Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 settembre 2014

Un 3 ottobre per non dimenticare 
il manifesto, 24-09-14
Luigi Manconi 
Il Comitato 3 Ottobre, nato subito dopo il naufragio che ha portato alla morte di almeno 366 migranti a poche miglia dalla 
costa di Lampedusa, ha tra i suoi obiettivi l`istituzione di un Giorno della memoria e dell`accoglienza per gli stranieri. Qualche mese fa, ho presentato un disegno di legge, sottoscritto da decine di senatori di diversi gruppi politici, il cui titolo 
recita così: «Giornata nazionale per la memoria dei migranti vittime del mare». 
Una ricorrenza per promuovere, all`interno dell`opinione pubblica nazionale, la consapevolezza di quell`immane tragedia, rappresentata dalle stragi che si susseguono nel Mediterraneo da ormai un quarto di secolo. 
Non va mai dimenticato, infatti, che prima e dopo quel maledetto 3 ottobre 2013 si sono ripetuti naufragi e decessi. Prima, al ritmo di circa 6-7 morti per ogni giorno che Dio manda in terra, e dopo - nonostante la benemerita operazione Mare nostrum - ancora circa 2500, nel corso degli ultimi otto mesi. Anche da questa ragione, così dolente e crudele, e dalla proposta degli abitanti di Lampedusa e delle tante associazioni che, di immigrazione, si occupano quotidianamente, nasce il mio disegno di legge. 
Si prevede che la Giornata nazionale per la memoria dei migranti venga dedicata non solo al ricordo delle tante vittime, ma, anche alla riflessione sul diritto inalienabile alla libera circolazione degli esseri umani, alla dignità di quanti cercano lontano dalla propria terra un`opportunità di vita e di futuro e alla ineludibile necessità di tutelare i fuggiaschi, i richiedenti asilo, i rifugiati. Si dispone, inoltre, che Lampedusa - testimone accorata e partecipe di tante tragedie del mare - sia sede di una commemorazione annuale, che trasformi la sofferenza in un impegno attivo e che solleciti politiche pubbliche adeguate, affinché quanto è accaduto non abbia a ripetersi. Un atto simbolico, certo, ma riferito a un campo dì conflitti  ideologici e di battaglie culturali, dove pregiudizi antiimmigrati e pulsioni xenofobe tendono ad affermarsi e a diffondersi. E dove, di conseguenza, anche i gesti a forte intensità emotiva e i messaggi che trasmettono senso e valori giocano un ruolo importante. Tanto più in un paese che ha dissipato - senza trasformarla in identità rivendicata e in narrazione condivisa  - la storia grandiosa e dolorosa di decine di milioni di italiani che, nel corso di un secolo, sono emigrati in tutto il mondo. 
In questa prospettiva la Giornata per la memoria dei migranti può avere una sua funzione. Ed è, dunque, una prima piccola buona notizia il fatto che, proprio ieri, quella proposta è stata assegnata alla Commissione Affari costituzionali. C`è solo da augurarsi che, alla vigilia dell`anniversarío del naufragio, il Senato trovi il passo spedito per approvare tempestivamente quella legge. Certo, c`è tutto il resto da fare ed è qualcosa di enorme. All`indomani del 3 ottobre, unitamente al sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, abbiamo elaborato un Piano di ammissione umanitaria: una proposta concretissima e ragionevolissima per arginare il ripetersi inesorabile di quelle morti nel Mediterraneo. 
Il piano è stato presentato alle più alte cariche dello Stato, ai membri del Governo che hanno competenza sulla materia, ai parlamentari italiani ed europei, alle principali organizzazioni internazionali e alle grandi associazioni umanitarie. Questi i punti essenziali: l`urgenza di una politica comune europea per l`asilo e la necessità di tradurla in azioni condivise; l`urgenza 
di porre fine alla lunga teoria di morti nel Mediterraneo e di garantire a migranti e richiedenti asilo viaggi legali e 
sicuri fino al continente europeo; l`urgenza di distribuire in maniera più equa e razionale l`afflusso di fuggiaschi e profughi sull`intero territorio della Ue. 
Ciò può essere perseguito attraverso una strategia di avvicinamento/anticipazione della richiesta di protezione internazionale in quei paesi dove i movimenti di fugaschi e profughi si addensano e transitano (Algeria, Marocco, Tunisia, Giordania, Libano, Egitto); e attraverso un sistema di presidi assicurato dalla struttura del Servizio europeo per l`azione esterna, dalla rete diplomatico-consolare dei paesi dell`Unione, dall`Unhcr e dalle organizzazioni umanitarie. Un Piano per l`ammissione umanitaria da affiancare ed eventualmente combinare e integrare con altre proposte, quale il programma di reinsediamento, i progetti di 
corridoio umanitario, le misure di ingresso protetto e ricongiungimento, di cui si discute nel nostro paese e in Europa. 
É un piano, ovviamente, che può essere modificato e migliorato, ma di cui pensiamo sia essenziale ciò che ne rappresenta il cuore: ovvero l` avvicinamento /anticipazione della richiesta di protezione internazionale nei paesi dove ciò sia oggi possibile; e la garanzia di viaggi legali e sicuri che consentano di evitare quella trappola mortale che è ormai il cimitero sottomarino del canale di Sicilia. Realizzare questo piano è certamente un`impresa ardua, ma la sua ragionevolezza e la sua concretezza dovrebbero indurci a fame oggetto di battaglia politica. Ne vale la pena. Sono in gioco migliaia di vite umane. 
 
