Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 febbraio 2011

Storie di ordinario masochismo della FIGC
Mauro Valeri
italiarazzismo.it  11 febbraio 2011
Enis Nadarevic è nato a Bihac, in Bosnia Erzegovina, nel 1987. Come tanti ragazzini, si appassiona al calcio. Poi, nel 2005, si ricongiunge con i genitori in Italia. Per vivere fa il manovale nella ditta del padre, scappato dalla guerra nei Balcani nel 2002. Ma continua a coltivare la sua passione calcistica in campetti della provincia, riuscendo a mettersi in mostra per quella sua felice propensione al gol.
Nella stagione 2009/10, con la Sanvitese – la squadra di San Vito al Tagliamento in provincia di Pordenone, che milita nel campionato di serie D (cioè tra i Dilettanti) - realizza ben 30 gol che gli permettono di vincere la classifica da capocannoniere. A questo punto, arriva la richiesta del Varese, squadra neopromossa in serie B (cioè tra i Professionisti), che lo vorrebbe tra le sue fila. Ma c’è un ostacolo non da poco. Stando alle norme della FIGC, nessuno straniero extracomunitario può giocare nel campionato cadetto, se non per casi del tutto eccezionali. Così il trasferimento viene bloccato. Enis non ci sta e, ritenendosi discriminato in base a quanto previsto dagli articoli 43 e 44 del d.lgs 25 luglio 1998, n.286 (la famosa legge “Turco-Napolitano”), si rivolge ad un pool di avvocati e denuncia la FIGC, la quale risponde, come suo solito, impostando la difesa soprattutto su due linee argomenti: quanto accade nello sport deve essere sottoposto solo alla giustizia sportiva; le limitazioni nei confronti dei calciatori degli stranieri, sono motivate dalla necessità di “tutelare i vivai nazionali”. Già in passato questa linea difensiva si era mostrata assai debole. Non soltanto la giustizia ordinaria può (e anzi deve) occuparsi anche di questioni del mondo sportivo, specie se c’è di mezzo una presunta discriminazione nei confronti di uno straniero, ma lo sbandieramento della “tutela dei vivai nazionali” per osteggiare il tesseramento di calciatori stranieri non ha alcun senso, soprattutto perché le delibere del CONI hanno chiarito ormai da diversi anni che la tutela dei vivai sportivi non vuol dire tutelare gli atleti italiani, ma tutti coloro che sono cresciuti sportivamente nei vivai calcistici italiani a prescindere dalla loro nazionalità (e questo è anche il caso di Enis). Tutelare i vivai vuol dire quindi tutelare tutti coloro che si formano nei vivai, a prescindere dalla cittadinanza. Pensare che invece voglia dire “tutelare i calciatori italiani” è un ragionamento discriminatorio, che troppo spesso si traduce in pratica discriminatoria. Il paradosso sta semmai nel riuscire a conciliare la norma che “tutela dei vivai” con le restrizioni previste per il tesseramento e nella concreta possibilità di schierare in campo calciatori “extracomunitari”, senza cadere nella discriminazione. Di certo, nel caso di Enis la discriminazione sussiste. Così il 2 dicembre 2010, il Tribunale di Varese (sezione prima civile) emette la sua ordinanza, con la quale: “accerta e dichiara che la FIGC ha tenuto un comportamento discriminatorio (…) rifiutando di ammettere Enis al tesseramento per la stagione calcistica 2010/2011, e ordina alla FIGC di cessare immediatamente il comportamento con effetti discriminatori”. Qualche settimana dopo, Enis fa il suo esordito con la maglia de Varese.
Da questa vicenda, come da quella di Mehdì Kabine o di Rachid Arma, si ricava però anche un’amara constatazione. L’unica possibilità per convincere la FIGC a rivedere in maniera più realistica e meno discriminatoria tutta la normativa sul tesseramento (soprattutto il primo tesseramento) sembra essere “per via giudiziaria”. Nonostante le molte promesse, infatti, non sembra che ci sia la volontà da parte delle “gerarchie calcistiche” di prendere atto del cambiamento avvenuto nella nostra società, che è una società sempre più multietnica. Lo hanno fatto importanti federazioni, come quella di basket, di pallavolo, di atletica o di pugilato. La FIGC no. A quando la prossima sentenza?



Ieri "clandestini", oggi "profughi"

Fulvio Scaglione
Agenzia Habeshia 12.02.2011
E così, una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri ha prodotto la decisione di decretare lo "stato di emergenza umanitaria". Già ieri, peraltro, Roberto Maroni, ministro degli Interni, aveva parlato di una "vera e propria crisi umanitaria": quella che ha già fatto sbarcare sulle nostre coste, sull'isola di Lampedusa e altrove, migliaia di profughi tunisini ed egiziani. Una decisione saggia, presa in tempi molto brevi. Non possiamo che congratularci con il Governo. Peccato, però, che lo "stato di emergenza umanitaria" giustamente applicato a questa ondata di barconi porti a chiedersi che cos'erano gli altri, quelli che arrivavano PRIMA e ai quali veniva invece riservato il trattatamento noto come "respingimento", con relativa consegna nelle mano degli sgherri del colonnello Gheddafi. Questi sono profughi e quelli erano gitanti della domenica? Sui barconi arrivavano quelli, ed erano chiamati "immigrati clandestini". Sui barconi arrivano questi e son chiamati "profughi". Certo, il Maghreb vive una situazione difficile. In Tunisia un tiranno è stato cacciato, in Egitto anche, e la transizione verso regimi più democratici, se mai ci sarà, si prospetta lunga e difficile. Ma i "profughi", pardon "immigrati clandestini" che cercavano di sbarcare sulle nostre coste PRIMA, non si lasciavano alle spalle situazioni più facili. Sui barconi di PRIMA viaggiavano migliaia di persone fuggite dalla Somalia, dal Sudan, dall'Eritrea, dall'Etiopia. Vogliamo fare qualche confronto? In Egitto ci sono stati 18 giorni di proteste di piazza, in Sudan una trentina di anni di guerra. In Tunisia il Prodotto interno lordo per persona (ovvero, la quota per individuo della ricchezza nazionale) è pari a 9.500 dollari, in Somalia (dove peraltro comandano le Corti islamiche, una versione africana dei talebani, dopo vent'anni di guerra civile) è di 600 dollari (forse, perché la disgregazione del Paese è tale da rendere ipotetica qualunque statistica). Il che significa vivere con 1,5 euro al giorno. E ancora. L'Eritrea, oggi, è quasi la riedizione africana del regime imposto a suo tempo da Pol Pot alla Cambogia. Gulag, prigionieri politici, repressione del dissenso e della libertà di stampa, galere, torture, servizio di leva obbligatorio e senza termine, e di tanto in tanto una guerra. Tutto questo non ha impedito a migliaia di eritrei di essere trattati da "clandestini" e non da profughi di un'emergenza umanitaria, e quindi di essere consegnati al buon Gheddafi. Come successe per esempio ai 75 eritrei (tra i quali 9 donne e 3 bambini) che nel luglio 2009, intercettati nel Mediterraneo da una nostra imbarcazione militare, furono rimorchiati nel porto di Tripoli (Libia) nonostante che avessero documenti dell'Unhcr (l'Agenzia dell'Onu per i profughi e i rifugiati) che attestavano la loro condizione di profughi, desiderosi di chiedere asilo politico. Alla Corte europea di Giustizia, tra l'altro, pende ancora la causa che 24 eritrei e somali hanno intentato all'Italia proprio perché a suo tempo "respinti" verso la Libia. Insomma, ci piacerebbe capire che cos'è (e che cosa non è) un'emergenza umanitaria secondo i criteri interpretativi del nostro Governo. Giusto per saperci regolare in futuro. E già che ci siamo: ma se questa è un'emergenza, perché è stato tenuto rigorosamente chiuso il Centro di accoglienza di Lampedusa, mentre centinaia di persone (questa volta non "clandestini" ma "profughi", come dice il governo stesso) passavano le notti all'addiaccio? Una ragione ci sarà. O è solo una questione di orgoglio leghista?



