Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

6 maggio 2011

Immigrazione, circa 800 arrivi a Lampedusa in 24 ore
Reuters 6 maggio 2011
Nelle ultime 24 ore sono sbarcati a Lampedusa circa 800 migranti. Lo riferiscono le forze dell'ordine sull'isola. Ieri pomeriggio un barcone proveniente dalla Libia con a bordo 216 migranti è arrivato sull'isola siciliana, seguito in serata da un altro barcone con a bordo circa 500 migranti. In mattinata una serie di sbarchi minori aveva portato sull'isola un centinaio di migranti. Nove persone sono invece sbarcate ieri mattina sull'isola di Linosa. Secondo i dati Ue, oltre 25mila migranti, provenienti soprattutto dalla Tunisia, sono giunti dall'inizio dell'anno sulle coste italiane e a Malta. Il 5 aprile il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha raggiunto un accordo con il governo tunisino per i rimpatri e per rafforzare il contrasto all'immigrazione clandestina. Nel 2008 l'Italia ha firmato un trattato di amicizia con la Libia, ora sospeso per via della guerra, che prevedeva tra l'altro misure di contrasto all'immigrazione clandestina e un indennizzo valutato in 5 miliardi di dollari per il passato regime coloniale.




Immigrazione: cosa resta della Bossi-Fini dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea?
http://detenutoignoto.blogspot.com
www.giuristidemocratici.it 5 maggio 2011
Raffaele Miraglia (Arci)
Raffaele Miraglia commenta la situazione che si è venuta a creare nella legislazione italiana sullo straniero dopo la pronuncia del 28 aprile 2011 con cui la Corte di Giustizia Europea nella causa El Dridi ha sancito la diretta applicabilità degli articoli 14 e 15 della direttiva europea 2008/115/CE con la conseguente inapplicabilità della norma penale prevista dall’art. 14 comma 5 ter T.U. sull’immigrazione (inottemperanza all’ordina del Questore di lasciare il territorio nazionale a seguito di provvedimento di espulsione). Quando nel 2008 fu definitivamente approvata la cosiddetta “direttiva rimpatri” gli esponenti del governo Berlusconi spesero parole di elogio, mentre le forze e le associazioni più impegnate nel lavoro di tutela dei migranti e dei loro diritti espressero numerose e fondate critiche. Oggi, dopo la sentenza del 28 aprile 2011 della Corte di Giustizia Europea sugli effetti di quella direttiva nella legislazione italiana, le parti si invertono.
Suona così quasi surreale rileggere il comunicato del 18 giugno 2008 dell’allora Ministro del governo Berlusconi: “Il via libera del Parlamento europeo alla direttiva sui rimpatri è motivo di grande soddisfazione per tutto il governo italiano” dichiara il ministro per le Politiche Europee, Andrea Ronchi. “Grazie al voto espresso oggi a larghissima maggioranza dall’aula di Strasburgo, l’Unione Europea ha, infatti, raggiunto un obiettivo importantissimo: avviare la costruzione di un’architettura di norme comuni per l’espulsione degli immigrati clandestini”. “È importante sottolineare che la direttiva prevede l’estensione della durata della detenzione amministrativa per gli extracomunitari irregolari sino a 18 mesi. Una misura perfettamente coerente con le misure adottate dal nostro governo”.
“La decisione del Parlamento di Strasburgo è, dunque, la riprova che la linea della fermezza, improntata ai principi di legalità e solidarietà, adottata dall’Italia in tema di immigrazione sta ormai prevalendo in tutta Europa. E questi principi verranno tanto più declinati nel corso dell’ormai prossima presidenza francese dell’Unione che si annuncia decisiva per fronteggiare un fenomeno come quello dei flussi migratori, che nessun Paese europeo può pretendere di risolvere da solo. La direttiva Ue sui rimpatri rappresenta in questo senso un importante passo in avanti. Ma anche una risposta e un segnale di grande credibilità per le istituzioni europee in un momento in cui il vento della protesta irlandese rischiava di minarne in profondità le fondamenta”.
