Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

16 dicembre 2011

Il 68% degli italiani pronto ad accogliere gli immigrati
La Stampa, 16-12-2011
FLAVIA AMABILE
ROMA - Tutto vero, in quest'ultima settimana gli italiani hanno mostrato il loro peggior razzismo, tra campi rom al rogo e senegalesi uccisi senza un solo motivo diverso dal colore della loro pelle. Ma non siamo cosi orribili come sembriamo. Anzi. In Europa siamo i più generosi nei confronti degli stranieri.
Il 68% è disposto ad accogliere chi lascia il proprio Paese per sfuggire alla povertà (68%), alle persecuzioni (71%), ai conflitti armati (79%) e ai disastri naturali (79%).
È quanto emerge dalla quarta edizione dell'indagine «Transatlantic Trends: Immigration 2011», presentata ieri a Roma. Lo studio ha sondato l'opinione pubblica americana ed europea (in cinque Paesi dell'Unione: Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna), su vari aspetti del dibattito interna di immigrazione e integrazione. I razzisti italiani? «Circa il 20% della popolazione, una percentuale modesta», risponde Piero Gastaldo, segretario generale della Compagnia San Paolo.
In tutti i Paesi europei la netta maggioranza degli intervistati si dichiara favorevole a una divisione del carico delia gestione dei flussi migratori provenienti dal Nord Africa. L'80% è d'accordo sul fatto che la responsabilità vada condivisa tra tutti Paesi dell'Unione Europea e non affrontata individualmente dal Paese arrivo degli immigrati come è avvenuto durante questa primavera durante gli sbarchi di profughi in arrivo dai Paesi delle rivolte nordafricane in corso. Il Regno Unito è il Paese che dimostra meno entusiasmo (68% favorevoli) e lo si può anche capire visto che non è direttamente interessato. L'Italia è il Paese più entusiasta, l'88% sono favorevoli, E anche questo è comprensibile.
Gli italiani sono anche i piü favorevoli ad un'autorità europea che fissi le quote di ingresso degli immigrati (60%, dato in crescita rispetto al 47% del 2010), a dispetto di quello che si poteva immaginare dal dibattito nato la scorsa primavera intorno ai continui sbarchi a Lampedusa.
Anche se generosi, gli italiani restano diffidenti. In Europa sono i più preoccupati. L'80% teme l'immigrazione irregolare e il 74% è convinto che gli immigrati presenti in Italia siano per lo più clandestine un dato quasi opposto a quello tedesco dove solo il 13% pensa agli immigrati come a degli irregolari.
Gli italiani però appaiono altrettanto preoccupati nei confronti dei governo e delle politiche adottate in materia di immigrazione. «L'indagine è stata condotta durante il governo Berlusconi ma era riferita ai governi in generale», precisa Gastaldo. L'83%, infatti, giudica l'operato del governo in materia poco o molto poco soddisfacente, con un incremento degli insoddisfatti del 70% rispetto all'anno scorso. È il dato più alto fra i Paesi considerati dello studio.
In generale, il sondaggio lascia capire che, tutto sommato, rispetto all'indagine precedente condotta un anno fa, l'atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti dell'immigrazione non è mutato. Anche andando indietro nel tempo, fino al 2008, anno della prima edizione dell'indagine, non emergone variazioni significative nella percezione dell'immigrazione come un problema o come un'opportunità: nel 2011 il 52% degli europei intervistati e il 53% degli americani ritengono l'immigrazione un problema piuttosto che un'opportunità, e il maggiore pessimismo si registra nel Regno Unito (68%).
Come già negli anni passati, americani ed europei continuano a sopravvalutare di gran lunga il numero di immigrati presenti nei rispettivi Paesi: in media i britanici affermano che gli immigrati rappresentano il 31,8% del totale contre un dato effettivo pari all'11,3%, e gli americani il 37,8% del totale, rispetto al 12,5 effettivo.



Da quelle morti una fratellanza rigenerata
Avvenire, 16-12-2011
ROBERTO MUSSAPI
sono sicuro che non saro frainteso. Ogni morte è la mia morte, la campana suona per te e per me, sempre. Questa la premessa, perche la sensazione che provo è che a volte una morte porti quasi immediatamente, miracolosamente, a un senso di rigenerazione. Non intendo essere frainteso, perche le famiglie dei martiri farebbero a meno dei loro martirio, immaginiamo le famiglie di innocenti assassinati senza nemmeno sapere perche, senza la stoica consapevolezza dei martirio. I neri assassinati a Firenze li preferirei vivi, ma poiché sono morti, e poiché la morte, in questo mondo, è inesorabile, sento (in me stesso, sulla stampa, attraverso i mass media, nei bar, in metropolitana, al mercato) che i due morti di pelle nera sono stati sacrificati per noi, e per il loro popolo di quel continente pieno di anima e di vita fluttuante, sono vittime sacrificali di una rigenerazione che sta avvenendo, subito.
Da millenni abbiamo superato l'idea del sacrificio umano (già i romani della mitica età dei Sette Re sostituirono un fantoccio al sovrano vecchio che veniva buttato nel Tevere), inteso come scelta di una comunità. Da molto tempo, per quanto si possa essere relativisti, è barbarie. Ma sappiamo che un sacrificio umano (perche nel momento dei sacrificio Egli fu un uomo, per poter soffrire fino in fondo, carnalmente con tutti noi) ha mutato il mondo. E da allora abbiamo assimilato, per lo piü inconsciamente (quindi piü profondamente) come certi lutti, certe morti, abbiano il senso di un sacrificio. Non solo Firenze (una delle città meno cromosomicamente e storicamente adatte e predisposte a razzismi e violenze fanatiche), ma 1'Italia si è come svegliata da un incubo, stordita. Quell'omicidio è stato vissuto da tutti come un'efferatezza, ha scatenato un senso di fratellanza che la parola solidarietà renderebbe riduttivo. Un africano comprenderà forse più in fretta di noi quanto sto cercando di scrivere: che a volte la morte crea rigenerazione, che i due senegalesi di Firenze non sono morti ma già rinati, anche in noi. Per l'africano il confine tra vita e morte è impalpabile, o comunque meno netto che altrove. Questa visione fa parte dei suo sostrato animico, persiste nel profondo indipendentemente dalla sua conversione al cristianesimo o all'lslam. Perche è dal punto di vista degli africani, dei neri, che io sto leggendo il tragico avvenimento. Non come "concittadini", no, molto di piü: come uomini che sono stati sacrificati, qui, nel cuore dell'ltalia, per i loro congiunti e noi congiunti a loro. L'«eclisse di umanità», magnifica metafora di Marina Corradi su queste pagine e su questo argomento, la «possibilità dell'odio» che sempre su queste pagine Davide Rondoni mette crudamente in luce, hanno subito un colpo mortale. L'Italia esce dallo scioccante incubo rinforzata in quelle sue componenti Cristiane, socialiste e laiche (difesa dei deboli e dei diritti dell'uomo), ricordate da Paolo Borgna, il meglio della nostra tradizione. E aggiungo, sabato l'Italia avrà la pelle più nera. Sento che da queste morti comprensione e scambio interreligioso non saranno soltanto aspirazioni ed esortazioni della Chiesa, ma sempre piü realtà incarnata. II nostro Paese ha vissuto la notizia come uno choc, è rimasto stordito qualche minuto o qualche ora, ma si è scosso indignato, più bello e più forte di prima. Passata l'incredulità, cresce la fratellanza. Sabato a Firenze, accanto a Santa Croce dove Ugo Foscolo trasse l'ispirazione per il canto delia eternità dell'amore umano, si muoverà una sola tribù, a cui da qualche giorno ancor più apparteniamo.