Immigrati: Avvenire, Italia agisca con realismo e senso di umanita'

Citta' del Vaticano, 14 feb. (Adnkronos) - Con una nota pubblicata dal sito web di Avvenire, il giornale dei vescovi interviene sulle notizie relative allo straordinario afflusso di profughi provenienti dal Nord Africa. Avvenire chiede all'Italia di agire ''con realismo e senso di umanita''', ''gli stessi ingredienti che dovrebbero animare l'Unione Europea''.
''Mai come in queste ore l'Italia - scrive Avvenire nella nota diffusa questa mattina - e' costretta dalle circostanze a capire che quanto accade nella sponda settentrionale del Mediterraneo la riguarda molto da vicino''. Quindi prosegue: ''I barconi che in quattro giorni hanno portato a Lampedusa quattromila tunisini in fuga dal caos che regna nel Paese, le preoccupate dichiarazioni del ministro Maroni sulla possibile presenza tra loro di elementi legati al terrorismo internazionale, la decretazione dello stato di emergenza da parte del governo italiano, ci richiamano ad alzare gli occhi oltre il recinto di casa''.
''Anche perche' - si osserva - il recinto e' fragile. Dobbiamo fare i conti con questo pezzo di storia contemporanea che si muove verso le nostre coste, con realismo e senso di umanita'''. ''Gli stessi ingredienti - conclude il giornale della Cei - che dovrebbero animare l'Unione Europea, la quale non puo' limitarsi a 'seguire da vicino' la drammatica evoluzione degli avvenimenti, come recitava ieri uno sconsolante comunicato di Bruxelles''.



Immigrazione:Lampedusa;notte senza sbarchi,barcone in arrivo

Sono 2.150 i migranti in centro di accoglienza dell'isola
(ANSA) - LAMPEDUSA (AGRIGENTO), 14 FEB - Notte senza sbarchi a Lampedusa. Dopo gli arrivi a ripetizione dei giorni scorsi non sono stati registrati nuovi arrivi. Un barcone localizzato ieri sera si sta dirigendo molto lentamente verso l'isola. A bordo, un numero imprecisato di migranti. Il cielo e' nuvoloso e le condizioni del mare non sono buone come negli ultimi giorni.
Sono 2.150 gli extracomunitari ospitati nel centro di accoglienza di Lampedusa, riaperto ieri per far fronte all'emergenza umanitaria. Altri 35, componenti di nuclei familiari con donne e bambini, sono in un albergo. (ANSA).



Immigrazione: continuano sbarchi in Sicilia, arrivati in 27

Undici migranti bloccati a Pantelleria, 16 a largo coste Ragusa
(ANSA) - PALERMO, 14 FEB - Continuano gli sbarchi in Sicilia.
La notte scorsa sono arrivati 27 migranti. A Pantelleria, nel Trapanese, i carabinieri hanno bloccato a terra undici extracomunitari trovati nel corso di alcune battute. Ricerche sono in corso per individuare altri profughi. Un'imbarcazione con 16 migranti e' stata intercettata da una motovedetta della Guardia di finanza. Gli extracomunitari sono stati condotti a Pozzallo, nel Ragusano, e trasferiti nel centro di prima identificazione dove sono in corso accertamenti da parte della polizia di Stato.



Riapre il centro di Lampedusa «Esodo biblico, l’Ue è ferma»

