Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 luglio 2010

Carceri libiche, i racconti terribili dei migranti al Festival antirazzista Arci -> «Tre giorni di viaggio nel deserto, 60 in un pulmino... L'inferno»
«Nel lager di Kufra lavori forzati, botte Cibo e acqua solo a pagamento»
l'Unità, 13-07-2010
Testimonianze di scampati, somali ed eritrei, dai lager libici: ecco cos'era l'inferno... Sono loro i protagonisti del meeting antirazzista dell'Arci a Cecina. Le violenze dei carcerieri e quelli dei trafficanti.
Cosa sia l'inferno in terra lo racconta A.H.Y, somalo, 26 anni. L'inferno di un lager libico. Dove A.H.Y. è stato segregato. Un lager come quello in cui sono finiti, per otto giorni almeno, 245 eritrei, diversi dei quali respinti dall'Italia. A.H.Y è uno degli ospiti del meeting antirazzista dell'Arci a Cecina. A.H.Y racconta la sua odissea: 300km, molti dei quali in pieno deserto, su camion container, pagando trafficanti diversi per arrivare a Kufra, con la promessa di poter raggiungere Tripoli e di lì l'Italia. Ma a Kufra ha trovato la polizia che lo ha incarcerato insieme ai suoi compagni di viaggio. «Parlare di carcere in Libia - dice A.H.Y. - è un eufemismo», in realtà sono veri e propri lager, stanze di pochi metri quadri in cui sono stipati in 50, senza servizi igienici, senza possibilità di lavarsi, senza cibo e acqua. E in Libia tutto ha un prezzo: se vuoi lavarti o mangiare devi pagare. Anche per essere liberato devi pagare, e se non puoi farlo devi lavorare: tutto ciò che gli aguzzini pretendono fino a che non ritengono che il lavoro cui ti hanno costretto sia sufficiente per comprarti la libertà».
IN MANO AGLI AGUZZINI
A.M.M ha 20 anni, è somalo e ha ottenuto in Italia la protezione sussidiaria circa un anno fa: proveniva dalla Libia, dove a causa delle violenze subite, ha perso la memoria. A.M.M. racconta della segregazione e della violenza subita dai trafficanti che lo hanno rinchiuso in un deposito fino a quando non sono arrivati i soldi della famiglia per la liberazione. Ma anziché raggiungere Tripoli è finito in mano ad altri trafficanti. Ha tentato di fuggire ed è stato picchiato a sangue fino a fargli perdere la memoria. Quando la riacquista, capisce di essere in carcere. Poi, dopo giorni di lavoro la libertà. Oggi sono in Italia, vivono a Caltagirone. I loro racconti, come quello di T.D. (eritreo, 18 anni), anche lui ospite del meeting dell'Arci, conferma quanto «da tempo l'Arci denuncia sulla costante violazione dei diritti umani in Libia, con cui il Governo italiano ha stretto un accordo di cooperazione in materia di immigrazione"  afferma l'organizzazione in una nota.
STORIE DI ORRORE
Presente e passato s'intrecciano nel denunciare l'inferno dei lager libici. Racconta (maggio 2009) Fatawhit, una donna eritrea: «Avevamo già lasciato le coste libiche da tre giorni, quando siamo arrivati all'altezza delle piattaforme petrolifere. D'un tratto in mezzo al mare sorgono delle piattaforme immense da cui escono lingue di fuoco. Proprio da là è uscita una nave che ci ha accostato. Non so di quale paese fosse, credo che l'equipaggio fosse per metà libico e per metà italiano. E stata quella barca che ci ha scortato fino alle coste libiche e ci ha lasciato nelle mani della polizia. Siamo stati prima portati per due mesi alla prigione di Djuazat, un mese a Misratah e otto mesi a Kufra. Il trasferimento da una prigione all'altra si effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è durato tre giorni e tre notti, non c'erano finestre e non avevamo niente da bere. Ho visto bere l'urina... A Misratah ho visto delle persone morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure, in tutto c'erano 250 persone, 60 per stanza. Dormivamo al suolo, senza neanche un materasso, c'era un solo bagno per tutti e 60, ma si trovava all'interno della stanza dove regnava un odore perenne di scarico. Era quasi impossibile lavarsi, per questo molte persone prendevano le malattie...?