 
 
Dovevamo salvarli
La scelta di Catia tra i naufraghi da salvare
Il video sconvolgente degli immigrati aggrappati ai salvagenti. I marinai guidati dalla comandante: ributtavamo in mare i morti per fare spazio ai vivi
Corriere della sera, 24-09-14
Marco Imarisio
Appena sotto il filo dell’acqua passa un cadavere, quasi nudo, il mare gli ha portato via anche i vestiti, e dalle immagini non si capisce bene se è un uomo o una donna.
E poi si vede il ragazzo che urla, non vuole lasciarlo andare, si aggrappa come fosse una zattera a quel corpo che per noi rappresenta solo morte, con il gonfiore e il bianco malato che rendono terribile la visione di un essere umano annegato. Ma per lui, per quel ragazzo, dev’essere stato vita, carne e sangue, forse un padre, forse una madre. I militari gli gridano di staccarsi, ma lui niente, e allora gli prendono le braccia, lo trascinano verso la motovedetta che significa salvezza,e c’è un momento dove fuori campo si sentono le urla sempre più disperate del ragazzo mentre in un angolo dello schermo quel povero corpo scivola via, scompare, verso il fondo.
Ci sono immagini cariche di un dolore quasi insostenibile, che però è necessario vedere. Certe volte dovrebbe essere proibito girarsi dall’altra parte. Il terribile filmato del quale oggi vedrete un estratto sul sito del Corriere della Sera fa parte di quei documenti che non fanno sconti, esigono il pagamento di un prezzo emotivo. L’allarme venne lanciato da un profugo che si trovava a bordo del barcone e utilizzava il telefono satellitare dello scafista. Primo pomeriggio dell’undici ottobre 2013, quel mese terribile.
Solo otto giorni prima una carretta del mare stracarica di migranti libici si era capovolta ad appena mezzo miglio dall’imbocco del porto di Lampedusa. Aveva girato su se stessa per tre volte, e si era inabissata. Quel 3 ottobre, era un giovedì, vennero ripescati 194 corpi, e il dato, già abnorme di suo, era solo parziale. Proprio l’undici ottobre la Marina militare fornì il bilancio definitivo, 366 morti accertati, altri venti presunti. Una delle più grandi tragedie nella storia millenaria del Mediterraneo. Siamo abituati allo stillicidio di notizie che arrivano da quell’isola bella e disgraziata in mezzo al mare, ma un’ecatombe del genere non si era mai vista, non poteva e non doveva succedere di nuovo. E invece accadde ancora,proprio quel giorno, a distanza di una settimana appena. Morirono altre 240 persone partite dalla Siria.
Cominciamo dal’alto, e da lontano. Agli occhi della giovane tenente di vascello Catia Pellegrino, comandante della nave Libra della Marina militare, la scena si presenta come la vedrete voi, una distesa illuminata dal sole calante dalla quale provengono voci, urla indistinte. Ad aguzzare la vista si distinguono piccoli gruppi di persone che alzano le mani dall’acqua per attirare l’attenzione. A questa distanza non si capisce bene, non si colgono le dimensioni del disastro e dell’operazione di soccorso che sta per cominciare, che deve cominciare, ogni minuto perso significa al momento dell’arrivo sul posto uno di quei puntini all’orizzonte non ci sarà più. Da vicino è diverso, molto diverso. Da vicino è qualcosa che non si può spiegare con le parole. E lo sappiamo che quelle scene le abbiamo raccontate tante volte sui nostri giornali, ma sempre attraverso il filtro dei testimoni, con le parole degli altri. Adesso le potete vedere per la prima volta, adesso possiamo capire cosa c’è dietro il titolo «Tragedia in mare, si ribalta gommone al largo delle coste italiane», così frequente e ripetuto da diventare facile pretesto per rifugiarsi nell’indifferenza dell’ineluttabile.
Non sono le immagini dei corpi adagiati sul fondale a comporre un cimitero sotto al mare, anch’esse tremende ma in qualche modo definitive. Questo filmato fa entrare in un zona dove la vita e la morte sono vicinissime, come spiega uno dei soccorritori. L’elicotterista quasi supplica, fate in fretta, fate in fretta. Ci sono i bambini che non vogliono lasciare il corpo ormai inerte dei genitori, le donne che non urlano per farsi issare a bordo, urlano di disperazione perché accanto ci sono i loro bambini che ormai non sollevano più la testa. E poi, anche a costo di sfidare la retorica: ci sono le donne e gli uomini della nostra Marina militare. Gente con facce, vita e famiglie come le nostre. Costretti a immergersi per raccogliere i corpi di quei bambini e poi abbandonarli nuovamente in acqua, perché sulla motovedetta non c’è spazio sufficiente per i vivi e per i morti, bisogna fare una scelta. Come quella, molto più facile, di mettersi davanti a uno schermo. E guardare. Tutto, senza distogliere mai lo sguardo. Per capire, una volta per tutte. 
Web serie e docufiction: «La scelta di Catia - 80 miglia a sud di Lampedusa» partirà su Corriere.it lunedì 29 settembre (10 puntate, una al giorno da lunedì al venerdì) e verrà trasmessa su Rai3 in prima serata lunedì 6 ottobre. È la storia di tanti salvataggi di migranti e della prima donna comandante di una nave militare italiana, Catia Pellegrino. La docufiction è stata realizzata da H24 (idea di Mauro Parissone, regia Roberto Burchielli) per Rai Fiction con Corriere della Sera e Marina Militare.
 
