Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

19 luglio 2013

Protezione internazionale: il rapporto “Le voci sospese” analizza le criticità della procedura per il rilascio.
Iniziativa dell’Associazione Senzaconfine “un sistema che non offre al richiedente garanzie che la sua storia individuale venga valutata nel modo più corretto e completo”.
Immigrazioneoggi, 19-07-2013
Carenze e criticità nella procedura di rilascio della protezione internazionale ai richiedenti asilo sono al centro della ricerca Le voci sospese realizzata dall’Associazione Senzaconfine con la collaborazione di “A buon diritto” e presentata a Roma mercoledì scorso.
“Nel discorso pubblico e mediatico – si legge nella ricerca – si presuppone in maniera implicita che esistano criteri ‘oggettivi’ per stabilire se una persona sia meritevole di protezione oppure no. A uno sguardo più approfondito e ‘interno’ emerge con forza che tali criteri di oggettivo hanno spesso ben poco. Operatori di Senzaconfine hanno raccolto e analizzato i verbali di audizione e gli eventuali ricorsi presentati avverso decisioni negative della Commissione territoriale di Roma e li hanno confrontati con le storie narrate in prima persona ai membri dell’associazione da parte degli stessi richiedenti protezione. L’approfondimento ha consentito di far emergere aspetti particolarmente delicati riguardanti la qualità della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, in particolare carenze e criticità che portano a un diniego in prima istanza, a volte successivamente ‘ribaltato’ da una decisione del Tribunale. La procedura di fronte alle Commissioni territoriali competenti è quindi emersa come un passaggio che non offre al richiedente garanzie che la sua storia individuale venga valutata nel modo più corretto e completo. E questa situazione, nelle testimonianze dei protagonisti, è uno dei motivi per i quali sempre più richiedenti asilo cercano di raggiungere Paesi europei diversi dall’Italia”.
Per quanto riguarda l’ascolto da parte delle Commissioni territoriali ecco alcune delle criticità analizzate: difficoltà relative alla qualità della comprensione del richiedente nel corso dell’audizione; la natura stessa del colloquio innanzi alla Commissione con il suo portato di stress per il richiedente; la tendenza a sopperire alle carenze organizzative con l’abbassamento delle garanzie procedurali per il richiedente (si vedano i colloqui svolti alla presenza di un unico membro della Commissione, la redazione del verbale in forma sintetica e non integrale, la rilettura sommaria del verbale di audizione una volta terminato il colloquio); la tendenza a volte da parte della Commissione a utilizzare il colloquio come momento di verifica della credibilità in un’ottica di controllo piuttosto che di apertura al racconto del richiedente; la carenza di formazione rivolta ai membri della Commissione; la carenza di formazione rivolta agli interpreti.
Alla luce di queste criticità il rapporto dà una serie di raccomandazioni per migliorare la procedura. Eccone alcune: la selezione di tutti i membri delle Commissioni e non solo dei membri Unhcr in base alla loro esperienza in materia di protezione internazionale e, non come accade ora, alla mera scelta dai ruoli della Polizia di stato e della Prefettura. È inoltre auspicabile la partecipazione di esperti indipendenti qualificati che possano apportare un valore aggiunto di conoscenza approfondita dei contesti culturali di provenienza dei richiedenti, prevedendo l’unicità dell’incarico presso la Commissione al fine di garantire indipendenza e autonomia di giudizio; la formazione e l’aggiornamento continuo dei membri delle Commissioni anche attraverso seminari e approfondimenti sulle tecniche di audizione e sui Paesi di origine dei richiedenti; la creazione di un sistema informativo adeguato e consultabile pubblicamente contenente informazioni pertinenti, affidabili, accurate, aggiornate e verificabili in base alla fonte sui Paesi di origine delle persone che fanno domanda di protezione internazionale; la conduzione dell’audizione in via collegiale, laddove possibile, così come previsto dalla normativa, anche potenziando gli organici delle Commissioni stesse e prevedendo professionalità aggiuntive per le attività di supporto e istruttorie; la redazione dei verbali in maniera estesa e particolareggiata e mai sintetica, il più possibile fedele a quanto riferito nel corso dell’audizione, prevedendo sempre la presenza in Commissione di almeno due membri in modo tale che uno possa dedicarsi in maniera esclusiva alla verbalizzazione nel corso dell’audizione, e la loro rilettura puntuale al richiedente; la redazione particolareggiata delle motivazioni della decisione; l’adeguata formazione degli interpreti.
