Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

1 aprile 2010

Se non difendi i rom non sei alla moda
MARIO GIORDANO
1.04.2010 
Libero
Nel palazzo in cui abitavo a Milano ero costretto a pagare le spese condominiali anche per due famiglie di sudamericani, che allegramente risultavano morose pur concedendosi ogni sorta di bene voluttuario. Ora arriva la notizia che in futuro potrei essere chiamato a pagare la mensa scolastica non solo di mia figlia Flavia, ma anche di qualcun altro, i cui genitori fanno "fatica" a comprendere i doveri del vivere civile... e guai a protestare, pena l'essere messo all'indice dal fior fiore di stampa, tv ed intellighenzia nazionali!
STEFANO VIZIOLI Vigevano (Pv)
Sì, in effetti è una posizione politicamente scor¬retta la sua. Per questo mi piace. Sono convinto anch'io che 0 tema degli stranieri sia diventato un nuovo tabù: non si può affrontare in modo reali¬stico senza venire subito tacciati di neo-razzismo. Se dici che tutti devono rispettare le regole, c'è su¬bito qualcuno che  ti accusa di voler aprire i campi di concentramento, se dici che non è giusto che un clandestino abbia più diritti di un italiano, vie¬ni descritto come un membro del Ku Klux Klan. Che ci volete fare? Il nuovo conformismo viaggia sul fronte etnico: per essere à la page bisogna tifa -re per Balotelli, bisogna amare i rom anche quan¬do ti rubano in casa, non bisogna mai dire, anche se il dato è storicamente escientificamente accer¬tato, che la crescita dell'immigrazione provoca una crescita dei delitti, bisogna desiderare un futuro multiculturale e soprattutto bisogna aprire le porte alla moschea sotto casa, anche se qualcuno poi la trasforma in un covo di Al Qaeda...
Tutto ciò mi rende titubante ad affrontare l'ar¬gomento. Ancor più titubante guardando da vici¬no il tema specifico della sua obiezione. Nessun bambino, infatti, per nessuna ragione al mondo, può essere messo a pane e acqua a scuola perché i suoi genitori non pagano la retta della mensa. È un atto vigliacco: non si fanno ricadere sui piccoli le colpe dei genitori che sbagliano. Però, nello stesso tempo, a nessun adulto dev'essere con¬sentito di fare il furbo e vivere alle spalle degli altri, come invece troppo spesso avviene, e non solo in Italia.
In effetti il dibattito sulla mensa scolastica ri-produce, in miniatura, il grande dibattito che si è

aperto negli Stati Uniti in occasione della riforma della sanità voluta da Obama. È chiaro: tutti han¬no diritto alla salute, anche se non versano contributi, dice il presidente americano. E come dar¬gli torto? Se uno s'accascia per strada colpito d'infarto, dev'essere portato in ospedale e curato: mi¬ca si può subordinare l'intervento medico all'esi-bizione della carta di credito... Però capisco le obiezioni degli americani che pensano: ma per-ché io devo pagare le cure per tutti quegli stranieri che guadagnano un sacco di soldi, ma restano clandestini e non versano né tasse né assicura¬zioni?
Siamo di fronte a un dilemma: da una parte c'è il sacrosanto diritto dei deboli (i bambini, i mala¬ti) di non essere calpestati, dall'altro c'è il sacrosanto dovere di tutti di fare la loro parte. Si può trovare il punto d'equilibrio? Voi sapete che la maggioranza degli americani resta contraria alla riforma della sanità. Per approvarla in Parlamento Obama s'è dovuto imporre con tutto il suo pre¬stigio, e trattando voti a licitazione privata in un modo che, se Barack avesse avuto sulle sue tracce un Di Pietro, avrebbe rischiato la galera. Che ci volete fare?Tutto fa brodo. E così la riforma è stata approvata e celebrata. Ma è chiaro che la gente storce un po' 0 naso: nonne vuol sapere di pagare anche per chi fa il furbo. Se non altro negli Stati Uniti si può dire liberamente. Qui, chissà.



Bruxelles dà il primo via libera al divieto assoluto di portare il velo integrale nei luoghi pubblici.

