano contattarci e informarci e invece ci siamo ritrovati improvvisamente in questa situazione». La Protezione Civile risponderà con un comunicato in cui precisa di avere avvertito la regione Lazio, il cui accordo è necessario per determinare le località destinate all’accoglienza dei migranti. Renata Polverini, che pure ammette «un preavviso, credo di un paio d’ore» agli uffici della regione, confessa che non lo sapeva. Ad Alemanno, però, non pare vero di avere per le mani un buon diversivo per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi del trasporto pubblico romano (il cui ad ha rassegnato le dimissioni pochi giorni fa a causa dello stato disastroso dei conti della municipalizzata ATAC che ha già pianificato, in segreto, come svelato giovedì scorso da AgoraVox, la chiusura della metropolitana capitolina a luglio e agosto). Così, appena appresa la notizia dell’arrivo dei tunisini a Roma nord, il sindaco, senza esitare un momento, rutta alla stampa: «Con 20, 30mila persone in arrivo dal nord Africa c’è il rischio altissimo di accampamenti abusivi: vere e proprie favelas». In realtà i migranti arrivati nella capitale sono solo 117, una goccia nell’oceano in una città enorme come Roma in cui, a detta dello stesso Alemanno, «vivono già 8mila rifugiati e 2mila nomadi»: altro che “favelas”, una scolaresca in gita creerebbe disagi maggiori. Ma ormai le dichiarazioni di Alemanno hanno raggiunto i giornali. È emergenza immigrati: per i giorni a seguire tutti i quotidiani locali apriranno con titoli macroscopici sull’invasione dei tunisini a Roma.
Sabato sera la Protezione Civile informa AgoraVox della posizione dei centri d’accoglienza destinati ai migranti che hanno accettato di farsi assistere dallo Stato italiano: ne sarebbero rimasti 47, per lo più ospiti in una parrocchia a cinquecento metri dalla stazione ferroviaria di Grottarossa, l’Immacolata Concezione di Maria. Ieri mattina, però, quando arriviamo, il quartiere sembra deserto. Le poche persone che incrociamo per strada dicono di non sapere nulla dei migranti arrivati due giorni prima. Raggiungiamo la parrocchia. Il sacerdote ha appena finito di celebrare messa e sta per iniziare la processione della domenica delle palme. Approfittiamo per una perlustrazione della parrocchia, ma dei tunisini non c’è traccia. A dire il vero non ci sono neppure spazi adeguati per ospitarli. Partita la processione, ci avviciniamo a due parrocchiani che gestiscono il banchetto per la distribuzione dei rami d’ulivo. «Non diciamo cazzate! Qui non è arrivato nessun tunisino – dice una signora – la nostra parrocchia non li avrebbe mai cacciati».
   «Ma avete un centro d’accoglienza?»
«Il centro d’accoglienza non è ancora pronto, ma se fossero arrivati la nostra parrocchia li avrebbe sicuramente accolti e assistiti».
   «La Protezione Civile ci ha detto che sono stati sistemati qui…»
«Ma non ci è arrivata nessuna Protezione Civile! Non diciamo fregnacce! Mo’ venite a dir ‘ste cose…»
Verremo a sapere più tardi che la signora ha ragione: nessuno dei migranti ha mai messo piede all’Immacolata Concezione. Intanto contattiamo la sala operativa centrale della Protezione Civile, che passa la telefonata alla sala stampa nazionale. La sala stampa nazionale ci consiglia di chiedere al centro operativo regionale del Lazio «che sta seguendo queste cose». Dal centro operativo rispondono: «Non siamo autorizzati a dire nulla, dovete rivolgervi all’ufficio stampa della Presidenza regionale». Ma l’ufficio stampa regionale ci dice di non essere competente e ci rimanda di nuovo alla sala operativa centrale della Protezione Civile. Ricominciamo. L’operatore della sala operativa dice di volere inoltrare la chiamata alla sala stampa, ma aggancia il telefono. Poi, dalla sala stampa, rispondono: «Ma come? Ve l’avevamo detto che è un problema di competenza della Protezione Civile regionale…». Alla fine veniamo a sapere che parte dei migranti sono stati trasferiti alla Chiesa della Natività, una parrocchia in zona San Giovanni, dieci chilometri a sud di Grottarossa.
