Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 aprile 2013

Bergonzoni: io nello zoo dei centri d'accoglienza
Quelle vite sospese in gabbie l'orrore dei centri per immigrati dove si uccide senza far morire
la Repubblica, 22-04-2013
Di cosa si tratta? Di come si trattano: uomini, esseri, popoli ma soprattutto di come non si possa più trattare con chi ricatta il giusto, quindi non si tratta. E  non si tratta solo di governi, società,  norme uccise, ma di enorme scansato, meraviglia asfissiata, diritto alla tenerezza, come ho scritto anni fà parlando di prigione, briciole che bruciano.
Non volevo provare "invidia e gelosia" per quei politici come Luigi Manconi e la sua associazione A Buon Diritto che entrano nei Cie, per riempire quel vuoto che è già alibi; non volevo essere obbligato a vedere attraverso altri che “per fortuna” hanno potuto raccontare per amore. Amore che non definirei nemmeno più sentimento, ma insieme d'altezze, somma somma.
Lo dico entrando in questo luogo dell'oltre altrui, della mala-vita strana, straniera e estraniante. Cosa dicono le statistiche, i numeri  o la costituzione (bella ma inesistente se chi non ha una costituzione interiore non la applica né la fa rispettare) non mi interesserebbe. Non mi interesserebbe quasi più sapere chi chiuderà questi purgatori non danteschi, inferni a cielo perso; per assurdo non mi interesserebbe più perché oggi vorrei parlare non degli  ennesimi sensi, odore, rumore, vista, tatto, senso di impotenza che mi hanno avvolto e abbracciato stretto nella mia visita al CIE di Ponte Galeria; ma vorrei dire della nuova paura, non quella che prova chiunque ci entri e non c'entra nè quella dovuta al peccato di distanza, cioè il distacco della politica da queste vite e inesistenze, ma quella nuova dovuta al distacco di una retina interiore, che non ci fa più vedere altro che l'effetto dello scandalo, o il turbamento a orologeria da servizio televisivo. Ho paura che l'abitudine a quello che non riusciamo a vedere, abbia fatto il suo sporco dovere, che rende vano il cambio di senso nei confronti di quell'inguardabile, di quell'ingiusto che qui ammazza senza far morire (meno di quel che potrebbe). Non mi soffermerò sull'igiene né mi fermerò sulla poca intimità né sulle solitudini, cattività e gabbie da zoo. Non dirò di chi vive in questa prigione pur non dovendo stare in una galera, perché qui non per reati ma per attendere, saper cosa fare, dove andare. L'aspetto a cui tengo è legato a una rivoluzione interiore di chi non è più interessato a vivere e subire queste paure e impotenze, ad "accontentarsi" del lavoro che la giurisprudenza e il diritto potranno e dovranno fare, per cancellare questi imposti, luoghi del tempo condannato.
Parlo agli interessati di quel moto ulteriore che ci chiama; l'ora è scoccata e chiede di trasformare l'urgenza umanitario-antropologica in moto interiore, in intenzione artistica, poetica e spirituale che  predisponga a cambiare giudizio, vergogna, volontà, missione, decenza, connivenza, a cambiar rassegnazione. Mi rivolgo a chi vuole cambiare questo pensiero con un altro, che non resterà tale se manderà onde e frequenze diverse, anche da casa, nascosti in noi che non vogliamo o non possiamo vedere tutto quello che accade a chi soffre dei nostri pensieri non pervenuti, insieme alle mancate azioni. Una rete che non è quella di cui parliamo tanto (che può servire a fare altre rivoluzioni, certo irrimandabili, ma è altra cosa). Manca un'altra forma di espressione, un altro tam tam apparentemente subliminale: nasce dentro, per immedesimazione continua e produce pensiero elettrico, luce che corre come la luce, cambia buio, senso e sensi. È una rivoluzione apparentemente silente quella che chiama, è vocazione, è l'ante-politica, un prima che se non si forma non può far mutare: né il politico, né il legislatore, né lo stato, né le cose che lo compongono. È infatti il cambio di stato che ci è chiesto: lo stato nostro. Quello che continuiamo a demandare agli altri grati per il loro eroismo, la loro missione, il loro pontificato, il loro esempio. Ecco la rivoluzione: dalla "loro "alla  "nostra". Come da altri incontri che continuo a fare con Manconi su detenzione, pena, malattia, anche qui si tratta di far da ponte su tutte queste vite sospese tra una sponda e l'altra cioè, in questo caso, tra migranti e quelli a cui abbiamo demandato il compito di risolvere: noi siamo ponte. Fine degli esempi.