1 aprile 2010
l'Unità
MARCO MONGIELLO
Sarà il Belgio il primo Paese dell' Europa occidentale a varare una legge nazionale per proibire total-mente il burqa.
Ieri la commissione affari interni della Camera ha approvato all'unanimità una proposta di legge per pu¬nire con un ammenda da 15 a 25 euro e/o la prigione da uno a sette gior¬ni chi «si presenti nei luoghi accessibili al pubblico con il viso maschera¬to o dissimulato totalmente o in parte, in modo da non essere identificabile».
La misura estende al codice pena¬le un divieto fino ad ora imposto da alcuni comuni belgi con regolamenti amministrativi e sarà probabil¬mente votata in via definitiva il prossimo 22 aprile, per entrare in vigore quest'estate.
Le donne musulmane non potran¬no portare, né negli edifici pubblici né in strada, i tradizionali vestiti isla¬mici come il burqa, il velo integrale usato principalmente in Afghanistan, o il niqab, che lascia scoperti gli occhi. Sono previste le eccezioni di legge per il carnevale o per il casco dei motociclisti.
La legge, proposta dai liberali francofoni del Movimento riformatore (MR), ha messo d'accordo tutti e cinque i partiti della coalizione di governo: liberali fiamminghi (Open Vld), cristiano-democratici valloni (Cdh) e fiamminghi (Cd&v), socialisti (Ps), e ha ricevuto l'appoggio dell' estrema destra e dei Verdi.
È una questione di sicurezza e di rispetto «dei principi fondamentali», ha spiegato il leader dei liberali del Mr, Daniel Bacquelaine, che ha promosso l'iniziativa, «anche se portato su base volontaria il burqa è contrario alla dignità della donna, è una prigione ambulante».
Si tratta di «una scelta politica», ha concordato il socialista Eric Thie-baut, quella «di rifiutare il simbolo dell'abnegazione della donna». Le uniche perplessità sono state espresse dai Verdi di «Ecolo», che per evita¬re future bocciature avrebbero pre¬ferito consultare prima il Consiglio di Stato.
Il timori dei Verdi sono alimenta-ti anche dal parere del Consiglio di Stato francese di martedì scorso, se¬condo cui «un divieto generale e as¬soluto non potrebbe trovare alcun fondamento giuridico incontestabi¬le». I giudici francesi hanno suggeri¬to di definire luoghi e modi per vieta¬re il burqa e di sostituire le multe con l'obbligo di presentarsi di fronte a un «mediatore sociale». In Francia però, dove il velo islamico per copri¬re il capo è vietato nelle scuole pubbliche dal 2004, l'esecutivo guidato da Francois Fillon sembra orientato per la linea dura.
Sia in Francia che in Belgio la percentuale stimata di persone di reli¬gione islamica è del 6%. In Italia è l'1,5%. A Bruxelles un quarto della popolazione è musulmano e il no¬me più gettonato all'anagrafe è Mohamed ma, secondo gli esperti, la questione del velo integrale non riguarda che qualche centinaio di persone. La battaglia è principalmente simbolica. «È un segnale mol¬to forte inviato agli islamici», ha spiegato il deputato liberale belga Denis Ducarme.

I PAESI EUROPEI
Nel resto d'Europa la questione è di stretta attualità. In Danimarca il Go¬verno ha limitato l'uso del burqa nei luoghi pubblici, in Olanda sono allo studio diversi progetti di legge per il divieto integrale e in Austria e in Gran Bretagna è in corso il dibattito. In Italia la legge del 1975 che vieta di coprirsi completamente il volto è stata utilizzata da alcuni sindaci leghisti per delle ordinanze che vieta¬no il velo integrale. Ieri l'eurodepu¬tato della Lega Nord, Mario Borghe-zio, ha presentato un'interrogazio¬ne alla Commissione europea per chiedere di vietare il burqua con una direttiva. «Le donne dovrebbe¬ro essere libere di scegliere come vestirsi», ha protestato il commissario per i diritti umani del Consiglio d'Eu¬ropa, Thomas Hammarberg.