Ecco il video dei respinti

il manifesto, 13-07-2010
Stefano Liberti
Un video smentisce le bugie dette dal Viminale sui rifugiati eritrei detenuti in Libia. Il filmato, arrivato al manifesto da Tripoli mostra una motovedetta della Marina militare italiana affiancare un'imbarcazione carica di immigrati per respingerla in Libia. A bordo ci sono alcuni degli eritrei oggi rinchiusi a Braq
L' immagine è nitida. Alcune decine di ragazzi su una barca, tutti muniti di giubbotto salvagente. Hanno lo sguardo sorridente, quasi sollevato. Festeggiano e gridano: «Italia, Italia». Poco dopo, spunta sullo schermo una grande nave della nostra marina militare. È grigia e sul fianco ha la sigla P410. Si muove verso la barca con a bordo i ragazzi. I loro volti continuano a esprimere gioia. Un gommone con la scritta «marina militare» si stacca e si avvicina al natante in difficoltà. A bordo alcuni italiani in uniforme lanciano bottiglie d'acqua alle persone a bordo. Poi il video dissolve. L'epilogo non si vede, ma ce lo hanno raccontato nei dettagli molti di quei ragazzi. Come già scritto sul manifesto del 6 luglio scorso, i passeggeri della barca sono stati inizialmente trasbordati sulla nave grande per essere rifocillati. E poi sono stati riportati al punto di partenza, nella città costiera di Zuwarah. Un viaggio a ritroso tanto più beffardo in quanto è stato condotto con l'inganno: «Ci hanno detto che ci stavamo dirigendo in Italia, che saremmo potuti arrivare a Roma o Milano, invece hanno fatto rotta verso sud», ci ha raccontato più di uno dei partecipanti a quel viaggio.
La barca era a 30 miglia da Lampedusa, cioè molto vicina alle acque territoriali italiane. Ma, in virtù della nuova politica inaugurata nel maggio del 2009, i viaggiatori sono stati riportati in Libia, senza preoccuparsi di capire se sullo scafo ci fossero potenziali richiedenti asilo. La traversata in senso inverso si è conclusa malamente più di 12 ore dopo, quando la barca P410 ha consegnato il suo carico umano a una motovedetta libica al limitare delle acque territoriali della Jamahirìya. La nave libica è poi approdata al porto di Zuwarah, sulla costa della Tripolitania, e gli 82 viaggiatori- 76 eritrei, tre etiopi e tre egiziani - sono stati portati in due diversi centri di detenzione.
E video - che ci è stato recapitato attraverso internet da uno degli sventurati partecipanti a quel viaggio, oggi a Tripoli dopo aver trascorso diversi mesi nel centro di prigionia Misratah - è la prova che smentisce il nostro governo. «Non è dimostrabile che i ragazzi chiusi a Braq sono stati respinti dall'Italia», ha detto nei giorni scorsi il ministro degli interni Roberto Maroni. Noi sappiamo che 11 dei reclusi di Braq hanno partecipato a quel viaggio. Abbiamo i loro nomi e i loro cognomi. Le loro storie sono state registrate sia nel campo di Misratah, dove sono stati portati un mese dopo il respingimento, sia nell'ufficio di Tripoli dell'Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Adesso ci sono anche i loro volti. Se il governo volesse, potrebbe fare le opportune verifiche incrociate. E scoprire che gli 82 viaggiato¬ri, tra cui nove donne e tre bambini, sono tutti ancora in Libia. Undici sono nel gruppo dei 205 eritrei che il 30 giugno scorso sono stati trasportati a Braq come «punizione» per essersi rifiutati di riempire dei formulari in tigrino, temendo di venire deportati in Eritrea. Alcuni altri sono riusciti a uscire dal centro di Misratah e vivono oggi a Tripoli nascosti, temendo un nuovo arresto. Altri ancora sono in altri centri di detenzione nella Jamahirìya.
Ma quello del 1° luglio non è il solo respingimento che riguarda da vicino i 205 ragazzi eritrei rinchiusi da ormai quasi due settimane nel carcere di Braq. Un altro è avvenuto l'8 settembre. Un'altra nave italiana, questa volta più vicina alle coste della Libia. Li ha raccolti e consegnati alle autorità di Tripoli. Quarantotto di quei respinti sono oggi nel centro di detenzione nel sud della Libia. Il 21 novembre, un'altra operazione. Questa volta fatta in maniera diversa: una barca carica di 86 persone - tutti eritrei e somali - è alla deriva in acque intemazionali. Sono a circa 60 miglia da Lampedusa, nelle cosiddette acque Sar (ricerca e soccorso) di competenza maltese. Solo il giorno precedente un'altra imbarcazione era riuscita ad approdare a Pozzallo, in provincia di Ragusa, con a bordo circa 200 eritrei. Troppi per un governo che ha fatto della cancellazione degli sbarchi una priorità. Così, questa volta gli italiani decidono di non intervenire. Chiamano i libici e dicono loro di venirsi a riprendere il carico di viaggiatori, nonostante la barca si trovi a 120 miglia dalle coste della Jamahirìya Dopo diverse ore arriva una motovedetta libica (la Zwara) e riporta nel paese arabo tutti i migranti. Quarantaquattro di loro sono oggi nel carcere di Braq. A quanto ha scritto all'epoca il quotidiano della Valletta Times of Malta, «le autorità di soccorso di Messina e Palermo hanno coordinato l'operazione con le autorità libiche, e mantenuto il contatto con il Centro di coordinamento del soccorso delle forze armate maltesi». Il che vuol dire che gli italiani (e i maltesi) non hanno solo violato la Convenzione di Ginevra, che vieta di respingere verso paesi non sicuri potenziali richiedenti asilo, ma anche le regole del diritto marittimo, dal momento che non hanno prestato soccorso a una barca in difficoltà e l'hanno esposta a ulteriori rischi durante l'attesa dell'intervento della motovedetta libica.
Secondo il sito Fortress Europe, osservatorio sulle vittime dell'emigrazione, sarebbero 1409 i «respinti» nel canale di Sicilia dal maggio 2009. Di questi -le cifre sono state fornite dallo stesso governo libico - 245 erano eritrei. A Braq, secondo le cifre in nostro possesso, ce ne sono 103, vittime dei tre respingimenti sopra citati.
Non avendo firmato la Convenzione di Ginevra del 1951, la Libia non riconosce il diritto d'asilo. Tanto che, coerentemente, non definisce i cittadini eritrei «richiedenti asilo», ma «immigrati illegali». L'Italia, che invece ha firmato la Convenzione di Ginevra, li respinge in mare. E continuerà a farlo: nella finanziaria appena approvata sono previsti 2 milioni di euro «per la proroga della partecipazione di personale del Corpo della guardia di finanza alla missione in Libia in esecuzione degli accordi di cooperazione sottoscritti tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani».



