Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 febbraio 2014

Immigrati, il rompicapo svizzero
l'Unità, 11-02-2014  
VIRGINIA LORI
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Il risultato del referendum svizzero sulle quote per i lavoratori immigrati «va in una direzione che non è la più facile in una prospettiva europea». È stato questo il commento dell'alto rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton al termine del Consiglio dei ministri degli Esteri tenutosi ieri a Bruxelles «Sia la Commissione che il Consiglio - ha aggiunto - sono al lavoro per vedere come procedere». E assicura che è in corso la discussione con gli interlocutori svizzeri «per individuare i percorsi futuri»,
Pare comunque certa una forte reazione dell'Unione europea alla decisione della Svizzera di porre un tetto agli immigrati. Ad una limitazione della libertà di movimento dei Cittadini dell'Unione in territorio elvetico potrebbe seguire la revisione di tutti gli accordi esistenti e in discussione tra la Confederazione elvetica e l'Unione europea.
Per domani è in calendario la firma dell'accordo istituzionale Ue-Svizzera per adattare il corpo legislativo elvetico a quello dell'Unione, ma ora quella firma potrebbe essere a rischio. Non sono pochi i dossier aperti tra la Ue e Berna che ora ha tre anni di tempo per dare seguito al risultato del referendum, ma intanto è invitata a fornire chiarimenti. Da Bruxelles si fa notare che il negoziato sui nuovi accordi «parte in salita» e «non sotto i buoni auspici». Non si nasconde il «profondo rammarico» per l'esito del referendum che ha visto sconfitto il governo elvetico e vincente il partito antieuropeo dell'Unione democratica di centro (Udc).
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«È andato contro il principio - si legge in un comunicato della Commissione Ue - della libera circolazione delle persone fra l'Unione europea e la Federazione elvetica». Un principio «sacro» per l'Unione. «L'iniziativa svizzera avrà delle conseguenze nell'ambito dei rapporti con i Paesi membri» sottolinea il com-missario europeo per la Giustizia, Viviane Reding: «La Svizzera non poteva aspettarsi di godere dei benefici dei libero scambio con l'Ue, senza accettare la liberta di movimento. O si accettano gli accordi nella loro totalità o si lascia perdere tutto».
Insomma, aver posto i limiti alla libera circolazione per i Cittadini comunitari non sarà indolore per la stessa Svizzera. Lo conferma il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. «È difficile - ha spiegato il socialdemocratico tedesco candidato alla carica di presidente della Commissione dal partito socialista europeo - limitare la libera circolazione delle persone e non limitare la libera circolazione dei servizi». «Se la Svizzera non è piü in grado di soddisfare le condizioni dell'accordo sulla libera circolazione delle persone - ha osservato - tutti gli altri accordi firmati nel 1999 sono in pericolo, in base a una clausola che li lega insieme».
Reagiscono anche le cancellerie europee. «Il governo tedesco prende atto dei risultato e lo rispetta, ma dal nostro punto di vista è chiaro che ciò pone problemi considerevoli» ha commentato il portavoce della cancelliera tedesca Angela Markel, Steffen Seibert. «Le relazioni che legano la Svizzera all'Unione europea apportano grandi vantaggi alle popolazioni delle due parti e la libera circolazione è il cuore di queste relazioni» ha proseguito Seibert. «Il nostro interesse resta quello di mantenere più saldo pos- sibile il legame tra la Svizzera e l'Unione europea». È netto anche il giudizio del ministro degli esteri francese, Fabius che considera l'esito del referendum «una cattiva notizia per l'Europa» che «ora dovrà rivedere i suoi rapporti con la Federazione elvetica». «Ma - aggiunge - è una cattiva notizia anche per la Svizzera che, circondata interamente da paesi dell'Ue, si chiuderà in se stessa penalizzando l'economia», Non va dimenticato, infatti, che l'Ue è il primo partner commerciale della Svizzera e che il clima di incertezza legato all'introduzione delle quote per gli immigrati, secondo gli economisti del Credit Suisse, potrebbe portare ad un taglio di 80mila posti di lavoro in tre anni. Tra i Paesi più coinvolti vi è l'ltalia. Esprime forte preoccupazione la responsabile della Farnesina, Emma Bonino. «A Bruxelles - afferma - si stanno valutando anche le eventuali conseguenze sui rapporti di tipo fiscale fra Ue e Svizzera». In ballo vi è il destino degli oltre 60mila «frontalieri» italiani che ogni giorno at- traversano il confine elvetico.



Svizzera. Chiamata alle armi del partito xenofobo
il manifesto, 11-02-2014
Alessandro Dal Lago
Il risultato del referendum svizzero sulla limitazione dell’immigrazione ricorda una deliziosa canzone di Georges Brassens, La ballade des gens nées quelque part (che si potrebbe tradurre «La ballata della gente doc»), in cui lo chansonnier prendeva in giro i «felici imbecilli» fanatici del loro territorio, quelli che dall’alto delle mura del villaggio sprezzano chiunque altro e magari sono pronti a prendere a sassate chi si presenta alla porta.