L'integrazione imperfetta
1 aprile 2010   il Giornale
Massimo M. Veronese
Non si capisce bene se sia il posto che non si adatta alla tua vita o la tua vita che non si adatta a questo posto. Di certo c'è che la globalizzazione è appena cominciata e ha ormai imboccato una strada che non promette più ritorno. Si ridisegnano convenzioni sociali, convivenze tra diversi, dura sopravvivere all'olocausto dei nuovi conformismi. Prendi trovare un posto in Comune. Pensi ti bastino i requisiti, la voglia di lavorare e un santino della Vergine Maria perché non si sa mai. E invece no. Ti presenti a un concorso, 110 mila persone, quasi lo stadio San Paolo quando c'è Napoli-Juve, in cerca del sospirato po¬sto fìsso al Comune di Napoli e scopri che cercare occupazione è anche una scelta morale. Perché la vetrina dell'inte-grazione prossima ventura prevede che tutti abbiano il diritto di pregare tranne tu, che tutte le fedi meritino il rispetto di riti e liturgie tranne la tua. Che non è poco in tempi come questi dove la speranza di trovare un lavoro dipende da quanto ti sei raccomandato all'Altissimo, a Ognissanti e all'assessore amico dell'amico. Se proprio ci tieni puoi pregare in piedi mentre sfili in pelle¬grinaggio davanti all'ufficio di collocamento, come nel cammino di Santiago, oppure do-po, in un altro momento, perché c'è sempre un altrove dove non c'è un'aldilà, solo però se sei cattolico osservante e praticante, cioè se sei di queste parti, Napoli, Italia. Racconta il Corriere del Mezzogiorno, che qui è partito un megaconcorso dove se sei musulmano hai diritto ad agevola¬zioni divine: «Ai candidati di religione islamica che risulteranno convocati a sostenere la prova per i giorni di venerdì 21 maggio 2010, 28 maggio 2010 e 4 giugno 2010 -recitano le disposizioni del Comune - è data facoltà di recarsi in apposita sala, annessa alla sede di svolgimento della prova, per la recita delle preghiere del ve¬nerdì, in orari che comunque non coincideranno con quelli di svolgimento della prova». E chi si è votato a Padre Pio? Niente, nemmeno la saletta fumatori, categoria protetta da San Claudio insieme ai tornitori e ai fabbricanti di giocattoli. Bella idea? Neanche per idea. «Non avevamo bisogno di un regolamento ad hoc per il concorso bandito dal Comune» si è stupito l'imam della mo¬schea napoletana di piazza Mercato Yasin Gentile. Gentili siamo anche noi come si ve¬de, forse persino un tantino pedanti.
Ma anche se sei di religione ebraica puoi credere e non so-lo in te stesso: «Nel rispetto del¬la legge 101 del 1989, i candidati che risulteranno convocati a sostenere la prova per i giorni 19 e 20 maggio 2010 che coincidono con la festa di Shavuot, potranno chiedere l'eventua¬le spostamento della convocazione». La morale è che se sei di fede islamica hai un tuo spazio per pregare e se sei di fede ebraica puoi presentarti un al¬tro giorno. Mala calendarizza-zione della fede e le necessità della globalizzazione non prevedono eccezioni. Ci sono diciotto religioni al mondo e almeno un centinaio di divinità assortite. Che vanno tutte accontentate per garantire co¬me dice l'assessore al Persona¬le del Comune di Napoli, Enrica Amaturo «pari opportunità a tutti nel pieno rispetto della Carta Costituzionale». E allora le divinità ugaritiche e le divinità kung le vogliamo forse discriminare? E Krishna, che è l'ottavo avatar di Vishnu, proprio adesso che Avatar lo danno al cinema? Vogliamo offendere Atea, che a dispetto del nome, è un dio polinesiano o Devel che protegge gli zingari. Facciamo allora che i seguaci di Manitù osservino il giorno in cui esce in edicola Tex Willer e i fedeli di Eupalla il calendario di Sky Calcio. E poi speriamo in San Gennaro...