L'accordo - Protocollo d'intesa tra Regione, Prefettura e Garante dei detenuti
Immigrati, assistenza sanitaria a Ponte Galeria
Il Corriere Laziale, 13-07-2010
Eleonora Daniele
E' stato rinnovato ieri mattina alla sede della Regione Lazio il protocollo d'intesa, approvato con una delibera del primo giugno, che garantisce agli stranieri del Centro dì identificazione ed espulsione di Ponte Galeria l'assistenza sanitaria. A firmare il documento la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, ed il garante regionale dei detenuti, Angiolo Marroni. "Questo protocollo - ha detto Polverini - fa parte dei mici doveri e rinnova un clima di collaborazione tra le istituzioni perché si possa fare di più in termini di accoglienza per persone che a volte scappano solo dalia loro miseria. Il protocollo -ha spiegato ancora - prevede in-terventi per migliorare le condizioni di vita degli ospiti e, attraverso convezioni con l'asl di Roma D, attivare percorsi di prevenzione, diagnosi e cura. Si potrà ottenere nel più breve tempo possibile la documentazione clinica per assicurare la continuità assistenziale, si struttureranno rapporti istituzionali per consentire il rilascio dei tesserini sanitari per l'accesso ai sevizi, ci sarà l'organizzazione per l'accesso all'assistenza specialistica con particolare riferimento ai Scrp, ai dipartimenti di salute mentale e ai consultori, oltre all'agevolazione dei rapporti tra il Cie e lo Spallanzani per eventuali ricoveri ed assistenza specialistica, in particolare per i sieropositivi o i tubercolotici. C'è inoltre un protocollo per l'assistenza dentistica". "Le persone nel Cie, che non sono detenuti - ha spiegato Marroni - vivono una condizione molto pesante perché la struttura fu costruita a suo tempo con caratteristiche diffìcili da sopportare per viverci, anche per sei mesi. Noi, in collaborazione con la coopeerativa sociale che lo gestisce, lavoriamo per rendere più sopportabile una situazione che può essere aspra e che a volte esplode. Se mi chiedessero di scegliere tra carcere e Cie sceglierei il carcere". "Sono d'accordo con Marroni - ha concluso il prefetto riferendosi alle differenze tra Cie e penitenziari - ed é per questo che questo protocollo che si inserisce nel solco di collaborazione tra lo Stato e la Regione, ha per obiettivo quello di rendere meno gravosa la permanenza dì queste persone e fare in modo di fargli trascorrere più serenamente il loro tempo libero". Riguardo alla collaborazione prefettura-Regione, Pecoraro ha ricordato l'intenzione di rinnovare il patto per Roma sicura e la questione casa, da gestire in collaborazione con l'assessore Buontempo. E ieri sera Renata Polverini è andata personalmente a visitare il CIE di Ponte Galeria così da restarne affidabilità ed efficienza. Polverini ha spiegato che aveva intenzione di fate questa visita già da tempo, da quando, ha ricordato, un articolo di giornale suscitò alcune polemiche relative agli episodi che sì sarebbero verificati all'interno della struttura. "Ho voluto verificare -ha sottolineato - se davvero si vive in condizioni umane e capire bene cosa si può aggiungere: questa firma segna un rapporto istituzionale importante e per questo auspichiamo di aggiungere ulteriori clementi di collaborazione: sta per partite infatti la costruzione di un Campetto di calcio finanziato dalla Regione, Credo che si possa proseguire - ha concluso la governatrice - anche lavorando per dare al Cie un luogo dì preghiera e uno di intrattenimento". Polverini è stata accompagnata dal garante Angiolo Marroni. RIMPATRIO - Le operazioni di rimpatrio di alcuni stranieri ospiti del Centro di immigrazione ed espulsione di Ponte Galeria sono spesso difficoltose per "problemi legati al ritorno di immagine dei Paesi di origine, i quali di certo non ci tengono a mostrare di esportate non cervelli ma, come si dice a Napoli, 'malamente'". Lo ha detto il dirigente dell'Ufficio immigrazione della Questura di Roma Maurizio Improta nel corso della firma del protocollo. A confermare il problema anche il garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, secondo il quale "molte autorità consolari mostrano disinteresse nell'identificazione dei loro connazionali, che spesso non dichiarano il loro Paese dì provenienza o hanno molti pseudonimi". Questo comporta, hanno spiegato i due, un circolo vizioso per cui dopo sei mesi di permanenza al Cie gli ospiti vengono liberati con l'obbligo di lasciare il paese entro 5 giorni, ma se vengono arrestati ritornano in carcere e poi di nuovo al Cie.