Il tasso di disoccupazione della Svizzera è oggi del 4,7%, di poco superiore a quello considerato fisiologico e, persino tra i giovani, metà di quello dell’Unione europea.
Di conseguenza, è difficile pensare che la consultazione abbia avuto ragioni soprattutto «razionali». D’altronde, che nel refe­rendum promosso dall’Unione democratica di centro (partito populista di destra) la xenofobia abbia un ruolo centrale è mostrato dalla propaganda proquote, in cui gli italiani venivano raffigurati come topi (con tanto di tricolore) all’assalto del formaggio svizzero.
Quello che sconcerta è che interi settori della società svizzera (la maggioranza dei cantoni di lingua tedesca e il Canton Ticino, con il suo 70 % di favorevoli alla riduzione degli ingressi) hanno assunto una posizione di chiusura, se non di ostilità, che si pensava limitata all’estrema destra. E quindi il messaggio politico che oggi viene dalla Svizzera non rivela un’eccezione, ma è una sorta di chiamata alle armi, a cui Nigel Farange in Inghilterra e Marine Le Pen in Francia, per non parlare di ogni tipo di par­tito euroscettico o xenofobo, risponderanno con entusiasmo.
In tutto questo c’è naturalmente la paura della crisi (ipotetica, come in Svizzera, o attuale, come nel resto del continente), ma c’è soprattutto il riemergere di pulsioni nazionaliste, territoriali, regionali e locali che, sopite per molto tempo, dopo la seconda guerra mondiale, o considerate erroneamente marginali, oggi stanno riconquistando l’immaginario europeo. Che un movimento democratico e «dal basso» come quello di Grillo ospiti queste pulsioni (magari minoritarie, ma radicate) dà un’idea del pericolo rappresentato dal referendum svizzero, una sorta di miccia accesa in tutta Europa.
L’aspetto stravagante della questione (almeno per l’Italia) è che le prime vittime del referendum potrebbero essere i frontalieri italiani, in primo luogo i lombardi. E non stupisce che il prudente (e democristiano) Maroni sia apparso preoccupato, mentre l’esagitato Salvini pensa di sfruttare il referendum contro i migranti che arrivano in Italia. Qui non siamo solo di fronte a con­traddizioni di un movimento alla ricerca di rilancio come la Lega. Siamo davanti a una catena di conflitti imprevedibili, e che potrebbero coinvolgere un gran numero di paesi.
In tedesco la parola Welsch (nel senso di «gallo» o «celtico») indica chi parla una lingua di ceppo latino, ma ha anche il signi­ficato spregiativo di «straniero». Così venivano chiamati gli abitanti del Tirolo di origine italiana. Insomma, significa più o meno «terrone». Ebbene, il referendum svizero mostra come si è sempre terroni per qualcun altro. Tali sono considerati i fronta­lieri di Como o Varese da quelli che dovrebbero essere i loro cugini del Canton Ticino. E chissà, un giorno, magari gli svizzeri potrebbero essere considerati «terroni» dai loro cugini tedeschi…
Quelle belle prospettive, per quanto innescate da pregiudizi tipici di chi è legato ossessivamente a un territorio, non sono estranee alla gestione politicamente insensata della crisi economica europea. Moltiplicando le divisioni tra ricchi e poveri si creano barriere sempre nuove. I ricchi contro i poveri, i poveri contro i poverissimi e così via. Se si considera che il Novecento è stato il secolo in cui i conflitti nazionalistici si sono incrociati con la più grave crisi economica di tutti i tempi, il risultato del referendum svizzero fa venire i brividi.



Da Londra a Tel Aviv sale la febbre anti immigrati
Sussidi cancellati ed espulsioni più facili E in Spagna torna l'uso della forza
il Giornale, 11-02-2014
Gaia Cesare
Dalla Norvegia a Israele, dal dibattito sul maiale nelle mense scolastiche ai droni per proteggere le frontiere. Mentre gli analisti attribuiscono all'immigrazione il potere di trasformarsi nell'elisir di lunga vita delle economie mondiali,specie di quelle a scarsa crescita demografica, la febbre anti-immigrati cresce nelle democrazie moderne,naturale conseguenza della forte crisi sull'occupazione. Berna docet. Cosi da Oslo a Parigi i toni si fanno duri e i governi alzano muri, virtuali o reali, anche per rincorrere l'scesa dei partiti nazionalistí o xenofobi in attesa di riscatto alle Europee di maggio. Con l' eccezione dell'Italia, che rimette in discussione la Bossi-Fini,
A Londra il governo conservatore di David Cameron, incalzato dalla minaccia dei nazionalisti dell'UK lndependence Party e dall' apertura delle frontiere a romene bulgari, con la nuova legge sull'immigrazione che entrerà in vigore ad aprile (già votata ai Comuni, ora è al vaglio dei Lord) cancellerà l'accesso ai sussidi di disoccupazione e ai contributi sulla casa nei primi tre mesi per gli immigrati senza lavoro, ha già reso più severi i test di lingua per ottenere i benefit e renderà più facili i rimpa-tri per gli illegali,limitandole possibilità di fare ricorso. Il premier ha annunciato di voler ridurre sotto le centomila unità l'immigrazione netta (la differenza fra immigrati ed emigrati) entro il 2015 e proposto di limitare la libera circolazione delle persone in Europa, facendo infuriare Bruxelles. È la risposta ai sondaggi -l'ultimo del British Social Attitudes - in cui 75 britan nici su 100 si dicono favorevoli alla riduzione del numero di stranieri. Un'ondata di insofferenza che ha portato al potere in Norvegia, dopo otto anni, i Conservatori della premier Erna Solberg al fianco del Partito del Progresso, la destra xenofoba, con obiettivi chiarissimi: norme più dure per i ricongiungimenti familiari, carcere per i richiedenti asilo che commettono illegalità, un giro di vite contro mendicanti e rom e pure una battaglia per difendere il diritto di servire maiale nelle mense, anche se ci sono islamici.