Infine, l’accesso dei richiedenti diniegati al gratuito patrocinio per un effettivo esercizio del diritto a presentare ricorso; una previsione più favorevole circa i tempi entro i quali proporre ricorso (attualmente entro 15 o 30 giorni a seconda dei casi), viste le difficoltà linguistiche e culturali di comunicazione con i richiedenti diniegati; la reintroduzione a livello legislativo di un effetto sospensivo automatico che tuteli il ricorrente da un concreto rischio di espulsione verso un Paese nel quale non è ancora stato stabilito che possa essere inviato.



Immigrati. Marina soccorre gommone con 85 persone a largo Lampedusa
Internazionale, 19-07-2013
(ASCA) – Roma, 19 lug – La Marina militare ha soccorso un gommone con 85 persone a bordo a largo di Lampedusa. Nello specifico – riferisce una nota – l’allarme, lanciato da telefono satellitare, e’ stato raccolto dal Comando generale delle Capitanerie di porto, che lo ha girato alla Nave Sirio, Unita’ della Marina Militare in pattugliamento nel Canale di Sicilia.
Da qui e’ decollato l’elicottero che ha localizzato l’imbarcazione, le cui condizioni di galleggiabilita’ sono immediatamente apparse molto critiche.
Il comandante di Nave Sirio, capitano di fregata Emanuele Di Franco, raggiunto il gommone e constatate le sue pessime condizioni di navigazione, ha dichiarato situazione di emergenza, dando il via alle operazioni di recupero dei migranti.



Sbarchi senza tregua Lampedusa rïschia di essere lasciata sola
Avvenire, 19-07-2013
VIVIANA DALOISO
L'emergenza tornai li, al cuore del Mediterraneo. E con l'emergenza l'indifferenza. Mentre negli occhi passano ancora le immagini del Papa commosso davanti ai migranti, della folla sterminata nel campo sportivo, delle parole taglienti come spade rivolte ai "grandi" d'Italia e d'Europa, Lampedusa collassa di nuovo sotto il peso della disperazione. Che arriva dal mare, in carne ed ossa.
Tra la notte di mercoledi e la giornata di ieri sono stati 700 gli immigrati soccorsi nel Canale di Sicilia e trasportati sull'isola. Un nuovo carico di sofferenza e speranza che si rovesciano - in parti uguali- sul piccolo molo, dove porte e braccia restano aperte. Le notizie corrono sulla radio della Guardia costiera come una cantilena: «Intercettato gommone in precarie condizioni con 69 migran-ti», «Sos da due imbarcazioni con 31 e 89 persone a bordo» e ancora «avvistata carretta di 12 metri con circa 200 uomini a bordo in acque libiche». Gli immigrati arrivano a gruppi nel porto: prima 15, poi 80, poi altri 100. Trovano aiuto, accoglienza, umanità.