CNEL, FALSO DIRE CHE LORO AUMENTO SIGNIFICA PIU' CRIMINALITA'

ASCA, 13-07-2010
Roma, - ''L'aumento degli immigrati non si traduce in un automatico aumento proporzionale delle denunce penali nei loro confronti'' ed e' falso affermare, quindi, che la loro maggiore presenza in Italia corrisponde ad un aumento della criminalita'. A smontare quelli che vengono 'bollati' come ''pregiudizi'' e' il Cnel che ha inserito un capitolo sul coinvolgimento delle comunita' straniere in episodi di criminalita' nel suo VII Rapporto sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia.
''In valori assoluti, il numero di denunce complessivo, riguardanti cioe' italiani e stranieri insieme, e' stato nel 2005 di 2.579.124, nel 2006 di 2.771.440, nel 2007 di 2.993.146 e nel 2008 di 2.694.811. - si legge nel Rapporto Cnel - Di queste, il numero di quante hanno riguardato cittadini stranieri e' di 248.291 nel 2005, 275.482 nel 2006, 299.874 nel 2007 e 297.708 nel 2008. Si osserva dunque - sono le conclusioni a cui giunge il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro - che nel periodo 2005-2008, mentre i residenti stranieri sono incrementati del 45,7%, le denunce contro stranieri sono aumentate solo del 19,0%. Se poi si tiene conto che queste denunce non riguardano solo gli stranieri iscritti in anagrafe, ma anche quelli in attesa di registrazione, gli irregolari e quanti sono temporaneamente presenti in Italia per turismo, affari o altro, il parallelismo tra aumento dell'immigrazione e aumento della criminalita' viene definitivamente smontato''.
Inoltre, si sottolinea ancora, ''con riferimento all'equazione 'piu' immigrazione piu' criminalita'', il Cnel, ipotizzando che il maggior livello di denunce riscontrato nel 2008 rispetto al 2005 (49.417) sia per intero addebitabile agli stranieri registrati nel quadriennio come nuovi residenti (1.220.779), arriva alla conclusione che a carico dei nuovi venuti vi e' un denunciato ogni 25 individui (pur senza includere gli irregolari, gli stranieri di passaggio e le altre categorie sopra ricordate), mentre a carico di tutte le persone residenti in Italia (italiani e stranieri insieme) vi e' un denunciato ogni 22 individui; viene cosi' a cadere il pregiudizio di una maggiore pericolosita' degli stranieri che arrivano nel Paese''.