Quando arriviamo alla Natività la messa è appena terminata. Tra la folla notiamo alcuni ragazzi che dall’aspetto sembrano tunisini. Cerchiamo il parroco. Don Pietro Sigurani sta nel campetto di calcio. Ci riceve sorridendo. I migranti sono ospiti della parrocchia, ma non dalla sera prima come ci aveva raccontato la Protezione Civile, ma dal giorno, venerdì, in cui sono arrivati a Roma. Don Pietro racconta: «Li accogliamo da quando li hanno cacciati da Grottarossa. Ne accogliamo venticinque, ma la protezione civile ce ne ha mandanti solo otto». Gli altri diciassette li hanno recuperati di persona lui e i suoi collaboratori alla Stazione Termini, dove si erano rifugiati sperando di poter arrivare chissà dove senza nemmeno un biglietto in mano. «Alcuni li abbiamo accompagnati al treno perché hanno parenti a Bologna – racconta il sacerdote – quelli che non avevano dove andare li abbiamo accolti. La parrocchia è accogliente: oggi tutti i parrocchiani hanno applaudito a questi ragazzi». Andiamo a vedere il ricovero dove alloggiano i migranti. Entriamo in una grande sala comune molto spaziosa, fresca, confortevole. Un susseguirsi di porte bianche la separa dalle camere con i letti a castello dove i ragazzi passano la notte. Una più grande, con otto posti letto, altre più anguste. Dal fondo si accede alla sala mensa, dove due volte la settimana la parrocchia serve un pasto fino a cinquecento indigenti che arrivano anche da fuori città. Due tunisini stanno pranzando e non vogliono farsi fotografare, ma ci sorridono.
Gli altri ragazzi stanno fuori in veranda, riparati dal sole. Avevano aiutato per tutta la mattinata i parrocchiani a distribuire ramoscelli d’ulivo e hanno in programma una replica della partita a calcetto che avevano già disputato la sera prima. «Adesso cerchiamo di trovargli una sistemazione e poi, quando si saranno calmate le acque, anche un lavoro», dice Don Pietro. AgoraVox tornerà a vedere cosa accadrà. Per ora sappiamo che se fosse per la Protezione Civile quei ragazzi starebbero per strada, abbandonati forse con l’unica prospettiva di iniziare a delinquere. Don Pietro e i suoi parrocchiani li hanno salvati. Mentre Alemanno strepita contro fantomatiche “favelas”, le politiche sociali della città sono appaltate di fatto alla carità umana di persone perbene. «Quei tunisini rimarranno a Roma solo due giorni e poi andranno via da Roma», dice il sindaco. Don Pietro non lo permetterà.



Immigrazione: tunisini chiedono lavoro centro accoglienza
Cinque rimasti a Lignano su 27 arrivati ieri
(ANSA) - TRIESTE, 17 APR - I cinque ragazzi tunisini sbarcati a Lampedusa e rimasti a Lignano Sabbiadoro (Udine) potrebbero presto lavorare per il villaggio turistico Getur.
Dei 27 immigrati arrivati all'alba di sabato mattina, la gran parte ha gia' lasciato il centro di Lignano per raggiungere parenti o amici in Francia. Cinque di essi - tutti sotto i 30 anni - hanno invece deciso di rimanere e scambiando qualche parola con i responsabili del villaggio, hanno espresso la volonta' di fermarsi e la disponibilita' a lavorare per il centro. (ANSA).



Tremonti: no disoccupazione di giovani immigrati. Italiani si adeguino
Giulio Tremonti afferma che non gli risulta che "ci sia disoccupazione tra i giovani immigrati" e sembra far capire che "i giovani italiani debbano adeguarsi" a quei lavori "a certe condizioni" che l'Italia offre.