Non bisognava essere esperti di diritto dell’immigrazione per capire come la direttiva europea, che imponeva agli Stati membri di adottare norme comuni per regolare le espulsioni degli stranieri irregolarmente soggiornanti, disegnasse una procedura in netta antitesi con quella inserita dalla legislazione italiana dalla legge cosiddetta Bossi Fini. Eppure dal momento dell’approvazione della direttiva alla data ultima entro la quale l’Italia avrebbe dovuto trasfonderla nella propria legislazione, l’unica misura adottata dalla maggioranza è stata quella di portare ai termini massimi consentiti dalla direttiva la durata del possibile trattenimento nei centri di identificazione e espulsione dei migranti da espellere. Il risultato è che oggi l’Italia è di fatto priva di una propria legislazione nazionale che regoli l’espulsione del migrante privo di idoneo titolo di soggiorno.
Il risultato è che oggi le Prefetture e le Questure per le espulsioni non applicano il Testo Unico sull’Immigrazione, ma la cosiddetta “circolare Manganelli”, un testo diramato dal Ministero dell’Interno il 17.12.2010 con una finalità ben evidente: “Nelle more del recepimento, da parte dell’Italia, della Direttiva in questione, occorre considerare che: decorso il termine del prossimo 24 dicembre, lo straniero attinto da un provvedimento finalizzato al suo rimpatrio potrebbe impugnarlo e chiedere, alla competente autorità giudiziaria, di eccepirne la difformità rispetto ai contenuti della normativa comunitaria; il ricorso dello straniero potrebbe essere accolto poiché il giudice, in applicazione dei principi di diritto comunitario, è obbligato ad interpretare il diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della Direttiva.
In previsione di tale situazione: assumeranno una rilevanza strategica le motivazioni su cui si fonderanno i provvedimenti propedeutici al rimpatrio che codesti Uffici proporranno per l’adozione alle competenti Prefetture o adotteranno direttamente; tali motivazioni, per essere idonee a neutralizzare gli effetti del ricorso, dovranno essere articolate, in modo che emerga con chiarezza la conformità dell’azione di rimpatrio rispetto ai contenuti della normativa comunitaria.” Potremmo addirittura dire che alla faccia della Costituzione oggi non è una legge a regolare la condizione giuridica e la libertà personale dello straniero, ma una semplice circolare amministrativa, una delle più “infime” tra le fonti normative.
Se pensiamo, poi, al contenzioso in atto sulla cosiddetta sanatoria badanti del settembre 2009 - dettato proprio dal fatto che un’altra “circolare Manganelli” negava la regolarizzazione dello straniero condannato per un delitto oggi abrogato in forza della direttiva europea e della sentenza della Corte di Giustizia - e al fatto che quello è stato uno degli atti più importanti adottati dal governo Berlusconi per regolare il “problema” immigrazione, ci possiamo rendere conto di come l’attuale maggioranza politica non sia stata e non sia in grado di esprimere sul terreno delle politiche migratorie altro che provvedimenti che si possono definire cattivi (sia come espressione di cattiveria, sia come espressione di incapacità). Se la riforma Bossi Fini del 2002 si caratterizzava per essere un complesso di norme-manifesto dove la volontà di affermare principi (nefasti) finiva per sopraffare il compito di esprimere regole che consentissero di amministrare la condizione giuridica dello straniero - con il risultato di aggravare il “problema” anziché dare soluzioni -, le misure prese o deliberatamente omesse (come il mancato recepimento della direttiva rimpatri) dall’ultimo governo Berlusconi si sono caratterizzate quasi esclusivamente per il loro contrasto con la Costituzione (puntualmente sanzionato dalla Corte Costituzionale - vedi le decisioni sull’aggravante della clandestinità e sull’art. 14 comma 5 quater) e con la legislazione europea. La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha definitivamente interrotto lo sconcio introdotto dall’art. 14 comma 5 ter (e di fatto dell’art. 14 comma 5 quater) del T.U. sull’Immigrazione (una norma che sanzionava l’incapacità dello Stato ad eseguire le espulsioni comminando la pena del carcere allo straniero), ma purtroppo dobbiamo constatare come l’Italia governi l’immigrazione con norme che determinano e favoriscono il sorgere di un mercato criminale per ottenere l’ingresso formalmente legale dello straniero (ci riferiamo alla compravendita dei nulla-osta all’autorizzazione al lavoro, che si apre ogni anno nel momento in cui viene emanato il cosiddetto “decreto flussi”), norme che determinano e favoriscono l’ingresso legale dello straniero che dopo otto giorni si troverà nella condizione del “clandestino” (ci riferiamo soprattutto ai decreti flussi per i lavoratori stagionali, ugualmente forieri di compravendite di nulla-osta in favore di stranieri, che neppure sapranno mai dove si trova il loro presunto aspirante datore di lavoro), norme che favoriscono il passaggio da una condizione di regolarità ad una condizione di irregolarità (quelle che legano il permesso al reddito e quelle che privano del permesso lo straniero che si è macchiato di reati anche di lieve entità), norme inapplicabili per le espulsioni e, in linea generale, norme che sembrano dettate da un unico principio: dobbiamo porre paletti, sbarramenti e ostacoli allo straniero che voglia stabilirsi e vivere regolarmente in Italia. In altre parole la politica del governo (cioè la politica della Lega) sembra finalizzata solo a ingigantire il tasso di irregolarità per evitare lo stanziamento regolare dello straniero. Le norme che oggi regolano l’immigrazione in Italia sono proprio la trasposizione dei desiderata leghisti: mantenere costante il pericolo della presenza dei clandestini (così da agitarlo come propaganda) e evitare ogni processo di integrazione.