Cinema: al via Lampedusafestival fra immigrazione e ambiente

IGN, 13-07-2010
Roma, - Al via Lampedusainfestival - 'L'incontro con l'Altro', il Festival di film e video sul tema delle migrazioni e del recupero della storia orale in scena a Lampedusa dal 19 al 25 luglio 2010. Un concorso per filmakers con 80 opere arrivate da tutta Italia e dall'estero, dibattiti su ambiente, informazione e immigrazione, proiezioni fuori concorso, presentazioni di libri, mostre, musica, teatro e danza.
Il tema principale e' dunque il dramma dell'immigrazione, per il quale Lampedusa e' conosciuta in tutta Italia anche come comunita' capace di dare speranza, ma spesso alla ribalta delle cronache nazionali per la trasformazione dei centri di accoglienza in centri di detenzione e per il respingimento delle barche della disperazione, in violazione di quel diritto d'asilo che dovrebbe essere uno dei capisaldi della cultura giuridica europea e che la Costituzione italiana (art.10) tutela quale diritto fondamentale dell'individuo.
Oltre al tema dell'immigrazione, il Festival affronta anche il tema dell'informazione attuale e delle sue anomalie, il tema della natura e della tutela della biodiversita' e quello della memoria storica delle Isole Pelagie.



La Rauti visita le mamme-detenute «Una situazione davvero critica»

Corriere della Sera Roma, 13-07-2010
«Abbiamo visitato l'asilo nido di Rebibbia, che ospita 21 donne con bambini, di cui venti donne Rom ed un'italiana: madri e figli vivono in una situazione di sovraffollamento perché la struttura è in grado di ospitare soltanto quindici detenute con bambini. Si tratta di una situazione critica, e, inoltre, la detenzione dei bambini da zero a tre anni, è in contrasto con tutte le convenzioni Onu sui diritti dell'infanzia»-. Lo ha detto ieri, al termine della visita conoscitiva presso gli Istillili di Pena di Rebibbia  femminile e Maschile, Isabella Rauti, membro dell'Uffìcio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio che ha effettuato il sopralluogo insieme alla Consigliera regionale del Pdl Chiara Colosimo. "Dobbiamo arrivare a creare un Icam, un Istituto di Custodia Attenuata per Madri detenute    ha spiegato Rauti - Ma i problemi della sezione femminile di Rebibbia sono anche altri, a cominciare dal sovraffollamento che vede 384 detenute presenti su una capienza di 320 posti e dal sottodimensionamento dell'organico, con una sola agente di polizia penitenziaria per le (SS detenute della Sezione Camerotti. Su questo aspetto inciderà positivamente l'attuazione del Piano nuove carceri che prevede, tra l'altro. l'assunzione di nuovi agenti di Polizia penitenziaria. Così come speriamo possa influire positivamente anche per il lavoro e il reinserimento del dopo-detenzione-.



