Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 dicembre 2013

Lampedusa: in fila, nudi e al freddo La disinfezione choc dei migranti
Il sindaco parla di immagini da «campi di concentramento». Il presidente della Camera: «Indegno di un Paese civile»
Corriere.it, 18-12-201
Alfio Sciacca
In fila e nudi per essere sottoposti alla disinfezione contro la scabbia. Immagini che ricordano i campi di concentramento e invece arrivano dal centro di accoglienza di Lampedusa. Le riprese sono state diffuse dagli stessi migranti e pubblicate in un servizio andato in onda sul Tg2. Sequenze che stanno creando sconcerto e polemiche ad appena due mesi dalla tragedia del fece oltre 500 morti, proprio davanti alle coste di Lampedusa.
BOLDRINI -Indignata la reazione del presidente della Camera Laura Boldrini. «Il trattamento riservato agli immigrati nel Centro di Lampedusa, documentato nel servizio del Tg2, è indegno di un Paese civile -afferma- . Quelle immagini non possono lasciarci indifferenti. Tanto più perché vengono dopo i tragici naufragi di ottobre e dopo gli impegni che l’Italia aveva assunto in materia d’accoglienza. Quei trattamenti degradanti gettano sull’immagine del nostro Paese un forte discredito e chiedono risposte di dignità». Interviene anche il governo con il ministro dell’Interno Angelino Alfano: che sottolinea «accerteremo le responsabilità e chi ha sbagliato pagherà», ma soprattutto con il premier Enrico Letta che precisa:«Sono immagini molto gravi, il governo ha intenzione di fare un’indagine approfondita, di verificare e sanzionare qualunque responsabilità».
TRATTAMENTO SETTIMANALE - Il servizio è stato trasmesso nell’edizione del Tg2 di lunedì sera e mostra il singolare trattamento riservato ai migranti nel cortile del centro di accoglienza. Si tratta di un video girato con un telefonino dagli stessi migranti. Uno dei quali, Khalid, commenta le immagini. Tra le persone sottoposte al trattamento ci sarebbero eritrei, siriani, ghanesi, nigeriani, kurdi e, pare, anche alcuni sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre scorso.
LO SCONCERTO DEL SINDACO - Stando al racconto di Khalid pare che si tratti di una prassi consolidata all’interno del centro di accoglienza di Lampedusa. Il filmato sarebbe stato girato il 13 dicembre scorso, ma secondo i migranti questa operazione di disinfestazione avverrebbe a cadenza settimanale. Per Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, le immagini descrivono una sorta di «campo di concentramento» e sono la dimostrazione «che questo modello di accoglienza, di cui Lampedusa e l’Italia si vergogna, deve cambiare. Non era quello che ci aspettavamo di vedere appena due mesi dopo il naufragio che ha suscitato lacrime e promesse».
IL MINISTRO KYENGE - Cose «inaccettabili in uno Stato democratico» afferma il ministro per l’integrazione, Cècile Kyenge. «Anch’io, come il ministro Alfano - dice Kyenge - penso che bisogna intervenire sulle procedure di assegnazione ma anche cercare le responsabilità, chi ha sbagliato deve pagare. È disumano far denudare una persona, la rende una non persona». Insomma, insiste il ministro, «questo episodio non deve essere lasciato così, bisogna andare fino in fondo».
IL VESCOVO - «Sono profondamente indignato per il trattamento a cui sono sottoposti i migranti nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa e chiedo venga fatta chiarezza su quello che i telespettatori hanno potuto vedere e che venga percorsa ogni strada per affermare la verità dei fatti». Questo il commento dell’arcivescovo di Agrigento e presidente della commissione per le Migrazioni della Cei, monsignor Francesco Montenegro. «La situazione emergenziale -ha aggiunto- non può giustificare situazioni e trattamenti che poco hanno a che fare con il rispetto della dignità umana e dei diritti dell’uomo».
TRATTAMENTO INDEGNO - «Le modalità con cui viene effettuato il trattamento antiscabbia ai migranti nel centro di Lampedusa non sono degne di un Paese civile» afferma il Comitato 3 ottobre che chiede alle autorità competenti un immediato chiarimento sulle procedure adottate. «È necessario un rapido accertamento dei fatti - sostiene il comitato - per capire di chi siano le responsabilità delle indegne modalità con cui i migranti vengono sottoposti alle docce antiscabbia al freddo e nudi in fila nell’attesa nel pieno mese di dicembre. Una modalità che non tiene in nessun conto la dignità delle persone».