Non è, dunque, un caso che l’attuale maggioranza, dopo aver applaudito la direttiva europea sui rimpatri, nulla abbia fatto per adeguare la legislazione italiana al nuovo quadro legislativo. Pur consapevole di quali sarebbero state le conseguenze (basti leggere la già citata circolare ministeriale del 17 dicembre scorso), ha preferito non avere norme che regolino l’espulsione piuttosto che dover sconfessare l’impianto della legge che porta il nome anche del leader della Lega. Tanto, poi, la colpa per le mancate espulsioni la si può far ricadere sui giudici (nazionali od europei che siano) e si può aggiungere propaganda a propaganda.
Se, come auspichiamo, anche dai nostri giudici arriverà, poi, il riconoscimento che la direttiva europea non è direttamente applicabile nella parte in cui consente di adottare immediatamente sulla base del pericolo di fuga dello straniero un provvedimento di espulsione e, magari, di trattenimento (e non un mero ordine di allontanamento), allora giungeremo veramente al paradosso di un uno Stato governato anche e soprattutto dalla Lega Nord e impossibilitato ad ordinare le espulsioni.
L’eventualità non è così remota se solo si pensa a quel che sta accadendo in Francia, dove il Consiglio di Stato il 21 marzo 2011 ha sentenziato che sino a che - in ottemperanza alla disposizione dell’art. 3 n. 7) direttiva 115/2008/CE - lo Stato non abbia fissato nella legislazione nazionale i criteri obiettivi sulla base dei quali deve essere ritenuta la sussistenza del rischio di fuga, lo Stato stesso non può avvalersi dell’eccezione prevista dall’art. 7 § 4 della direttiva, considerabile separatamente dalle precedenti disposizioni dell’art. 7 (non può, dunque, espellere o trattenere in vista dell’espulsione lo straniero, al quale va concesso invece un termine per l’allontanamento volontario).
Avanti ai Giudici di Pace si continua a sperperare inutilmente il denaro di tutti i cittadini al fine di far celebrare i processi per l’art. 10 bis del T.U. sull’Immigrazione (soggiorno illegale) destinati a concludersi con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria che nessun migrante pagherà (mentre lo Stato paga giudici, forze di polizia, cancellieri, interpreti e difensori d’ufficio e, magari, Equitalia per il tentativo di recupero dell’ammenda) e questo è tutto ciò che rimane per poter far vedere che lo Stato italiano mostra i muscoli contro gli stranieri privi di un permesso di soggiorno.
Nel frattempo non sembra che l’attuale governo sia intenzionato a porre mano in tempi ragionevoli alla doverosa modifica della legge Bossi Fini per adeguarla alla direttiva europea, preferendo impegnare il Parlamento a legiferare su questioni quali il processo breve.