 
 
Immigrati, verso l'accordo su “Triton”? Intervista al direttore di Frontex
Il responsabile dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere fa il punto sull’operazione che dovrebbe partire a novembre con un budget di 3 milioni al mese, “ma che non sostituirà Mare nostrum: la chiusura di quest’ultima spetta all’Italia”
Redattore sociale, 23-09-14
BRUXELLES – Come cambierà il controllo dell’immigrazione irregolare in Europa, quale sarà il futuro di Mare nostrum e come si evolve il progetto “Triton” (inizialmente denominata Frontex plus) di cui si è parlato a lungo nelle scorse settimane e su cui l’attenzione sembra ora drasticamente calata. Alla vigilia del consiglio di amministrazione di Frontex, previsto domani a Roma e a margine del quale si svolgerà un incontro con le autorità italiane, Gil Arias Fernandez, spagnolo, 55 anni, direttore esecutivo dell’agenzia europea per il controllo delle frontiere (che ha sede a Varsavia), accetta di rispondere alle nostre domande. Proprio a partire dalla nuova operazione che Frontex lancerà nei prossimi mesi.
A inizio settembre abbiamo cominciato a lavorare all’operazione. Abbiamo spedito una bozza di piano alle autorità italiane, al ministero dell’Interno principalmente ma anche alla Guardia di finanza e alla Guardia costiera. Domani a Roma speriamo di raggiungere un accordo definitivo sul piano operativo. Sui media si è detto che Triton partirà a novembre, e la cosa è stata anche ripresa da alcuni parlamentari europei, ma la data precisa ancora non la sappiamo né la possiamo decidere. Dipenderà molto da come continueranno le discussioni con le autorità italiane. Abbiamo poi avuto la disponibilità a collaborare anche da parte della marina maltese a certe condizioni, quindi dobbiamo valutare la portata di questa offerta. Inoltre ribadisco che Triton non sostituirà Mare Nostrum, se e quando Mare nostrum finirà dipende da una decisione delle autorità italiane e non da noi.
Di che risorse dispone attualmente Triton?
Abbiamo una stima dei costi e delle risorse tecniche e finanziarie necessarie per l’operazione di circa tre milioni di euro al mese. Per quanto riguarda la disponibilità di mezzi, dipenderà dagli impegni presi dagli stati membri se arriveremo a questa cifra o no. Tenendo però conto che nelle operazioni Hermes ed Aeneas (quelle che Frontex già sta conducendo nel Mediterraneo n.d.r.) partecipano già fra i sedici e i diciotto stati membri, diamo per scontato che almeno lo stesso numero di paesi se non di più daranno la loro disponibilità per Triton. Una volta che avremo redatto il piano definitivo con le autorità italiane, chiederemo alla Commissione il budget necessario per il 2014. Siamo invece preoccupati che nel 2015 dovremmo ridimensionare l’operazione, se non ci verranno dati fondi extra da Bruxelles. Per ora la Commissione non ci ha detto quanto intende destinare a Triton, perché preferisce che Frontex e le autorità italiane presentino il loro preventivo per poi finanziarlo.
Si era parlato di fondi extra rispetto a questi circa tre milioni al mese, che la Commissione avrebbe a disposizione ma non sa se sbloccarli. Le risulta?
Penso sia improbabile che la Commissione finanzi più di quello che sarà la stima dei costi che faremo per Triton. Quello che potranno fare, invece, è stanziare ulteriori fondi per misure aggiuntive che coinvolgano ad esempio l’Italia. Una di queste misure potrebbe essere un rafforzamento dei pattugliamenti per evitare che alcuni pescatori tunisini recuperino i relitti delle imbarcazioni usate per il traffico degli immigrati, le riparino e ne permettano di nuovo l’utilizzo agli scafisti. Questa è un’attività che Frontex non può intraprendere, ma l’Italia sì.
Prima di tornare agli aspetti del finanziamento dell’operazione, quali sono i dettagli che ancora mancano per finalizzare il piano operativo di Triton?
Si tratta principalmente dei mezzi di cui Triton potrà disporre, quante navi, aerei ed elicotteri, di che tipo, se i mezzi debbano essere messi a disposizione dall’Italia o da altri paesi etc. Una volta che finalizzeremo questi dettagli, speriamo che avverrà domani, faremo una call per gli stati membri che avranno un paio di settimane per dare ufficialmente le loro adesioni. Verrà data una deadline ufficiale, ma ripeto daremo circa due settimane di tempo. Noi comunque abbiamo il sentore che non avremo problemi ad avere la partecipazione di molti paesi. A parte quelli che hanno già dato la loro disponibilità spontanea (Spagna, Germania, Francia e ovviamente Italia n.d.r) e Malta, di cui già parlavamo, ce ne sono molti altri pronti a farlo.
Leggi l’intervista integrale a Gil Arias Fernandez su RS, l’agenzia di Redattore sociale:
Il direttore di Frontex: con Mare nostrum più arrivi, credo che l’Italia la chiuderà
 
 
 