Maroni accusa. La Tunisia schiera i soldati: no ai poliziotti italiani
Corriere dela srea, 14-02-2011
Alessandra Arachi
ROMA— A Lampedusa ieri sono sbarcati altri mille immigrati tunisini, in meno di ventiquattr’ore. E Roberto Maroni, ministro dell’Interno, ha finito con il cedere: ha riaperto il centro di accoglienza dell’isola. Impossibile reggere la pressione di questo flusso dalla Tunisia in rivolta che, tra l’altro, non accenna a diminuire. Sulle coste tunisine, ieri, le autorità locali hanno schierato le truppe dell’esercito per tentare di fermare le partenze, rispondendo ad un appello del nostro Paese. Ma hanno detto formalmente no all’invio di agenti italiani, considerandolo «inaccettabile» . Il ministro Maroni non ha esitato a lanciare la sua accusa all’Europa: «Siamo davanti ad un esodo biblico e di fronte a questo l’Europa non sta facendo nulla. Tace: non ho sentito il presidente Barroso dire qualcosa. L’Italia è stata lasciata sola» . Si è riaperto il centro di accoglienza che a Lampedusa era stato chiuso nel 2009, anche su richiesta del sindaco, Dino de Rubeis. «Ma questa riapertura, che è stata giusta vista l’emergenza, bisogna considerarla, per quanto grave, una situazione contingente. Così come gli ospiti si devono considerare assolutamente temporanei» , ha subito sottolineato il ministro degli Esteri Franco Frattini. Sarà lui, Frattini, che oggi volerà in Tunisia per incontrare il premier Mohammed Gannouchi, visto che l’incontro fissato per mercoledì fra Maroni e il ministro degli Esteri tunisino è saltato, perché quest’ultimo si è dimesso. Di fronte all’emergenza immigrati, intanto, l’Italia si sta ingegnando, come può. Giuseppe Caruso, prefetto di Palermo appena nominato commissario straordinario, ha messo a punto un piano per sistemare i naufraghi. «Ci troviamo davanti ad una situazione che non ha precedenti» , commenta Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i profughi, spiegando che in tanti immigrati arrivano e chiedono lo status di rifugiato politico. E, soprattutto, sono davvero tanti quelli che continuano ad arrivare: ecco perché il famigerato «modello Lampedusa» sta perdendo ogni valore, in queste ore. In queste ore sono rimasti a Lampedusa oltre duemilacinquecento immigrati tunisini, più della metà degli abitanti dell’isola. Il ponte aereo e il ponte marittimo che hanno funzionato in questi giorni a ritmi serrati, si sono praticamente interrotti: gli altri centri sparsi nel territorio nazionale hanno raggiunto la saturazione. E gli sbarchi vanno avanti. Basta buttare un occhio nel porto di Lampedusa dove ieri pomeriggio si contavano oltre cinquanta «carrette» del mare, accatastate. Intanto è stato anticipato ad oggi il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica che ha in programma la gestione di questa drammatica emergenza. «Le persone che scappano da un Paese allo sbando hanno diritto ad una protezione internazionale» , ha spiegato il ministro Maroni, mentre anche il quotidiano dei vescovi, l’Avvenire, è intervenuto sul problema per bacchettare la Ue: «L’Unione europea non può limitarsi a "seguire da vicino"la drammatica evoluzione degli avvenimenti, come recitava ieri uno sconsolante comunicato di Bruxelles» .



SBARCHI CLANDESTINI A LAMPEDUSA LA UE SEMBRA La BELLA ADDORMENTATA

Corriere dela sera, 14-02-2011
Luigi Offeddu

La bella addormentata, ecco quel che sembra a volte l’Europa. Soprattutto in questi giorni, a Lampedusa con i suoi tremila migranti clandestini, e nelle parole del ministro degli Interni Roberto Maroni: l’Italia ha chiesto l’aiuto dell’Unione Europea, e «hanno risposto che queste richieste vanno fatte 15 giorni prima... Sono allibito di questo approccio burocratico. Siamo soli, l’Europa non sta facendo nulla» . Replica a stretto giro di posta dagli uffici di Cecilia Malmstrom, la commissaria Ue agli Affari interni: «La Commissione Europea è in stretto contatto con le autorità italiane, ed è pronta ad aiutare il Paese» . Ma ci vorranno almeno 10 giorni, appunto, per avere una decisione. È poco, è molto? Sarebbe moltissimo, uno scandalo, per un governo nazionale (anche se ognuno ha le sue lentezze: ci sono voluti 3 giorni, e tremila arrivi, prima che si decidesse di riaprire il Centro di accoglienza di Lampedusa). Ma è forse poco, per un governo che poggia su 27 diversi governi: cioè per la Ue. Che è un’architettura molto più complessa, per esempio, degli Stati Uniti d’America: ognuno dei 27 Paesi ha piena sovranità nelle questioni principali della sua politica estera, cosa che gli stati americani non hanno. La Ue è un gigante, circondato da lacciuoli: cioè da meccanismi di reciproche garanzie, nessuno dei quali è stato messo lì per caso. Così, ora, il tema «Lampedusa» entra in un percorso a ostacoli: dovrà essere esaminato dopodomani a Strasburgo da tutti gli ambasciatori e rappresentanti permanenti (il cui lavoro è preparato a sua volta da 150 diversi comitati); e il 24 febbraio, a Bruxelles, dal Consiglio dei 27 ministri degli Interni e della Giustizia (Jai). La presidenza ungherese della Ue (presidenza di turno fino a giugno: altra complicazione) sarebbe pronta a inserire l’emergenza immigrati nell’ordine del giorno: ed è già molto; ma solo il 24 febbraio si avrà una decisione. Tempi lunghi, certo: però questi sono i meccanismi che hanno creato i 27 Stati, compresa l’Italia. La bella addormentata, con tutti i suoi difetti, non si è inventata da sola.



Immigrazione: 118 tunisini sul treno fermati a Bologna da Ps

Sarebbero parte degli sbarcati al sud. Il convoglio cancellato
(ANSA) - BOLOGNA, 14 FEB - 118 tunisini sono stati bloccati dalla polizia alla stazione di Bologna mentre viaggiavano su un Intercity da Reggio Calabria e diretto a Milano.
Sarebbero saliti a Crotone e sarebbero immigrati sbarcati in Italia nei giorni scorsi e affidati a centri 'Cara', per i richiedenti asilo, della Calabria e della Puglia. All'arrivo a Bologna, pare che fossero in possesso del biglietto ma senza documenti. Il treno e' stato cancellato per le precarie condizioni igieniche e gli altri viaggiatori sono stati fatti salire su altri convogli diretti nel capoluogo lombardo. (ANSA).