Un volto per la riforma dell'immigrazione
1 aprile 2010 LA STAMPA
DAL CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Designando il 31 marzo come il «Cesar Chavez Day», Barack Obama lascia in-tendere che la battaglia per la riforma dell'emigrazione sta per iniziare.
Cesar Chavez fu il sindacalista ispanico, nato in Arizona nel 1927 e morto nel 1993, fondatore all'inizio degli Anni 60 dell'Associazione nazionale dei lavoratori agricoli (l'attuale Ufw), che, guidando lo sciopero dei filippini impiega¬ti nei vigneti Delano della California catapultò le rivendicazioni degli immigrati al centro delle battaglie per i diritti civili. Fu grazie a questa militanza che incontrò Robert Kennedy, allora nella commissione Lavoro del Senato, dando vita a un'intesa politica e a una comunanza di intenti che lo portò, anni più tardi, a mobilitare gli operai agricoli a sostegno della sua corsa alla Casa Bianca, poi interrotta dall'assassinio all'Hotel Ambassador di Los Angeles.
Durante la campagna presidenziale del 2008 fu Hillary Clinton la prima a evocare l'esempio di Chavez per accat¬tivarsi gli ispanici, ma poi Obama prese il sopravvento su più fronti: fece suo lo slogan della mobilitazione contadina «Sì, se puede» (versione spagnola di «Yes, We Can»), ripropose il modello della rete capillare di attivisti che l'Ufw aveva creato per mettere sotto pressione il Congresso di Washington e arruolò nel suo staff un pugno di economisti formatisi con Chavez.
Nei comizi, dal New Mexico al Texas, dal Nevada all'Arizona, Obama si riferiva spesso a Chavez come a un esempio da seguire per trovare le risposte da dare all'emergenza immigra¬zione (sono circa 18 milioni i clandesti¬ni che vivono negli Stati Uniti) in ragione del fatto che il leader deU'Ufw fu sempre un avversario rigido dell'illega¬lità, pur diventando un simbolo delle rivendicazioni degli immigrati che chie-

devano paghe e condizioni di lavoro migliori. Firmando alla Casa Bianca l'atto di promulgazione del «Cesar Chavez Day» - era nato il 31 marzo - Obama ha incontrato gli attuali leader dell'Ufw soffermandosi sull'immigrazione, e per gli ospiti si è trattato di un impor¬tante riconoscimento, perché nell'ulti¬mo fine settimana molte città degli Stati del Sud hanno visto sfilare la popola¬zione locale in marce commemorative - simili a quelle degli afroamericani per il Martin Luther King Day - innalzando cartelli con la scritta «Venceremos, Reforma Migratoria Ahora». Al momento la proposta di legge di
riforma in arrivo al Congresso è firmata dai senatori Chuck Schumer (democratico) e Lindsey Graham (repubblicano) che ipotizzano quattro punti: identificazione dei lavoratori stranieri, sicurezza lungo i confini, lavoratori stagionali e legalizzazione dei clandestini. In attesa che il dibattito abbia inizio a Ca-
pitol Hill, il gesto di Obama lascia intendere la volontà di trasformare questa nuova sfida nel volano della mobilitazione degli ispanici che, con 41 milioni di anime, costituiscono la prima minoranza nazionale.    [M. MOL]