SE A ROMA FINISCE IL BUONISMO 
Così il buonismo sugli immigrati incendia Roma 
il Giornale, 24-09-14
Salvatore Tramontano 
Hic sunt leones. Qui ci sono ileoni. È quello che scrivevano gli antichi romani sulla mappa del mondo per indicare le erre inesplorate, sconosciute. Quelle di cui non si sapeva nulla, lontane, paurose, selvagge. È quello chei romani dovrebbero scrivere adesso sulle terre alla periferia Est, lungo la strada che porta a Tivoli, là dove c`è Corcolle. 
Cosa sappiamo noi di Corcolle? Poco o nulla. Èun punto sulla mappa di Roma, metropoli senza più confini, indicato come zona Z. E ci appare come se fosse la fine del mondo. Non sappiamo (...) 
 (...) cosa significhi stare là, i problemi di chi rivive, quelli quotidiani, senza retorica, senza belle parole, senza le frasi fatte elettorali sul recupero delle periferie. Non abbiamo mai ascoltato le loro paure. E neppure come ci si arriva. 
Poi una sera accade che sulla linea 042 dell`Atac, Elisa, autista del bus, veda arrivare sassi e bottiglie sul finestrino, contro di lei. La scena si ripete per un`altra autista, questa volta sul 508. Allora Corcolle diventa un problema, una questione di sicurezza, un allarme sociale. Perché chi vive a Corcolle ha paura e dice che sono gli extracomunitari ad assaltare i bus: sono violenti, sono ubriachi, sono pericolosi. Corcolle è diventato un centro di accoglienza peri rifugiati. E la convivenza si è fatta difficile. La paura è chel`Atac chiuda le linee. La paura è camminare di sera per strada e essere aggrediti. La paura crea diffidenza. Qualcuno se la prende con gli immigrati e passa alle mani. Non i veri colpevoli, ma i primi che si trova davanti. Qualcuno dice: «Non siamo razzisti, ma provate voi a vivere circondati dai centri di accoglienza». È facile fare i tolleranti bevendo un daiquiri su una terrazza al centro di Roma. Troppo facile. È che siamo tutti bravi a parlare di Mare Nostrum, di rifugiati, di aprire sponde e frontiere. Sappiamo tutto dei diritti dei migranti, ma non ci preoccupiamo più delle esigenze degli 
italiani. Dobbiamo fare i conti con la realtà. E la realtà è Corcolle. Quel settore Z sulla mappa della grande metropoli di cui non sappiamo nulla. Dove nessun ministro o commissario europeo ha messo piede. Poi dobbiamo fare i conti con l`Austria che vuole ripudiare gli accordi di Schengen e la Germania che ordina: qui i vostri immigrati non devono arrivare. Allora che si fa, li si manda tutti negli sconosciuti Corcolle d`Italia? Come è successo che abbiamo smesso di conoscere i problemi reali delle città italiane? La risposta spetta a chi ha predicato le porte aperte per poi scrivere «hic sunt leones» nelle nostre periferie metropolitane. Hanno dato un Paese in pasto all`intolleranza. E lo hanno fatto dall`alto delle loro terrazze. 
 
 
 
Gaza, le barche della morte e il pericoloso delirio di fuga degli abitanti
E' una fuga dalla morte, illusoria, perché si va incontro ad un ennesimo disastro guidato da contrabbandieri di esseri umani avidi e criminali, i quali convincono centinaia di disperati a fuggire e procurarsi un "passaggio", ammaliati dalla facilità di approdo, inconsapevoli però di quello che li attende nel mare
la Repubblica.it, 24-09-14
MERI CALVELLI *