AMNESTY - Amnesty Internazionale chiede chiarimenti urgenti al ministero dell’Interno. «I migranti che giungono in Italia, come in qualunque altro paese - premette Amnesty - necessitano di un appropriato esame medico nel loro interesse e nell’interesse del paese ricevente -si lelle in una nota-. Ciononostante, la privacy e la dignità dei migranti deve essere rispettata e a nessun migrante dovrebbe essere richiesto e tanto meno imposto di spogliarsi in pubblico». Mentre il leader della Cgil Susanna Camusso «quello che sta arrivando in queste ore da Lampedusa dimostra che non stiamo certamente davanti ad una prova di civiltà». Il video dei migranti in fila nudi per sottoporsi a una disinfestazione -aggiunge da parte sua il vice ministro dell’Interno Filippo Bubbico ritrae «una condizione inaccettabile e veramente umiliante per noi, prima ancora che frustrante che per questi esseri umani».
LA REPLICA - La cooperativa che gestisce il centro di accoglienza prova a difendersi, lamentando la carenza di personale e spazi adeguati. «Il personale medico e i volontari - si legge in una nota della cooperativa Lampedusa accoglienza- previa informativa agli ospiti circa l’alto numero di presenze nella struttura e la necessità ineludibile di essere sottoposti a trattamento medico, a tutela della propria e altrui salute, hanno predisposto, in assenza di adeguate strutture, una postazione appartata per poter effettuare i trattamenti». E ancora: «per i singoli trattamenti è stata individuata una piccola struttura chiusa su tutte le pareti all’interno della quale gli ospiti singolarmente venivano cosparsi in maniera efficace ed uniforme con un sistema di nebulizzazione del prodotto». Giustificazione che, forse, non basteranno a placare le polemiche e lo sconcerto per quelle immagini dei migranti nudi e al freddo.



Lampedusa, vergogna d'ltalia
l'Unità, 18-12-2013
In un video la vergogna dei Cie di Lampedusa. Lo manda in onda il Tg2: immigrati appena arrivati costretti in fila, nudi e al freddo per essere disinfestati. Letta e Alfano promettono: i responsabili pagheranno. Per Boldrini è un atto indegno di un Paese civile. Il presidente Pd Cuperlo: immagini insopportabili, il governo riferisca in Parlamento.
RACHELE GONNELLI
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Le immagini che arrivano dal centro dove sono stipati gli immigrati a Lampedusa di tutto raccontano tranne che di accoglienza. È un video amatoriale girato da uno degli «ospiti» quello che è andato in onda lunedî sera sul Tg2, un video-choc. Immigrati che si spogliano in un vicoletto tra mura di prefabbricati, al freddo, nudi, gli operatori buttano a terra gli indumenti intimi e loro in fila si sottopongono a un idrante anti-scabbia. Le donne non si vedono ma il video-amatore che li ha ripresi in anonimato spiega che anche a loro è stato riservato lo stesso trattamento. «Dai, dai» dicevano gli operatori senza tanti convenevoli. Sembra una scena d'altri tempi. Abu Ghraib, il carcere delle torture americane in Iraq, secondo alcuni, un campo di concentramento nazista secondo altri. La malattia della pelle, la scabbia, anche quella una malattia da segregazione dura di sicuro non l'hanno portata ma presa a Lampedusa. Cosi come i pidocchi i bambini. Questa è l'Italia per loro, dice il video-maker che risiede in quel centro da 65 giorni e aggiunge ci trattano sempre cosi, ogni giorno.
Gli ospiti, diciamo cosi anche se sarebbe meglio chiamarli internati, tre giorni fa quando sono state fatte le riprese erano 697 per una capienza massima di 250 posti. Il centro in contrada Imbriacola a Lampedusa non è un Cie, è un Cpas, un centro di prima accoglienza e soccorso, cioè dovrebbe servire solo per dare un'assistenza immediata, giusto le prime 48 ore. Ma c'è chi rimane li per mesi prima di essere trasferito in una struttura piú idonea fino al completamento delle operazioni di identificazione che, secondo il decreto fatto dall'ex ministro Maroni possono durare fino a 18 mesi, un'eternità. Tra gli internati, in maggior parte senza neanche un giaciglio e un tetto sulla testa, ci sono anche alcuni dei sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre scorso, quando l'Italia intera ha pianto. Sono passati due mesi e mezzo e sono ancora li, tra pioggia, scabbia e coperte di carta. Se allora quella strage, quei 366 corpi annegati senza un soccorso fu una vergogna nazionale ora non viene di meglio da pensare che siamo a una vergogna al quadrato. Ed è cosi che la sindaca dell'isola, Giusy Nicolini, l'ha chiamata di nuovo: «Questo modello di accoglienza è una vergogna per i lampedusani - ha detto - e l'Italia deve vergognarsi».