Lampedusa, riaperto il Centro d'accoglienza

Avvenire, 14-02-2011
Non si arrestano gli sbarchi di immigrati a Lampedusa. L'ennesimo barcone, carico di un centinaio di immigrati, è entrato nel porto dell'isola in serata. Altri sbarchi si sono avuti dalla scorsa notte, senza interruzione. Ma arrivano anche altre tragiche notizie: come quella del ritrovamento  dei cadaveri di quattro uomini su un gommone alla deriva al largo di Sfax (sud della Tunisia). La scoperta sarebbe stata effettuata da una motovedetta della guardia nazionale nei giorni scorsi, ma lo si é saputo solo oggi a Tunisi. I quattro sarebbero morti nel tentativo di raggiungere clandestinamente l'Italia.
Da mezzanotte a stamani sono circa millecinquecento le persone sbarcate sull'isola.  Attualmente sarebbero quasi 2500 in totale gli immigrati. Millecinquecento sono stati ammassati per ore nel campo di calcio, guardati a vista da una decina di carabinieri (altri cento militari dovrebbero arrivare presto).  Settecento hanno stazionato sul molo Favaloro. Altri in ogni luogo dell'isola. "Emergenza biblica", protestano le forze dell'ordine locali. Poi nel pomeriggio, dopo le pressanti richieste anche del sindaco e un annuncio del prefetto,  il centro di accoglienza, che Maroni aveva voluto tenere chiuso, è stato riaperto. E gli immigrati a centinaia, come in un lungo corteo, hanno raggiunto la struttura.
La nuova emergenza clandestini in fuga dal Maghreb sarà al centro dei colloqui che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, avrà oggi a Tunisi con il primo ministro Mohammed Gannouchi, mentre non si arrestano gli sbarchi a Lampedusa. A Roma, stasera, si riunirà il Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, inizialmente fissato per giovedì. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, parla di un "esodo biblico" di fronte al quale "l'Europa non sta facendo nulla".
Bocciata, intanto, a Tunisi, l'idea dell'invio di poliziotti italiani per bloccare i barconi in partenza. L'Italia - ha dichiarato ieri sera Frattini - è comunque pronta ad utilizzare "strumenti" navali e terrestri. Secondo un sito in lingua araba, le autorità tunisine avrebbero già inasprito la sorveglianza, giungendo a speronare con una motovedetta un barcone con un centinaio di immigrati davanti alle coste di Gabes, e causando 29 morti.



Immigrati, Frattini: "Vogliamo i pattugliamenti" Ma la Tunisia: "Mai polizia straniera sulle coste"

Il ministro degli Esteri da Damasco propone il ritorno ai pattugliamenti del Mediterraneo: "Finora avevano bloccato il flusso di clanedistini verso le nostre coste". Ma da Tunisi fanno sapere: "Pronti a cooperare, ma non acceteremo ingerenze sui nostri affari interni". No alla soluzione di poliziotti italiani sulle coste
Il Giornale, 14-02-2011
Damasco - Per fermare l'esodo di immigrati l'Italia rivuole i pattugliamenti. Ma la Tunisia, da dove gli stranieri scappano, risponde picche. L’Italia vuole ripristinare i pattugliamenti nel Mar Mediterraneo per arginare l’immigrazione clandestina "dalle coste della Tunisia" dice il ministro degli Esteri, Franco Frattini, a margine della conferenza stampa congiunta a Damasco con l'omologo siriano, Walid Moallem. "Finora il meccanismo dei pattugliamenti ha funzionato e noi vogliamo ripristinare quel meccanismo che fino a un mese fa - ha ricordato -, aveva riportato a zero l’immigrazione clandestina". Si tratta, ha aggiunto Frattini, di un meccanismo che "finora ha funzionato bene". In merito all’imminente incontro con Ghannouchi, il ministro si è detto certo che "la collaborazione tra i nostri due Paesi riprenderà più forte di prima".
Ma la Tunisia dice no La Tunisia respinge "qualunque ingerenza nei suoi affari interni". Lo ha reso noto il ministero degli Esteri in reazione all’ipotesi dell’Italia di dispiegare forze di polizia per contenere il flusso di immigrazione clandestina verso l’Europa. Un responsabile del ministero degli Esteri ha spiegato all’agenzia Tap che la Tunisia respinge categoricamente "qualunque ingerenza nei suoi affari interni", ma è "pronta a cooperare" con gli altri Paesi per limitare l’esodo di suoi cittadini verso l’Europa. Riguardo alla ipotesi del governo italiano di dislocare forze di polizia nel paese per cercare di fermare quello che il ministro dell’Interno Maroni ha definito un "esodo biblico", il responsabile ha detto: "Tanto la Tunisia è fortemente interessata a preservare le relazioni di amicizia e cooperazione stabilite con l’Italia e a continuare a svilupparle, tanto esprime il suo stupore per tale decisione". Nella notte il portavoce dell’esecutivo di Tunisi aveva definito "inaccettabile" l’uso della polizia italiana sul territorio tunisino. Il responsabile del ministero degli Esteri ha ancora spiegato che "la Tunisia ribadisce la sua disponibilità a cooperare con i paesi fratelli per identificare soluzioni al fenomeno dell’emigrazione clandestina.... la Tunisia aspira a esaminare questa questione in completa trasparenza con i responsabili italiani durante i contatti nel corso dei prossimi giorni".



Tunisi respinge gli agenti italiani sulle coste. Frattini: servono pattugliamenti