Immigrati/ Ue: Reato clandestinità esiste in 10 Stati membri
Wall Street Italia
Bruxelles, 3 mag. (TMNews) - Il reato di immigrazione clandestina è previsto nel diritto penale di altri nove paesi dell'Ue, oltre all'Italia. Lo ha riferito, oggi a Bruxelles, il portavoce della commissaria europea agli Affari interni, Cecilia Malmstrom. I nove paesi sono Belgio, Finlandia, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Regno Unito, Germania, Francia e Danimarca, ha detto il portavoce, Marcin Grabiec, che tuttavia non ha precisato in quali casi sia prevista specificamente la detenzione in carcere come sanzione, e per quanto tempo (in Italia è prevista da uno a quattro anni). La Corte europea di giustizia giovedì scorso, 28 aprile, ha censurato l'Italia per aver condannato a un anno di prigione un immigrato irregolare che non aveva eseguito un ordine di espulsione, ricevuto in precedenza. La direttiva 'rimpatri', hanno spiegato fonti della Commissione, non esclude in linea di principio il reato di clandestinità, e neanche la detenzione come sanzione penale, ma a condizione che sia attuata come 'ultima ratio' e in centri appositi, e non nelle prigioni destinate ai detenuti comuni. In ogni caso, secondo la direttiva, la detenzione non può durare più di 18 mesi e deve essere finalizzata solo a evitare la fuga dell'immigrato irregolare in vista dell'espulsione (se non ha altro titolo per rimanere sul territorio), Nel caso italiano esaminato dalla Corte Ue, la detenzione dell'immigrato, il signor El Dridi, veniva vista come una misura 'sproporzionata' e addirittura come un ostacolo che impedisce il rimpatrio fino alla scarcerazione, in contrasto con quanto prevede la direttiva. Fra i 10 paesi che prevedono il reato di immigrazione clandestina, solo tre (Finlandia, Estonia e Slovacchia) hanno già recepito la direttiva rimpatri (il termine ultimo era il 24 dicembre 2010). La Commissione sta esaminando le leggi di trasposizione e verificherà, com'è nel suo ruolo di guardiana dei Trattati Ue, che le norme nazionali in vigore in ciascuno Stato membro non siano incompatibili con la direttiva. Per l'Esecutivo comunitario, comunque, dopo la sentenza della Corte Ue è chiaro che, per effetto della direttiva, non è più possibile criminalizzare la semplice permanenza irregolare sul territorio di uno Stato membro, o la semplice non ottemperanza a una decisione di rimpatrio, come ha spiegato un'altra portavoce della Commissione, Karolina Kottova. In altre parole, la trasposizione della direttiva rimpatri comporterà necessariamente l'abrogazione delle norme nazionali simili a quelle italiane in tutti gli altri Stati membri in cui esistono.





Il governo si mette nella trappola dei clandestini e non ne esce
ilsussidiario.net 5 maggio 2011
Federico Ferraù
Intervista a Bruno Nascimbene
A creare apprensione nel governo, e in particolare nella Lega, sono i clandestini. Secondo la direttiva Ue sui rimpatri infatti il nostro testo unico sull’immigrazione, mandando in carcere chi, raggiunto da un decreto di espulsione, rimane nel territorio nazionale, viola i diritti umani fondamentali. A complicare ulteriormente la situazione è arrivata, il 28 aprile scorso, la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione sul caso Hassen El Dridi, in base alla quale il giudice è tenuto a disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva.
Va detto che un errore, piuttosto grave, l’Italia lo ha fatto, perché non ha adeguato le sue leggi alla direttiva rimpatri entro il termine previsto del 24 dicembre scorso. Ma alla fine del 2010 il dramma nordafricano era di là da venire, Lampedusa doveva ancora essere invasa dai profughi e il ministro Maroni non poteva immaginare che si sarebbe trovato davanti alle telecamere di un vertice europeo a dire «mi chiedo se abbia ancora senso continuare a fare parte dell’Ue».
Ma ora una soluzione la maggioranza deve trovarla, e in fretta. La posta in gioco però non è soltanto il consenso dell’elettorato alle prossime amministrative, anche se è a questo che si pensa nel governo. La direttiva rimpatri, infatti, tocca ancora una volta un nervo scoperto della giustizia: quello delle fonti del diritto e del potere dei giudici. Ilsussidiario.net ne ha parlato con Bruno Nascimbene, docente di Diritto dell’Unione europea nell’Università di Milano.