Ed è proprio sui rom che anche la Francia «progressista» guidata da François Hollande ha mostrato l'altra faccia, quella dell'insofferenza che sta portando al mulino del Front National di Marine Le Pen talmente tanti voti da far pre-annunciare un terremoto alle Europee di primavera, con i sondaggi che danno il Front in testa per la prima volta, due punti sopra l'Ump e cinque sopra il Ps. Per non cedere terreno, il governo delia gauche mostra imuscoliinel 2013 i rom sgomberati sono raddoppiati sfiorando quota20mila. Non solo. Il ministro dell'Interno ManuelValls, che aveva definito «impossibile» integrarli, è stato il destinatario di un duro richiamo della Commissione europea e poi protagonista di un caso simbolo della nuova linea di Parigi: l'espulsione di Leonarda Dibrani, adolescente kosovara di etnia rom, prelevata dalla polizia mentre era in gita scolastica, rispedita con la famiglia in Kosovo e mai piü tornata.
Ma a usare le maniere più forti nell'Europa anti-immigrati sembra essere la Spagna. La settimana scorsa 14 mígranti sono morti nel tentativo di oltrepassare il confine tra il Marocco e Ceuta, una delle due città-enclave spagnola in Africa. Gli agenti della Guardia Civil «hanno sparato proiettili di gomma ad altezza uomo» provocando l'annegamento dei migranti. Quanto all'altra enclave, Melilla, i socialisti spagnoli hanno proposto l'uso di droni al posto del filo spinato per evitare «mutilazioni e lesioni gravi» a chi tenta di scavalcare.
Il segno di una situazione disperata. Che la Bulgaria vuole risolvere innalzando un altro muro: 33 chilometri di filo spinato per fermare i siriani in fuga dalla guerra nella regione di Elhovo, al confine con la Turchia. Pugno di ferro anche per Israele che con l'operazione «Si torna a Casa» rimpatrierà circa 5Omila africani. E che dire di Barack Obama, che vuol fare della riforma sull'immigrazione l'altra eredità del suo mandato? Il presidente ha espulso 2 milioni di clan destini, più di qualsiasi altro predecessore.



LE BANDIERE DELL’ISOLAMENTO
La Repubblica, 11-02-2014
LUCIO CARACCIOLO
IERI in Svizzera, domani in Italia e nel resto d’Europa? Il voto popolare con cui il nostro vicino alpino ha approvato l’idea di contingentare l’immigrazione e di privilegiare la mano d’opera autoctona è un segnale d’allarme per tutti gli europei.
È probabile che se analoghe consultazioni si svolgessero nei paesi dell’Unione Europea il risultato sarebbe simile, se non ancora più drammatico (quasi la metà dei votanti elvetici si è comunque espressa contro). Le reazioni a Bruxelles e nelle principali cancellerie europee non riescono a celare lo sconcerto per un risultato che mette a repentaglio i rapporti euro-svizzeri.
Ma apre soprattutto un varco nel quale si infileranno le formazioni xenofobe e protezionistiche in Francia come in Germania, in Gran Bretagna come in Italia.
Già alle imminenti elezioni per il Parlamento europeo potremmo trovarci di fronte al trionfo del riflusso particolaristico, con conseguenze imprevedibili sulla legittimazione delle istituzioni comunitarie. Nulla di straordinario in tempi di declino e d’incertezza. Ma una ragione di più per cercare di decifrare il messaggio svizzero. Di cui occorre tenere a mente almeno tre peculiarità che ci riguardano molto da vicino.
Primo. È stato un voto contro l’establishment. Governo, imprenditori, sindacati e mainstream politico-mediatico avevano invitato il popolo sovrano a respingere l’iniziativa promossa dalla destra radicale impropriamente autodefinita Unione Democratica di Centro. Ma le élite si erano mosse senza troppo compromettersi, fiutando l’aria negativa. L’argomento fin troppo razionale per cui la mano d’opera straniera è imprescindibile per il benessere e lo sviluppo della Confederazione non ha fatto abbastanza presa nella Svizzera profonda. Qui ha prevalso la paura dell’“invasione” straniera che minaccerebbe le radici della convivenza in una piccola ma fiera nazione multiculturale e plurietnica, ancora una volta spaccata lungo il Röstigraben, la linea di faglia fra Svizzera francofona e germanofona (ma anche italofona), oltre che fra città e campagne. Un problema di costume e di criminalità transnazionale, ma anche di dumping sociale: gli immigrati di modesta qualificazione professionale accettano salari nettamente inferiori a quelli standard, così sconvolgendo il mercato del lavoro locale.