«Legge sbagliata. Così si minano i diritti individuali»
1 aprile 2010  l'Unità
Intervista a Nawal El Saadawi
Umberto De Giovannangeli
Non è con i divieti o le imposizioni di legge che si modificano i costumi o si rendono più libere le donne musul¬mane. Non credo in una "via giudiziaria" all'emancipazione». A sostenerlo è Nawal El Saadawi l'autrice egiziana femminista più conosciuta e premiata. I suoi scritti sono tradotti in più di trenta lingue in tutto il mondo. Per le sue battaglie in difesa dei diritti delle donne e per la democrazia nel mondo arabo, la scrittrice egiziana compare su una lista di condannati a morte emana¬ta da alcune organizzazioni integraliste.
Le donne musulmane non potranno portare né burqa né niqab camminando per le strade, nei parchi, in ospedali e scuole, sugli autobus e in tutti i luoghi pubblici. Cosi ha votato all'unanimità la Commissione affari interni del Parlamento belga. Cosa ne pensa?
«Vede, in Occidente, nella "libera" ed emancipata Europa, vige la con-vinzione che una donna musulma-na che indossa il burqa, il niqab o lo chador, sia di per sé una donna vio¬lata, costretta da una società o co¬munità o famiglia maschilista, patriarcale, sessuofobica, a nasconde-re il proprio corpo o parte di esso. Non nego che vi sia anche questo, ma eviterei di assolutizzare questo dato. Per tornare al Belgio, mi sem-bra che siamo di fronte ad un prov-vedimento forzato, che finisce per intaccare profondamente il princi-pio di libertà individuale». «È un segnale molto forte che invia¬mo agli islamici», ha detto il liberale francofono Denis Ducarme, «fiero» che il Belgio sia il primo Paese euro¬peo a legiferare su una materia così sensibile.
«Francamente faccio fatico a capire di cosa il signor Ducarme sia fiero. E ancor più mi preoccupa il presun¬to "segnale forte" che si è inteso mandare "agli islamici". Ma di qua¬le Islam parla il signor Ducarme? Quello degli integralisti teocratici e sessuofobici, o l'Islam che punta decisamente a coniugare moder¬nità e tradizione, che rivendica libertà ma non per questo ritiene che la libertà significhi, anche nel campo della liberazione femminile, assumere il modello occidenta¬le? Il segnale è distruttivo e finirà per fornire altro materiale di propaganda a quanti, nel complesso mondo musulmano, teorizzano e praticano lo "scontro di civiltà"». Lei ha sperimentato personalmente l'odio dei fondamentalisti. «Questi fanatici che dicono di agire per conto dell'Islam sono in real-tà i primi nemici dell'Islam. Ero e resto fermamente convinta che la maggioranza dei musulmani non ritenga che sia impossibile coniu-gare la fede religiosa e la costruzio-ne di una società sostanzialmente laica, plurale nelle sue espressioni politiche, culturali, di fede. La tol-leranza e il rispetto delle diversità non sono affatto estranee alla mil-lenaria cultura islamica. Non biso-gna negare i diritti ma garantirli a tutti, a cominciare dalle donne, che per i fondamentalisti, in Af-ghanistan come in Egitto, in Ban-gladesh come in Arabia Saudita e in Iran, esistono solo in quanto "figlie di", "madri di", "mogli di"... E la cosa ancor più allarmante e che in molti dei Paesi che discriminano le donne e perseguitano chiunque si batta per i loro diritti, al potere vi sono regimi sostenuti dal civile e democratico Occidente. Quel civile e democratico Occidente che in Belgio decide di dare una lezione agli islamici...Ma il problema non riguarda solo il rapporto tra Occidente e mondo islamico. Riguarda un'Europa sempre più multietnica, multireligiosa. Un'Europa che deve integrare e non vietare. Evitando di conside¬rare le comunità islamiche come incubatrici di fondamentalisti e potenziali jihadisti».