Da domani una mano in più la daranno i volontari di Amnesty International, per il terzo anno consecutivo sull'isola per il campo sui diritti umani, un'iniziativa promossa per ribadire l'impegno a fianco dei lampedusani e per ringraziarli della loro generosità. I muri dei paese verranno dipinti con le storie dei bambini, delle donne e degli uomini in fuga da condizioni di vita drammatiche. Sarà or- ganizzata anche una raccolta fondi online (sarà possibile partecipare collegandosi al sito www.murales-per-lampedusa.it). Ma ancora non basta. A Lampedusa serve di più. Il sindaco, Giuseppina Maria Nicolini, ha le idee chiare: «Va cambiata la Bossi-Fini, con l'abolizione di tutte le norme sull'immigrazione; va cambiato il decreto sicurezza Maroni, con l'abolizione dei Cie e la modifica della logica dei mega centri di permanenza. E poi i Comuni vanno coinvolti, perche è proprio sui territori che il fenomeno mag- giormente incide. Per questo non ha senso la logica dei centri extraterritoriali, per entrare nei quali, ad esempio, il sindaco deve chiedere l'autorizzazione». La Nicolini di emergenza non vorrebbe nemmeno sentire più parlare: «Per noi gli sbarchi sono la nor- malità, con questo problema ci conviviamo ogni giorno e non mi pare che siano ancora arrivati segnali chiari dal governo, se non appunto le dichiarazioni di buone intenzioni». Eccola di nuovo, l'indifferenza condannata da Papa Francesco. Ecco l'immobilità dei governi, di un Europa paralizzata dai suoi problemi finanziari, lontana più che mai dal "faro" dei Mediterraneo che accarezza e sfama i più deboli. Per questo faro Àvvenire ha rilanciato, a partire da ieri, una proposta "forte": quella di candidare la gente dell'isola al Premio Nobel per la pace. Un riconoscimento che, oltre al suo valore simbolico, anche dal punto di vista economico (con il milione di euro che prevede) potrebbe aiutare l'isola nel difficile compito di occuparsi delle migliaia di migranti che ogni anno, con l'estate, si riversano sulle sue coste. Dopo gli onorevoli Renato Schifani e Anna Finocchiaro, e il governatore del Veneto Luca Zaia, anche Legambiente ieri ha sottoscritto la proposta: «Sarebbe giusto premiare la cultura e la civiltà dell'accoglienza di questa gente - ha spiegato il presidente Vittorio Cogliani Dezza -. E ora che lo Stato Italiano premi i lampedusani non solo con la candidatura al Nobel, ma anche con l'implementazione ed il potenziamento di tutti i servizi di cui si sente ancora la mancanza nell'isola, in termini di trasporti, comunicazione, energia sostenibile e innovazione».



Migranti a 13 anni
Save the Children avverte: il numero di minori che attraversano il Mediterraneo da soli per giungere in Italia continua a salire. Un viaggio sconvolgente. Ma dopo il loro arrivo cosa accade? Ecco la storia di 20 piccoli Ulisse
la Repubblica, 18-07-2013
Ilaria Lonigro
Mentre i genitori a casa non chiudevano occhio e pregavano che tutto andasse bene, loro si sono imbarcati su una carretta nel nero del Mediterraneo di notte. Per alcuni era una novità: non avevano mai visto il mare. Da Alessandria d'Egitto sono partiti verso la Sicilia. Firas, 12 anni, e Mohammad, 14. Labib, 15. Ala, 16. Ce l'hanno fatta, dopo due settimane di onde alte, poco pane e acqua ancora meno. Per il Ministero di Giustizia sono i minori stranieri non accompagnati. In qualsiasi altra lingua, si chiamano miracolati. E sono sempre di più, lo dicono i dati di Save the Children: 460 i minori sbarcati dall'inizio del 2013 a Lampedusa, di cui 411 non accompagnati. Tre volte tanti rispetto allo stesso periodo del 2012. Ma dopo il loro arrivo cosa accade? Siamo andati a scoprire la storia di 20 di loro, un gruppo davvero speciale.