Secondo. Quando i referendum sono fatti non per decidere su una questione specifica — che sia la scelta fra repubblica e monarchia o la costruzione di un parcheggio pubblico — ma per raccogliere e sfruttare un sentimento popolare, senza offrire un preciso sbocco normativo, gli effetti sono imprevedibili. E facilmente manipolabili. I promotori del referendum “contro l’immigrazione di massa” si sono guardati dallo specificare le quote annuali da introdurre come limite all’ingresso di stranieri, richiedenti asilo compresi. Il governo dovrà fissarle entro tre anni. Insomma, gli svizzeri non possono conoscere le conseguenze del loro voto. Esse saranno determinate dopo un dibattito interno tutt’altro che tranquillo, mentre la diplomazia di Berna cercherà di ricucire lo strappo con l’Unione Europea e con i suoi singoli Stati membri. Si potrebbe anche finire con il reintrodurre i controlli alle frontiere fra la Svizzera e i suoi vicini. Nel frattempo, il clima dell’economia locale — investimenti esteri inclusi — sarà indubbiamente offuscato dal braccio di ferro sull’immigrazione.
Terzo. La schiacciante vittoria del “sì” in Ticino (68,2%) è un indicatore dell’italofobia cresciuta oltre Chiasso in questi anni di crisi. Soprattutto per l’“effetto frontalieri”: nel cantone italofono i lavoratori che passano e ripassano in giornata il confine italosvizzero sono aumentati dell’80% in dieci anni. Ad essi vanno sommati gli oltre 53 mila residenti italiani, su un totale di 341 mila ticinesi, in un cantone nel quale i residenti stranieri soper
no ormai il 26,7% della popolazione. Dumping a parte, persino i più compassati media svizzeri parlano di “turismo criminale”, che accentua il senso d’isolamento dei ticinesi: trascurati da Berna e minacciati dal vicino meridionale. Dunque gli episodi di intolleranza e di xenofobia contro gli italiani si concentrano paradossalmente alla nostra frontiera. Sono invece assai più rari a Zurigo, a Ginevra o a Basilea. Mentre il negoziato fra Roma e Berna sui capitali italiani impropriamente detenuti da banche svizzere segna il passo, c’è da temere per il complesso delle relazioni con un paese che rappresenta il quarto mercato di sbocco del made in Italy, più importante di Cina e Russia messe insieme.
Il tempo non lavora per chi vuole frenare la tendenza alla chiusura reciproca fra europei, che siano o meno parte dell’Ue. In assenza di un chiaro e condiviso progetto europeo, è prevedibile che nei prossimi anni la bandiera dell’Europa — capro espiatorio della crisi — sarà sventolata come un drappo rosso da avventurieri e opportunisti eccitare le fobie e i nazionalismi esclusivi. E così disintegrare quel poco o molto di comune che siamo riusciti a ricostruire sulle macerie di due guerre mondiali. Nessuno potrà dire di non averlo saputo.



Europa divisa tra allarme ed entusiasmo
Toni preoccupati da Bruxelles, Germania e Francia. Le Pen e la Lega esultano: referendum anche da noi
il Giornale, 11-02-2014
Roberto Fabbri

Gli antieuropeisti, e gli anti euro in particolare, esultano, proponendosi di estendere l'esperienza svizzera nei rispettivi Paesi. Al contrario, Bruxelles e i Paesi più forti dell'Unione, Germania e Francia in testa, accusano il colpo e prevedono, quando non minacciano direttamente, conseguenze per Berna, salvo chiarire che non ve ne saranno a meno che la Svizzera decida effettivamente di limitare i liberi movimenti dei cittadini. È questo, a grandi linee, lo scenario delle reazioni europee il giorno dopo lo choc per il voto referendario elvetico su immigrazione e libera circolazione.
Conseguenze, è evidente, non ne mancheranno, considerato che la Svizzera chiederà di ridiscutere i trattati che la legano all'Unione Europea dal 2002. Bisognerà vederne la natura, e ci vorrà tempo. Per il momento pesano il severo giudizio della cancelleria tedesca («Il risultato del referendum svizzero pone problemi considerevoli», ha detto il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert), il giudizio secco del ministro degli Esteri di Berlino Frank-Walter Steinmeier («La Svizzera si danneggia da sola»), l'ironia acida della vice del Commissario europeo Barroso, Viviane Reding («Il mercato unico non è un formaggio svizzero coi buchi»), la presa d'atto risentita del capo della diplomazia francese Laurent Fabius («Rivedremo le nostre relazioni con la Svizzera»). E soprattutto la chiara minaccia del presidente socialista tedesco del Parlamento europeo Martin Schulz, secondo il quale se la Svizzera non potrà garantire la libera circolazione delle persone saranno in pericolo anche quelli sulla libera circolazione dei servizi, in base alla «clausola ghigliottina» che lega insieme tutti gli accordi siglati tra Berna e l'Ue.