Per i senegalesi il vero nemico è Renzi
I venditori abusivi contro il sindaco: è lui che ci criminalizza. E Matteo rispolvera la cittadinanza ai figli degli immigrati
Libero, 16-12-2011
CHIARA GIANNINI    
FIRENZE- La colpa della strage di Firenze? Per i senegalesi è del sindaco Matteo Renzi e della sua amministrazione. Dopo la tragedia di piazza Dalmazia, tra la comunità meglio integrata nella regione non scorre solo la rabbia contro Casa Pound e l'estremismo di destra. I senegalesi se la prendono anche con il primo Cittadino del Pd perché - a sentire loro - in anni di abusivismo commerciale e battaglie contro gli ambulanti irregolari da parte dell'amministrazione non hanno avuto voce in capitolo. Tutto il dissenso si tocca con mano leggendo i volantini diffusi dall'associazione nazionale antirazzista interetnica "3 Febbraio" (alla lettera, visto che il documento è in lingua francese, Association nationale antiraciste Interethnique 3 Février), in cui si accusa chi governa la città di avere una parte in causa nell'accaduto. Traducendo dal francese: «A Firenze il consiglio comunale ha delle responsabilità. In nome del decoro della città e della legalità loro mettono in opera da anni delle campagne di criminalizzazione contro i venditori ambulanti (e non solo, rammentiamoci delle decisioni prese nei confronti dei lavavetri) attraverso la repressione da parte della polizia e l'interdizione di spazi di vendita». Parole chiare, decise, che si fanno ancor più gravi quando si fa riferimento a ulteriori responsabilità non solo da parte della giunta e del consiglio comunale, ma ascrivibili anche all'intero popolo italiano, in particolare ai politici e ai media, rei di aver creato odio razziale nei confronti degli immigrati. «Questi gravi fatti» - si legge ancora nel volantino - «si sviluppano a causa dei clima di indifferenza e in certi casi di complicità difusa da parte della popolazione italiana. Le leggi dello Stato italiano e le campagne di criminalizzazione degli immigrati, fatte attraverso i politici e i media, sono altresi responsabili: indirizzano questo clima di odio e xenofobia».
Qualcuno racconta in questi giomi di manifestazioni di intolleranza nei confronti degli italiani, che da clienti fedeli sa- rebbero diventati nemici dai quali difendersi. «Ti avvicini alle bancarelle e se non compri ti insultano», dice qualcuno, altri raccontano di una donna minacciata con il gesto di tagüarle la gola durante la rivolta spontanea seguita alle morti per mano di Casseri.
Ma nonostante il clima incandescente i senegalesi annunciano che la manifestazione di domani si svolgerà in maniera pacifica: «Non ci sarà nessun gesto eclatante» - spiega Mballo Gueye, uno dei tanti abusivi che ieri a San Lorenzo era impegnato a distribuire i manifesti di invito alla protesta - «almeno da parte nostra». «Noi vogliamo solo far capire che questo odio deve cessare, che anche i venditori regolari devono smettere di avercela con noi - prosegue -. Ci sono gruppi pericolosi, che ce l'hanno con noi immigrati. Vogliamo i nostri diritti, siamo esseri umani e vogliamo vivere in Italia senza problemi. E poi è giusto che associazioni come Casa Pound o simili vengano chiuse, perche lavorano ogni giorno per aumentare la discriminazione razziale». Sulla stessa scia un connazionale, Modoy Ndiaye: «Abbiamo paura, più volte siamo stati minacciati dagli italiani».
Intanto il primo Cittadino "rottamatore" rispolvera il sempre verde slogan dell'integrazione attraverso la cittadinanza data ai figli di immigrati nati in Italia: «Sarebbe un gesto di normalità - ha detto - un gesto per il quale ci allineeremmo agli altri Paesi civili». Poi basta attraversare il guado mentale che separa persone abituate a convivere a pochi centimetri l'una dall'altra - lo spazio che separa le bancarelle abusive da quelle regolari - e gli Italiani ti raccontano di «furti e spaccio» che si consumano al mercatino di San Lorenzo, cosi come in piazza Dalmazia e di anni di una quasi esasperata lotta ali'abusivismo commerciale. «Dopo ciò che è accaduto c'è rabbia e tensione» chiarisce uno di loro, Carlo Bocciolini: «Ero presente ed è stata una vera tragedia. E sinceramente credo sia frutto dell'odio razziale che si sta creando in Italia. Molte di queste persone straniere sono amiche, io stesso ho preso a lavorare due rumeni, anche se devo dire che piti volte abbiamo fatto petizioni, inviate poi al sindaco, per combattere F abusivismo commerciale».
Per tin altro commerciante, Franco Generini, invece «Casseri, probabilmente, era solo uno squilibrato». Anche se am- mette che la Procura dovrebbe indagare all'interno «delle associazioni estremiste. Ma non solo di destra, anche di sinistra». E poi c'è la voce fuori dal coro, quella di Marco Gabellieri, che non cede al buonismo: «Non parteciperò alla manifestazione di domani, perché per quanto ciò che è successo sia grave, razzismo e xenofobia non siano tollerabili, è anche vero che la protesta sarà presa come scusa per compiere atti vandalici e altri gesti non giustificabili, proprio come è successo l'altro giorno nei pressi della stazione Santa Maria Novella, dove alcuni senegalesi hanno rotto vetrine e spaccato alcuni motorini».



L'AMACA
la Repubblica, 16-12-2011
MICHELE SERRA
Chi ha visto in tivù o in rete Pape Diaw, portavoce dei senegalesi di Firenze, chi lo ha sentito parlare nel suo italiano evoluto e preciso, non può permettersi equivoco o distrazione o distorsione. Siamo di fronte a una comunità del tutto partecipe della vita sociale del nostra Paese, dei nostri diritti e dei nostri doveri. Chiunque alzi la mano contra queste perso ne accampando come pretesto la loro incompatibilità con la nostra comunità nazionale mente, e mente prima di tutto a se stesso. E chiunque, negli ultimi anni, ha diffuso la fola stupida e malvagia dell"'invasione" straniera come subdolo piano (di chi, poi?) per snaturare le nostre radici e la nostra identità. come hanno fatto anche politici di governo, e giornali a larga diffusione, è il cattivo maestro che alimenta la paranoia dei fanatici e arma la mano dei violenti. Mentre Pape Diaw parlava, la mia "identità" di italiano non solo non si sentiva in pericolo, ma percepiva, con orgoglio, come la mia vecchia lingua madre, nobile e marginale, grazie all'immigrazione può riacquistare nuova vita e nuova centralità. Mi chiedo quanti italiani razzisti siano capaci di onorare la nostra lingua come Pape Diaw.