Le associazioni antirazziste e dei diritti civili tutte esprimono tutta la loro indignazione, incluso la Croce Rossa a Medici Senza Frontiere. «La verità è che in Italia non esiste un vero sistema di accoglienza ai rifugiati - dice la presidente dell'associazione Lunaria Grazia Naletto che chiede alle forze politiche di pretenclere che il governo riferisca in Parlamento sulla vicenda - e le violazioni dei diritti umani sia nei Cie, sia in centri come questo e anche nei Cara, sono all'ordine del giorno probabilmente, solo che non abbiamo la possibilita di sapere cosa succede li dentro se non in casi come questo in cui qualcuno filma dall'interno gli abusi». Ieri dal palco di una iniziativa contro il lavoro nero e il caporalato in agricoltura anche Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, ha parlato dei video trasmesso dal Tg2. «Quanto accaduto a Lampedusa - ha detto - è di una gravità straor- dinaria, che si disinfettino le persone nude in mezzo al campo non mi pare sia una prova di civiltà». Anche lei ha chiesto di rivedere la legislazione sull'immigrazione.
Il viceministro dell'Interno, Filippo Bubbico si è detto meravigliato e mortificato da quelle immagini. «Questa è una condizione inaccettabile, umiliante per noi prima che frustrante per questi esseri umani». Il deputato Pd Khalid Chouqui, al quale si aggiungono altri del suo partito come Sandra Zampa, annuncia una dura interrogazione parlamentare al ministro Angelino Alfano perché accerti le responsabilità dei trattamenti disumani. Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani chiede sia rispettato il capitolato d'appalto nella gestione del centro e che le disinfestazioni rispettino la privacy.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l'Unhcr, chiede al governo italiano «soluzioni urgenti» per migliorare gli standard di accoglienza che trova «inaccettabili». Anche l"arcivescovo di Agrigento, monsignor Francesco Montenegro, presidente della Commissione episcopale per le Migrazioni della Cei e di Migrantes, chiede sia fatta chiarezza sulla situazione



“La nostra vergogna”
la Repubblica, 18-12-2013
Adriano Prosperi
Il telefonino di Khalid ha catturato e messo in circolazione la scena di quello che accade da giorni abitualmente nel centro di accoglienza di Lampedusa. L’abbiamo visto tutti, non abbiamo scuse. Abbiamo visto come ogni giorno decine di uomini nudi vengano sottoposti al getto d’acqua di una pompa a motore, all’aperto, sotto il cielo dell’isola. Si tratta, dicono, di una pratica necessaria per disinfettare quei corpi.
Per combattere in particolare il pericolo di un’epidemia di scabbia.
Giusto disinfettare, curare, garantire la salute — la nostra, perché è per questo che lo si fa. Del resto qualcuno ricorda ancora, in questo paese nostro che fu un tempo non lontano quello di un’emigrazione italiana di proporzioni bibliche, che cosa accadeva alla visita d’ingresso negli Stati Uniti, quando a Ellis Island i nostri antenati dovevano sottoporsi a rozzi, elementari esami fisici destinati a scoprire le eventuali malattie di cui erano portatori. Ma non venivano fatti oggetto di questa pratica brutale del denudarsi in pubblico per sottoporsi a un trattamento che disumanizza, degrada, porta automaticamente a una discesa dal livello della comune umanità a quello di cosa. Perché una cosa è chiara: non c’è nessuna ragione perché la disinfezione debba essere fatta così, collettivamente e all’aperto.
Denudare pubblicamente un essere umano vuol dire togliergli quella difesa elementare, quel segnale di umanità che consiste nel coprirsi, nel proteggere la propria nudità. Gli esseri umani si distinguono dalle bestie perché si coprono istintivamente. Dice la Bibbia che Adamo
ed Eva, quando lasciarono l’Eden, scoprirono la loro umanità col senso di vergogna per il corpo nudo. Dunque la domanda che viene spontanea è sempre quella formulata da Primo Levi: diteci, voi che siete al coperto nelle vostre tiepide case, se sono uomini questi esseri nudi nel dicembre che sa ormai di Natale, esposti al getto d’acqua che la pompa scarica sui loro corpi. E poiché la risposta è sì, né può essere diversa, bisogna passare all’altra domanda: dobbiamo chiederci chi siamo noi, responsabili in solido di questa riduzione a bestiame dell’umanità che sbarca a Lampedusa a rischio della vita e si aspetta di trovare da noi, se non le immagini dorate trasmesse dalla televisione, almeno non un simile livello di disumanità. Giusi Nicolini, la bravissima sindaca di Lampedusa, ha risposto per tutti noi: queste immagini ricordano i campi di concentramento. Nei lager non c’erano i telefonini. Oggi questo strumento ci toglie l’ultimo alibi: la difesa del non vedere, del non sapere.