LE BATTAGLIE DI “A BUON DIRITTO” “A Buon Diritto”, associazione promossa nel 2001 da Luigi Manconi, opera su vari temi: fine vita, privazione della libertà, immigrazione. A Roma coordina due sportelli legali per prestare assistenza ai profughi



Due nuovi Cie in Campania e Basilicata.
Sbloccati i fondi per le strutture previste a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e a Palazzo San Gervasio (Pz).
Immigrazioneoggi, 22-04-2013
Due nuovi Centri di identificazione e espulsione in Campania e Basilicata. Per questo, nella Gazzetta ufficiale n. 90 del 17 aprile scorso è stata pubblicata l’ordinanza del capo della Protezione civile Franco Gabrielli che stanzia 13 milioni e mezzo di euro per la costruzione dei Cie di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) e di Palazzo San Gervasio (Pz), la cui ultimazione è prevista per dicembre 2013.
L’ordinanza serve a “favorire e regolare il subentro del Ministero dell’interno nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità derivante dall’eccezionale afflusso di cittadini extracomunitari sul territorio nazionale”. I fondi vengono presi dai capitolati di spesa dello stato di previsione del Ministero dell’interno.
Per il Cie di Santa Maria Capua Vetere sono previsti 10 milioni di euro e per quello di Palazzo San Gervasio altri 3 milioni e 530mila euro. Il primo è una ex caserma, il secondo sorge su un bene confiscato alla mafia. Entrambi furono aperti per pochi mesi nel 2011 come tendopoli in cui venivano trattenuti i migranti sbarcati a seguito della "Primavera Araba", con la qualifica di Ciet, cioè Cie temporanei.
In entrambi i casi furono segnalate e denunciate numerose violazioni dei diritti degli immigrati, vi furono rivolte, una delle quali distrusse la tendopoli campana.



Roma - Lettera delle rifugiate eritree a Laura Boldrini
Ennesimo trasferimento per le donne del centro di Angullara
Melting Pot Europa, 22-04-2013
Siamo un’associazione, InfoMigrante, che ha seguito sin dall’inizio la questione dell’emergenza Nord Africa e come questa, ancor di più con la fine dei finanziamenti programmati, si ripercuota drammaticamente sulle vite dei migranti che si trovano in Italia ospiti nei Centri d’Accoglienza.
Durante questo percorso abbiamo conosciuto un gruppo di donne “accolte” nel centro di Anguillara. Oggi riceviamo e pubblichiamo una loro lettera, indirizzata alla presidente della Camera Laura Boldrini.
Le donne di origine eritrea sono ospitate da ottobre 2012 nel centro di accoglienza di Anguillara, nato nell’ambito dell’emergenza nord Africa.
Nel febbraio scorso il centro in cui vivono è stato dichiarato inagibile dal Comune. Nelle prime settimane di marzo sono iniziati i trasferimenti degli ospiti verso altri centri della provincia di Roma. Circa una cinquantina di rifugiate hanno rifiutato il trasferimento, per non ricominciare da zero il loro processo di inserimento sociale. Spostarsi in un altro centro avrebbe significato per loro: iscrivere nuovamente i bambini in una scuola diversa da quella che avevano iniziato a frequentare; aspettare diverse settimane per ottenere il nuovo medico; essere spostate per l’ennesima volta verso una destinazione a loro sconosciuta senza alcuna informazione e consapevolezza rispetto a tale trasferimento.