Immigrati, è l'Emilia Romagna il "luogo più ospitale" in Italia

Il Cnel stila la classifica nel suo studio sugli indici di integrazione. Per gli stranieri da evitare Foggia, Nuoro o Oristano
la Repubblica, 13-07-2010
Vladimiro Polchi
ROMA - Dove si vive meglio in Italia? Se sei un immigrato, non ci sono dubbi: Parma o Reggio Emilia. Ma non si sta male neppure a Vicenza. Meglio evitare invece di stabilirsi a Foggia, Nuoro o Oristano. A fotografare i "luoghi più ospitali" della penisola è il VII Rapporto del Cnel sugli Indici d'integrazione degli immigrati in Italia, presentato oggi a Roma.
Nella graduatoria assoluta, l'Emilia-Romagna si conferma (per il secondo anno consecutivo) la Regione con il più alto potenziale d'integrazione degli immigrati a livello nazionale. La graduatoria regionale trova un sostanziale riscontro in quella delle province, dove spicca, con il potenziale d'integrazione più alto, Parma seguita da Reggio Emilia. Considerando che al 10° posto c'è Modena, tra le prime 10 posizioni si incontrano ben 3 province dell'Emilia-Romagna. E questo ben spiega il suo primato tra le Regioni italiane.
Tre sono anche le province del Friuli Venezia Giulia (seconda nella graduatoria regionale) in cui ci si imbatte scorrendo le prime 10 posizioni: si tratta di Trieste (5° posto), Gorizia (6°) e Pordenone (9°). Completano il quadro delle prime 10 province: Vicenza (3° posto), Prato (4°), Asti (7°) ed Enna (8°). In fondo alla classifica, si trovano invece le province di Foggia (101°), Nuoro (102°) e Oristano (103°). Quanto alle Regioni, le meno virtuose nell'integrazione, sono: Abruzzo, Puglia e Sardegna.
Non è tutto. Nella graduatoria differenziale (che si basa sullo scarto tra il dato degli immigrati e quello degli italiani) è la Sicilia a offrire, tra le Regioni, le condizioni d'inserimento socio-occupazionale più paritarie tra immigrati e italiani. Enna, Palermo, Catania e Siracusa sono, in particolare, le province in cui questa parità d'inserimento risulta più marcata.
E ancora: con riferimento all'equazione "più immigrazione più criminalità"  -  cara al premier Silvio Berlusconi, che l'ha ripetuta il 28 gennaio scorso  -  il Rapporto del Cnel ribadisce invece che "l'aumento degli immigrati non si traduce in un automatico aumento proporzionale delle denunce penali nei loro confronti". Ci sono, però, alcune criticità: "Le maggiori collettività africane (Marocco, Senegal, Tunisia, Nigeria ed Egitto) totalizzano il 29,6% delle denunce presentate contro gli stranieri a fronte di una quota del 18,7 % sui soggiornanti". Particolarmente critica è soprattutto l'esposizione dei marocchini.
Non mancano infine nel Rapporto critiche esplicite alle recenti politiche governative in materia d'immigrazione, che "hanno messo a rischio diritti civili riconosciuti dalla Costituzione a ogni persona e soprattutto hanno creato un clima che serve a suscitare gli istinti di una subcultura xenofoba, che compromette un'ordinata convivenza civile ed è al servizio di miopi identità elettoralistiche".