Ma se quello odierno è uno scandalo, si deve riconoscere che gli scandali sono necessari perché senza di essi non riusciamo ormai più ad aprire gli occhi. E speriamo che anche questa volta tutto non si riduca a un’emozione epidermica e che domani non ci si trovi di nuovo davanti all’impasto abituale di provocazioni leghiste e di politiche fatte di parole benevole quanto vane, di intenzioni mai seguite da fatti. Finora nemmeno l’escalation di quegli annegamenti di massa che hanno fatto del Mare di Sicilia un immenso cimitero marino è bastata a cambiare le cose. L’episodio di Lampedusa, teatro all’aperto di ciò che l’Italia — ma anche, dietro di lei, l’Europa tutta — sa offrire a chi tenta di varcarne le soglie deve essere per una volta la scossa finale che porti una buona volta a raddrizzare il legno storto dei diritti così come vengono intesi e praticati da noi. Dobbiamo prendere atto che questo è solo l’ennesimo episodio di un sistema che ha preso forma di legge, si è radicato nel costume e nelle istituzioni: col risultato che l’umanità difettiva dell’immigrato rischia di apparirci di fatto come quella di un animale pericoloso, portatore di malattie: e questo perché sempre più decisamente si sono create da noi le premesse di una discriminazione sul terreno dei diritti primari che ha fatto scivolare sempre più l’Italia sulla china di un razzismo tanto più reale quanto meno confessato. È tempo perché le chiacchiere buoniste, l’esibizione delle buone intenzioni, i rimedi della carità cedano il posto a misure di legge che riconoscendo dignità e diritti agli immigrati restituiscano anche a tutti noi la possibilità di non doverci ogni giorno vergognare.
Il dossier dei diritti civili deve essere riaperto subito. Non si può più rinviare la riforma della Bossi-Fini, perché mantenendola continueremmo a tenere in vita un sistema di disparità della popolazione della penisola italiana nel campo dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino che ha fatto regredire l’intero paese e ne ha alterato perfino il linguaggio: si pensi al significato che ha assunto oggi la parola “accoglienza” in un paese come il nostro che, con tutti i suoi difetti, era noto un tempo almeno per questa speciale virtù dei suoi abitanti.



Migranti, una pagina nera
Avvenire, 18-12-2013
Paolo Lambruschi
Le hanno paragonate alle scene dei detenuti in fila nei campi di concentramento per la disinfestazione. Troppo? Probabilmente sì. Di certo, però, le immagini choc filmate di nascosto dai profughi stessi – che mostrano persone in fuga da guerre e persecuzioni costrette a spogliarsi all’aperto in dicembre nel centro di contrada Imbriacola per fare una doccia anti-scabbia – si legano a quelle di 70 giorni fa, quando i sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre bruciarono i materassi davanti alle telecamere della Rai per protesta contro le condizioni nelle quali vivevano: costretti a dormire all’addiaccio e nella sporcizia insieme ai propri bambini. Perché da allora nulla è cambiato. Sono scene figlie della stessa situazione che si può definire con una sola, noiosa parola: vergogna.
La ragione del degrado è semplice: il centro lampedusano è stato costruito per ospitare 900 persone, ma 27 mesi fa, durante una rivolta, venne bruciato per due terzi. Oggi potrebbe ospitarne 250, ma il numero con l’emergenza quintuplica. Allora ci si stringe oltre ogni limite fisico, si dorme all’aperto in un luogo dove girano anche i cani randagi. Chi resta oltre il cancello si prende scabbia e pidocchi, e i bagni diventano impraticabili. Inumano.
Eppure i soldi per ricostruire gli alloggi bruciati – cinque milioni – ci sono, ma vagano nei meandri giudiziari dei ricorsi contro la gara d’appalto. Nel quadro ben si inserisce l’indifferenza mostrata nel video dagli operatori di Lampedusa Accoglienza, l’ente gestore membro del Consorzio Sisifo di Legacoop, cui vanno 29,4 euro al dì per ogni ospite e il cui amministratore delegato Galipò è stato rinviato a giudizio per truffa aggravata e continuata. Per quella cifra è troppo chiedere il rispetto dei diritti umani?
Vogliamo ancora pensare che l’Italia fermi questo degrado nel suo lembo più estremo. La reazione sdegnata delle istituzioni dello Stato fa sperare. Ma tutto ciò non basta. Ha ragione il vescovo di Agrigento Francesco Montenegro a chiedere che, come cinque anni fa, Lampedusa torni ad essere porto di passaggio dove si viene soccorsi e in 48 ore si riparte. Ogni giorno in più diventa una violenza. L’eroismo e la solidarietà dimostrati dall’isola verso i migranti non meritano questa pagina nera.