A distanza di un mese, la situazione si ripresenta negli stessi termini di qualche settimana fa: si prospetta di nuovo lo sgombero della struttura e loro nuovamente si oppongono al trasferimento per difendere i loro diritti.
Le rifugiate si appellano alla presidente della Camera perché possa intervenire presso le istituzioni competenti al fine di ristabilire i diritti dei rifugiati in Italia e prendere una posizione rispetto alla loro situazione.
Infomigrante
Lettera delle rifugiate eritree alla Presidente della Camera Laura Boldrini
Illustre Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati,
Siamo un gruppo di 45 donne eritree rifugiate politiche. Tra di noi ci sono anche 2 donne incinta e 4 bambini. Siamo arrivate a Lampedusa ad Agosto 2012, da lì siamo state trasferite in un centro di accoglienza a Tivoli, vicino Roma.
La posizione del centro era completamente isolata dal centro abitato di Tivoli, mal collegata con Roma e strutturalmente inadatta ad assicurare condizioni di vita decenti: i muri perdevano continuamente acqua perché le condutture erano rotte, i termosifoni non funzionavano e c’erano solo 4 bagni chimici per un totale di 79 ospiti.
C’era una mancanza di servizi: all’interno della struttura, nessun dottore è mai venuto a visitarci; per molto tempo non abbiamo avuto nemmeno la possibilità di ricevere trattamenti medici nelle strutture esterne al centro perché, senza documenti, non potevamo chiedere la carta sanitaria; molto spesso gli operatori amministravano le medicine per le nostre malattie ma, ovviamente, non erano persone competenti a comprendere i nostri dolori e spesso davano a tutti noi le stesse medicine.
Nonostante queste povere condizioni, siamo state in grado di assicurarci i diritti minimi: carta sanitaria e registrazione dei nostri figli a scuola, ma non un servizio di trasporto.
A dicembre, senza alcun avvertimento, come se non avessimo il diritto di essere consapevoli delle nostre vite, la cooperativa ha deciso di metterci su un autobus e “spedirci” in un altro centro, quello dove siamo oggi, a Ponton dell’Elce, una frazione del comune di Anguillara, ancora più isolato e collegato male con il centro abitato e con Roma. All’inizio eravamo 110 persone di diverse nazionalità.
Per arrivare alla fermata dell’autobus dobbiamo camminare per un’ora in una strada buia e senza marciapiede. Per la seconda volta siamo state costrette a subire lo stesso trattamento: lunghe attese per avere un dottore nel paese più vicino, mesi di attesa prima di raggiungere un accordo con la cooperativa per mandare a scuola i nostri figli, nessun servizio di trasporto per assicurare almeno una connessione con i servizi essenziali come scuole e ospedali.
Una situazione molto difficile che è stata aggiunta al nostro stato di stress e alla nostra attesa
preoccupata per l’intervista con la Commissione e per il risultato finale.
.Ancora una volta ci siamo organizzate da sole e, dopo aver fatto molte pressioni sulla cooperativa, abbiamo ottenuto l’assistenza medica e l’iscrizione dei nostri figli a scuola.
Ma, come se non fosse abbastanza, a marzo la cooperativa ha deciso di farci partire di nuovo per tornare al centro di Tivoli, senza darci nessuna spiegazione. A quel punto alcune di noi hanno deciso di dire che era abbastanza e hanno rifiutato di essere trattate come “pacchi”, scegliendo di continuare a rimanere nel centro, nonostante l’opposizione della cooperativa.
Dopo di questo, siamo state abbandonate a noi stesse, senza operatori e senza medicine. Nel centro abbiamo soltanto l’operatore che viene giornalmente a portarci il cibo.