Mainfatti, 18-04-2011
Iginio Santi
Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti rivela un dato finora sconosciuto, e che in teoria dovrebbe ribaltare la politica di immigrazione che sta perseguendo il governo. Tremonti, durante la conferenza stampa al termine del International Monetary and Financial Committee del Fondo Monetario Internazionale a Washington, invita i presenti a domandarsi se l'Italia "è un Paese in disoccupazione o in piena occupazione". Una domanda che ai più attenti osservatori sarà sembrata retorica, visto che nel bel Paese, dati alla mano, la disoccupazione giovanile raggiunge quasi il 30%. Ma il ministro dell'Economia afferma che invece non gli risulta che "ci sia disoccupazione tra i giovani immigrati", spiegando: "Da noi ci sono 4 milioni di immigrati che lavorano e non credo che siano dei nullafacenti" perché "è tutta gente che lavora tantissimo". Un discorso che sembra quasi senza senso, ma che forse si spiega quando, alla domanda se sia il caso di chiudere all'immigrazione o se i giovani italiani debbano adeguarsi, Tremonti risponde solamente con un "Escludo la prima ipotesi". In poche parole Giulio Tremonti sembra voler sottolineare che i giovani italiani debbano "adeguarsi" ai lavori che fanno i giovani immigrati perché, come dice il ministro, "l'Italia è un Paese che offre lavoro a certe condizioni a certe persone evidentemente non c'è domanda per questi tipi di lavoro da parte di altri". Tremonti si domanda anche "che lavori fanno gli immigrati" ma forse non si chiede quali siano queste "certe condizioni" di cui parla. Se infatti un immigrato lavora "da mattina a sera e anche di notte" come afferma, forse è perché 8 ore di lavoro, come da sindacato, non gli permettono di vivere. Senza tutele sindacali e controlli da parte dello Stato, poi, si è "costretti" a lavorare "da mattina a sera e anche di notte" e "a certe condizioni", senza contare che questo corrisponde di solito ad una enorme evasione fiscale e allo sfruttamento dei lavoratori. Tremonti sembra dire quindi che i giovani italiani si dovrebbero adeguare a tali condizioni, tali lavori. Tralasciando il fatto che già molti giovani italiani sono stati costretti ad adeguarsi per poter arrivare alla fine del mese, forse il discorso che pare fare Tremonti dovrebbe essere ribaltato. Visto che l'Italia è (ancora) una Repubblica fondata sul lavoro, i giovani italiani dovrebbero avere diritto ad un lavoro dignitoso e quindi i giovani immigrati, molti dei quali laureati e specializzati, dovrebbero invece "adeguarsi" a quel lavoro che gli italiani dovrebbero avere a disposizione. Come da Costituzione.



La ragazza pachistana convinta a lasciare gli studi per tornare nel Paese d'origine
Brescia, la vera storia della bella Jamila promessa in sposa per un mutuo
I fratelli speravano di ricavare soldi. Lieto fine: «Sceglierò io il marito, ora sono serena»
Corriere della Sera, 17-04-2011
Elvira Serra
(Ha collaborato Giuseppe Spatola)
BRESCIA - Finalmente, ieri, era serena. «Voglio vivere qui. Ora so che nessuno mi può costringere a tornare in Pakistan, so che posso continuare a studiare per prendere il diploma e trovare un lavoro, so che posso realizzare il mio sogno: avere una famiglia, un giorno, con l'uomo che sceglierò». Diceva questo, seduta sul divano rosso del soggiorno con il suo hijab colorato in testa, mentre parlava al telefono con le persone che l'hanno aiutata a ritrovare il diritto più importante conquistato in Italia: vivere la sua vita.
Jamila è una bella ragazza di 19 anni, alta un metro e ottanta, molto educata e timida. Abbassa gli occhi quando incrocia uno sguardo, rispetta sempre quello che chiedono di fare sua madre o i fratelli, tre in tutto, due più grandi e uno più piccolo di lei. Ha detto sì anche quando le hanno proibito di continuare ad andare a scuola, una settimana fa. Nessuna minaccia, solo una nuova regola da seguire: non ti è permesso uscire di casa da sola. Jamila ha ubbidito, come sempre. Ma questa volta il sacrificio era grosso. A lei la scuola piace, si è impegnata a superare il deficit della lingua, per lei che è arrivata a Brescia 13 anni fa. I primi due anni li aveva persi, ma adesso aveva preso il ritmo giusto. Lo scrive il suo prof F. M. nella lettera pubblicata l'altro ieri dal quotidiano locale BresciaOggi. «Ha saputo da sola risollevare le proprie sorti, arrivando ad avere un pagellino infraquadrimestrale immacolato, corredato da una condotta irreprensibile». Jamila, però - prosegue l'insegnante - ha un difetto: «E' bellissima, di una bellezza magnetica, arcana». Ed è questo che ha spinto i fratelli a tenere la ragazza in casa. Con l'idea di riportarla in Pakistan per darla in moglie a uno dei cugini. Il docente in un passaggio ricorda con rammarico una delle ultime chiacchierate fatte con la studentessa, quando lei si era confidata: «E' limitante, triste, brutto essere una ragazza pachistana della mia età, dover vivere per l'onore della propria famiglia e non per sé. Non avere la benché minima libertà di andare, di dire, di fare».