È il dicembre 2011 quando i nostri 20 Ulisse, lasciata la Sicilia, arrivano a Milano in treno. Chiedono aiuto. Quindici di loro sono accolti alla Casa della Carità. Sono vivi, ma sconvolti. Serve qualcosa che li aiuti a rielaborare il viaggio. Devono poter dire cos'è per loro il mare e liberarsi dall'incubo. Così, in collaborazione con il Comune di Milano e Casa Elena, parte un progetto di arteterapia. Si chiama Shay, parola araba che significa "tè": a ogni incontro, i ragazzi lo preparano e raccontano un'usanza di accoglienza nel loro Paese. Poi dipingono. Con le mani, le spatole, i pennelli, con pastelli, acrilico e spugne. Shay dura 4 mesi, durante i quali imparano le tecniche sotto la guida dell'artista terapista Erika L'Altrella, 30 anni, e della coordinatrice Serena Pagani, 36. Con l'aiuto dei colori e dei gesti, i ragazzi iniziano a farsi capire e a raccontarsi: se alcuni hanno un'alta istruzione, infatti, altri parlano solo un dialetto, incomprensibile anche al mediatore culturale.
Sono arrivati a Milano perché è la città che sognavano. M. non voleva zappare i campi ad Asiut, basso Egitto, come il padre e il nonno prima di lui. I. ha lasciato il lavoro in cantiere a Monofiya, a nord del Cairo, affascinato dai racconti di un ragazzo del suo paese. "Quando tornava a Monofiya vestiva elegante, guidava una bella macchina e raccontava un gran bene della sua vita in Italia" racconta. Ma era una copertura per coprire il fallimento. "Quando ho incontrato quel ragazzo a Milano" continua I., "ho scoperto che faceva una brutta vita, che lavorava poche ore in un'impresa di pulizie e che la macchina che guidava in Egitto l'aveva affittata, non era sua, non se la poteva permettere. Gli ho detto: sei proprio un co...". Ora che è in Italia I. vuole trovare un lavoro, risparmiare, avere due figli: "Un maschio e una femmina".
"Abbiamo dovuto lavorare molto sulle loro attese tradite, sui sogni infranti. Ma è importante puntare su tutto ciò che di vitale c'è. E loro hanno una grande energia, speranza. E tanta fiducia" ammette Serena Pagani, coordinatrice del progetto di arteterapia. Che ai ragazzi ha chiesto cosa significasse per loro il mare. "Le onde erano troppo alte. Ho capito che potevo morire, ma a quel punto non aveva neanche più importanza" ha raccontato Baha. "Un ragazzo scherzava, ha detto che ora preferisce la piscina" ricorda Serena. L'hanno colpita le parole di un altro, che ha rivelato: "Certo che il viaggio è stato difficile. Ma per me il mare sono i delfini che seguivano la nostra barca nel viaggio verso l'Italia. Era la prima volta che li vedevo".
La meraviglia vince sull'orrore. Così sulle loro tele compaiono i pesci, le stelle, le luci notturne di una costa avvistata. E i simboli religiosi, tanti. Le moschee, perché Ibrahim e Mohamed K., così come Sayed, sono musulmani. E i crocifissi, le chiese: Bishoy, Girgise e Yousseff sono cristiani copti. Sulle tele 2 metri per 4, che hanno appassionato anche il gallerista Jean Blanchaert, hanno dipinto tutti insieme: la pittura in condivisione serve a trovare un proprio spazio e a lasciarne anche un po' agli altri. E poi ci sono gli autoritratti fatti senza specchio, per capire chi si è veramente. I colori sono sgargianti, come a urlare che l'esistenza è meravigliosa, comunque. Lo dicono le parole scritte su un quadro in arabo e italiano col blu: "Non c'è stop su questa strada della felicità".



La trave che Sartori non vede
il manifesto, 19-07-2013
Alessandro Dal Lago
Intorno al 1820, l'insigne naturalista francese Georges Cuvier esibiva all'Accademia reale di medicina di Parigi i corpi e gli organi di una scimmia e di una donna ottentotta, Saartjie Baartman, per dimostrare le somiglianze anatomiche tra gli animali e le africane. La storía dei calvario di Baartman, tra fiere, bordelli e teatri anatomici è raccontata da Abdellatif Kechiche in un film duríssimo del 2010, La Venere nera. Questa era la scienza di due secoli fa, in un'Europa che aveva già conosciuto Kant e Mozart e celebrava Goethe.