Oggi, per la terza volta, la cooperativa ci ha informato che lunedì (22 aprile) dovremmo lasciare il centro per essere trasferite ancora una volta a Tivoli. Nonostante il centro in cui viviamo non sia per niente un luogo degno e nonostante le condizioni non siano delle migliori, durante questi mesi siamo state capaci di costruire un’interazione con gli abitanti del paese e di costruire qualche tipo di relazione con il territorio. Inoltre, siamo sicure che le condizioni del centro di Tivoli non sono migliori.
Vogliamo soltanto i nostri documenti e chiediamo solo di essere trattate come esseri umani e di essere libere di determinare le nostre vite. Chiediamo un trattamento dignitoso e di essere accolte in strutture che non si siano situate fuori dalla società.
Rifugiate eritree di Anguillara



Treviso. Manifesti anti-immigrati: si costituiscono due studenti
Stranieri in  Italia, 22-04-2013
TREVISO, 22 aprile 2013 - Gli autori dell'affissione dei manifesti choc comparsi nel centro di Treviso - un fotomontaggio con un'immagine raccapricciante e slogan contro immigrati e gay - sono due studenti trevigiani di 24 e 25 anni. Si sono presentati ai carabinieri quando ormai le forze dell'ordine li avevano gia' individuati nelle immagini delle telecamere di sicurezza, sostenendo che il loro gesto era una sorta di 'goliardata', per due amici che si erano laureati.
La vicenda non potra' pero' non avere conseguenze sul piano penale. I due giovani sono stati segnalati all'autorita' giudiziaria. Verso quelli che inizialmente erano gli ignoti autori del blitz sono state presentate inoltre querele per diffamazione da parte di esponenti della Lega Nord, il cui simbolo era stato 'taroccato' nei manifesti.
Indipendentemente dal fatto che le querele siano ritirate o meno, i due studenti rischiano di dover comunque rispondere del reato di diffamazione.



Roma: corso di formazione per Operatore specializzato in accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati.
Le lezioni si terranno dal 23 maggio al 31 ottobre 2013 per un totale di 65 ore di formazione.
Immigrazioneoggi, 22-04-2013
Organizzato da In Migrazione Onlus, Programma integra e l’Istituto per gli Studi sui Servizi sociali con il patrocinio del Dipartimento comunicazione e ricerche dell’Università di Roma La Sapienza e la partecipazione dal Servizio centrale del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), il percorso di formazione per “Operatore specializzato in accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale” comincerà a Roma il prossimo 23 maggio per terminare il 31 ottobre, per un totale di 65 ore.
Il corso si rivolge sia a quanti vogliono operare con i richiedenti e titolari di protezione internazionale sia a operatori che già lavorano in questo ambito e che vogliono aggiornare le proprie competenze. Il programma prevede approfondimenti sui sistemi di accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale, sulla gestione del gruppo di lavoro nelle strutture di accoglienza, sulla mediazione interculturale e di genere, sulla realizzazione di servizi socio-sanitari, psicologici e legali di qualità, e sugli strumenti di integrazione socio-economica per questo target particolarmente vulnerabile.
Oltre alle tradizionali lezioni frontali, ci sarà spazio anche per focus group, laboratori, case studies, simulazioni, role play, visite e attività sul campo.
Per informazioni: Programma integra – tel. 06 78850299 – www.programmaintegra.it.