Professore, la Corte di giustizia con la sentenza El Dridi ha «bocciato» il reato di clandestinità?
Non ha bocciato il reato di clandestinità, ma il reato relativo alla non ottemperanza dell’ordine di lasciare il territorio nazionale nei 5 giorni previsti. Questa era la questione posta all’esame della Corte. La direttiva rimpatri è molto chiara e gli Stati non possono derogarvi applicando regole più severe.
È corretto dire che l’art. 14 del testo unico sull’immigrazione è incompatibile con la direttiva rimpatri?
Sì, è corretto, perché la direttiva rimpatri prevede come regola il rimpatrio volontario, e come eccezione il rimpatrio coercitivo: lo stesso che in Italia si effettua con l’accompagnamento alla frontiera, e dunque con misure coercitive.
Ma le sembra credibile contare sulla «partenza volontaria» del clandestino, e prevedere la coercizione solo se la prima non avviene entro i termini?
Non c’è solo la volontarietà: i mezzi coercitivi, come ha detto lei stesso, ci sono. Per noi in Italia vuol dire accompagnare lo straniero alla frontiera, ma lo stesso avviene anche in altri paesi. È esattamente quello che tutti abbiamo visto con le espulsioni fatte da Lampedusa verso la Tunisia.
È compito di una direttiva stabilire con precisione norme e procedure da applicare nel nostro ordinamento, limitando il potere dello Stato?
Lo può fare. Non sempre lo fa nello stesso modo, ma le direttive contengono in moltissimi casi disposizioni precise, vincolanti, obbligatorie, che non lasciano allo Stato nessuno spazio di decisione nel recepire la direttiva. C’è poco da fare, lo Stato deve conformarsi.
Quindi questo vuol dire che per dare esecuzione ad una direttiva europea il giudice penale deve disapplicare la legge italiana?
Se contrastante, sì, perché il diritto comunitario prevale sul diritto nazionale. Se quest’ultimo contrasta col primo, «vince» il diritto dell’Unione e quello nazionale deve essere disapplicato. Dev’essere applicata la direttiva: sia dal giudice, sia dall’autorità nazionale - pubblica amministrazione, comune, regione, autorità di polizia, non importa.
E prevale sempre il diritto comunitario?
Sì, salvo casi eccezionali in cui il diritto comunitario fosse del tutto contrastante con i principi generali del nostro ordinamento. Ma questa è un’ipotesi, come si suol dire, di scuola.
Solo di scuola?
Sì: avverrebbe se il legislatore comunitario dovesse «impazzire» e fare norme «abnormi». Che negano o limitano, per esempio, il nostro diritto alla difesa. Ma per chiarire bene il concetto, non bisogna mai dimenticare che le norme dell’Unione europea non le fa la Commissione ma il Parlamento, cui partecipano i parlamentari nazionali, e il Consiglio, in cui siede anche un rappresentante del governo italiano. Se ci fosse un provvedimento abnorme, in Italia avremmo delle solide garanzie, rappresentate dalla Costituzione e dalla Corte costituzionale.
Se la legge italiana va disapplicata perché contrasta con la direttiva europea, vuol dire allora che viola i diritti umani fondamentali. È così?
La direttiva è fondata sul rispetto dei diritti della persona. E un diritto fondamentale della persona è proprio quello di consentirle di tornare nel suo paese volontariamente. Egli deve lasciare il territorio nazionale perché hai violato le norme. Ma per indurlo a lasciare il territorio, lo Stato deve prendere le misure meno coercitive possibili.
Secondo lei non esiste il rischio che la tutela dei diritti umani fondamentali si traduca, nella realtà delle cose, in un avvallo dell’illegalità?
No. al contrario: la direttiva ripara un’illegalità commessa. Quando io, Stato, dispongo di mezzi per allontanarti, non posso però fare quello che voglio, metterti in carcere, o in un centro in cui mancano i servizi igienici o non è possibile dormire. Nell’ipotesi in cui lo straniero violi le regole sull’ingresso e il soggiorno nei paesi dell’Ue, subisce delle conseguenze, ma la tutela dei diritti fondamentali dev’essere sempre garantita.