La lettera crea subito allarme. E' ancora vivo il ricordo di Hina Saleem, uccisa proprio qui nel Bresciano ad appena vent'anni, nel 2006, perché si era troppo «occidentalizzata». Così la squadra mobile guidata da Riccardo Tumminia si precipita nell'appartamento, preparandosi a trovare una giovane segregata. In realtà la porta è aperta, basta abbassare la maniglia. La casa è modesta e dignitosa, molto pulita. Jamila è con sua madre. Dice la verità: «Non posso uscire da sola, non posso più andare a scuola». I poliziotti invitano le due donne a seguirli in questura e lì cominciano a chiarirsi i contorni di questa storia che, più di tutto, sa di arretratezza culturale, isolamento sociale e miseria.
«Il padre di Jamila è morto due anni fa per un infarto mentre lavorava in fonderia», spiega Silvia Spera, che nella segreteria Cgil a Brescia si occupa della mediazione con la comunità di 28 mila pachistani. «Non era iscritto al sindacato e la sua assicurazione contro gli infortuni era scaduta: insomma la famiglia non ha potuto avere alcun risarcimento. La moglie e i figli, allora, si sono rivolti a un legale, che ha suggerito loro di non pagare più la rata del mutuo sulla casa fino alla conclusione della causa. Con quindici mesi arretrati, la banca stava minacciando di riprendersi l'appartamento. In questo contesto è maturata l'idea sconsiderata di tornare in Pakistan e combinare il matrimonio dell'unica figlia femmina con un familiare benestante, in modo da risolvere i problemi economici». Con la sindacalista, venerdì sera in Questura, c'era il console Syed Muhammad Farooq, chiamato per far capire ai fratelli di Jamila che da nessuna parte sul Corano c'è scritto che una ragazza non può uscire da sola, non può andare a scuola, non può scegliere di amare chi vuole.
«Un altro elemento di questa storia è la grande gelosia dei ragazzi verso la sorella, frutto di un retaggio culturale antico. Si sono giustificati così: non volevano che lei diventasse oggetto delle attenzioni di altri uomini, probabilmente nell'eventualità che si innamorasse di qualcuno e che andasse a monte la possibilità di un matrimonio combinato con il cugino», aggiunge il dirigente della polizia Riccardo Tumminia.
I familiari sono stati redarguiti a dovere: il loro comportamento era appena al di qua del confine che segna il limite con i reati di sequestro di persona, minacce e violenza. Si sono impegnati tutti e domani Jamila tornerà a scuola. Il console, scherzando, le ha garantito che se qualcuno vorrà farla rientrare in Pakistan contro la sua volontà lui metterà il suo nome su una lista nera e nessuno la farà mai passare alla frontiera. La Cgil prenderà in mano la questione del risarcimento per la morte del papà della ragazza. E i fratelli, con qualche difficoltà, dovranno adattarsi all'idea che Jamila ora balla da sola. Un diritto guadagnato sul campo, con la sua rivolta gentile.