Sull'altro fronte, se la godono intanto i vari Le Pen e Wilders, e in Italia la Lega. Marine Le Pen, leader di fatto del fronte anti-euro dell'Ue atteso alla prova del voto in maggio, parla di «prova di grande buon senso degli svizzeri», augurandosi che presto i francesi abbiano occasione di fare lo stesso. «Non si tratta di mettere un muro - ha detto la leader del Front National -, semmai una porta da aprire e da chiudere secondo gli interessi del popolo: un modo di agire che si chiama sovranità». Più misurata, restando in Francia, la reazione del partito sarkozista Ump, che nega che «un sistema di quote sia di per sé scioccante» e auspica «una politica di immigrazione selettiva e non subita». Il leader della destra populista olandese Geert Wilders affida a un «tweet» la sua felicità: «Può succedere anche da noi: limiti all'immigrazione e via dall'Ue. Quote per l'immigrazione, fantastico!».
In Italia, entusiasta il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, molto preoccupata la ministra degli Esteri Emma Bonino. Per Salvini gli svizzeri hanno dimostrato di saper fare i propri interessi e siccome anche da noi si dovrebbe puntare allo stesso obiettivo, sarà la Lega a proporre un analogo referendum. E i governatori leghisti Roberto Maroni e Roberto Cota chiedono un incontro col premier Enrico Letta per ottenere l'istituzione di zone franche fiscali che facilitino le assunzioni nelle imprese lombarde e piemontesi. Ma la Bonino pare più concentrata sull'«impatto piutosto preoccupante» del voto svizzero sull'Ue.



Immigrati, la linea dura di Bruxelles A rischio i rapporti con la Svizzera
Parigi e Roma «preoccupate». Berlino: si danneggiano da soli
Corriere della sera, 11-02-2014
BRUXELLES — La vittoria del referendum anti-immigrati in Svizzera mette a rischio gli accordi e i rapporti tra l’Unione Europea e il governo di Berna. Lo hanno fatto capire a Bruxelles il Consiglio dei ministri, l’Europarlamento e la Commissione europea, le tre principali istituzioni Ue, per conto dei 28 Paesi membri.
Ma l’allarme è scattato anche per le conseguenze politiche dell’approvazione della scelta della Svizzera da parte di movimenti euroscettici nazionali, già pronosticati in ascesa (soprattutto in Francia, Regno Unito e Olanda) nelle elezioni europee del maggio prossimo. La Lega ha chiesto un referendum anti- immigrati anche in Italia.
La responsabile per la politica estera dell’Ue, la britannica Catherine Ashton, al consiglio dei ministri degli Esteri Ue a Bruxelles, ha dichiarato che l’esito del referendum in Svizzera «va in una direzione che non è la più facile in una prospettiva europea» e che le istituzioni Ue «sono al lavoro per vedere come procedere». Netta è apparsa la posizione critica di Francia, Germania e Italia, che tutelano anche i rispettivi lavoratori frontalieri. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha detto che «il voto preoccupa perché significa che la Svizzera intende richiudersi in se stessa». Il nuovo capo della diplomazia tedesca, Frank-Walter Steinmeier, ha ammonito che in questo modo la Svizzera «si danneggia da sola» perché la sua economia «vive di scambi con i Paesi europei». Il ministro degli Esteri Emma Bonino ha ammesso che la situazione è «molto preoccupante per l’Italia e per l’Europa». Il Lussemburgo, diretto concorrente della Svizzera come paradiso fiscale e centro bancario, ha definito la volontà degli svizzeri «da rispettare», ma «inaccettabile» per l’Ue.
Il contrasto decisivo è legato alla possibile introduzione di quote per gli immigrati, che oggi sono stimati al 25% dei circa otto milioni di abitanti della confederazione elvetica. Questi limiti violerebbero il principio della libera circolazione dei cittadini e farebbero saltare gli altri accordi tra Bruxelles e Berna su commercio, trasporti, agricoltura, appalti pubblici o ricerca. Perfino treni e aerei non potrebbero più operare liberamente tra la Svizzera e il territorio dell’Ue.
Si bloccherebbero anche gli accordi futuri. Già domani gli ambasciatori dei 28 Paesi presso l’Ue dovrebbero dare mandato alla Commissione Ue per negoziare l’armonizzazione automatica delle regole istituzionali con il governo svizzero. Ora potrebbero annunciare un clamoroso stop delle trattative per lanciare un segnale politico netto. Soprattutto dopo che il ministro della Giustizia di Berna, Simonetta Sommaruga, ha definito l’esito del referendum anti-immigrati «una decisione fondamentale con conseguenze di vasta portata».