Non è con le manette che si batte il razzismo
Arrestare i militanti di Roma per le opinioni xenofobe è controproducente. Se fossero liberi di parlare, sarebbe ancora più facile dimostrare i loro errori
il Giornale, 16-12-2011
Fabrizio Rondolino
Dopo gli orribili episodi di violenza razzista esplosi a Torino e a Firenze l’opinione pubblica si aspettava una giusta reazione dello Stato. La reazione c’è stata, ed è stata mediaticamente clamorosa: cinque attivisti del gruppo romano di estrema destra «Militia» arrestati, altri 11 sotto inchiesta. I reati? Associazione per delinquere finalizzata alla diffusione dell’odio razziale ed etnico, minacce, procurato allarme, apologia di fascismo. In pratica: «centinaia di scritte xenofobe sui muri di Roma», come hanno riportato i giornali.
La colpa dei razzisti di «Militia», dunque, è di essere razzisti. Cioè di manifestare un’opinione considerata odiosa e intollerabile. Sembra che nei loro piani ci fosse anche qualche attentato: ma, grazie al cielo, nessun imputato ha commesso il minimo atto violento. Il leader del gruppo, Maurizio Boccacci, si definisce «anarcofascista», sostiene che la Shoah sia «la più grande menzogna della storia», ammira Hitler e Priebke e odia «ebrei e negri». Sono tutte opinioni: orribili, nefaste, irricevibili. Ma sono opinioni, e nessuno dovrebbe avere il diritto di censurarle, né tantomeno di trasformarle in reato penale.
Misurare la pericolosità di un’azione è relativamente semplice; ma come si misura la pericolosità di un’idea? Valutarla in base alle conseguenze materiali di cui potrebbe essere causa non è semplice: prese alla lettera, ci sono affermazioni della Bibbia o del Corano che suonano come istigazioni all’omicidio. Applicare un criterio storico è impossibile, perché dovremmo mettere fuori legge non soltanto il comunismo, ma più o meno tutte le religioni, nel cui nome sono stati perpetrati massacri inauditi. Entrare nel merito delle varie opinioni, per valutarne ad esempio la compatibilità con il buonsenso, è a dir poco rischioso, perché anche il buonsenso è mutevole: centocinquant’anni fa negli Stati Uniti la schiavitù era per molti un’idea morale.
L’Occidente ha cominciato a porsi questi interrogativi nel Seicento, all’epoca delle grandi guerre di religione, e ne ha cavato fuori il pensiero liberale e l’idea di tolleranza. La coabitazione di idee diverse - questo il succo - è preferibile alla guerra civile. È da questa intuizione che nasce la modernità: senza il principio di tolleranza non avremmo né la scienza, né il libero mercato, né la democrazia. È il libero confronto delle idee che muove il mondo.
Il principio liberale ha una grande utilità pratica: consente di confutare le opinioni errate (o inutili, o superate) e di compiere, collettivamente, un passo verso la verità. Il presupposto perché il gioco funzioni è che la verità appena conquistata non sia considerata un dogma, ma un’opinione largamente condivisa. Diceva John Stuart Mill che l’unico modo per estirpare un’idea sbagliata è farla circolare il più possibile, così che possa venir confutata dal maggior numero di persone con il più vasto arco di argomenti. È un metodo che s’adatta perfettamente alle idee razziste, xenofobe, antisemite, negazioniste. Considerarle un reato (come purtroppo avviene non solo in Italia) non è soltanto una violazione evidente del diritto di ciascuno ad esprimere liberamente il proprio pensiero, ma è anche, e più pericolosamente, un aiuto insperato ai razzisti e agli antisemiti, aiutati nel reclutamento dalla segretezza e dall’aura di martirio.
Come ogni proibizionismo, anche quello delle idee alimenta un mercato nero; ed è qui, nella semiclandestinità, che il passo dall’opinione al gesto esemplare, dall’idea all’azione violenta può farsi possibile, se non probabile. Discutiamo invece liberamente del razzismo, e facciamolo con i razzisti. Anziché mandarli in galera, andrebbero invitati nelle scuole e ai talk show. Non sarà difficile dimostrare l’inconsistenza scientifica, l’aberrazione morale, la pericolosità pratica delle loro idee.



Tutti a Firenze senza vendette
Europa, 16-12-2011
Aly Baba Faye
Il terribile agguato razzista a Firenze che ha portato alla morte di due immigrati senegalesi, Mor Diop e Modou Samb, ha suscitato dolore e sdegno non solo tra i senegalesi, ma anche tra le persone che hanno a cuore i valori del rispetto e della dignità umana. La rabbia di fronte a un gesto così violento è comprensibile, ma non si deve cedere al risentimento e alla voglia di vendetta. Spesso, in questi giorni, mi capita di ripetere che se il razzismo è violenza, l’antirazzismo, allora, non può che essere non-violenza. Non nel senso di ignorare la violenza e di accettarla passivamente: la non-violenza non è segno di debolezza, ma è una forza di resistenza attiva.
Oserei dire un’arma morale contro la violenza. Questo è quel che ci hanno insegnato grandi militanti della dignità umana come Ghandi, Martin Luther King, Nelson Mandela.
Rammento a me stesso che in Senegal la celebrazione del lutto è un momento per onorare la memoria di un defunto, ma è anche l’occasione per i vivi di fare un’introspezione per riflettere sul valore della vita e sulla dignità della persona umana. Dunque servirà mitezza alla manifestazione di domani a Firenze per onorare la memoria dei fratelli morti e per dire no all’odio e al razzismo. Ed è per questo che lancio un appello a tutti affinché la rabbia e il dolore non siano tramutati in voglia di vendetta o in reazioni scomposte. Chiedo altresì a tutti gli amici, italiani e non, di partecipare in massa, ma con lo stesso spirito: non portando altro che se stessi.
Non abbiamo bisogno di striscioni né di bandiere, abbiamo bisogno solo di una testimonianza umana. In questo momento di dolore, servono sobrietà e rigore etico per ricucire lo strappo tra comunità chiamate a vivere assieme. Ormai l’Italia è una società multietnica e siamo costretti ad una convivenza tra diversi. E questo dato del pluralismo culturale o meglio della cosmopolitizzazione della società deve essere assunto con intelligenza e con un’etica della responsabilità. Siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo remare nella stessa direzione per un futuro di speranza. Dobbiamo impegnarci tutti e ognuno per la parte che gli compete per costruire le condizioni atte a creare una società armoniosa.
Non dobbiamo sottovalutare questi fatti drammatici.
Negli ultimi anni, purtroppo, è prevalsa una certa incuria della società dell’immigrazione qual è diventata l’Italia.
Troppo spesso il dibattito pubblico attorno all’immigrazione si è svolto all’insegna di passioni scomposte, risentimenti e ritorsione identitaria, smarrendo l’esigenza primaria di creare una comunità coesa e solidale.
L’indifferenza e la cultura dell’odio hanno trovato terreno fertile in un dibattito pubblico viziato dal cinismo politico e dalla superficialità mediatica, che hanno contribuito a criminalizzare gli immigrati. Facendo ciò si è lavorato contro l’Italia e il suo futuro. Non mi si dica che quel che è successo è il gesto di uno squilibrato o che sia un fatto isolato. Spiace dirlo, ma la verità è che il razzismo ha messo radici profonde nella società italiana. E non è solo responsabilità di Casa Pound o dei luogotenenti del razzismo violento. C’è oggi un razzismo diffuso e quasi popolare che è stato legittimato dalle scelte politiche e dalla narrazione negativa dell’immigrazione da parte dei media.
I casi della sedicenne di Torino che ha accusato i rom di averla violentata o quello dei ragazzi di Rosarno che si divertivano a sparare ai neri fino a costringere le autorità alla deportazione di questi ultimi sono il frutto di un clima sociale inquinato dalla cultura dell’odio e della criminalizzazione. Mi si consenta di dire che, in fondo, la ragazza di Torino, e anche Erika e Omar a loro tempo, sapevano di poter accusare chi era già condannato dalla società. Tutto ciò dimostra come in Italia il razzismo e la xenofobia siano stati sdoganati da coloro che hanno alimentato il clima di guerra contro i nuovi barbari.
Dunque, è ora di fermarci e di riflettere. È urgente lavorare per bonificare la nostra società. Servono verità e sincerità, servono intelligenza e generosità per noi stessi, i nostri figli e le generazioni future. Non è questione di scelta dirimente tra buonismo e cattivismo, ma una cura per costruire una comunità coesa e solidale nel rispetto dei diritti e dei doveri per una convivenza pacifica.
Serve più coraggio nella ricerca della verità e dell’interesse generale. Quindi che i politici facciano più riferimento alla loro coscienza anziché al consenso facile.
Quando si è chiamati a guidare un paese, l’etica della responsabilità impone che si anteponga l’interesse generale a quello di parte. La ricerca del potere per il potere non è la finalità della politica. Siamo ancora in tempo per raddrizzare la barra, ma è urgente agire in fretta per evitare che la nave affondi. Dunque: sobrietà e mitezza per un futuro di speranza.
 