Se una direttiva facesse valere come diritto fondamentale quello all’adozione da parte delle coppie gay, esso potrebbe essere applicato, al pari della direttiva rimpatri, contro il nostro ordinamento?
No, se quel «diritto» è contrario all’ordine pubblico italiano. Il diritto dell’Unione potrebbe imporlo solo nella misura in cui fosse già previsto dal nostro ordinamento, ma non è questo il caso. Potrebbe avvenire o se nel nostro paese si cambiasse legge, o se la Corte costituzionale dicesse che la legge italiana che non prevede questo tipo di unioni è in contrasto con la Costituzione. Si vede bene che non è il nostro caso. Ma c’è di più: in materia di diritto di famiglia ci vuole l’unanimità degli Stati. E l’accordo di 27 paesi sull’introduzione dell’adozione per gli omosessuali è un’ipotesi ancora più di scuola.
Da cosa dipendono, secondo lei, le difficoltà nelle quali si sono imbattuti molti giudici di fronte alla direttiva rimpatri?
In alcuni casi i nostri giudici non hanno capito l’incidenza del diritto dell’Unione europea sul diritto nazionale. In altri casi ha prevalso la preoccupazione che comportamenti di clandestinità non fossero più sanzionati e si creasse uno stato di incertezza del diritto.
Rimane il problema politico. La mozione Pdl-Lega votata ieri alla Camera impegna il governo a promuovere «il reale concorso di tutti i Paesi alleati rispetto alle ondate migratorie in essere, all'asilo dei profughi e al contrasto dell'immigrazione irregolare». Dove occorre intervenire per risolvere la questione rimpatri?
Le sanzioni penali previste dall’articolo 14 non servono a nulla. In altri termini, i reati attualmente previsti dal TU sull’immigrazione non hanno l’effetto dissuasivo che il legislatore si proponeva, se è vero che gli arrivi continuano.
E allora cosa facciamo?
La soluzione è semplice. Riproponiamo quelle sanzioni così come sono? Non si può. Le riproponiamo in modo diverso? Bene, ma occorre rispettare la direttiva dell’Unione. Ma allora riscriviamo la norma. È quello che si sarebbe già dovuto fare prima del 24 dicembre scorso, soltanto che ora non c’è solo la direttiva rimpatri a dire come deve cambiare la legge, ma anche la sentenza El Dridi. Con la quale l’Europa dice al nostro paese: «ti devi adattare, ma non puoi farlo nel modo che vuoi perché una sentenza della Corte di giustizia ha giudicato le tue norme in modo preciso». Ma noi non ci smentiamo mai.




Milano: l’immigrazione va verso una “stabilizzazione”. La crisi economica colpisce soprattutto gli immigrati, 26 mila disoccupati.
immigrazioneoggi.it 6 maggio 2011
A Milano è in atto un processo di stabilizzazione della presenza straniera, con un miglioramento dal punto di vista dell’integrazione e la diminuzione delle presenze irregolari, una tendenza che però ha subito un rallentamento causato dalla crisi economica.
È quanto emerge dal XII Rapporto sull’immigrazione straniera nella provincia di Milano realizzato dall’Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietcnicità (Orim) e dalla Fondazione Ismu e presentato ieri. Dallo studio emerge che nel capoluogo lombardo l’11,4% degli immigrati è disoccupato, pari a circa 26 mila persone. La crisi economica negli ultimi 4 anni ha penalizzato in modo particolare i lavoratori stranieri: nel 2007 erano senza lavoro solo il 6% degli immigrati, cresciuti nel 2009 al 10%. In provincia va un po’ meglio: il picco dei disoccupati è stato nel 2009 (11%) mentre nel 2010 si è scesi all’8%. Complessivamente, a Milano e provincia gli immigrati sono 424.400 (luglio 2010), 244.300 nel Comune capoluogo e 180.100 negli altri Comuni. In calo quelli senza permesso di soggiorno: nel capoluogo nel 2009 erano infatti il 18,8% ma nel 2010 sono scesi al 12,8%. Stesso trend in provincia: dal 13,5 del 2009 al 9% dell’anno scorso. “È in corso un effetto di normalizzazione e stabilizzazione della presenza degli stranieri”, spiega Giancarlo Blangiardo, demografo e curatore del rapporto. Una stabilizzazione confermata da due fattori: il numero di anni di presenza degli stranieri in Italia e di quelli che comprano un’abitazione. Quasi la metà infatti vive a Milano e provincia da cinque a dieci anni e uno su tre da più di 10 anni. Inoltre, il 20% abita in una casa di proprietà e circa il 50% in una in affitto da solo o con la propria famiglia.