Gaza, le barche della morte e il pericoloso delirio di fuga degli abitantiGAZA - Altro disastro umanitario sta "aspettando al varco" la popolazione palestinese della Striscia di Gaza; dopo la brutale guerra, ma ancor di più' il brutale e duraturo assedio sulla popolazione, centinaia di giovani stanno tentando la fuga dalla morte lenta che offre la loro terra di Palestina. E' però una fuga dalla morte, illusoria, in quanto alla morte, anche se in altro modo, non sfuggono; vanno incontro ad un ennesimo disastro, questa volta condotto da maledetti contrabbandieri di esseri umani avidi e criminali, tanto quanto chi scatena le guerre sulla popolazione civile. Convincono centinaia di disperati, li come in tutte le zone di conflitto mondiale, a fuggire, a procurarsi un "passaggio", ammaliati dalla facilità di approdo, inconsapevoli però di quello che li attende nel mare.
La disperazione è l'ultimo degli effetti. Per Gaza è un fenomeno nuovo, non si era mai verificato in precedenza che cittadini di gaza se ne andassero in numeri così consistenti e soprattutto che usassero un mezzo di disperazione così grande come gli scafisti clandestini. La disperazione e l'ultima distruzione totale di Gaza, ha forzato molti giovani ad andarsene. Responsabile è l'occupazione militare che nessuno vuole fermare; connivente è l'Egitto che ha permesso la chiusura e l'assedio della Striscia di Gaza per anni e anni e che nemmeno durante la guerra criminale tra Israele e Hamas, ha aperto uno spiraglio di speranza verso la popolazione civile che cadeva inerme sotto le bombe.
La responsabilità dei rigimi arabi. Sono una vergogna i regimi arabi, ricchi sfondati, che continuano ad accumulare miliardi di dollari in banche estere investendo su progetti di sperimentazione militare, facendo prosperare l'economia dell'occidente, americana e europea; sono responsabili di questa tragedia perché hanno chiuso le porte in faccia a tutti gli arabi che fuggivano dalla morte e dalla miseria come è il caso dei siriani, degli iracheni, dei libici. E ancora sono responsabili i governi occidentali che hanno fatto affari sulle ricchezze dei paesi arabi, senza concedere niente alla povera gente, solo leggi, divieti e repressione per chi è fuggito dalle loro guerre.
Ancora una volta profughi. E' una tristezza enorme vedere oggi migliaia di morti innocenti, donne uomini bambini e anche da Gaza, per lo più giovani, che fuggono dalla disperazione, sacrificando ancora una volta la loro vita per cercare un lavoro e una opportunità' per il futuro della famiglia che lasciano di la del Mediterraneo. 
Ancora una volta martiri, di nuovo profughi. Un appello all'Italia affinché non si renda partecipe di questa tragica ecatombe e che apra le frontiere all'accoglienza e al passaggio della popolazione che vuole dirigersi verso mete diverse.
L'appello: "Non abbandonate Gaza". Ma un appello anche alla popolazione di Gaza affinché invece non cada in questo delirio di fuga verso la "morte certa" che viene prospettata dai contrabbandieri avidi di denaro e incuranti della vita altrui, con barche e altri mezzi di fortuna non legali e non sicuri. Un appello a non andare via, a non abbandonare Gaza.
* Meri Calvelli, cooperante dell'Associazione Cooperazione e Solidarietà riceviamo questa nota da Gaza che pubblichiamo.
 