Procura, offensiva anti xenofobi inchiesta contro gli "inni" sul web
Aperto un fascicolo per apologia di reato contro chi ha inneggiato alla strage dei senegalesi. Gli inquirenti hanno anche accertato che Gianluca Casseri aveva appena ricaricato completamente la sua 357 Magnum. Intanto il sindaco Renzi ha annunciato alcune sfide culturali come quella di favorire l'integrazione dando la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia
la Repubblica, 15-12-2011
Caccia a chi ha lasciato messaggi in Internet in cui si inneggia alla strage dei senegalesi. La Procura della Repubblica di Firenze ha aperto un fascicolo per apologia di reato, e cercherà di identificare attraverso il lavoro degli investigatori della polizia postale e della Digos coloro che hanno lasciato messaggi sul web.
Oggi è stata effettuata l'autopsia sul corpo di Gianluca Casseri. Secondo quanto si è appreso non è stata trovata nessun'altra ferita sul corpo. Lui stesso si è sparato in bocca. E' quindi confermata l'ipotesi del suicidio.
Gli inquirenti hanno anche accertato che quando Gianluca Casseri è stato sorpreso dalle forze dell'ordine nel parcheggio sotterraneo di San Lorenzo aveva appena ricaricato completamente la sua 357 Magnum. La pistola è stata infatti trovata con 5 colpi ancora da esplodere, oltre a quello che il killer si è sparato per suicidarsi. Probabilmente Casseri, avrebbe voluto continuare la strage se non fosse stato braccato e circondato dalla polizia nel parcheggio sotterraneo
di San Lorenzo.
Intanto il sindaco di Firenze Matteo Renzi ha annunciato alcune battaglie culturali, tra cui quella di favorire l'integrazione dando la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. "Sarebbe un gesto di normalità, ha detto Renzi intervenendo alla trasmissione "24 Mattino" su Radio 24, un gesto per il quale ci allineeremmo agli altri Paesi civili. Dopodichè la vera sfida di integrazione si fa nelle scuole, che devono parlare di ciò che è successo. I bambini di Firenze ieri vedendo piazza Dalmazia si sono resi conto che quello non era sangue della play-station, che non era un film. Dobbiamo insistere sul valore del respingere la paura del diverso. Il tema dell'integrazione è la vera sfida che abbiamo di fronte".
Il sindaco è intervenuto anche sulla richiesta di chiusura di Casa Pound, avanzata, tra gli altri, anche da Pape Diaw, portavoce delle comunità senegalese a Firenze: "Non e' dicendo chiudiamo un centro sociale che abbiamo risolto i problemi". "Da sindaco - ha aggiunto Renzi - quando CasaPound commemora i cecchini fascisti nel giorno in cui il Comune ricorda la Liberazione esprimo tutta la mia rabbia e la mia disapprovazione, ma attenzione a dare a tutti quelli che frequentano i centri sociali le responsabilità penali che appartengono ai
"Chiudere, ha proseguito Renzi, non dipende dalle amministrazioni comunali ma dalle forze dell'ordine". Renzi ha respinto ancora una volta l'idea di una città che si riscopre razzista: "Firenze si è svegliata 18 anni fa colpita al cuore dalla mafia ma nessuno disse che Firenze era una città mafiosa, ma che era una città colpita dalla mafia. Così quel killer non ha fatto diventare una città razzista, ha fatto diventare Firenze una città vittima del razzismo. Di Firenze si può dire tutto: è una città polemica, litigiosa, divisa, un pò bottegaia ma ha nel cuore l'accoglienza e l'apertura".



Piccoli nazisti crescono (sul web)
il Fatto Quotidiano, 16-12-2011
Federico Mello
I corpi inerti di Samb e Diop giacevano ancora a terra tra le bancarelle del mercato di piazza Dalmazia a Firenze, nel mezzogiorno di sangue dello scorso martedi, che era già partita online una catena di sdegno e commozione. Ma non solo. Quasi subito è cominciato a tracimare anche esplicito supporte al gesto di Casseri. Questa volta, a differenza di altre esplosioni di rabbia digitale, non si è assistito a violenza verbale estemporanea. Invece, dai fondali del web profondo, è emerso un fronte rinchiuso nella sua bolla di rancore e razzismo. In questi giorni è stato passato al setaccio dai media stor- mfrontorg, un forum italiano vera e propria miniera d'odio: in home page si fregia di una croce celtica su cui è scolpita la frase "Orgoglio bianco mondiale". Poca attenzione, invece, hanno avuto le "dichiarazioni programmatiche" dei nazisti. Non ci sono documenti ufficiali, programmi articolati: il repertorio di immagini, citazioni, libri e film è quello classico della propaganda fascio-nazista. Ci sono però scambi di idee: "Se qualcuno di voi riuscisse in un golpe, come riscriverebbe la legge?" chiede Nuovo Gladiatore. "In caso di pesanti sanzioni economiche dalla (giudaica) comunità internazionale: accelerare la produzione militare, armarsi di armi nucleari, armarsi segretamente di armi biologiche in grado di intaccare solo certe etnie" risponde Dagren che sfoggia l'icona di Hitler nell'immagine di profilo.
SUMMA del populismo nero si trova nella sezione "Le migliori discussioni di Stormfront Italia". È un prontuario dell'odio. Per gli argomenti di "politica": le discussioni segnalate si intitolano "Giudeo-bolscevismo"; "L'internazionale ebraica"; "Nelson Mandela e il giudeo-bolscevismo". Con dichiarazioni anche molto contorte: "Vi rendete conto di come gli ebrei costituiscano un' Israele' in qualunque paese siano insediati? Questa tendenza richiede delle leggi di emancipazione per i non-ebrei vittime di questa apartheid ebraica" è convinto Complotto giudaico. Non mancano le ipotesi millenaristiche: "Oggi la razza bianca sta sparendo a causa dei multiculturalismo, dell'aborto e di altre politiche ben orchestrate dal giudaismo per eliminare la nostra razza".
Tante le citazioni (da Goebbles a Lenin, da Churchill a Evola), sembrano rimaste al secondo conflitto mondiale con un'os- sessione per i bolscevichi e l'ebraismo" dell'Urss comunista. Non mancano gli spari nel mucchio: "Per quanto riguarda la situazione in Russia, c'è da dire che dopo il crollo dell'Urss, con Putin la situazione è migliorata: il miliardario giudeo Khodorkovsky che aveva avuto in prestito 250 mln per fare finire la Gazprom nelle mani anglo-americane della Texaco è finito in galera". E chi se ne frega se il miliardario nemico di Putin è cristiano-ortodosso. Tra i "topics" non può mancare "Il pericolo Islam" ; "Contro il filo islamismo" ; "Il Progetto del Grande Califfato" ma un post a parte lo merita anche "Il pericolo giallo". Altro nazismo si manifesta nelle discussioni "Sugli africani", probabilmente anche Casseri avrà abbeverato la sua follia a questa fonte. Tra le discussioni calde anche "Negrolandia", foto di donne bianche con in braccio bimbi africani, e la didascalia: "Grazie a queste troie di merda e agli stronzi ovviamente, gli europei e le europee di domani saranno queste loro scimmiette del cazzo".
QUANTO STUPISCE di forum come questi (oltre al fatto che non siano ancora stati chiusi) è il solipsismo in cui sono rin- chiusi i membri: non ci sono scambi di opinioni diverse, nessun dato o statistica che metta in discussione i loro dogmi. Non a caso che una ricerca Demos su "II nuovo populismo digitale di estrema destra" dimostra proprio come l'appartenenza a un gruppo di affini sia la motivazione maggiore che spinge ad abbracciare le formazioni estremistiche. Una bolla di odio dove vale tutto e il contrario di tutto: "La Bibbia, una cospirazione ebrea e inganno per i gentili" o il "supporto al nazionalismo israeliano che altro non è che autodifesa contro il jihad". Un web che fa paura, ma che non può essere ignorato.