(Maria Rita Porceddu)



Rifugiati, la Corte di Strasburgo: "In Italia sufficiente accoglienza"
Secondo la sentenza della Corte di Strasburgo, la condizione dei richiedenti asilo in Italia non presenta "falle sistemiche" tali da giustificare il ricorso di una cittadina somala che, approdata in Italia e poi trasferitasi in Olanda, voleva restare in quel paese (in contrasto con il trattato di Dublino) perché in Italia non sarebbero stati rispettati i diritti di rifugiata. La posizione del  Consiglio Italiano per i rifugiati (CIR)
la Repubblica, 19-04-2013
ROMA - Secondo la Corte di Strasburgo, la condizione dei richiedenti asilo in Italia non presenta caratteristiche di severità tali da far temere che un riaffidamento di un richiedente asilo al nostro Paese violerebbe i diritti umani fondamentali. Il pronunciamento ha riguardato una cittadina somala, Mohammed Hussein, sbarcata e identificata con le impronte digitali a Lampedusa, che in un secondo momento si è trasferita in Olanda. Lì, durante un controllo della polizia, si sono accorti che la sua presenza in quel paese non era legale, per effetto del trattado di Dublino, il quale sancisce l'obbligo di accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo, nel primo paese dove si approda, cioè l'Italia, e dove vengono prese le impronte digitali. Hussein fece ricorso alla Corte di Strasburgo sostenendo che in Italia non avrebbe trovato sufficienti garanzie di rispetto dei diritti umani. Ma la sentenza di ieri, appunto, vanifica ogni sua richiesta e impone il rispetto delle regole scritte sul trattato di Dublino, che riconsegnano all'Italia il richiedente asilo.
Il caso di un altro rifugiato in Grecia. Il Consiglio Italiano per i rifugiati (CIR) fa notare la differenza tra questa sentenza e quella di un altro richiedente asilo verso la Grecia, dove la Corte ha dato ragione al ricorrente decretando che, qualora riaffidato allo stato greco, sarebbe potuto essere esposto a trattamenti contrari alla Convenzione Europea per i Diritti Umani. Il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), in molte prese di posizione sollecitate da avvocati e organizzazioni di altri Stati membri, ha sempre sottolineato che i gravi problemi di accoglienza e integrazione in Italia non sono paragonabili a quelli della Grecia e che sarebbe fuorviante affermare che, in generale, i richiedenti asilo in Italia non ricevano assistenza o che i loro diritti fondamentali siano sistematicamente violati.
Esaminare sempre i casi individuali.  "Il CIR ha sempre raccomandato di esaminare le circostanze individuali - dice Christopher Hein direttore del CIR - ritenendo che in molti casi il problema è lo stesso Regolamento Dublino II° e le conseguenze della sua applicazione sulle vite delle persone. Richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale possono avere buoni e giustificati motivi per spostarsi in un altro paese dell'Unione Europea - ha aggiunto Hein - motivi che non sono per forza riconducibili alle violazioni dei diritti nel paese in cui si trovano. Nel passato abbiamo già  notato casi in cui richiedenti asilo e rifugiati riconosciuti in Italia avevano fatto dichiarazioni non veritiere col solo scopo di evitare il trasferimento nel  nostro Paese. Questa sentenza - ha detto ancora il direttore del CIR -  si basa sulle dichiarazioni che questa singola richiedente asilo ha fornito alla Corte di Strasburgo e che non risultano veritiere. La ricorrente aveva ottenuto un permesso di soggiorno per 3 anni per protezione sussidiaria ed era stata accolta in un centro di accoglienza a Marina di Massa, dopo un suo primo soccorso a Lampedusa".
 No alle strumentalizzazioni. Dunque al CIR sembra che questa sentenza non modifichi gli orientamenti della Corte di Strasburgo espressi precedentemente. "Vogliamo ricordare - ha proseguito Hein - che questa è la stessa Corte che poco più di un anno fa ha condannato il nostro Paese per i respingimenti indiscriminati verso la Libia nel 2009, nel caso Hirsi vs Italia. Il verdetto di oggi merita un esame sicuramente più approfondito. Noi speriamo però fortemente che questa sentenza non sia strumentalizzata per dire 'da noi va tutto bene' perché, come ampliamente documentato, non va assolutamente bene che richiedenti asilo debbano aspettare mesi per trovare un posto di accoglienza o che chi ha ricevuto una protezione internazionale venga abbandonato a se stesso senza un organico sostegno nel percorso di integrazione. Non avere falle sistemiche - ha concluso il direttore del CIR - non vuol dire avere un buon sistema d'asilo".