Il governo tunisino respinge le ingerenze «negli affari interni». L'Italia insiste: Avevano azzerato i clandestini
Corriere della srera, 14-02-2011
MILANO - La Tunisia respinge «qualunque ingerenza nei suoi affari interni». Lo ha reso noto il ministero degli Esteri in reazione all'ipotesi dell'Italia di dispiegare forze di polizia per contenere il flusso di immigrazione clandestina verso l'Europa.
COOPERAZIONE - Le autorità di transizione della Tunisia si sono però dette «pronte a cooperare» con gli altri paesi per far fronte all'ondata di immigrazione clandestina che si sta riversando in Europa, e in particolare in Italia. Riguardo alla ipotesi del governo italiano di dislocare forze di polizia nel paese per cercare di fermare quello che il ministro dell'Interno Maroni ha definito un «esodo biblico», il responsabile ha detto: «Tanto la Tunisia è fortemente interessata a preservare le relazioni di amicizia e cooperazione stabilite con l'Italia e a continuare a svilupparle, tanto esprime il suo stupore per tale decisione». Ma resta il no alla polizia italiana sulle coste del Magreb.
QUOTA ZERO - Dopo il primo rifiuto da parte di Tunisi, oggi Franco Frattini andrà a Tunisi per insistere sulla necessità di un'azione congiunta da parte dei due governi: «sono certo che la collaborazione tra i nostri due paesi riprenderà più forte di prima», ha detto il ministero degli Esteri, conversando con i giornalisti a Damasco, prima tappa del suo tour regionale. «Finora il meccanismo ha funzionato e vogliamo ripristinare quel meccanismo che fino a un mese fa aveva portato a zero l'immigrazione clandestina» ha detto, motivando la richiesta di pattugliamenti delle coste nordafricane per far fronte all'emergenza sbarchi.
STRUMENTI - Il tema dell'immigrazione irrompe nella fitta agenda di impegni del ministro degli Esteri, Franco Frattini, in visita a Damasco per incontrare il presidente siriano, Bashar al-Assad, e il pari grado Walid Moallem. L'Italia è pronta a collaborare con la Tunisia per fermare gli enormi flussi di migranti irregolari degli ultimi giorni attraverso «un aiuto logistico, equipaggiamento per le forze di polizia e la messa a disposizione di strumenti importanti, sia navali sia terrestri, per il pattugliamento della costa tunisina», ha sottolineato il ministro prima di atterrare in Siria. Frattini, dopo una tappa in Giordania per incontrare re Abdallah, sarà nel pomeriggio a Tunisi dove avrà un faccia a faccia con il primo ministro ad interim, Mohamed Gannouchi. Obiettivo della visita nel Paese maghrebino, ha spiegato il titolare della Farnesina, è «ottenere la conferma della volontà di lavorare con l'Italia, come sempre si è fatto, per frenare quel flusso migratorio irregolare» che si può fermare solo intervenendo sui porti di partenza.
LATITANZA EUROPEA - Sulla necessità di un «approccio europeo» concorda Romano Prodi. «È quello che ho sempre detto», afferma l'ex premier in un'intervista al Quotidiano Nazionale, nella quale non risparmia critiche all'Europa: «Invece c'è uno scarso impegno per il Mediterraneo. L'Europa ha fatto un grande progetto senza assegnargli le risorse necessarie». Il Professore punta il dito, in particolare, contro il Processo di Barcellona e l'Unione per il Mediterraneo lanciata dal presidente francese Sarkozy: «Sono solo promesse. Latita una politica di intervento economico e sociale: Questo spiega la diffusa insoddisfazione nella sponda Sud». Prodi concorda con Frattini anche sulla necessità, per arginare gli sbarchi, di adottare il modello impiegato a suo tempo con l'Albania, «ma è necessario un accordo generale -dice l'ex premier- Ora però c'è un'emergenza che deve vedere impegnati tutti i Paesi europei».



Tra i mille disperati del campo di calcio «Un lavoro l’avevamo»

«Siamo profughi, in fuga dalla polizia che spara»
Corriere dela Sera, 14-02-2011
Felice Cavallaro
PALERMO — Hanno giocato anche a pallone nel campo sportivo, dopo averci dormito una notte in mille. Rinchiusi oltre la rete, innocui, senza approfittare della scarsa vigilanza, visto che più di sette carabinieri non potevano occuparsi di loro nell’isola che scoppia e dove si riapre, fra ritardi e polemiche, il Centro di accoglienza. Altri dieci militari, con Fiamme Gialle e Capitaneria di porto, dovevano correre al Molo Favarolo ad accogliere barconi che, sotto una mezza luna argentata, continuavano ad arrivare dalla Tunisia. Come è accaduto poi ancora per un giorno intero, il quinto consecutivo. Un totale di oltre 50 pescherecci. Con una mastodontica sproporzione tra profughi e soccorritori di una macchina sorpresa dall’esodo. Come se le rivolte tunisine non potessero far prevedere una ripresa degli sbarchi. Altri mille, quindi, in una sola notte, compresi i 170 della carretta dove c’è voluta la forza di tre finanzieri per tirare su dalla stiva un ragazzo con le gambe immobili dalla nascita, Walid Miladi, 26 anni, arrivato da Tunisi con due fratelli e una sgangherata sedia a rotelle. Una delle tante storie di un’umanità in cerca di pace, di un popolo di giovani sotto i 30 anni, quasi tutti uomini, appena 7 donne o poco più. Un dramma smorzato dal sorriso di Walid, il disabile che dalla sua seggiola davanti al campo sportivo si danna di parlare solo arabo. Ma c’è il più piccolo dei fratelli, Marwan, 18 anni, che lo tranquillizza. E c’è l’altro, Nidhal, 21, che intrecciando italiano e francese racconta come tutti e tre abbiano combattuto in piazza a Tunisi per liberarsi di Ben Alì: «Proteste continue, scontri, feriti e arresti. Tutti a gridare, a chiedere libertà, compreso Walid. Ma l’hanno bloccato. È finito in prigione per un po’. Appena uscito, siamo partiti per Zarzis. Siamo fratelli perché mia madre si è sposata con il padre di Walid. Ci hanno dato i soldi di una colletta. "Andate in Italia, Francia, Germania..."» . Azzanna un panino oleoso, pasto di mezzogiorno che arriva dal Centro accoglienza con il furgone preceduto da Cono Galipò, numero uno di questa struttura che tanti, dal ministro Maroni al sindaco Dino De Rubeis, non volevano riaprire. Come invece accade nel pomeriggio del quinto giorno di questa emergenza umanitaria con dimensioni e contesti diversi da quelli di un tempo, visto che si contano 2.600 tunisini, più della metà degli abitanti dell’isola. Ma quando al campo sportivo e alla stazione marittima si sparge la voce che bisogna mettersi in coda, diretti al Centro, tanti provano a dileguarsi, raccolti uno per uno dai pochissimi militari in campo, visto che della Protezione civile non c’è traccia. Tutti a tranquillizzare un popolo diffidente. «Non voglio farmi arrestare» , sbotta Alì, che zompa sulle rocce fino al promontorio dove finisce la pista dell’aeroporto. Ci resta, a guardare i barconi che arrivano. «Dopo Ben Alì, comanda la mafia da noi, solo bande armate...» , dice il ragazzo arrivato da Ben Gardane, poco a nord dell’isola di Djerba. Decide di passare la notte all’aperto. Non sono gli unici a mimetizzarsi nella notte di Lampedusa, come intuisce una delle operatrici che si sgola a tranquillizzare gli immigrati, Simona Moscarelli, ufficiale di collegamento dell’Organizzazione per le migrazioni, l’Oim, sorpresa dalla composizione di questa ondata. «Stavolta sono tutti ragazzi, molti diplomati, francese e inglese scorrevoli, in fuga da aree che credevamo liberate...» , commenta in sintonia con Tarek Brhane, un eritreo votato a «Save the children» , ed altri un po’ psicologi, un po’ assistenti sociali, pronti a informare su diritti e doveri. Ascolta Kaled Khenissi, 31 anni, annuisce, è pronto a seguire ogni regola: «Purché io possa lavorare, come faccio da quando avevo 8 anni, come ambulante, ma in una terra senza banditi o ex poliziotti che sparano» . Un lavoro subito per essere autonomo, «imbianchino» , lo invoca Fausi Edjjaui, 30 anni. Come Neli Macrem, stessa età, fino a Natale autista a Djerba, fra il Club Med e l’hotel Riu. Stessa spiaggia di Gabri, 27 anni, da dieci al lavoro con moto d’acqua e paracadute trainati dal motoscafo: «Vorrei tornare nel mio villaggio, ma in una settimana ho visto ammazzare 25 persone, a due passi da Zarzis» . Sono racconti sussurrati anche ai ragazzi di Lampedusa che si fermano per offrire una sigaretta o a don Stefano, il parroco sempre più in sintonia con la pasionaria di Legambiente, la «comunista» Giusy Nicolini che plaude al sacerdote coraggioso: «Siamo come Don Camillo e Peppone. Ammetto che se non fosse stato per questo santo tutto sarebbe partito ancora più tardi...» . Già, mercoledì la prima notte di fuoco, fu lui a scuotere tutti, davanti a mille migranti abbandonati sul molo: «Apro la parrocchia» . Scattarono telefonate, email, rapporti e cominciò una lenta presa di coscienza del dramma rovesciato su un isola o su campo di calcio dove mille persone non sanno nemmeno dove fare pipì. Cercando riparo fra le carcasse delle loro carrette tirate a secco.