E il Pd accusa la politica leghista
Libero Oggi, 16-12-2011  
ANTONIO CALITRI
Una parte dei Pd vede oscuri fantasmi dietro la strage di Firenze. E se la prende con la LegaNord, colpevole di «crimina- lizzare» gli immigrati ed evitare cosi che al contrario, sia il partito di Umberto Bossi a mettere il dito nella piaga e ricordare che l'omicidio dei due senegalesi di martedi scorso, è avvenuto proprio in una enclave della sinistra. E dove nella scorsa consiliatura divenne famosa anche la lotta contro gli immigrati-lavavetri intrapresa dall'allora assessore Graziano Cioni. Naturalmente il gesto xenofobo e razzista come è stato definito, poteva avvenire in qualsiasi città amministrata da destra o sinistra. A Firenze però si gioca all'attacco. E si punta tutto sulla LegaNord che in questo momento è rimasto il vero e único nemico da abbattere. Cosi, ieri il Senatore Pd florentino, Massimo Livi Bacci, ha messo nero su bianco quelli che molti nel suo partito dicono a bassa voce. In un éditoriale di prima pagina sul quotidiano
Europa, dal titolo «chi ha alzato muri a Firenze (e non solo)» il professore, dopo aver ammesso di non sapere cosa ha scatenato il gesto folie di Gianluca Casseri, va dritto all'attacco del partito di Bossi. «Negli ultimi anni la Lega si è caricata sulle spalle una pesante responsabilità» scrive Livi Bacci, «ed è quella di avere "criminalizzato" il migrante irregolare, colpevole solo di avere traversato un confine di stato senza autorizzazione. Di avere tentato di introdurre un'aggravante di pena per i reati compiuti dagli irregolari. .. di avere proposto e attuato altre inutili vessazioni. Non importa poi se l'Europa, la corte costituzionale, o l'inapplicabilità delle misure abbia loro tolto o attenuate gli effetti negativi: il fatto è, però, che hanno contribuito a diffondere nell'opinione pubblica diffidenza verso i migranti». Una posizione che non regge, almeno in un territorio dove la Lega urla meno e racimola meno consensi rispetto alle altre città dove è presente (solo il 6,5% alle ultime regionali).



Renzi, l’orgoglio antirazzista
Senegalesi a Palazzo Vecchio. E sabato grande manifestazione
Europa, 15-12-2011
«Diciotto anni fa ci svegliammo con la città devastata da una bomba mafiosa. La città non si svegliò mafiosa, ma colpita dalla mafia. Allo stesso modo oggi Firenze non si è svegliata razzista, ma colpita dal razzismo». Il sindaco Matteo Renzi interviene così, durante la giornata di lutto cittadino, mentre lo shock iniziale lascia spazio alle analisi e alle richieste.
Lo storico portavoce della comunità senegalese di Firenze, Pap Diaw, chiede «giustizia e non vendetta» e che sia fatta piena luce sulla dinamica dei fatti di martedì: cos’ha fatto Gianluca Casseri nel tempo trascorso dopo aver compiuto la strage in piazza Dalmazia e il tentativo di uccidere ancora il pomeriggio in San Lorenzo? E cos’è accaduto precisamente nel parcheggio sotterraneo dove si è tolto la vita?
Per rispondere a queste domande la polizia ha reso pubblico un video realizzato dalla telecamera a circuito chiuso che mostra l’arrivo degli agenti a suicidio già avvenuto. Ma gli occhi della città, della comunità senegalese e della comunità sociale e politica, sono adesso puntati sul sindaco Renzi, per capire come gestirà un avvenimento inedito per la storia recente di Firenze. Soprattutto a fronte di una richiesta di incontro avanzata dai “fascisti del terzo millennio”, come da autodefinizione di Casa Pound.
I responsabili dell’organizzazione a cui era iscritto Casseri avevano cercato di prendere le distanze dal fatto fin dalle prime ore, parlando di «un cane sciolto, non un militante». Ora, chiedono di incontrare il sindaco. Che, interpellato sulla questione, risponde con un secco no. «Firenze schiaccerà il fantasma del razzismo», ha detto durante il consiglio comunale.
Sindaco che nella giornata dei fatti aveva parlato di «pazzo isolato» e che il giorno dopo ha aggiunto la parola «razzista» alla sua valutazione sulla strage di Casseri. E che oggi deve valutare la strada migliore per evitare di esasperare una situazione che potrebbe diventare critica. La città, infatti, è rimasta profondamente scossa, numerosi cittadini si sono recati sul luogo delle uccisioni, in piazza Dalmazia, per portare fiori o fermarsi in silenzio.
I banchi al mercato di San Lorenzo sono rimasti chiusi per l’intera giornata, i negozianti hanno abbassato il bandone delle loro botteghe per dieci minuti a mezzogiorno, le emittenti radiofoniche hanno smesso di trasmettere musica nella stessa ora, sono stati annullati spettacoli e tutte le cerimonie istituzionali. Infine il consiglio comunale straordinario in Palazzo Vecchio alla presenza del ministro per l’integrazione Andrea Riccardi – che non ha potuto fare a meno di notare come «la città si sia stretta intorno alla comunità senegalese» – del presidente della regione Enrico Rossi, della segretaria della Cgil Susanna Camusso. Mentre sempre in piazza Dalmazia si svolgeva un presidio silenzioso con decine di cittadini. Piazza che ospiterà sabato pomeriggio una manifestazione che si prevede ampia.
La comunità senegalese sta cercando la massima unitarietà, anche a livello sindacale, per evitare strumentalizzazioni di parte. Soprattutto a fronte di una risposta corale di istituzioni e cittadini. Il presidente Rossi a poche ore dalla strage ha detto che «in questo paese è il momento di smettere di sottovalutare l’azione di chi alimenta xenofobia e razzismo».
La consigliera di opposizione della lista perUnaltracittà Ornella De Zordo ha chiesto la chiusura della sede fiorentina di Casa Pound e l’applicazione della legge Mancino. Così come il comitato provinciale dell’Associazione nazionale partigiani ha chiesto al procuratore della repubblica di Firenze di intervenire «per colpire coloro che ritengono un proprio diritto manifestare la loro ideologia fascista». Lo stesso Pap Diaw ha detto che «i posti dove si insegna l’odio andrebbero chiusi».
Raffaele Palumbo