“Trattati come macchine all’autolavaggio urlavano di spogliarci e ci deridevano”
L’autore del filmato: “Minacciato, lasciato senza cibo dagli operatori del Centro”
Fabio Tonacci e Francesco Viviano

«COME ebrei... quelli dei film dei nazisti neilager!». Pure in quel suo italiano minimo impastato di qualche termine straniero, si intuisce facilmente cosa c’è nella testa di Ahmed quando ricorda il “lavaggio”, l’estrema umiliazione consumatasi sulla pelle dei profughi nel piazzale davanti al padiglione bruciato del Centro di prima accoglienza di Lampedusa.
Lui, siriano, è uno di quelli là, gli immigrati nudi e infradiciati del video trasmesso lunedì sera dalTg2.Il 13 dicembre faceva la fila con gli altri, come gli altri non si sentiva più le mani e i piedi per colpa del freddo, con i capelli zuppi di acqua gelida. E non capiva. «Ridevano — racconta al telefonino che una fonte di Repubblica è riuscita a passargli dentro il Centro — ci gridavano qualcosa, ci hanno fatto spogliare perché loro non si avvicinavano, avevano paura della scabbia». Loro sono gli operatori della cooperativa “Lampedusa accoglienza” che ha in gestione il Cpsa. Nomen non omen, a giudicare da quel trattamento sanitario così vergognoso e difficile da giustificare.
«Scaricavano acqua fortissima sui nostri corpi — continua Ahmed, che nasconde il suo vero nome per paura di rappresaglie — ci faceva male». Dolore fuori. E dentro. «Tutti nudi, uno accanto all’altro. Provavo grande imbarazzo. È stato terribile... perché ci hanno trattato come macchine all’autolavaggio?». La sua domanda rimane appesa, Ahmed chiude la comunicazione e torna a riposarsi sul suo materasso lercio buttato a terra sotto la tenda fatta con le coperte termiche. È “guarito”, la scabbia non c’è più. Ma al Centro l’aria è ancora irrespirabile.
Da tre giorni Kahlid ha paura delle ombre. È il ragazzo siriano autore del filmato girato con uno smartphone dalla collinetta sopra il piazzale e consegnato al “Comitato 3 ottobre”. Una data, quella, che ha inciso nell’anima: ilgiorno in cui è arrivato a Lampedusa. E da lì non si è più mosso. «Sono stato minacciato da quattro operatori della cooperativa — denuncia — mi hanno detto “ti rompiamo il culo”, “se esci da qui ti ammazziamo”». Temono guai, rischiano il licenziamento. «Da ieri non mi danno più da mangiare, né da bere, né sigarette. Io volevo solo dimostrare i maltrattamenti che subiamo». Sono quasi 70 giorni che sta nel Centro, in attesa di essere sentito dal magistrato per il riconoscimento dello scafista che lo ha portato in Italia. «Le condizioni igieniche sono inumane, non abbiamo coperte, siamo ammassati uno sull’altro, i bagni non funzionano». Ore di imbarazzo per chi quel Cpsa è stato chiamato a gestire e oggi sitrova sotto accusa.
La Cooperativa “Lampedusa Accoglienza” appartiene al Gruppo Sisifo, che ha una serie di imprese della Lega Coop. Nel 2012, come documenta una recente inchiesta dell’Espresso, ha ricevuto dallo Stato 3 milioni e 116 mila euro e incassa da 30 a 50 euro per ogni profugo ospitato per ogni giorno di assistenza. Eppure làdentro gli immigrati mangiano e dormono per terra, si diffondono epidemie di pidocchi e scabbia, i bagni sono inguardabili, cani randagi urinano sugli zaini. Si vive nella promiscuità. «Ci sarebbe uno spazio dedicato a donne e bambini al quarto piano di una delle palazzina — spiega Raffaela Milano, di Save the Children — ma ci dormono anche gli uomini perché non trovano altri spazi». In queste condizioni, nessuno si stupisce che si diffonda la scabbia. Così come nessuno crede davvero che la disinfestazione con le pompe d’acqua all’aperto sia soltanto un episodio. «Ci risulta che sia stato fatto altre volte in passato», dice Raffaela.
Come vengono spesi i soldi che arrivano dallo Stato? Anche di questo dovrà rendere conto l’amministratore delegato di “Lampedusa Accoglienza”, Cono Galipò, oltre che del “lavaggio” di massa in piazza. Il vescovo di Monreale, monsignor Francesco Pennisi, una spiegazione se l’è già data. «C’è chi approfitta delle sventure altrui per fare affari. Al Cara di Mineo nel cosiddetto “villaggio della solidarietà” ci sono imprenditori del Nord, cooperative legate a politici, fornitori di servizi. Così i centri di accoglienza rischiano di diventare “affari di stato”».