Arriva un barcone all'ora,  l'isola sull'orlo della crisi

Allarme della Caritas: «La situazione grave come ventanni fa sull'Adriatico». Protestano i pescatori
Il Messaggero, 14-02-2011
LUCIO GALLUZZO
LAMPEDUSA - Il Centro di prima accoglienza di Lampedusa dopo due anni di inattività è di nuovo pieno come un uovo. Il decreto che lo ha rimesso in funzione è stato firmato alle 13 di ieri dal Commissario straordinario per l'emergenza
tetto   Giuseppe Caruso. Alle 16 i primi    ingressi. Non tutto è filato liscio, alcune centinaia di migranti, soprattutto i giovani, hanno cercato di sottrarsi per il timore di essere «arrestati ed espulsi». «Vogliamo restare in Europa - hanno scandito - meglio morire che tornare a casa». La diplomazia dei carabinieri (due voli speciali hanno rafforzato il contingente sull'isola con altri 100 militari) e degli operatori del Cpt alla fine ha avuto la meglio. Hanno spiegato che la riapertura del Centro rispondeva a esigenze umanitarie: dormire sotto un tetto (la sera la temperatura cade bruscamente) e pasti caldi, servizi igienici, un minimo di generi essenziali per la cura della persona
Ora che il Centro è saturo si fa affidamento sui trasferimenti per far posto alle altre miglia di tunisini che sono in mare o trattano l'acquisto di un passaggio sul Canale nei piccoli porti e lungo le coste. Il saldo di ieri è negativo: i charter con la flotta aera delle Poste italiane hanno spostato sul Continente 600 persone, ma dalla mezzanotte alle 18 di ieri si sono registrati 19 sbarchi (uno dei quali diret-tamente sulla costa e non in porto) per un totale di 1363 arrivi. Ma non è tutto, dopo le 18 le motovedette italiane hanno agganciato e scortato verso l'isola altri due barconi stracolmi. In praticagli arrivi domenica sono avvenuti con una cadenza di uno all'ora.
Tutte le indicazioni disponibili attraverso la stampa tunisina - che trovano conferma nelle testimonianze degli sbarcati - indicano che sulla sponda africana in attesa di imbarco ci sono decine di migliaia di persone. I pescatori sono ben felici di cedere il loro naviglio, il blocco del turismo, tra l'altro, ha fatto cadere la domanda del pesce. Dunque meglio cedere un vecchio natante ad un prezzo che consente di comprarne uno nuovo e di tenere in tasca un bel po' di denaro. Operatori di organizzazioni cattoliche e laiche impegnate a Lampedusa nell'assistenza dicono con chiarezza che 1' emergenza «è solo agli inizi e appare destinata a intensificarsi se altri Stati come Algeria e Libia non sapranno gestire il cambiamento». Del resto i cambiamenti politici avvenuti nel Mediterraneo - spiega Oliverio Forti, responsabile immigrazione della Caritas - stanno a testimoniarlo, Basterà ricordare quel che accadde   con   l'Albania   nel 1992. E quanto sta avvenendo in questi giorni in vari Stati del Nord Africa «prospetta un quadro analogo a quello di 19 anni fa nell'area adriatica dei Balcani».
L'emergenza, intanto, sconvolge i ritmi dei traffici portuali dell'isola. Nei suoi due bacini sono già sotto sequestro 50 natanti. L'affollamento del navi-
glio tunisino nelle rade ha suscitato l'irritazione dei pescatori locali che non riescono a rag-giungere le "loro" banchine. Per un paio d'ore i pescatori hanno inscenato una protesta bloccando in parte con i loro scafi il molo Favaloro. Sulle fiancate dei pescherecci i lampedusani hanno affisso un paio di striscioni sui quali si leggeva: «Vogliamo i diritti», «Aiutateci come fate con i clandestini».   Chiedono,   soprattutto, sgravi sul carburante che costa di più sull'isola rispetto ai prezzi praticati in Sicilia. Nessuna contestazioneè stata invece elevata contro gli scafisti. In questa ondata immigratoria si è trovato modo di abolire la più odiata figura dell'affare delle carrette del mare. I tunisini sostengono di avere «comprato» l'imbarcazione con la quale sono partiti verso l'Europa e di essere tutti in grado di governarla. Tutti coloro che sbarcano vogliono restare, non c'è dunque nessuno tra di loro -almeno ufficialmente - che dietro compenso sì sia assunto la responsabilità di traghettarli