L'islam «moderato» che vince. E delude
Avvenire, 16-12-2011
Federica Zoja   
Un filo rosso, anzi verde come l'islam, sembra collegare fra di loro le insurrezioni arabe del 2011, almeno quelle approdate alle urne: finora a uscirne vincitori sono stati i Fratelli musulmani, che si sforzano di mostrare un volto democratico ma hanno ancora molto da dimostrare sul fronte dei rispetto dei diritti umani e delle liberta religiose. Sono sospettati di voler trasformare nazioni tradizionalmente laiche e tolleranti nei confronti delle minoranze - quella Cristiana sopra tutte - nei Paesi islamici. Ma la loro scalata al potere preoccupa, e non poco. Non c'è dubbio che il movimento islamista (sun- nita), tenuto sotto scacco per decenni dai regimi totalitari nordafricani, ricorderà l'anno trascorso come quello della resa dei conti. Ecco i fatti: in Tunisia, sono passati all'incasso alle elezioni del 24 ottobre gli islamisti moderati di Ennahda (La rinascita), non i giovani attivisti laici; in Marocco, la riforma costituzionale (1 luglio) e il voto del 25 novembre hanno premiato Abdelilah Benkirane e il suo partito islamista A'dala ua Tanmia (Giustizia e sviluppo), non la sinistra del fronte G8; in Egitto, hanno raccolto le messi del primo turno delle elezioni (28 novembre) i barbuti di Hurria ua a'dala (Libertà e giustizia), non i blogger a-confessionali. Dapprima cauti nell'aderire ai cortei antitiranno della Primavera a- raba, gli accoliti della confraternita hanno saputo in un secondo momento appropriarsi dello scontento popolare indi- rizzandolo verso le proprie sigle politiche. Più organizzati degli al tri movimenti, più accreditati presso i Cittadini in virtù di decenni di assistenza alla popolazione, i Fratelli si sono imposti come interlocutori di sostanzanelle trattative con le giunte militari in Tunisia ed Egitto, e con la monarchia in Marocco. Inoltre, è in odore di Fratellanza anche il Consiglio di transizione libico, guidato da Mustafa Abdel Jalil, professore di diritto islamico e di civiltà araba. Chi e che cosa abbiano gonfiato le vele islamiste è presto detto: da 10 anni i moderati turchi del partito Ak (Giustizia e sviluppo) seminano il Mediterraneo di sigle donate, esportando un modello di islam politico compatibile con una società secolarizzata. Al resto ci pensano i finanziamenti sauditi, la cui onda lunga bagna anche le comunità espatriate in Europa. Quanto alla legittimazione politica della nuova classe dirigente nordafricana, la firma è quella della Lega Araba. Un organismo dato per morituro solo un anno fa e ora rivitalizzato dalle rivolte popolari. Contro dittature in avanzato stato di decomposizione, le diplomazie dei 22 hanno ritrovato l'unanimità: lo sta provando sulla propria pelle il clan degli Assad, in Siria, spinto aile corde da Ankara, Riad e il palazzo di vetro del Cairo. I siriani sono pronti ad accettare «un intervento turco in Siria per proteggere la popolazione dalle violenze commesse dal regime di Damasco», ha dichiarato il 17 novembre scorso a Istanbul Mohammad Riad Shakfa, numero uno dei Fratelli musulmani siriani. Chi ha orecchie per intendere intenda.



Everyone: 'Siano rispettati diritti dei rifugiati'
Italia-Libia, Governo Monti sottoscrive patto anti-immigrazione
ItaliachiamaItalia.it, 16-12-2011
'Il Trattato assicura la cooperazione nella lotta contro l'immigrazione clandestina, attraverso strettissimi controlli lungo le coste libiche, oltre che gli investimenti italiani in Libia e ciò che prevedeva il patto precedente'
Il Governo italiano ha rinnovato ieri, giovedì 15 dicembre 2011, senza alcun clamore mediatico, il Trattato di amicizia Italia-Libia, con la stessa forma di cooperazione nella lotta all'immigrazione clandestina che faceva parte del precedente Trattato, stipulato dall’ex premier Silvio Berlusconi con Gheddafi nel 2008. “Nonostante le proteste contro il primo Trattato da parte dei più importanti organismi internazionali che tutelano i diritti dei profughi e gli articoli della Convenzione di Ginevra, il presidente del Consiglio nazionale transitorio della Libia (Cnt) Mustafa Abdel Jalil e il presidente del Consiglio italiano Mario Monti hanno sottoscritto lo stesso patto anti-immigrazione” affermano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell’organizzazione umanitaria EveryOne. “Nella sostanza,” spiegano gli attivisti, “il Trattato assicura la cooperazione nella lotta contro l'immigrazione clandestina, attraverso strettissimi controlli lungo le coste libiche, oltre che gli investimenti italiani in Libia e ciò che prevedeva il patto precedente. Quello che sconcerta è che, dopo le tante denunce emerse a livello internazionale sulla condizione dei migranti detenuti nelle carceri libiche e sul trattenimento di profughi in fuga da crisi umanitarie, nessuna garanzia viene richiesta alle autorità libiche per quanto concerne la tutela dei migranti aventi diritto allo status di rifugiati o ad altra protezione internazionale in quanto vittime di persecuzione”. Dopo aver incontrato Monti, Jalil è stato ricevuto dal presidente Giorgio Napolitano, dal ministro degli Esteri Giulio Terzi e dal presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il Gruppo EveryOne, insieme ad altre ONG, ha inviato un appello urgente al Governo italiano, al presidente Napolitano, al presidente Fini, all'Alto Commissario ONU per i Rifugiati Antonio Guterres, all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani Navi Pillay e al Commissario europeo per i Diritti Umani Thomas Hammarberg affinché Italia e Libia sottoscrivano nell'immediato un impegno al rispetto tassativo, nelle politiche sull'immigrazione, di quanto prevedono la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. “Chiediamo alle Nazioni Unite e alle istituzioni dell’Unione” concludono i co-presidenti del Gruppo EveryOne, “di aiutarci in questa richiesta, intercedendo con i due Governi affinché non si profili una nuova era di violazioni dei diritti fondamentali dell’individuo che ha già lasciato scie di morti e perseguitati che non ha certamente reso onore all’Europa”.



Immigrazione:Riccardi,non scaricare tensioni sui piu' deboli
Visita al campo Rom di Torino incendiato sabato scorso
(ANSA) - TORINO, 16 DIC - ''Non vorremmo che in questa crisi nascesse un clima di tensione e che le tensioni si scaricassero sui piu' deboli e sui piu' fragili. Vedo pero' una grossa reazione del Paese dove ci sono tante energie sane'': lo ha detto il ministro per la Cooperazione Internazionale e l'Integrazione, Andrea Riccardi, visitando stamani il campo rom abusivo della Cascina Continassa, a Torino, colpito da un raid incendiario sabato scorso. Riccardi ha promesso ai Rom del campo di risolvere alcuni dei problemi creati dall'incendio. (ANSA).