Se la dignità non vale nulla
Le immagini vergognose nel video esclusivi del Tg2 e i commenti cinici arrivati in rete
l'Unità, 18-12-2013
Valeria Viganò
POMPE CON DISINFETTANTE ALL’ITALIANA. QUESTO POTREBBE ESSERE IL TITOLO DEL VIDEO, CHE GIUNGE DA LAMPEDUSA, nel quale si vedono gli addetti del Centro di accoglienza che spruzzano il loro getto pesticida sui corpi denudati completamente di uomini e donne, a braccia e gambe aperte contro un muro, in mezzo alla strada. Lo scopo è eliminare la scabbia, lodevole assistenza medica che stride con il metodo barbaro. Ma immediatamente compaiono altre immagini.
Sono le immagini che si aprono nella mente di chi ricorda, per esperienza diretta o per aver visto moltissimi tragici documentari sui campi di concentramento nazista: deportati che venivano spogliati e irrorati prima di mettersi la divisa a righe e finire ammassati nelle baracche. Lo scopo allora era umiliarli e togliere da subito qualsiasi dignità, a scanso di equivoci. Non c’erano più nomi, storie, sentimenti e relazioni ma numeri, e il numero non prevede pudore, rispetto, identità.
Un Paese civile come il nostro (ma sul concetto di civiltà e diritti l’Italia è in zona retrocessione) dovrebbe in automatico garantire la considerazione della dignità della persona. Non ci sarebbe voluto molto, a ben pensarci, l’accortezza di un luogo al chiuso e pulito, un bagno, permettere di spogliarsi in una stanza, e non essere trattati come bestie in un recinto. Persino i cani, i nostri cani li laviamo con più attenzione e cura. E se è inverno, lo facciamo al caldo. Sembrerebbero considerazioni di buon senso e sensibilità, e la solidarietà per chi subisce questo trattamento sia un esito scontato.
Invece no, il video delle pompe, stile lavaggio auto, ha suscitato commenti in rete che sono peggio delle immagini. «Adesso ci dobbiamo preoccupare anche di essere gentili, se ne stessero a casa loro, di cosa si lamentano, già gli salviamo la vita e spendiamo migliaia di euro, li curiamo persino dalle loro malattie». E infine, un’esilarante «quante storie, non faceva nemmeno freddo». Quindi potevano starsene nudi davanti a decine e decine di compagni e volontari, in mezzo alla sporcizia, all’aperto, visibili a chiunque. Come vorrei che, per un insolito colpo di sfortuna che la vita talvolta riserva, si ritrovassero loro, i commentatori cinici, a essere denudati e esposti, messi contro uno schifoso muro e pompati con il disinfettante, uomini, donne e bambini come al tempo di guerra. Espropriati dell’intimità, i sessi di fuori, i piedi nella palta. Che scena vergognosa, commenterebbero altri cinici patrioti.
Serie A e serie B, così va il mondo. E invece no, non dovrebbe. E se le pari opportunità nella vita sono ancora un miraggio, almeno la pari dignità umana deve darsi per acquisita in una democrazia fondata su valori che la prevedono e ne sono le fondamenta.



Vergogna, immigrati nudi in cortile per la disinfestazione anti-scabbia
Libero, 18-12-2013  
CHIARA PELLEGRINI

Faccia al muro, nudi in pieno inverno, in fila, a turno, uomini e donne, come fossero bestiame, senza alcuna pudicizia né rispetto, sono sottoposti alla disinfestazione contro la scabbia. Eccoli, nel racconto di Klhalid, un «ospite» del centro, gli immigrati del centro di accoglienza di Lampedusa nelle immagini girate dagli stessi migranti e andate in onda sul Tg2. Non è una nuova Abu Ghraib, la prigione di centrale di Baghdad dove tra l'ottobre e il dicembre 2003, furono inflitti a diversi detenuti numerosi abusi. Certamente, però, a distanza di due mesi dagli sbarchi che commossero l'Italia, il caso di Lampedusa solleva un'ondata generale di indignazione, «Il trattamento riservato agli immigrati nel Centro di Lampedusa è indegno di un Paese civile», ha commentate il presidente della Camera, Laura Boldrini. Di più, dice la presidente, «quei trattamenti degradanti gettano sull'immagine del nostro Paese un forte discredito e chiedono risposte di dignità». Severo anche il giudizio del ministro dell'Interno, Angelino Alfano che ha richiesto , alla Prefettura di Agrigento e all'Ente gestore, «entro 24 ore», una relazione dettagliata su quanto avvenuto. «Accerteremo le responsabilità», ha detto Alfano, «chi ha sbagliato pagherà». Per il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, le immagini dei profughi disinfettati con una pompa ricordano «i campi di concentramento di Auschwitz. È come se non si avesse rispetto per la dignità umana». Cose «inaccettabili