Per affrontare l’emergenza pronti anche hotel e conventi

Il Messaggero, 14-02-2011
Fiorenza Sarzanini
ROMA— «Arriveranno a migliaia» , ripetono gli analisti dell’intelligence. E per fronteggiare un’emergenza che rischia di trasformarsi in crisi, il Viminale mette a punto un piano di emergenza straordinaria. Alberghi, residence, strutture religiose, se necessario anche caserme, saranno reperiti nelle prossime ore per ospitare i cittadini extracomunitari che stanno giungendo via mare dalla Tunisia, ma anche da altre zone del Nordafrica. E per ovviare a quelle carenze nel sistema di accoglienza che si sono acuite da quando l’accordo con la Libia aveva fatto diminuire gli sbarchi. Nei mesi scorsi era stato chiuso il centro di Lampedusa e di fatto accantonato il progetto di aprire nuovi Cie, soprattutto nelle regioni che non hanno alcun centro per l’identificazione degli stranieri senza permesso che arrivano in Italia. Ecco perché adesso ci si trova alla disperata ricerca di posti dove sistemare le migliaia di uomini, donne e bambini che dopo aver attraversato il Mediterraneo approdano in Sicilia. È stato il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, già nominato commissario per la gestione degli arrivi, a mettere a punto il progetto che dovrà essere varato oggi durante la riunione convocata al ministero dell’Interno. La scelta di anticipare il comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza inizialmente previsto per giovedì basta a dare l’idea di quale sia la corsa che si è costretti a fare per fronteggiare la situazione. E dunque Caruso ne ha discusso ieri con i nove prefetti siciliani e alla fine è stata stilata la lista dei luoghi che possono essere reperiti per sistemare gli stranieri. Le disposizioni del ministro Roberto Maroni prevedono che rimangano sull’isola, ma nessuno può fare previsioni e non è escluso che alla fine si debbano cercare posti anche altrove. Perché con il trascorrere delle ore si materializza sempre più lo spettro di quanto avvenne con l’Albania quando— erano gli inizi degli anni 90— dalle spiagge e dai porti rimasti senza controllo partivano centinaia di imbarcazioni e alla fine si arrivò a una vera e propria invasione dell’Italia. Alla fine del 2009 si era deciso di aprire subito quattro Cie (in Veneto, Marche, Campania e Toscana) e non è escluso che la pratica venga riavviata per fare fronte a una situazione che certamente andrà avanti per svariate settimane e i cui esiti appaiono imprevedibili. Perché adesso l’emergenza riguarda la Tunisia, ma quanto sta accadendo in Egitto, in Algeria e in tutta l’area del Nordafrica fa prevedere che gli sbarchi andranno avanti fino all’estate. Anche perché in questi Paesi — come ha sottolineato ieri Maroni riferendosi al governo tunisino — «non esiste più alcun interlocutore» e dunque appare complicato poter stilare un piano che preveda la sigla di accordi con questi Stati. Non a caso per l’invio di un contingente di polizia italiano che pattugli spiagge e porti si potrebbe essere costretti a chiedere un via libera di massima delle autorità in carica, ma con l’appoggio dell’Unione Europea che fornirebbe alla missione la «cornice» internazionale. Per l’avvio delle procedure di identificazione degli stranieri e la vigilanza durante i trasferimenti tra le strutture, sono già stati messi in preallerta i reparti mobili della polizia e nei prossimi giorni gli agenti in servizio potrebbero essere precettati. Ma anche in questo caso si interviene in emergenza, senza alcuna pianificazione. Lo dimostra la denuncia del segretario del Sap, Nicola Tanzi, che sottolinea come «i tantissimi appartenenti alle forze di polizia che in queste ore stanno operando per fronteggiare quanto accade rischiano di lavorare gratis perché la Legge finanziaria 2010 ha imposto un tetto retributivo alle nostre prestazioni straordinarie. Una norma da incompetenti, come abbiamo denunciato più volte, della quale adesso si cominciano a vedere i primi, negativi effetti. Ci auguriamo che in uno dei prossimi Consigli dei ministri si possa trovare il tempo di approvare con urgenza un provvedimento che sani questa drammatica situazione. I poliziotti non sono come gli altri pubblici impiegati e se ci sono delle situazioni di necessità come nel caso di questa ondata migratoria straordinaria bisogna avere gli strumenti e le risorse per poter intervenire. La politica dei tagli lineari ed indiscriminati del ministro Tremonti ha colpito come una mannaia anche le forze dell’ordine e nei prossimi mesi rischiamo seriamente una paralisi del sistema sicurezza, se non saranno predisposte adeguate contromisure» .



Caruso: «Tutti gli immigrati saranno ospitati in Sicilia»

Il Messaggero, 14-02-2011
ROMA - Si è messo in moto subito Giuseppe Caruso, prefetto di Palermo, non appena nominato Commissario straordinario all'emergenza immigrati. «Non c'è tempo da perdere», commenta.
E' stato lei, prefetto, a decidere di riaprire il Centro d'accoglienza di Lampedusa?
«Previa disponibilità del ministro, tengo a precisarlo. Il ministro mi ha detto: valuti lei».
E lei ha deciso di riaprire. Prefetto, come pensa di arginare lo straripamento degli immigrati sull'isola?
«Oggi abbiamo una riunione al Viminale. Io rappresenterò la ricettività della Sicilia. Nella  riunione con tutti i prefetti siciliani (ieri, n,d.r.) abbiamo approntato un piano. Ora io sono in grado di affermare che la Sicilia ha una grande capacità ricettiva. Ogni provincia siciliana ha dato il suo assenso per dare ospitalità agli immigrati clandestini. Ospitalità all'interno di strutture murarie, intendo. Noi possiamo ospitare tutti questi  immigrati  che stanno arrivando a Lampedusa, prima di prendere qualsivoglia altra decisione sul loro destino. Le disponibilità sono più ampie di quello che credevo e penso di poter affermare che la Sicilia è in grado di ospitare tutti gli immigrati  che in queste ore stanno affluendo dalla Tunisia. Non ci sarà bisogno di inviare gli immigrati in altre parti d'Italia. L'unico dubbio che ho sarà risolto oggi stesso».
Possiamo sapere qual è quest'unico dubbio che ha?
«Non so se è meglio disperdere gli immigrati  in strutture che sono un po' qui e un po' là, a macchia di leopardo per intenderci, o se invece è più giusto concentrarli tutti in pochi siti vicini.   
Oggi questo rebus sarà sciolto».
E se gli immigrati in arrivo saranno   più numerosi   di quelli a cui lei pensa, che farà? «Accanto  alle  strutture murarie, abbiamo previsto anche la possibilità di utilizzare tendopoli. D'altronde, la crisi tunisina è una catastrofe umanitaria, come dopo un terremoto. E proprio come dopo un terremoto noi dobbiamo procedere. Stessi criteri di assistenza».
Quanto alle misure di ordine pubblico, quali sono i suoi intendimenti?
«Ora non posso rispondere a questa domanda».