Molti governi Ue temono che la tendenza degli svizzeri possa estendersi nei Paesi dove i movimenti euroscettici stanno assecondando l’irritazione popolare contro l’immigrazione straniera. La leader dell’estrema destra francese, Marine Le Pen, ha esultato per l’esito del referendum in Svizzera. Sulla stessa linea si sono espressi il leader dell’Ukip britannico Nigel Farage, l’olandese Geert Wilders e il segretario della Lega Nord Matteo Salvini.
Anche il solitamente moderato ex premier del centrodestra francese François Fillon, che teme il sorpasso del Front National della Le Pen alle elezioni europee, ha esortato l’Ue a prendere atto della decisione «naturale» degli svizzeri.



Svizzera razzista? No, è soltanto legittima difesa
Da sempre accoglie tanti immigrati: dal voto semmai emerge la spinta ad affermare un'identità minacciata
il Giornale, 11-02-2014
Marcello Foa
So di andare controcorrente, ma io difendo la Svizzera, che è e resta un esempio di democrazia, di tolleranza e di altruismo. No, non è xenofoba e nemmeno razzista, come molti hanno lasciato intendere commentando il voto dello scorso weekend. E come potrebbe esserlo un Paese che da sempre è capace di integrare un numero impressionante di stranieri? Che succederebbe se in Italia il 23% della popolazione fosse straniera? Ebbene, questa è la percentuale della Svizzera. Oggi, come ieri e, verosimilmente anche domani.
Già perché la Confederazione elvetica non ha deciso di chiudere le frontiere e tanto meno di espellere gli oltre 60mila frontalieri italiani che lavorano nel Canton Ticino. Il popolo svizzero ha dato mandato al governo federale di rinegoziare entro tre anni i trattati esistenti e di introdurre leggi che fissino dei contingenti di manodopera in funzione «agli interessi globali dell'economia elvetica». Come peraltro avviene negli Stati Uniti, in Canada, in Australia.
E allora dov'è lo scandalo? Perché l'Unione europea è tanto preoccupata? Sarò all'antica ma per me la democrazia è un valore assoluto, intoccabile, sacrale. E va rispettato. In teoria, Bruxelles ha una visione più... elastica; ritiene superflua la legittimazione popolare e non può certo tollerare gesti di ribellione o addirittura di revisione di accordi esistenti.
Il voto elvetico è «scandaloso» perché anticipa il sentimento che un numero crescente di popoli europei prova nei confronti dell'Unione europea e delle organizzazioni sovranazionali. Un sentimento che, non dubitatene, troverà piena espressione alle prossime elezioni europee premiando partiti e movimenti euroscettici in Italia, in Olanda, in Francia, in Gran Bretagna.
Gli svizzeri, come tanti popoli europei, pur vivendo nel benessere, sentono di non essere più pienamente sovrani, di non controllare più il proprio destino. Vedono consuetudini e contratti sociali che sembravano incrollabili erodersi continuamente, secondo meccanismi invisibili eppur implacabili. Abituati a vivere in un Paese dove le regole della convivenza e della responsabilità politica sono chiare e conclamate, si accorgono di essere meno liberi e non più padroni del proprio destino. Una sensazione che è particolarmente evidente sul mercato del lavoro, soprattutto nelle zone di frontiera, e alla guida di grandi società, che sono ancora nominalmente svizzere ma che in realtà sono condotte e controllate da stranieri. In Svizzera non c'è crisi, ma c'è, da tempo, un disagio fortissimo, un senso di smarrimento, un bisogno di affermazione di identità che ora emerge prepotentemente. Non è stato un voto razionale, ma emotivo. Non è stato un voto «contro» ma un voto «per»; sì difendere se stessi e la propria identità. Per difendere il diritto di essere liberi e democratici. Un voto storico, eppure forse inutile o addirittura controproducente.
Poche settimane fa il Commissario al mercato interno Ue, Viviane Reding, aveva avvertito il popolo elvetico che «la Svizzera non può scegliere ciò che le piace» con dichiarazioni di rara arroganza. E ora l'Unione europea non potrà certo permettere che la strategia di imbrigliamento della Confederazione elvetica (sprezzantemente additata come «un membro passivo» dell'Ue dal tedesco Martin Schulz, quello del «kapò» di berlusconiana memoria) possa essere rimessa in dubbio. Il fuoco di sbarramento è già iniziato tramite pressioni, minacce, ricatti per ora solo allusivi. Sia chiaro: in Svizzera gli ambienti economici non vogliono la rottura con l'Ue, con qualche solida ragione. Ma il gioco, visto da Bruxelles, è più sottile e l'obiettivo facilmente intuibile: costringere la Svizzera a trovare un compromesso, a recedere. E così verosimilmente sarà. Non abbiate dubbi: l'oligarchia europea si prodigherà per trasformare questa sconfitta in una vittoria per dimostrare - non solo agli svizzeri - di essere più forte della democrazia ovvero di poter piegare alla propria volontà anche quei popoli, che ancora si illudono di essere liberi e sovrani.