 

Thuram a Repubblica: "Neri non si nasce, si diventa. Alla Juve non me ne andavo subito, ma osservavo il gran lavoro che faceva Romeo, il custode!"
la Repubblica, 22-04-2013
L'ex bianconero Lillian Thuram ha parlato a Repubblica del razzismo nel calcio: "Neri non si nasce, lo si diventa. Quando qualcuno ti sbatte in faccia uno stereotipo. Giocavo in un club di portoghesi, volevo progredire e passare al Fointanebleau, società più forte. Venni sconsigliato dai miei compagni: quelli sono borghesi, non ti accetteranno. Invece trovai un’atmosfera amichevole. Questo per dire che i pregiudizi nascono ovunque, da cose che non si conoscono, ma che magari si ascoltano in famiglia, in chiesa, tra amici. Bisogna riflettere sul passato per capire l’oggi. Non cambi gli altri se prima non hai cambiato te stesso. Perché c’è un sistema politico che divide in gruppi e ci campa: noi e loro, e loro non sono come noi, ma subalterni. E la stessa discriminazione la soffre la donna. Bisogna educare le nuove generazioni, cambiare il modo di vedere, non esistono per nascita esseri superiori. Ma devi avere voglia di studiare e di conoscere. Negli stadi italiani ci sono degli stupidi, sì. Una minoranza che grida offese. Ma lo stadio è una fetta della società, la riflette, non la crea. Io ho più paura di chi lavora dentro il sistema. Come François Blaquart, dt della nazionale francese, che voleva imporre delle quote etniche, per limitare la presenza di giocatori neri. Chi mostra le banane allo stadio è dannoso, ma non pericoloso. Si rivela per quello che è: gente preistorica, disperata, rimasta indietro. Infastidita e invidiosa che un ragazzo come Balotelli sia giovane, bravo, ricco. E molto forte. Bene ha fatto il Milan ha lasciare il campo dopo gli insulti a Boateng. A togliersi la maglia per primo però non dovrebbe essere il giocatore nero, ma i suoi compagni. Loro dovrebbero reagire e dire: signori miei, questi cori ci offendono, non rispecchiano i nostri valori, noi così non giochiamo. Bisogna lottare, non fare finta di niente. A Parma, in una partita contro il Milan, sento cantare “Ibrahim Ba mangia banane sotto casa di Weah”. Dico ai miei compagni: devo andarci a parlare. Lascia perdere, è la risposta. Ma la sera non riesco a dormire, mi manca l’aria, quella frase mi picchia in testa, così vado a discutere con la curva. La domenica successiva i tifosi rispondono con lo striscione “Thuram rispettaci”. Invece di riflettere su quello che avevo detto, si erano sentiti offesi loro. A Torino arriva un giornalista e si presenta: sono il filippino del signore... Ma come ti permetti di identificare un popolo con una mansione? Mia madre ci ha mantenuti facendo la domestica, non si è mai lamentata, e mi ha insegnato che è importante avere un altro sguardo. Forse per questo alla Juve non me ne andavo subito, ma osservavo il gran lavoro che faceva Romeo, il custode. I neri sono stati scienziati, dottori, esploratori, poeti, ricercatori. Ma non ce lo raccontano mai. Hanno inventato tra l’altro il semaforo, l’asciugatrice, la trasfusione di sangue, il floppy disk. Da piccolo volevo fare il prete, ho cambiato idea quando ho saputo che non potevano sposarsi. Ho chiamato il mio primogenito Markus in onore del leader giamaicano Garvey e il mio secondo, Khephren, perché i faraoni avevano la pelle scura. Nel 2008 sono stato al funerale di Aimè Cesar, poeta e politico della Martinica. Scriveva che si può continuare a dipingere di bianco i tronchi degli alberi, ma le radici restano nere. Mi sono avvicinato alla bara e gli ho detto: “Può andarsene in pace, perché ha educato un’intera generazione”».

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Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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