Tra le nazionalità presenti, le più numerose a Milano sono quelle filippina (16,9%), egiziana (14,4%) e cinese (10,1%), mentre in provincia prevalgono romeni (16,6%), albanesi (11%) e egiziani (8,8%).




Immigrazione, albergatori Lampedusa: governo ci aiuti
Blitzquotidiano.it 6 maggio 2011
LAMPEDUSA (AGRIGENTO) – ''Non ci sono piu' le condizioni per poter lavorare''. Lo sostengono gli albergatori e i commercianti di Lampedusa. Gli spot pubblicitari per rilanciare e sponsorizzare l'immagine dell'isola dopo l'emergenza immigrazione, promessi dal ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla, sono partiti. Le prenotazioni di viaggi e vacanze pero' continuano a non arrivare. Ed ora gli imprenditori chiedono aiuto al Governo e minacciano di consegnare tutte le licenze commerciali. ''I provvedimenti assunti dal Governo risultano insufficienti per dare un'importante spinta all'economia isolana, se non supportati da una serie di misure finanziarie per la categoria. Lampedusa – dice Antonio Martello, presidente del consorzio albergatori isole Pelagie – e' stata, ed e', troppo spesso al centro delle cronache per gli sbarchi dei migranti e l'immagine turistica e' stata danneggiata, tant'e' che le prenotazioni continuano a non arrivare''. ''Ci siamo prefissati un obiettivo non solo economico: il rilancio del turismo a Lampedusa, ma anche sociale per consentire a tutte le imprese locali di superare un periodo cosi' difficile – prosegue Rosangela Mannino, presidente dell'associazione commercianti isole Pelagie -. Se non riceveremo risposte chiuderemo le nostre attivita'''.



Emegenza migranti l'Ue sbugiarda l'Italia
L'Unità 5 maggio 2011
Marco Mongiello
L’Italia non è di fronte a nessuna emergenza immigrazione così ingestibile da dover invocare regole speciali dell’Unione europea o la redistribuzione dei rifugiati. Dopo mesi di allarmismo leghista il commissario Ue agli Affari interni, Cecilia Malmstrom, lo ha detto chiaro e tondo ieri a Bruxelles. Una presa di posizione così netta che persino Berlusconi, che fino a poche settimane fa parlava di “tsunami umano”, nella trasmissione “Porta a Porta” si è smarcato dalle tesi leghiste e ha affermato che «siamo un Paese di 60 milioni di abitanti e non dobbiamo avere paura dell’arrivo di qualche migliaio di persone». Il Premier non ha comunque resistito alla tentazione di far intravedere la possibilità che gli immigrati possiamo «redistribuirli in tutta Europa», anche se ieri la Commissione ha ribadito che non esiste nessuna norma comunitaria presente o futura in tal senso, e nonostante nessun Paese europeo si sia dimostrato disponibile ad accogliere i tunisini sbarcati a Lampedusa e anche l’opzione di fargli attraversare alla chetichella le frontiere degli altri Paesi Ue si sia scontrata contro la resistenza della Francia e degli altri Stati membri. Proprio per rispondere alle proteste francesi e degli altri Paesi l’esecutivo comunitario ha presentato delle nuove proposte sull’immigrazione, che prevedono tra le altre cose la possibilità di ristabilire le frontiere tra i Paesi europei in circostanze eccezionali, derogano all’accordo di Schengen in vigore dal 1995. Tra queste «circostanze eccezionali» però, ha precisato la Malmstrom, non rientrano eventi come l’arrivo di 25 mila tunisini a Lampedusa che sono «una sfida, certo, per Malta o per Lampedusa, ma non si tratta di un flusso enorme». In Europa, ha aggiunto, «si sono visti flussi ben più grandi». Secondo il commissario Ue «l’Europa ha bisogno di rafforzare le sue regole, e non di metterle a rischio con soluzioni semplicistiche e populistiche». La Commissione «ha smascherato il governo italiano», ha commentato l’eurodeputata Pd Debora Serracchiani, sottolineando che «anche il ritornello dell’Europa che avrebbe abbandonato l’Italia si è rivelato per quel che era, e cioè uno scaricabarile del governo» Per il