 
 
Papa: migranti, globalizzare la carità
Avvenire, 23-09-14
"Sospetti e pregiudizi si pongono in conflitto con il comandamento biblico di accogliere con rispetto e solidarietà lo straniero bisognoso"; questo il richiamo del Papa nel Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato (che la Chiesa celebra il 18 gennaio prossimo), reso noto oggi. 
Nel messaggio dal titolo significativo "Chiesa senza frontiere, madre di tutti", si ricorda che la Chiesa è "madre dal cuore aperto sul mondo intero, senza frontiere", in virtù del mandato universale affidato da Gesù ai discepoli il giorno di Pentecoste. Dunque nessuno va "considerato inutile, fuori posto o da scartare" e se le Chiesa vive effettivamente la sua maternità, la "comunità cristiana nutre, orienta e indica la strada". 
Certo, esiste la tentazione, anche tra i cristiani, di mantenersi a "prudente distanza" dalle piaghe dell'umanità, ma, esorta il Santo Padre, "il coraggio della fede, della speranza e della carità permette di ridurre le distanze che separano dai drammi umani". Gesù Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei rifugiati e nei migranti, nei profughi e negli esuli.
Le ondate migratorie hanno assunto dimensioni tali che "solo una sistematica e fattiva collaborazione che coinvolga gli Stati e le Organizzazioni internazionali può essere in grado di regolarli e di gestirli. Ed ecco il richiamo forte del Papa: "E' necessaria un'azione più incisiva ed efficace, che si avvalfa ddi una rete universale di collaborazione" e che soprattutto metta al centro "la tutela della dignità e della centralità di ogni persona umana". In questo modo sarà più incisiva la lotta contro il traffico di esseri umani e tutte le forme di sopraffazione. Insomma, alla globalizzazione del fenomeno migratorio è necessario rispondere con la "globalizzazione della carità e della cooperazione", in moda da rendere più umane le condizioni dei migranti. Bisogna anche agire sui Paesi di provenienza, per ridurre le ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale.
Infine il Papa ricorda che i migranti hanno "un posto speciale nel cuore della Chiesa, e la aiutano ad allargare le dimensioni del suo cuore", a partire dall'esperienza vissuta dalla Santa Famiglia esule in Egitto.
Il messaggio è stato presentato questa mattina in Vaticano dal presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti, cardinale Antonio Maria Vegliò, che ha invitato a respingere "l'equazione tra immigrati e delinquenti". Il cardinale ha espresso perplessità sulla fine dell'operazione italiana di soccorso Mare Nostrum, sostituita dal programma europeo Frontex Plus: "Ci sarà certamente meno assistenza verso i migranti nel Mediterraneo", ha detto Vegliò. 
Monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, promossa dalla Cei, ha riferito che non è rimasto lettera morta l'invito di
Papa Francesco - pronunciato esattamente un anno fa in occasione della visita al Centro Astalli di Roma - ad utilizzare gli edifici degli istituti religiosi per accogliere immigrati e rifugiati. "Dopo l'appello del Papa - ha detto Perego - sono state accolte 4mila persone, ed anche in queste settimane si continua ad esempio a Salerno. E ci risulta che diversi
istituti religiosi stanno ristrutturando edifici".
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