Brescia, è tornata a scuola la pachistana Jamila Era segregata dalla famiglia perché troppo bella
Jamila, 19 anni, è tornata in classe questa mattina. Aveva denunciato con una lettera a un quotidiano locale la sua famiglia. Decisivo l'interesse del console del Pakistan a Milano. "Ho spiegato alla famiglia che "l'amore è un diritto". La ragazza era destinata a sposare un cugino in Pakistan
il Giornale, 18-04-2011
Brescia - Con gli altri, come gli altri. È tornata in classe oggi Jamila, la ragazza pachistana di 19 anni che per alcuni giorni era stata tenuta a casa dai famigliari perché "troppo bella". La giovane è stata accompagnata a scuola, un istituto professionale di Brescia, dove frequenta il primo anno, dal console pachistano di Milano, dai rappresentanti di un’associazione pachistana e da Silvia Spera della Cgil di Brescia. Era completamente vestita di bianco e si è coperta il volto alla vista dei fotografi. "Su questa vicenda c’è stata troppa enfasi - ha affermato il console - si tratta di un caso che non ha nulla a che fare con quello di Hina Saleem".
Il matrimonio combinato In questura a Brescia, l’incontro con la famiglia della ragazza pachistana e un ruolo determinante l’ha avuto proprio il console. "Love is a right", l’amore è un diritto, ha spiegato alla famiglia di connazionali, aggiungendo "l’Islam protegge i diritti umani, l’Islam, in modo particolare dà a una ragazza il diritto di determinare il suo partner". Ma il console ha sottolineato anche come sia importante, per tutti, capire le differenze culturali, evidenziando più volte un risalto eccessivo dato dalla stampa alla vicenda.
La lettera Proprio una lettera, inviata al quotidiano locale Bresciaoggi ha consentito di scoprire la vicenda della ragazza a cui da giorni non era più consentito frequentare la prima classe dell’istituto professionale. Il capo della mobile di Brescia Riccardo Tumminia ha spiegato che non sono emerse responsabilità penali dei familiari e, in particolare, che non era chiusa a chiave in casa anche se è risultato evidente "secondo quanto ha confermato lei ma anche i familiari che non era libera di uscire di casa, frequentare la scuola, gli amici perché così le era stato ordinato di fare dalla famiglia". Tumminia ha spiegato che la decisione di non far uscire la ragazza era stata presa per la "preoccupazione, da parte dei fratelli, per la bellezza della sorella del fastidio che dava loro l’ attenzione di altri ragazzi nei suoi confronti".
Il matrimonio Inoltre, ha spiegato il capo della mobile "alla ragazza era solo stata paventata la possibilità di un matrimonio con un parente". Non è quella che sembra risolta, una vicenda di fondamentalismo islamico, ma di "arretratezza culturale, isolamento sociale, problemi economici". Il padre della ragazza è morto in un incidente sul lavoro e il console ha spiegato che proprio questo fatto "aveva indotto la famiglia a prendere in considerazione la decisione di tornare in Pakistan e non c’era nessun matrimonio già combinato". Anche se altre fonti parlano di nozze combinate con un cugino in Pakistan: in cambio ai fratelli sarebbero stati dati i soldi per pagare il mutuo.



«I suoi non dovevano sapere. Un cinese è sparito dalla classe, botte tra etnie»
Il preside di Jamila e gli immigrati «Ho aiutato una ragazza ad abortire»
«Quello della pachistana non è un caso isolato. Dall'inizio dell'anno hanno abbandonato in 500»
Corriere della sera, 18-04-2011
Elvira Serra
BRESCIA - Nicola Scanga è minuto e febbricitante. È un preside di frontiera e non gli dispiace. Nell'istituto professionale che dirige, qui a Brescia, a settembre gli iscritti erano 1.004, ora frequentano in 890. È la stessa scuola dove stamattina è atteso il rientro in classe di Jamila, la diciannovenne pachistana costretta a restare a casa perché troppo bella. Lui ammette: «Non voglio minimizzare la storia di Jamila, ma non è neppure la più drammatica di quelle che viviamo ogni giorno».
Ci racconta altre storie, allora, scelte a caso, così come vengono, davanti a un tè caldo che gli ristora appena la gola. «A ottobre Danuwa (nome di fantasia, come tutti gli altri che seguiranno, ndr), una minorenne di colore, ci ha confidato che era incinta. Voleva abortire senza dirlo ai genitori. Abbiamo chiamato il giudice e lui ha dato il consenso. All'ospedale l'ha accompagnata una mia assistente».