“I ticinesi ci fanno sentire nuovamente italiani”
In viaggio con il frontaliere Roberto: brutto clima
La Stampa, 11-02-2014
Michele Brambilla
inviato a lugano
Parto per la Svizzera con uno dei sessantamila frontalieri italiani, ossia con uno dei «topi», come li hanno gentilmente ribattezzati l’Udc e la Lega ticinese. L’appuntamento è alle 5,40 a Carugo, provincia di Como, dove abita il nostro uomo, che si chiama Roberto Bergomi, ha 31 anni, ex giardiniere, oggi viticoltore.  
Partiamo da casa sua che è buio pesto.
Più che un orario da frontaliere, è un orario da contrabbandiere. Da due anni Bergomi fa 112 chilometri al giorno per guadagnarsi il pane in un’azienda vinicola di Lugano: fanno merlot e cabernet sauvignon. «D’estate», mi racconta, «comincio alle 6,30, quindi parto un po’ prima». Oggi è un giorno speciale: il primo dopo che gli svizzeri, con un referendum, ci hanno intimato il loro raus, sciò, foera di ball come diceva Bossi ad altri immigrati più a Sud di noi.
Mi spiega perché lo fa: «Oggi è difficile trovare un posto, anche qui al Nord. E poi a Lugano guadagno il doppio di quello che guadagnavo qui da giardiniere». Paga tutto in Svizzera: tasse, pensione, assicurazione infortuni e Tfr; poi da là mandano qui in Italia, al comune di residenza, una parte delle trattenute. «Mi pagano in franchi e ho dovuto aprire un conto in Svizzera: voglio dire, non è che là di soldi non ne restino». Eppure gli italiani non sembrano graditi. «I miei titolari sono persone splendide, ci sentiamo in famiglia». Ma in Ticino il clima è brutto: «Non capisco l’accanimento. I leghisti ticinesi fanno paura, altro che quelli italiani. Io vorrei dire loro: primo, siamo uomini come voi; secondo, se sono qua è perché un’azienda del vostro Paese mi ha chiamato».  
Siccome tutti - governo, imprenditori e sindacati - erano contrari a questo referendum, viene il sospetto che sia solo xenofobia. Comincia così il nostro viaggio verso il Canton Ticino, dove sette abitanti su dieci non vorrebbero farci entrare: è la prima volta che due che si chiamano Bergomi e Brambilla si sentono meridionali. Si riscopre così l’amor patrio: noi abbiamo Dante Michelangelo Leonardo la Ferrari il mare, e voi? E la moda, non parliamo della moda: come si vestono gli svizzeri? Ah ah.
Loro però hanno capito una cosa: che una comunità deve darsi delle regole. «Per esempio i miei datori di lavoro», dice Bergomi, «sono gentilissimi con gli italiani. Ma chiedono rispetto. Giustamente. In Svizzera c’è molto più rispetto che da noi: lo vedi già entrando in autostrada, se vai a 40 all’ora dove c’è il limite dei 30 ti ritirano la patente. A me l’hanno ritirata per tre mesi». Ogni tanto però - racconta - la polizia gioca d’astuzia, sembrano quasi italiani: ti tallonano e ti fanno i fari, se fai l’errore di accelerare ti superano e ti fanno accostare, favorisca i documenti.
Alle 6,20 passiamo la frontiera di Brogeda senza alcun controllo: i doganieri hanno ormai una specie di riflesso pavloviano, fanno ininterrottamente «avanti» roteando il braccio. In autostrada c’è già traffico, tutte macchine che vengono dal Comasco: poco più avanti si incrociano quelle che vengono dalla provincia di Varese. I cartelli segnalano gli inflessibili limiti orari: 100 all’ora fino a Mendrisio, poi 80.  
A Lugano saluto Bergomi che entra in azienda e gli chiedo se è preoccupato: «Per la gente che trovo qui dentro, no. Però senti del referendum e ti vien da pensare: vieni qua a farti il mazzo e ti trattano a pesci in faccia». Così, capita di sentirsi stranieri nell’unico Paese in cui noi italiani non siamo in difficoltà con la lingua: l’inglese zoppica ma lo svizzero lo sappiamo alla perfezione, c’è solo da tener presente qualche piccola variazione, per esempio postino si dice buralista, il cellulare è un natel, il gabinetto un destro, minimizzare si dice bagatellizzare, chi ha un capogiro ha un balordone e le donne nei giorni critici si dice che «hanno le baracche». A ogni buon conto, per non farmi smascherare nei bar di Lugano, cerco di accentuare la zeta.
Ma sfogliando i tre quotidiani ticinesi non si avverte nulla della caccia all’italiano. Il più diffuso - «Corriere del Ticino» - sottolinea nell’editoriale la stranezza di una scelta fatta «malgrado la crescita economica, il tasso di disoccupazione ridotto e i successi dell’economia elvetica, nonché l’invidiabile benessere di cui godiamo in un contesto internazionale di crisi». Il quotidiano «La Regione Ticino» è critico, scrive che «se un popolo non crede nei propri mezzi e non vede rosee prospettive, spesso cerca un nemico o, nella migliore delle ipotesi, si chiude a riccio». Il più contento del risultato sembra essere il cattolico «Giornale del Popolo», che nel fondo del direttore Claudio Mésoniat («Cara Berna, la pentola è scoppiata») rivendica con orgoglio il ruolo decisivo del Canton Ticino, dove oltre il 68 per cento ha votato «sì»: «Di storico c’è anche un fatto numerico che mette di per sé il nostro Cantone al centro della politica federale». Niente di che. Ma si sa che i giornali non sono la pancia di un Paese.