in uno Stato democratico» afferma il ministro perl'integrazione, Cécile Kyenge. «Anch'io, come il ministro Alfano», dice Kyenge, «penso che bisogna intervenire sulle procedure di assegnazione ma anche cercare le responsabilità, chi ha sbagliato deve pagare». Pesante il monito dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che chiede al governo italiano «soluzioni urgenti per migliorare gli standard di accoglienza». II centro, infatti, è stato realizzato per fornire una prima accoglienza ai migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare, in attesa del loro rapido trasferimento - entro 48 ore al massimo - verso appositi centri dislocati su tutto il territorio nazionale, dove i loro casi vengano presi in esame. Stando, invece, al video trasmesso dal Tg2 gli immigrati stanziano anche due mesi sull'isola siciliana. Come i 26 Cittadini siriani ed eritrei, alcuni dei quali sopravvissuti ai terribili naufragi di ottobre, che secondo Unhcr, si trovano a Lampedusa da oltre due mesi a disposizione della Magistratura come testimoni. «I lavori di ampliamento del centro, che l'Unhcr chiede dal 2011 e che erano recentemente iniziati», ha spiegato Laurens Jolles, delegato dell'Unhcr per l'italia e il Sud Europa, «sono attualmente bloccati a causa della presenza troppo numerosa di ospiti». Una cane che si morde la coda. Il centro infatti ha una capienza originaria di 850 posti, numeri puntualmente disattesi ad ogni sbarco. «Una parte delle responsabilità di quanto successo e continua a succedere è anche dell'esecutivo», polemizza Marco Griffini, Presidente dell'associazione "Amici dei Bambini", che chiede una «cabina di regia» e l'attivazione di strutture alternative e «a misura familiare, come è stato fatto ad esempio a Messina, e in tante altre città della Sicilia».
Ieri la Marina militare ha recuperato 110 uomini a bordo dell'ennesima carretía del mare a sud di Lampedusa. Sul gommone anche un cadavere. Tra i migranti recuperati, persone provenienti da Ghana, Mali, Togo, Gambia e Pakistan.



L'UMANITÀ PERDUTA DIETRO QUELLE IMMAGINI
Corriere della sera, 18-12-2013
MARCO IMARISIO
Le immagini parlano da sole. La dignità di quegli uomini nudi davanti ai getti di acqua gelata andrebbe sempre tutelata e protetta. Finché esiste l'obbligo di tenere i migranti in centri che di accogliente hanno solo il nome, devono essere trattati con rispetto. Perché è giusto, punto.    
Non è buonismo, è un dovere. Si chiama umanità, un prerequisite morale che non dovrebbe essere evocato solo dopo un video che farà il giro del mondo contribuendo al nostra buon nome. Le persone prese in custodia dallo Stato hanno diritto a un trattamento dignitoso. È un concetto semplice, sul quale a parole tutti sono d'accordo. Ma da noi fare finta di niente è uno sport nazionale, vedi alla voce carceri. Appena dopo la tragedia dello scorso 3 ottobre, quando 360 persone annegarono a pochi metri dalla riva, il Centra di Lampedusa è stato meta di un pellegrinaggio continuo. I politici entravano, vedevano i bivacchi in cortile, la sporcizia ovunque. Dicevano «lager» e «obbrobrio», se ne andavano. Laura Boldrini, il presidente della Camera che per via della sua vita precedente quel posto lo conosce meglio di tutti, vi condusse una pattuglia di parlamentari armati delle migliori intenzioni. I più diligenti scattarono delle foto. Si fecero anche raccontare la storia di quel luogo. Nell'autunno del 2011 l'incendio appiccato dai migranti che protestavano per i tempi di permanenza troppo lunghi danneggiò l'ala più grande della struttura. La capienza scese da 850 a 254 posti letto garantiti, senza più risalire. Da quel giorno ogni politico in visita si è premurato di dire che ci pensa lui, che i lavori inizieranno presto, questione di pochi giorni. A Lampedusa stanno ancora aspettando. Le condizioni precarie di un posto dove due edifici su tre sono mangiati dalle flamme, l'assenza di spazi che logora i rapporti tra le persone, non sono e non devono essere una giustificazione per una linea di decenza che in luoghi come questi viene spesso oltrepassata senza neppure rendersi conto. Quando non è seguita da fatti concreti, come purtroppo capita sempre, l'indignazione è solo benzina per le battaglie di principio, ma non cambia lo stato delle cose. Aila fine qualcuno pagherà, certo. E subito dopo dimenticheremo le cause e i drammi che stanno dietro a quelle immagini, per tornare veloci alle nostre faccende quotidiane, sentendoci migliori di quel che siamo.