IMMIGRATI: MIGRANTES (CEI), RIAPRIRE FLUSSI IN ACCORDO CON UE

(AGI) - CdV, 14 feb. - Per affrontare la nuova ondata migratoria dal nord Africa servono "un supplemento di regolamentazione per regolare di flussi d'ingresso in Italia e in Europa, una condivisione dei fenomeni migratori nella politica europea, una cooperazione che si gioca non solo nei Paesi in crisi, ma anche nelle nostre comunita', aprendo le case, le scuole, le citta' all'arrivo di persone e famiglie".
Lo afferma monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, promossa dalla Cei. "Lampedusa, paese della frontiera italiana ed europea del Sud, e' diventato", osserva, "il luogo simbolo di un popolo in fuga, della rabbia della povera gente africana. Lampedusa e' oggi il 'limes', la strada al confine che collega Europa e Africa, attraverso il Mediterraneo. Un confine che chiede una nuova strada, un 'canale umanitario' che non abbandoni le persone in cammino alle onde del Mediterraneo e ai trafficanti di persone".
"Le persone e le famiglie che stanno arrivando dalla Tunisia, dall'Egitto e forse presto dall'Algeria", ha spiegato monsignor Perego, "spesso vogliono ricongiungersi in Italia e in Europa con i propri familiari, parenti, amici. In Italia in vent'anni sono arrivate dalla Tunisia oltre centomila persone, che lavorano, studiano, fanno impresa". Nell'intervento diffuso dal Servizio Informazione Religiosa, il direttore della Migrantes ricorda: "In alcune citta' del Sud, come Mazara del Vallo, questa storia di relazione e' antica, abituale e strutturata. Dall'Egitto sono giunte in Italia oltre ottantamila persone che spesso incontriamo nelle cucine e sale dei ristoranti, nell'artigianato e nel commercio. Venute dall'Algeria sono tra noi oltre ventimila persone, nelle famiglie, con le piu' diverse professionalita'". E conclude: "C'e' gia' un popolo del Nord Africa tra noi, nelle nostre citta': un popolo discreto che oggi chiede anche la possibilita' di aiutare familiari, parenti e amici a non vivere drammaticamente in un Paese allo stremo".



L'intervista: «troppe promesse, nessun metodo»
Giro: «Sulla questione rom, finora scelte da dilettanti, si ascolti più il volontariato»
la Repubblica, 14-02-2011
Alessandro Capponi
Il sottosegretario: sbagliato esacerbare gli animi,  non va trattata come un'emergenza di ordine pubblico
ROMA - Quando il Papa dice che questo tragico episodio, la morte dei quattro bambini rom, «impone di domandarci se una società più solidale e fraterna, più coerente nell'amore, cioè più cristiana, non avrebbe potuto evitare tale tragico fatto», il sottosegretario ai Beni culturali Pdl Francesco Giro aggiunge «e anche una società più organizzata...».
Sottosegretario, vuol dire che per risolvere il problema basterebbe organizzarsi meglio?
«Basterebbe un'amministrazione che decida, che si assuma responsabilità. Invece, Veltroni prima e Alemanno adesso hanno fatto poco o nulla, un disastro».
Alemanno, in campagna elettorale, sui rom aveva usato toni risolutivi.
«Già, e adesso c'è l'effetto boomerang. Ma il fatto è che, come dice Sant'Egidio, si tratta di cinquemila persone, non di un esercito infinito... Non era necessario né drammatizzare il problema né esacerbare gli animi. Anche perché, come dimostrano le scritte sui muri di Roma, certe frange xenofobe si sentono legittimate dal clima...».
Cosa deve fare l'amministrazione?
«Un'amministrazione seria deve studiare il problema, non affrontarlo come un'emergenza di ordine pubblico. Invece abbiamo assistito a un modo di fare dilettantesco: sui rom, sui rifiuti, sul degrado del centro, su molti temi. Credo sia il momento di affidarsi a persone serie, basta proclami...».
Alemanno lo farà?
«Per ora ha azzerato la giunta: segno che ha capito di aver sbagliato. E io spero che cambi metodo. Adesso deve affidarsi a persone capaci e capire che non è necessario fare il sindaco demiurgo. Ogni anno annuncia la svolta, che puntualmente non c'è».
L'esperienza di questi tre anni lo aiuterà?
«Credo di sì, cambierà. Sui rom, ad esempio, si affiderà al volontariato cattolico, a quelle forze che da sempre si occupano del problema. Prima puntava sul prefetto: ma il problema è più complesso, serve un metodo condiviso».
Lei è vicinissimo a Sant'Egidio: la comunità chiede case e scuole per i rom.
«Adesso ci sono i trasferimenti dal demanio, credo ci siano dei margini».
Quando ha capito che il lavoro di Alemanno sui rom stava fallendo?
«Mi ha lasciato perplesso il censimento dei campi: il segreto di Pulcinella, tutti sanno dove sono quelli a rischio, e su quelli bisognava agire. Soprattutto, ripeto, non è stato coinvolto chi lavora in questo settore da tempo...».
Voto ad Alemanno sui rom?
«Tanta volontà, per quella merita un otto».
E i risultati?
«Mah, qualcosa ha pur fatto: diciamo sei, scarso».

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