Belgio, parlamento unanime: nei luoghi pubblici vietato indossare il burqa
FRANCESCA PIERANTOZZI
1 aprile 2010  
Il Messaggero
PARIGI - Niente burqa in Belgio. Ignorando le remore giuridiche espresse in Francia sulla possibilità di rendere fuorilegge il velo integrale su tutto il territorio nazionale, i deputati belgi hanno aperto ieri la strada ad un divieto totale di burqa e niqab. La proposta è stata votata all'unanimità dal¬la commissione affari intemi della Camera e potrebbe fare del Belgio il primo paese europeo in cui le donne non posso¬no circolare velate. Il voto definitivo potrebbe esserci già il 22 aprile e la legge entrerebbe allora in vigore in giugno o luglio.
Secondo il testo approvato dai rappresentanti di tutti i partiti politici belgi, le persone che «si presenteranno nello spazio pubblico con il volto coperto o dissimulato da un abito, completamente o in parte. in modo tale da non essere identificabili» verranno punite con un'ammenda (da 15 a 20 euro) o con una pena da uno a sette giorni di prigione. Il testo precisa anche la spinosa questione: per «spazio pubblico» si intende ovunque, «la pubblica via, i parchi, i giardini, i ristoranti, i negozi, gii impianti sportivi, gli spazi aperti al pubblico». Il velo inte-grale potrà essere indossato soltanto nello «spazio priva-to», ovvero dentro casa. Dero¬ghe sono previste unicamente durante il periodo del carneva¬le.
Anche se il burqa provoca sempre più dibattiti e polemiche in Europa ed è già oggetto di divieti "limitati" in diversi Paesi, nessun testo si è finora spinto ad un'interdizione "urbi et orbi".
«E' un segnale forte in direzione degli integralisti» ha spiegato chiaro e tondo Daniel Ducame, del partito belga liberale francofono. In un paese come il Belgio in cui le donne velate sono poche centinaia, la legge anti-burqa rive¬ste un chiaro significato simbolico. «Siamo fieri di dare l'esempio in Europa» ha dichiarato solennemente Ducarme. I deputati belgi hanno spiegato il no integrale al burqa con motivi di sicurezza ognuno deve poter essere identificato - e con la necessita di difendere la «dignità della donna» e «i principi democratici fondamentali».
Inizialmente favorevole a una legge più soft, che vietasse il velo soltanto negli uffici pubblici, il partito socialista belga è alla fine confluito «nell'ampia maggioranza» che si è creata sul divieto totale. «E" una scelta politica - ha spiegato il socialista Eric Thiebaut - è il rifiuto di un simbolo dell'abnegazione della donna».
Nonostante una sensibilità almeno pari per i diritti umani, la Francia si è invece mostrata più prudente. Il consiglio di Stato ha avvertito martedì che un divieto totale del burqa «non ha solidi fondamenti giuridici» e che la legge dovrebbe piuttosto puntare al-l'interdizione del «volto coper¬to nei luoghi pubbl ici». Decisamente troppo poco per Nicolas Sarkozy. che non si stanca di ripetere come «la Francia è un paese in cui non c'è posto per il burqa, senza alcun pretesto, a nessuna condizione e in nessuna circostanza». Ieri la segretaria del partito socialista Martine Aubry, che ha ribadito «la totale opposizione dei socialisti al burqa in Francia» si è però detta «felice» del parere espresso dal Consiglio di Stato. «Dobbiamo adottare tutti i mezzi giuridici per vietare il burqa - ha detto la Aubry -Ma facciamo attenzione che non sia una legge stigmatizzante, che rischia di avere l'effetto opposto, ovvero di portare. per provocazione o reazione, ancora più burqa nel nostro Paese».




Burqa vietato nei luoghi pubblici "Anche il carcere per chi ha il volto coperto"
1 aprile 2010
la Repubblica
BRUXELLES — Divieto di portare il velo integrale nei luoghi pubblici: il Belgio ha dato ieri il primo via libe¬ra a una legge che impedirà alle donne musulmane di portare niqab e burqa.il voto favorevole viene dalla commissione Affari interni della Camera: se dopo la pausa pasquale anche il resto dei deputati darà il suo assenso, dall'estate prossima il velo integrale sarà vietato. La legge introduce «un'ammenda da 15 a 25 euro e una settimana di carcere per chiun¬que si presenterà in luogo pubblico con il volto co¬perto o mascherato in tutto o in parte in modo da ren-dere impossibile l'identificazione». Unica eccezio¬ne, «feste o manifestazioni autorizzate dal comune».




Per legge II Belgio mette al bando il burqa: è il primo in Europa
1 aprile 2010 il Giornale
Il Parlamento belga ha messo al bando l'uso del velo integrale nei luoghi pubblici. La decisione è stata presa all'unanimità dai depu¬tati della Commissione Affari inter¬ni. E la prima volta che in Europa occidentale si vietano «burqa» e «niqab»; pensare che il Consiglio di Stato in Francia ha da poco stabi¬lito che un tale divieto non  è giuridi-camente giustificabile. Il testo del¬la legge votata a Bruxelles prevede che chiunque si presenti, nei luo¬ghi accessibili al pubblico, con «il viso mascherato o dissimulato in tutto o in parte, in modo che non sia identificabile» sarà punibile con un'ammenda da 15 a 25 euro oltre alla possibile pena da uno a sette giorni di reclusione. Ora la legge dovrà essere votata dalla Camera in seduta plenaria, a metà aprile, ma dalla prossima estate, il velo integrale non  sarà  più permes¬so: e, come si  fa notare a Bruxelles, non faranno eccezione né le sedi delle istituzioni europee né i grandi alberghi frequentati dai principi sauditi. Per i deputati, la legge è necessaria per due motivi: garantire la pubblica sicurezza, e quindi l'identificazione delle persone, e «rispettare la dignità delle donne, assicurando anche il rispetto dei principi democratici fondamentali», ha detto il capogruppo dei liberali, Daniel Bacquelaine. I musulmani d'Europa sono già sul piede di guerra: «Portare il velo integrale è una delle libertà dell'individuo, garantite dalla legge belga, europea e da quella internazionale», ha detto il vicepresidente dell'organizzazione dei musulmani del Belgio, Isabelle Praille, secondo cui la decisione di oggi apre la strada al divieto anche del velo islamico o del turbante dei sikh.