 


I costi disumani dei Cie e dei respingimenti, spiccioli per l’accoglienza
l'Unità, 18-12-2013
Quanto costa la politica immigratoria italiana basata sui respingimenti, sulla legge Bossi-Fini, sui centri di identificazione detti Cie e i Cara per i richiedenti asilo? L’associazione Lunaria, tra i promotori della campagna «L’Italia sono anch’io» per riformare le norme sulla cittadinanza dei bambini figli di migranti nati in italiani, ha fatto i conti con due rapporti. Il primo, dell’anno scorso, si chiama «Costi disumani» e il secondo, presentato il mese scorso, «I diritti non sono un costo» (entrambi disponibili online sul sito www.lunaria.org). In base ai dati raccolti e riferiti al 2011 emerge che l’Italia stanzia il 2,07 per cento del totale della spesa pubblica sia per politiche di contrasto all’immigrazione clandestina sia per accoglienza e inclusione sociale degli immigrati. Ma queste ultime in particolare rappresentano solo lo 0,017 per cento ( pari a 123,8 milioni). Il doppio circa (247 milioni) viene impiegato solo per le cosiddette «politiche del rifiuto». Gli immigrati, pur concentrandosi in professioni dequalificate e lavori sottopagati, contribuiscono all’erario con un peso del 4, 1 per cento rispetto al gettito fiscale complessivo nazionale.
Questo soprattutto perché essendo una popolazione più giovane rispetto alla media degli italiani, sono nel pieno dell’età lavorativa. Secondo le stime di Unioncamere contribuiscono al valore aggiunto del 12,8 per cento del totale nazionale, per una somma pari a 178,5 miliardi di euro. E più regolari sono più pagano in termini di contributi e tasse. Nel frattempo aumentano da 9 a 59 miliardi i fondi comunitari dedicati all’inserimento sociale e lavorativo degli immigrati. Se l’Italia saprà utilizzarli, come con il modello Sprar, genereranno lavoro e ricchezza anche per gli italiani.



18 dicembre. Oggi è la Giornata Internazionale del Migrante
Eventi in tutta Italia dedicati all’immigrazione. Anche per ricordare l’adozione di una Convenzione Internazionale che però l’Italia non ha ratificato
stranieriinitalia, 18-12-2013
Elvio Pasca
Roma – 18 dicembre 2013 – Si celebra oggi in tutto il mondo, come ogni anno, la Giornata Internazionale del Migrante. Anche in Italia sono previste molte iniziative: confronti, proposte, denunce e riflessioni sui cinque milioni di nuovi cittadini di questo Paese.
Perchè oggi? La data non è casuale. Il 18 dicembre del 1990, al termine di un percorso quasi ventennale, l’assemblea generazione delle Nazioni Unite adottò infatti la “Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie” .
Fu una tragedia dell’immigrazione, verificatasi nel 1972, a spingere la comunità internazionale ad avviare un confronto che avrebbe portato all’adozione di questo strumento giuridico, per  tutelare quanti hanno lasciato il loro Paese d’origine per costruirsi altrove un futuro migliore. Un camion che ufficialmente doveva trasportare macchine da cucire ebbe un incidente all’interno del tunnel del Monte Bianco, morirono ventotto lavoratori originari del Mali che, nascosti nel rimorchio, cercavano di raggiungere la Francia.
I novantatre articoli della Convenzione, tra le altre cose, vietano le discriminazioni, i trattamenti disumani e lo sfruttamento, e sanciscono una lunga serie di diritti indipendenti dallo status legale dei lavoratori migranti. Parlano ad esempio di accesso alle cure essenziali, di libertà di espressione, religione o associazione, garantiscono l’istruzione di base per i loro figli, combattono gli arresti arbitrari e le espulsioni collettive.
I migranti regolari hanno naturalmente diritti aggiuntivi, come quello alla parità di trattamento con gli autoctoni nell’accesso all’istruzione, all’orientamento e alla formazione professionale, agli alloggi anche popolari, ai servizi sociali e sanitari. Dovrebbero inoltre essere coinvolti nelle decisioni che riguardano la vita e l’amministrazione delle comunità locali. Si tutela poi la famiglia, favorendo i ricongiungimenti ed estendendo molti dei diritti del lavoratore migrante ai suoi familiari.
Quel testo ha ormai ventitre anni, ma finora l’hanno ratificato meno di cinquanta Stati . Si tratta per lo più di Paesi del cosiddetto “sud del mondo”, mentre mancano all’appello quelli dell’Europa e del Nord America che pure oggi sono la terra promessa per tanti lavoratori migranti.
Tra gli assenti, c’è anche l’Italia. La nostra legislazione, va sottolineato, è già ampiamente coerente con la Convenzione. Una situazione che rende ancora meno giustificabile il ritardo nel fare nostro il testo adottato dall’Onu, un passo per ribadire che l’immigrazione è un tema globale e globale deve essere la difesa dei diritti dei suoi protagonisti.

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