Questo era il culmine dell'illuminismo. Questa era la cultura scientifica e morale dei nostri antenati dell'altro ieri.
Ed eccoci qua, dopo duecento anni, a dover parlare degli insulti razzisti di un odontotecnico, finito, per chissà quali misteriosi disegni della provvidenza, a fare il vicepresidente del Senato. Quello che spaventa, davvero, è la continuità storica del razzismo europeo, il suo manifestarsi costante, limaccioso, ineliminabile. Ma spaventa ancora di più lo sfondo politico in cui le offese razziste al ministro Cecile Kyenge sono state pronunciate e penosamente ritrattate dal responsabile. Ebbene, il razzismo da osteria di Calderoli è talmente abietto da aver suscitato una riprovazione (quasi) unanime. Ma lo sfondo politico, quello dell'ostilità diffusa e trasversale ai migranti, resta e continuerà a produrre il suo veleno anche quando non si parlera più di Calderoli.
Detto in poche parole, al ministro Kyenge non si perdona l'iniziativa a favore del cosiddetto ius soli, e cioè la cittadinanza ai fi- gli dei migranti nati in territorio italiano. Esemplare in tal senso l'articolo di fondo di Sartori sul Corriere del 17 luglio. Secondo l'illustre scienziato politico, dietro le iníziative di Kyenge ci sarebbe l'abbandono dei marxismo-leninismo a favore del «terzomondismo». Pare di sognare, se si pensa a chi appoggia il governo Letta, di cui Kyenge è ministro. E non parlo del Pd, di cui nessuno capisce più le posizioni politiche. Ma Letta, Alfano, Quagliariello e gli altri in quota Pdl, nonché Berlusconi che appoggia il governo Letta: tutti terzomondisti? E sono terzomondisti gli stati dell'Europa del Nord, gli Usa e tutta l'America latina che praticano, in misura diversa, lo ius soli?.
Ma, a parte queste amenità, gli argomenti di Sartori contro la cittadinanza ai figli dei migranti si riducono a due: che l'integrazione degli stranieri non funziona perché a Torino gli immigrati di diversa nazionalità o provenienza non si parlano tra loro e che Kyenge è incompetente in quanto «oculista», lasciando intendere che è stata portata al governo da qualche lobby buonista o terzomondista.
Sulla competenza di Kyenge - un ministro tra i più attivi ed equilibrati, nonché dotata di una pazienza che in altri tempi le avreb- be garantito la santità - parlano i fatti. Ma che dire, caro Sartori, dell'odontotecnico razzista che tempo fa si era messo a riscrivere la Costituzione e di tanti altri nani, ballerine, diplomati alla scuola Radio Electra, studenti fuori corso a vita e simili statisti che riempiono da anni le aule parlamentari? Sono competenti costoro? O la competenza spetta solo agli scienziati politici?
Quanto all'altro argomento, non so davvero che succede a Torino tra diversi immigrati. Ma il motivo delle loro incomprensioni non sarà, anche, che non hanno qualcosa che li unifichi, come la cittadinanza? Il fatto cioè di non sentirsi perennemente ospiti precari di un paese che non dà loro diritti? E in questo senso, quando si batte per lo ius soli, non sarà forse il ministro Kyenge un po' più competente di tanti suoi critici?



Malia Zheng "Vi faccio conoscere i cinesi d'Italia"
Blogger e professionista dell'audiovisivo, nei suoi racconti c’è il volto della nuova Italia .“Il mio obiettivo è dare voce alla comunità cinese poiché non si esprime, si sente rifiutata”.
stranieriinitalia.it, 19-07-2013
Samia Oursana
Roma - 18 luglio 2013 - Malia Zheng è nata in Toscana venticinque anni fa da genitori cinesi. È laureata in media e giornalismo ed è co-autrice di WGR Project e blogger su “Il Tirreno”.