Bari, migranti soccorsi in mare arrestati i due scafisti ucraini
Ancora un sbarco sulle coste della Puglia. Sono 66 i migranti soccorsi in mare: erano stipati su un'imbarcazione con l'albero maestro e il motore in avaria e da giorni soffrivano la fame
la Repubblica, 16-12-2011
Hanno viaggiato per dieci giorni soffrendo la fame su un'imbarcazione lunga poco più di dieci metri, in un viaggio che hanno pagato 7mila dollari a testa, con quel poco di cibo che gli scafisti passavano da una fessura nella parte posteriore del natante. Si sono avventurati su una barca a vela che, a diciotto miglia dalle coste di Molfetta, ha lanciato una richiesta di soccorso dopo la rottura dell'albero maestro e con il motore in avaria. Al porto di Bari una settantina di migranti sono arrivati stremati, infreddoliti, ma comunque vivi. "Qualcuno è stato colpito da una crisi di ipotermia, ma senza gravi conseguenze" raccontano i militari della Capitaneria di Porto di Bari alla loro terza operazione di soccorso in due settimane. I due scafisti, di nazionalità ucraina, sono stati arrestati.
Le altre volte erano stati due pescherecci a condurre sulle coste del capoluogo pugliesi gruppi di migranti. Ieri, invece, è stata una barca a vela, come quelle intercettate al largo delle coste del Salento. I profughi (65 uomini e tre donne) hanno raccontato di essere partiti la sera di mercoledì dal litorale della Grecia, a settanta chilometri di Patrasso. Un viaggio in condizioni difficili, peggiorato quando nel pomeriggio il vento ha cominciato a soffiare
sull'Adriatico che ha sfiorato forza quattro. Ecco allora la richiesta di soccorso, lanciata a qualche miglia dalle coste di Molfetta. Quattro motovedette della capitaneria di porto di Bari, una della guardia di finanza ed un mercantile hanno raggiunto la zona, dando il via alle operazioni di trasbordo. vista l'impossibilità di tragettare il natante.
I migranti - afgani, belngalesi, cingalesi, un iraniano e due somali - sono stati fatti salire su una imbarcazione della guardia costiera e condotti al porto di Bari. Per alcuni di loro è stato necessario l'intervento dei medici. Venticinque i minori, accompagnati in un centro di accoglienza. Gli altri si trovano ora nel Cara, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo, di Bari.
L'arrivo della terza imbarcazione nel giro di quindici giorni sulle coste del capoluogo pugliese non sorprende. Perché, raccontano i militari della Capitaneria di Porto, gli scafisti cercano di evitare i controlli e quindi di cambiare rotta. Puntano a sud delle coste pugliesi e poi magari decidono di muoversi più a nord. E questo non è soltanto l'unico stratagemma adottato da chi organizza i viaggi della speranza. Gli scafisti sperano che i pescherecci o le barche a vela, durante la navigazione da una parte all'altra dell'Adriatico, possano passare più inosservati.
Le forze di polizia di Bari e del Salento sono sicuri che quello di ieri sera non sarà l'ultimo viaggio della speranza. I controlli sono stati potenziati anche per evitare tragedie come quella che il 26 novembre, al largo del litorale di Carovigno, ha causato la morte di tre migranti che avevano viaggiato su una barca a vela.


 

Scusi ho il mal d'Italia
Una nuova patologia, finora sconosciuta, colpisce le lavoratrici dell'Est che assistono gli anziani nel nostro paese, fra depressione e spaesamento
il Fatto Quotidiano, 16-12-2011  
Alessandro Leogrande
UNA NUOVA forma di depressione si aggira per l'Europa: si chiama "Sindrome italiana". Non riguarda la schizofrenia della finanza o il pericolo di una nuova recessione. La síndrome che prende il nome dal Belpaese colpisce i lavoratori, o meglio le lavoratrici, più invisibili: le badanti provenienti dall'Est. I primi ad accorgersene sono stati due psichiatri di Iva- no-Frankivs'k, città di duecentomila abitanti nell'Ucraina occidentale, profondamente segnata dalle tragedie del Novecento. Nei 2005, Andriy Kiselyov e Anatoliy Faifrych intuiscono che due donne in cura nel loro reparto presentano un quadro clinico diverso dagli altri. Sintomi che hanno imparato a riconoscere in anni di attività (cattivo umore, tristezza persistente, perdita di peso, inappetenza, insonnia, stanchezza, e fantasie suicide) si innestano su una frattura del tutto nuova, che mescola l'affievolirsi dei senso di maternità con una profonda solitudine e una radicale scissione identitaria. Quelle giovani madri non sanno più a quale famiglia, a quale parte dell'Europa appartengano, come se un'antica armonia si fosse all'improvviso spezzata. Kiselyov e Faifrych capiscono che il "male oscuro" ha chiare origini sociali. Le due pazienti sono state badanti all'estero, hanno lavorato a lungo come donne di compagnia, infermiere, assistenti tuttofare nelle case italiane. Lo hanno fatto per anni, 24 ore al giorno, salvo che per una breve pausa nella domenica pomeriggio. Sono state lontane dalla loro casa, hanno lasciato soli i loro figli per accudire anziani altrettanto soli dall'altra parte dei continente. Hanno retto sulle proprie fragili spalle due delicate trasformazioni: da una parte, l'invecchiamento dell'Ita- lia e lo sgretolamento delle sue famiglie; dall'altra - attraverso le loro rimesse, spesso única fonte di reddito per le loro famiglie lasciate li - tumultuosa transizione dei paesi orientali. Sono rimaste a lungo sole, molto sole, senza che nessuno potesse percepire il loro stress crescente. E alla fine non ce l'hanno fatta più, sono crollate.
I due psichiatri comprendono subito che le due pazienti non sono un caso isolato. Tante altre donne versano nelle stesse condizioni. E allora coniano il termine "Síndrome italiana", dal nome dei paese più "badantizzato" dell'Europa occidentale e forse del mondo. Le date in questa storia sono importanti. Kiselyov e Faifrych diagnosticano i primi casi nel 2005, appena tre anni dopo la grande sanatoria del 2002 che permette di regolarizzare decine di migliaia di lavoratrici domestiche. Non ci vuole molto a capire che la "Síndrome italiana" non riguarda solo le donne ucraine. Colpisce anche moldave, rumene, russe, polacche... cioè buona parte delle lavoratrici che hanno finito per costituire l'ossatura centrale della "gestione" nostrana degli anziani non-autosufficienti. In Romania alcuni psichiatri iniziano a studiare l'altra faccia della medaglia, i figli lasciati nei paesi di partenza. Ed estendono la nuova locuzione "Sindrome italiana" anche a loro. Nel 2010 Mihaela Ghircoias, psichiatra presso l'ospedale pediatrico Santa Maria di Iasi, in Romania, si accorge che su circa mille bambini curati nel suo reparto, la metà ha un genitore (in particolare la madre) emigrata all'estero (in particolare in Italia) per lavorare (in particolare come badante). Alcuni hanno tentato il suicidio. Ecco il caso tipo: un ragazzino di 11 anni vive solo con il padre che non lavora, mentre la madre assiste un'anziana in Italia. Va bene a scuola, ha ottimi voti, ma è sempre silenzioso, la tristezza per la lontananza della madre gli scava dentro. Non ne parla con nessuno, apparentemente tutto procede per il meglio, ma in realtà il male oscuro lo logora. E - a soli 11 anni - tenta il suicidio. Come si cura questo male europeo, che sembra quasi seguire i sommovimenti economici (e geopolitici) del nuovo mercato globale del lavoro? Spesso basta ricomporre il nucleo famigliare, e di colpo tutto il malessere svanisce. Ma altre volte le situazioni sono più complicate. Quando ritornano nel paese di origine, molte donne si ritrovano in un nuovo limbo. Si ritrovano in un paese che non considerano più come proprio; e, nel frattempo, i figli hanno definitivamente voltato loro le spalle. Maurizio Vescovi, medico a Parma, è uno dei primi ad aver riscontrato in Italia questa nuova forma di depressione. Almeno il 25% delle donne dell'Est incontrate nel suo studio ne soffre, tanto che ha segnalato il caso all'interno dell' Italian Study on Depression, una ricerca condotta dall'Istituto Mario Negri Sud di prossima pubblicazione. «Due costanti», sostiene Vescovi, «sembrano ritornare. Spesso queste donne lasciano un lavoro qualificato come insegnante, medico, ingegnere, per venire a svolgere mansioni dequalificate, per le quali non sono state formate. Inoltre, col tempo, si percepiscono come donne-bancomat: il solo rapporto con la famiglia consiste nell'inviar loro dei soldi. Diventano l'unica fonte di reddito».
Svitlana Kovalska, presidente dell'Associazione Donne Ucraine Lavoratrici in Italia, ha le idee chiare a riguardo: «Questo stress, in forme più o meno gravi, l'abbiamo provato tutte». Queste donne hanno solo bisogno di rompere una gabbia di solitudine. Non è normale lavorare 24 ore al giorno, assorbendo su di sé i problemi di una nuova famiglia, dimenticando la propria. La "Sindrome italiana" si cura con il calore, con il lavoro di comunità, elaborando nuove forme di auto-aiuto: «Ricordo una donna che stava molto male. Le chiesi di raccontarmi della sua vita. Inizio a farlo, ma dopo pochi minuti scoppiò in un lunghissimo pianto. Quando si calmò, mi disse che erano dieci anni che non piangeva, in Italia non l'aveva mai fatto... Fece un lungo respiro, solo allora si senti meglio». L'ansia a volte scompare cosi. Ne è convinta anche Tatiana Nogailic, presidente di AssoMoldave a Roma. L'emigrazione di massa non si fermerà, dice, perché le badanti servono come il pane. È irrealistico pensare che il ritorno in patria sia l'unica soluzione, serve una vita migliore qui. «Le badanti devono essere considerate donne, non macchine. Anche qui, anche in Italia. Sono loro i soggetti da privilegiare quando si progettano interventi per l'integrazione. Sono loro le figure chiave per la mediazione tra mondi e culture».