Parla a braccio, Nicola Scanga, nel suo completo preciso con la camicia a quadretti beige e la cravatta in tinta. Poeta, artista, suo malgrado un po' padre degli studenti. «Sono contrario a questa confusione di ruoli. Ma ho imparato che bisogna saper decidere volta per volta ed è prezioso stabilire un rapporto di fiducia». Achala, per esempio, lo considera un padre. Lo scrive nella lettera piegata in quattro che il preside tiene in mano. «È indiana, ha problemi di anoressia. Ha avuto una relazione clandestina con un giovane uomo, indiano come lei, che è dovuto tornare in patria a sposare la donna che gli era stata assegnata. Achala non è più vergine, significa che non potrà mai essere data in moglie».
Anche Kuldev è indiano e ha 16 anni. Qualche settimana fa è arrivato a scuola pieno di lividi. È stato portato in Pronto Soccorso, prognosi cinque giorni. Il preside non ha sporto denuncia, ha preferito parlare con il padre. «Non volevo che restasse senza lavoro. Quando è venuto a parlarmi si è giustificando dicendo che era stata la moglie a colpire Kuldev durante un attacco di epilessia. Ma ho visto il figlio piangere. Vuole frequentare una ragazzina italiana e i genitori non sono d'accordo».
Le parole arrivano con pudore, ma senza tentennamenti. Questo è l'istituto professionale di Brescia, questi sono gli studenti, 30% stranieri, soprattutto pachistani, indiani, cinesi, maghrebini, marocchini. «Fino all'anno scorso avevamo uno sportello fisso dei sevizi sociali. Sparito con i tagli. Ora c'è uno psicologo due volte alla settimana finanziato dall'Asmea, l'azienda di gas ed elettricità. Lo aiutano la vicepreside Simonetta Vale e la professoressa Pina Lappano».
Lucia è italiana e ha segni di frustate sul corpo. «Ieri abbiamo convocato la famiglia. Nessuna risposta. Domani (oggi, ndr) sarà la prima cosa di cui ci occuperemo». Ju è cinese e vive da solo. A scuola la mattina, al lavoro la sera. Adesso non più, «è sparito». «Ho fatto la segnalazione, nessuna notizia». Isabel è sudamericana. Violentata ripetutamente dai fratelli, ora vive in una casa famiglia grazie alla denuncia del preside. Andriy è albanese. Sua mamma una volta ne ha giustificato l'assenza ammettendo di non avere i quattro euro per il pullman. «Se non hanno i soldi per un giorno come possono acquistare l'abbonamento da 70 euro di un mese?».
L'altra settimana all'uscita dalla scuola i ragazzi si sono picchiati. Alcuni, ubriachi, avevano infastidito le femmine e i compagni hanno reagito. Etnie contro etnie. Nicola Scanga è stanco, quando va via: «Se c'è un'ora buca chiedo al bidello di buttare un occhio, non ho altre risorse. E spero sempre che non succeda niente».



Romania: sì a 200 tunisini dall'Italia
il Messaggero, 17-04-2011
ROMA - Il presidente romeno Traian Basescu ha detto oggi che il suo Paese è pronto ad accogliere 200 migranti tunisini, in risposta all'appello alla solidarietà rivolto dall'Italia ai membri dell'Unione europea. «Dopo discussioni con i rappresentanti del governo e delle istituzioni interessate - ha dett Bacescu - è stato deciso di informare il premier Silvio Berlusconi della disponibilità della Romania ad accogliere 200 migranti. Berlusconi ha lanciato un appello all'insieme dell'Unione europea e questa è la risposta della Romania». Basescu ha anche precisato che la Romania è in grado di accogliere in totale 430 richiedenti asilo in cinque centri regionali, di cui uno all'aeroporto di Bucarest-Otopeni.



La città del bene
La scelta del 5 per mille
Offri aiuto ai rom? Allora niente fondi
Corriere della Sera, 18-04-2011
Marta Serafini
Aiutano gli ultimi degli ultimi. Si battono per loro. Ma spesso stentano nel portare a termine il loro compito. Sono tante le Ong, le onlus e le associazioni che denunciano: «Facciamo fatica a trovare fondi e patrocini per la natura delle nostre cause».