“Sono cresciuta tra Campo Bisenzio e Sesto Fiorentino, due piccole città e ovviamente ero l’unica cinese a scuola, ma crescendo questo fenomeno si è affievolito, nella mia classe c’erano sempre di più ragazzi con origine diverse. Fino alla maturità ho vissuto inconsapevolmente il mio essere cinese, perché non mi sono mai sentita “diversa”, sono sempre stata inserita nei contesti sociali che frequentavo”.
“Ho iniziato a conoscere Prato negli anni dell’università e fin da subito ho avvertito un clima di forte astio tra la comunità cinese e quella italiana, questa cosa mi colpì molto. In quel periodo conobbi l’associazione AssoCina attraverso la quale ho frequentato un laboratorio teatrale che ha portato alla realizzazione di uno spettacolo in lingua cinese che andò in scena a Roma e a New York”.
“Paradossalmente a Prato mi sono sentita cinese per due aspetti. Prima di tutto perché mi sono avvicinata alla Cina e poi perché ho vissuto sulla mia pelle gli stereotipi cinesi. Da queste esperienze, in me era scattata la voglia di far comunicare due mondi, che si sono avvicinati con il piede sbagliato e che si sono chiusi in sé stessi, senza cercare un dialogo se non quello del rifiuto”.
“WGR Project è un libro multimediale che si pone l’obiettivo di uscire dagli stereotipi attraverso le immagini e le parole. Con WGR cerchiamo di creare la consapevolezza del cambiamento, raccontando il nuovo volto dell’Italia. Le vite e le storie dei giovani cinesi di seconda generazione”.
“Dopo la laurea decisi di andare a studiare il cinese a Pechino, ci restai per circa un anno. Non era la prima volta che andavo in Cina, ma quello fu il mio primo viaggio consapevole, dove ho davvero conosciuto il mio paese d’origine, il suo popolo, la sua storia e le sue tradizioni”.
“Una volta tornata in Toscana mi ha contattato “Il Tirreno” per avviare una collaborazione con loro e da li è nato il mio blog “Incontri ravvicinati”. L’obiettivo che mi sono posta con questo strumento d’informazione è quello di dare voce alla comunità cinese poiché non si esprime, si sente rifiutata. Vorrei che i cinesi si sentissero protagonisti di questa nuova Itali



Permesso di soggiorno al brasiliano sposato con un genovese
Il Secolo XIX, 19-07-2013
La questura di Genova dove gli immigrati inoltrano le domande per ottenere il permesso di soggiornoGeonova - Per coronare il loro sogno sono volati, sei mesi fa, in Portogallo. Il cattolico Portogallo, che però già da tre anni ha dato il via libera ai matrimoni gay. Poi ognuno è tornato al suo Paese. Ora i protagonisti di quella cerimonia hanno ottenuto un altro via libera. E per la prima volta gli uffici dell’immigrazione di Genova hanno dato il semaforo verde al ricongiungimento di una coppia omosessuale.
Uno dei due sposi è un italiano, che vive a Genova. Ha quarant’anni e lavora nel settore dell’intrattenimento. Il compagno ha dieci anni in meno e vive (anzi, viveva fino a qualche giorno fa) in Brasile, dov’è nato. I due volevano vivere sotto lo stesso tetto, a Genova: il progetto, però, rischiava di infrangersi contro il problema della clandestinità.
Ma da qualche anno, le unioni civili celebrate all’estero, nei Paesi dell’Unione dove le “nozze” gay sono state ratificate, vengono considerate in qualche modo valide, in ossequio alle direttive della Corte europea di Strasburgo che ha sancito la tutela del diritto alla vita famigliare su tutto il territorio Ue. E così è arrivato l’ok alla richiesta dei due, anche se a stretto rigore di legge le unioni civili celebrate altrove non hanno ancor oggi alcuna validità nell’ordinamento italiano. Esiste però la possibilità di vagliare caso per caso. E la “valutazione”, questa volta, è stata positiva.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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