Religione e diritti. Il paese diventa il primo in Europa a vietare il velo che copre, tutto o in parte, il volto
Il Belgio mette al bando burqa e niqab
1 aprile 2010 Il Sole 24 Ore
Eliana Di Caro
All'indomani delle riserve espresse dal Consiglio di Stato francese sulla proposta di legge che vieta rigidamente il burqa, il Parlamento belga si appresta a varare un provvedimento altrettanto severo.
La commissione Affari interni della Camera ha infatti approvato all'unanimità il bando del velo in-tegrale. Se il provvedimento otte-nesse il definitivo via Ubera - il Parlamento voterà il 22 aprile - il Belgio sarà dall'estate il primo pa¬ese europeo ad avere una norma così restrittiva.
Il testo prevede una multa da 15 a 25 euro, cui potrà essere aggiunta la pena del carcere fino a sette giorni, per «chi si presenterà in uno spazio pubblico con il volto coperto, del tutto 0 inparte, in modo tale da impedirne l'identifica¬zione». Le donne musulmane non potranno indossare né burqa né niqab per le strade, nei parchi, in ospedali e scuole, sugli autobus e in tutti i luoghi pubblici, compresi gli alberghi. La legge prevede eccezioni solo per alcu¬ne manifestazioni (come il carnevale), autorizzate dai Comuni. È stata presentata dalla maggioran-za (liberali e cristiano-democratici) e sostenuta dai socialisti e dal-la destra. Un consenso ampio, con l'unica perplessità espressa dai verdi, che hanno proposto di consultare il Consiglio di Stato per mettersi al riparo da possibili contrarietà della Corte europea dei diritti dell'uomo.
La legge riguarda in realtà po-che centinaia di donne che usano il velo tra i circa 50omila musul-mani che vivono in Belgio. «Una
decina di anni fa non ce n'era nessuna», ha detto alla Reuters il promotore della legge Daniel Bacque-laine, sostenendo che è un fenomeno di natura politico-ideologica in crescita, «contro la dignità della donna e incompatibile con una società aperta e tollerante». «E un segnale forte che inviamo agli islamici»,ha commentato il liberale francofono Denis Ducarme, dicendosi «fiero» che il suo paese abbia dato l'esempio al resto d'Europa su un tema così sensibile. A livello locale, molte amministrazioni avevano del resto già vietato il velo per ragioni di sicurezza, chiamate in causa ovviamente anche a sostegno del provvedimento parlamentare.
L'iniziativa ha allarmato chi la considera un attacco ai diritti individuali e alla libertà. Isabelle Praile, vicepresidente dell'Organizzazione dei musulmani in Belgio, ha affermato che qualsiasi legge costituisce un pericoloso precedente: «Oggi si vieta il velo integrale, domani il velo, il giorno dopo il
turbante dei Sikh, poi forse toc-cherà alle mini-gonne», ha detto provocatoriamente.
Proprio a Bruxelles, l'anno scorso, una giovane deputata di origini turche aveva prestato giuramento in Parlamento con il capo coperto: era la prima volta che accadeva una cosa del genere, mentre mori andava in scena una pacifica protesta. In ogni caso la Commissione parlamentare belga ha evidentementesuperatoitimori di incostituzionalità di una legge del genere, sollevati invece dal Consiglio di Stato di Parigi. Che lunedì aveva osservato come il provvedimento in discussione in Francia rischi di contravvenire ai princìpi del diritto individuale. Un ostacolo non indifferente sulla strada della legge fortemente voluta dal presidente Nicolas Sarkozy, in un paese in cui vive la più grossa comunità musulmana in Europa.
In Italia, intanto, la Lega si prepara a presentare un disegno di legge analogo a quello belga, mentre è già all'esame della commissione Affari costituzionali a Montecitorio una proposta anti-burqa avanzata da Souad Sbai, deputata del Pdl di origini marocchine.
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