leader del Pd, Pier Luigi Bersani, l’esecutivo «ha dimostrato di non avere la volontà di risolvere il problema immigrazione per far paura e propaganda». La possibilità di tornare ai controlli frontalieri, anche se regolata da Bruxelles e non dagli Stati membri, ha però suscitato diverse critiche. Le guardia l’eurodeputato Pd e vicepresidente dell’Europarlamento, Gianni Pittella, sono «contraddittorie e confuse» e si rischia «di limitare di fatto la libera circolazione dei cittadini, contravvenendo ad uno dei principi fondativi dell’Unione». Malmstrom ha assicurato che difenderà l’accordo di Schengen «con i denti e con le unghie» e che le sue proposte servono solo a migliorarlo. «Cerchiamo di europeizzare sempre di più la governance di Schengen in modo da evitare contrasti tra Paesi», ha chiosato Antonio Tajani, commissario all’Industria e vicepresidente dell’esecutivo Ue, riferendo che la proposta è stata approvata all’unanimità dall’intero collegio dei 27 commissari. Ora la parola passa di governi: il dossier sarà discusso dai ministri degli Interni europei il 12 maggio e poi dai leader dei27 nel summit Ue del 24 giugno.




Immigrati: Mauro (Ppe), strategia Ue con paternariato aperto a tutti
Adnkronos 5 maggio 2011
"La nuova Strategia dell'Ue deve essere concretamente concepita come un partenariato privilegiato aperto a tutti i paesi dell'area sud del Mediterraneo". Lo ha affermato Mario Mauro, presidente dei deputati Pdl al Parlamento europeo intervenendo ai lavori delle Giornate di Studio del Gruppo Ppe a Palermo dedicate al tema dell'immigrazione. "Il Partenariato e' un modello di integrazione altissima che permette di affinare i livelli di cooperazione economica e commerciale come anche quelli di collaborazione in campo sociale ed universitario". "E' importante non sottovalutare le parole dette ieri dal Primo Ministro del Marocco quando afferma che ai paesi del Mediterraneo non serve un piano Marshall quanto piuttosto serve l'implementazione della partnership con l'UE nei diversi campi".
"E' per questo fondamentale il confronto politico e culturale tra le due sponde del Mediterraneo per individuare le migliori forme di integrazione. L'interlocuzione con questi paesi non deve essere solo il mero contenimento dei problemi - come ad esempio l'immigrazione - quanto piuttosto dobbiamo saper cogliere le opportunita' che questi paesi ci offrono. Conoscerci meglio ci da la possibilita' di fare proposte migliori nell'interesse di tutti". "Lo scambio tra nord e sud del Mediterraneo deve ad esempio riguardare anche la garanzia della liberta' religiosa perche' senza di essa non ci puo' essere ne democrazia ne crescita socio-economica di questi paesi".




Le prime scarcerazioni dopo la sentenza dell'Ue
Lettera43.it 5 maggio 2011
Adelaide Pierucci
Fuori dal carcere subito 1000 immigrati. Stabilito che il reato di immigrazione clandestina non esiste più, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea, sono partite le scarcerazioni degli immigrati condannati. Se ne prevedono un migliaio.
Le prime 12 sono scattate il 5 maggio a Roma su disposizione dell'ufficio esecuzione della procura capitolina, coordinato dall'aggiunto Alberto Caperna. Dieci immigrati sono stati scarcerati d'ufficio, due su istanza dei loro legali. Il pronunciamento della Corte di giustizia europea che il 28 aprile ha bocciato il reato di immigrazione clandestina, infatti, non ha fatto altro che ribadire la direttiva europea sull'immigrazione del 2008, entrata in vigore anche in Italia. Un terremoto per la politica del pugno di ferro. Processi annullati e arresti non più praticabili. Gli immigrati condannati per non aver rispettato l'ordine di abbandonare il Paese dovranno essere assegnati ai centri di accoglienza. Nessun privazione di libertà o peggio accorpamento con i detenuti comuni.

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