Alle quattro del pomeriggio Roberto Bergomi esce dal lavoro, gli chiedo se in ditta hanno parlato del referendum: «Solo con il mio capo, un varesotto: lui non è preoccupato, dice che tanto ci arrangiamo sempre». Ripartiamo, la nostra Italia si avvicina, noto che i limiti di velocità sono più alti rispetto al senso di marcia in entrata: 100 dove nella carreggiata opposta sono 80; 120 nel tratto finale, dove di là sono 100. Sembra che i cartelli vogliano  dire: andatevene in fretta fuori dai piedi. Ma è sicuramente solo un’impressione.



Test d’italiano. Da oggi la "regola dei tre mesi" per le prenotazioni
Bocciati e assenti possono riprovarci solo dopo novanta giorni. Il limite introdotto dal Viminale per ridurre i costi delle sessioni d’esame
stranieriiniitalia.it, 11-02-2014
Roma – 11 febbraio 2014 – Entrano in vigore le novità per il test di italiano obbligatorio per chi chiede il permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo, la cosiddetta carta di soggiorno.
Le ha introdotte il ministero dell’Interno, per mettere un tetto alle prenotazioni. Molti infatti, non si presentano il giorno della convocazione, perché non hanno ricevuto la convocazione o perché non sono preparati, oppure si presentano e vengono bocciati. In entrambi i casi, prenotano subito un nuovo test, facendo lievitare i costi organizzativi.
Una prima contromisura è l’inserimento obbligatorio della email nel modulo di prenotazione, in modo da poter essere rintracciati più facilmente per la convocazione. Inoltre, a partire da oggi, scatta la regola dei tre mesi:  i bocciati e gli assenti ingiustificati (restano fuori solo le assenze per malattia, certificata da un medico) potranno prenotare un nuovo test d’italiano solo dopo novanta giorni.
Il test di italiano per la carta di soggiorno è stato introdotto alla fine del 2010 e prevede una conoscenza della lingua elementare (livello A2). Si prenota via internet, tramite il sito del ministero dell’Interno Testitaliano.interno.it



Il sindaco (Pd) di Ravenna: "Serve un tetto per l’immigrazione"
Fabrizio Matteucci scrive al segretario Matteo Renzi. “Le nostre città stanno diventando una polveriera, non si scappa: numero programmato”
stranieriinitalia.it, 11-02-2014
Fosse l’ultima esternazione di un leghista, non farebbe certo notizia. Ma a sostenerlo è il sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci, del Partito Democratico, lo stesso che ha autorizzato la costruzione  una moschea nel suo Comune, appoggia una riforma della cittadinanza basata sullo ius soli e sul dimezzamento dei tempi per le naturalizzazioni, ha portato gli immigrati alle urne per eleggere due consiglieri aggiunti
Però ora , in una lettera aperta al segretario Matteo Renzi, Matteucci chiede al Partito democratico di “non avere paura di discutere e decidere su nuove regole che fissino un tetto al numero degli ingressi nel nostro paese”. Perché “cosi non si può andare avanti. Le nostre città stanno diventando una polveriera. La crisi ha aggravato il problema di sostenibilità sociale di questo fenomeno che, nel tempo della globalizzazione, è naturale, inevitabile, ma che va governato”.
“Se vogliamo difendere i valori in cui crediamo – sostiene il sindaco di Ravenna - sull’immigrazione questo è il tempo delle scelte coraggiose e innovative. Numero programmato: non si scappa da questo tema. O lo affrontiamo noi o il clima che c’è in giro gonfierà le vele della destra razzista. Perderanno i valori in cui crediamo. Perderà l’Italia. Perderanno i milioni di immigrati che vivono in Italia”.
 “Non dobbiamo avere paura: il tema del limite del numero degli ingressi – conclude Matteucci - va affrontato. Abbiamo bisogno di un dibattito vero, anche duro se necessario, ne abbiamo bisogno adesso. Sarebbe colpa grave lasciare a se stessa o in mano a degli avventurieri l’onda svizzera, che presto diventerà anche onda italiana ed europea. Io provo a lanciare il sasso nello stagno e non nascondo la mano”.
Non è chiaro, in realtà, quali tetti vorrebbe introdurre Matteucci, oltre a quelli che esistono già. I flussi d’ingresso sono infatti limitati dalle quote e comunque sono praticamente bloccati da anni, proprio a causa della crisi economica. Se poi il sindaco si riferisce ai profughi che attraversano il Mediterraneo per raggiungere le nostre coste, per non accoglierli l’Italia dovrebbe cancellare il diritto d’asilo. Un’ipotesi da discutere?

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