"Si potrà parlare di primavera araba quando le donne non saranno discriminate"
L'avvocatessa iraniana e premio Nobel per la pace Ebadi parla delle rivolte in Egitto, Tunisia e Libia e del suo Paese. "Vi prego, non firmate accordi e non intrattenete relazioni commerciali con l'Iran"
la Repubblica, 16-12-2011
ROSALBA CASTELLETTI
VARSAVIA - "Vi prego, non firmate accordi e non intrattenete relazioni commerciali con l'Iran", a lanciare un accorato appello all'Unione europea e alle aziende occidentali è l'avvocatessa iraniana e Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi. Lo fa a margine della sesta edizione delle Giornate europee per lo sviluppo, il principale forum della Commissione europea sulla cooperazione, in corso a Varsavia. Prima donna magistrato in Iran costretta a rinunciare al suo scanno all'indomani della Rivoluzione islamica del 1979, punta il dito in particolare contro Ericsson. "Ha fornito al governo iraniano un programma per monitorare le conversazioni telefoniche e gli sms degli iraniani", dice invitando tutti a fare pressione sulla società di telecomunicazioni svedese. "Dopo la mia precedente campagna  -  ricorda  -  Nokia-Siemens ha annullato tutti i contratti con l'Iran e ha lasciato il Paese".
Professoressa Ebadi, qual è invece l'opzione migliore per fare pressione sul governo iraniano?
"Sono contraria sia all'intervento militare sia alle sanzioni economiche perché entrambe colpiscono la popolazione. Per non tralasciare che darebbero mano libera al governo per opprimere gli attivisti democratici in nome della sicurezza nazionale. Sono semmai a favore di sanzioni politiche. Credo che le sanzioni debbano essere dirette contro le persone direttamente responsabili della repressioni e non contro la popolazione".
Cosa pensa invece dell'approccio dell'Occidente nei confronti degli altri regimi arabi?
"Contesto il fatto che abbia sostenuto la ribellione libica e non le rivolte in Bahrain o Yemen. Dopo le dimissioni del presidente Ali Abdallah Saleh, sembra che la rivolta yemenita abbia avuto successo, ma in Bahrain la gente continua a essere uccisa e l'Occidente continua a restare indifferente".
E riguardo alla Siria potrebbe fare di più?
"Sono state avanzate diverse proposte alle Nazioni Unite, ma Cina e Russia hanno sempre votato contro. E gli Stati Uniti e altri Paesi europei hanno spesso invitato Bashar al-Assad a dimettersi. Che è quello che avevano detto a Mubarak e Ben Ali. Loro hanno ascoltato, ma Assad non ascolta".
Qual è la sua opinione sulle primavere arabe?
"Sono contraria all'uso della parola 'primavera' perché rovesciare un dittatore non esclude che il suo posto non verrà preso da un altro. E quando parliamo di democrazia non possiamo chiudere gli occhi su quella metà della popolazione, ossia le donne, che continua a essere oppressa. Si potrà parlare davvero di 'primavera' solo quando le donne arabe non subiranno più discriminazioni".
Non sembra ottimista...
"Il cambiamento avverrà, ma ci vorrà tempo. Per questo è troppo presto per usare la parola 'primavera'".
La preoccupano forse i consensi raccolti dai partiti d'ispirazione islamica in Tunisia e in Egitto?
"La differenza non è tra governi islamici e non. Se ci si guarda intorno, ci sono tanti Paesi secolari, ma non democratici, come in America latina e Africa. Mentre in Turchia è al potere un governo islamico, ma moderato. Perciò non temo che al potere ci siano partiti islamici, ma che ci siano partiti non democratici".
E cosa pensa di partiti come Ennahda che ha conquistato la maggioranza nell'Assemblea costituente tunisina?
"Bisogna vedere come andrà nel lungo termine. Anche noi iraniani abbiamo avuto la nostra rivoluzione nel 1979, ma abbiamo solo sostituito un dittatore con un altro e gli iraniani continuano a lottare per la libertà. Spero che le neodemocrazie nordafricane imparino dalla lezione iraniana a non smettere di lottare per la democrazia".
Crede che ci sarà presto una primavera persiana?
"Sì ci sarà, presto o tardi. Anzi, non è mai cessata. La sollevazione popolare in Iran è iniziata nel 1979 e continua perché la nostra gente non ha smesso di opporsi all'attuale governo".

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