L'esempio più eclatante è Amnesty International, organizzazione apartitica che lavora a livello internazionale per i diritti di tutti. «In passato è capitato che ci sia stato negato dalle istituzioni il supporta per le nostre attività», racconta Alba Bonetti, responsabile delia circoscrizione Lombardia. «E ci siamo chiesti se il motivo non fosse il nostro aiuto ai rom e le richieste che abbiamo portato avanti sul loro diritto alla casa. Talvolta la risposta negativa è stata esplicita».
Prestiti complicati
Se i rom fanno paura alla politica, la discriminazione continua anche nei confronti degli omosessuali. Problemi sor- gono infatti anche per le organizzazioni come Famiglie Arcobaleno, vicine ai genitori gay. Qui sono gli sponsor a tirare indietro la mano: «In genere, cerchiamo di basarci sulle nostre forze, ma in alcune occasioni ci rivolgiamo alle grandi aziende. È capitato che marchi di abbigliamento infantili ci rispondessero che non volevano vedere associato il loro nome agli omosessuali, per di più genitori», denuncia Giuseppina La Delfa. Per Marco Mori, presidente di Arcigay Milano «se non ci fossero i fondi délia Comunità Europea non camperemmo». Anche in questo caso ci sono stati dei no sec- chi: «Qualche anno fa il sindaco Letizia Moratti ha negato il supporto a Festival Mix, rassegna di cinema gay lesbico. Poi ci sono resistenze e chiusure sui preservativi». Nei caso di Nps, Network delle Persone sieropositive, è la malattia a spaventare. «I grandi marchi non vogliono associare il loro nome all'Aids. Ad esempio chi vende capi per lo sport vuole dare di sé un'immagine sana, non malata. Cosi evita di finanziare e sponsorizzare perché "non fa marketing"», sottolinea Rosaria Iardino, fondatrice di Nps.
Anche andare in banca spesso non se¬ve. «Gli istituti stanno ancora cercando di capire il mondo del terzo settore», sostiene Francesco Aurisicchio di Ciessevi. «Inoltre l'8o per cento delle associazioni non è riconosciuto giuridicamente e in quel caso a livello finanziario risponde il presidente con i suoi beni personali, perché se chiedi un préstito la banca vuole una garanzia». Per ovviare a questo problema Ciessevi ha istituito il progetto «In volo», fondo di 3 milioni e mezzo di euro per l'accesso al credito. Ma, come spiega il presidente, Lino Lacagnina, «Le onlus non sono per loro natura portate a fare debiti».
Problema culturale
Per Klaus Leotta, dei City Angels, associazione che da anni aiuta i senzatetto, «il problema è culturale: è difficile generalizzare perché magari trovi l'imprenditore sensibile che ti aiuta. Certo è che, soprattutto con la crisi, diventa sempre più difficile lavorare». In controtendenza è il Naga, che si occupa di diritti degli stranieri: «Noi non abbiamo mai avuto problemi, ma viviamo di solo volontariato e non abbiamo mai chiesto il patrocínio a nessuno», sostiene Franca Rinaldi. Che, però aggiunge: «Certo finché si tratta di aiutare i poveri a casa loro va bene, soprattutto in caso di emergenze come i terremoti o gli tsunami. Se però si deve fare qualcosa in Italia, allora il discorso cambia».
Lampedusa docet
E il discorso cambia soprattutto in questi giorni, in cui cresce 1'attenzione sugli sbarchi a Lampedusa. «Abbiamo cercato fondi presso aziende e donatori per aiutare i minori che arrivano (e spesso poi spariscono)», racconta Federica Giannotta, responsabile diritti dei bambini di Terre des Hommes. Risultato? «Le nostre richieste si sono scontrate con 1'indifferenza per la sorte di questi "invisibili", senza pensare che è molto più conveniente per la società prevenire 1'entrata di minori vulnerabili nelle file delia criminalità». Come ovviare al problema? Per i patrocini la proposta arriva da Gianni Bottalico, del Forum del Terzo Settore provinciale di Milano: «Bisogne- rebbe istituire dei regolamenti che indichino a priori quali sono i criteri di scelta, cosi garantiremmo a tutte le organizzazioni meritevoli di non essere discriminate per motivi politici o razziali».

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