Dalle panchine anti-rom alla sagra alpina: quando la Lega diventa sprecona

Il Messaggero, 13-07-2010
Renato Pezzini
MILANO - Flavio Tosi è il sindaco leghista di Verona. Dicono che sia un sindaco molto popolare, un decisionista che affronta di petto le situazioni, specie se c'è da ostacolare la vita a extracomunitari, rom clochard. Ed è, inoltre, un tipo che non bada a spese per raggiungere i propri obiettivi. Nel 2008 ha fatto cambiare le panchine della città sostenendo che quelle nuove - dotate di un bracciolo di ferro nel mezzo - avrebbero impedito a chiunque di sdraiarcisi sopra: «Così barboni e accattoni spariranno dalla circolazione». Il problema è che quelle panche costano quasi mille euro l'una, e secondo il calcolo fatto dagli attivisti di Progetto Verona l'operazione "anti-bivacco" ha drenato dalle casse comunali più di 400 mila euro. Con quale risultato? Che proprio qualche giorno fa una delle Circoscrizioni cittadine ha chiesto al Comune di togliere il bracciolo-dissuasore dalle panche visto che non tiene alla larga gli accattoni e in compenso rende diffìcile la vita alle mamme che portano i bambini al parco. Beffa finale: fra quelli che hanno votato sì all'eliminazione delle panchine anti bivacco c'è pure Massimo Piubello, capogruppo della Lista Tosi.
Anche di fronte all'evidenza, tuttavia, il sindaco leghista continua a difendere le sue iniziative inutili e costose. Perché nel Carroccio sono fatti così: sempre in prima fila per censurare gli sprechi altrui, ma non se riguardano le magnifiche sorti progressive dell'ideologia leghista. L'ultimo esempio sono le centinaia di migliaia di euro scucite dai parlamentari leghisti allo Stato grazie alla cosiddetta "legge mancia" per finanzia¬re due scuole a loro molto care: uno è l'asilo di Cazzago Brabbia in provincia di Varese che ha ottenuto la bellezza di 115 mila euro grazie ai buoni uffici  del  presidente della Commissione Bilancio della Camera Giancarlo Giorgetti  (Lega Nord,  ovviamente) che di Cazzago è stato sindaco fino a poco tempo fa; altri 800 mila euro - come ha documentato "Il Giornale" - sono stati destinati alla ristrutturazione della Libera Scuola dei Popoli Padani fondata a Varese dodici anni fa dalla maestra Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi.
Già, perché anche in fatto di familiari i leghisti largheggiano se c'è da raccattare soldi. Tutti  ricordando che lo stesso Bossi, eletto in Parlamento nel 2004, nominò suoi portaborse a Bruxelles (che costano alle casse pubbliche oltre 12 mila euro al mese) due grandi esperti di politiche comunitarie: il figlio Riccardo all'epoca 22enne e il fratello Franco, titolare di un negozio di autoricambi a Fagnano Olona. Acqua passata, si dirà. Più recente è la promozione di Stefania Villanova da semplice impiegata della Regione Veneto a responsabile della segreteria dell'Assessore alla Sanità (pur non essendo in possesso della laurea richiesta). Salto di stipendio da 25 mila euro a 70 mila. Meriti particolari: essere la moglie di Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona (sempre lui) ed ex assessore veneto alla Sanità. Strana coincidenza.
Parentele a parte, sono le Amministrazioni Provinciali controllate dal Carroccio le vere casseforti a cui attingono i leghisti per elargire denaro pubblico a iniziative che si sposano con il loro credo localista e autonomista. Lo Stato taglia i fondi per la Cultura e gli Enti Lirici, per il Teatro e il Cinema, ma nelle Province se c'è di mezzo l'epos padano i soldi si trovano sempre. Dietro lo schermo di voci generiche come "identità dei popoli" "cultura del territorio" "dialetto" "tradizioni enogastronomiche locali" i difensori dell'egemonia nordista spillano quattrini a palate per le iniziative più bizzarre. Basta dare un'occhiata alle delibere approvate solo negli ultimi tre mesi dalle Province a guida leghista per trovare di tutto e di più. A cominciare da ciò che è accaduto a Como dove la giunta presieduta da Leonardo Carioni il 27 maggio ha stanziato 71 mila euro per il progetto di "rilevazione lessicale e studio etnoantropologico nell'area prospicente la riva orientale del Lago di Como".
A Belluno, dove si coltiva una vera passione per la cucina, la Provincia guidata da Giampaolo Bottaccin ad aprile ha stanziato 8 mila euro per una manifestazione su "Sapori-e Saperi della tradizione veneta" e un mese dopo 225 mila euro per il progetto "Sapori Alpini" allo scopo di individuare similitudini dei prodotti tipici delle montagne bellunesi e di quelle austriache. A Novara,  due mesi fa, l'Amministrazione   ha deciso di cofinanziare con 10 mila euro un documentario «in cui saranno   presenti   riferimenti ai piatti tipici e ai prodotti enogastronomici del territorio novarese".
Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine con iniziative simili prese laddove i leghisti governano e dove, al contempo, invocano tagli agli sprechi e riduzioni delle spese: a Cuneo, a Lecco, a Vicenza, a Treviso. O a Bergamo, il cui assessore alla Cultura e alle Identità, Giovanni Milesi, appena insediato ha puntato il faro sulla sua mission prioritaria: «Creerò la letteratura del dialetto bergamasco». Operazione dall'esito incerto, ma non a costo zero. Anche così si spiega perché la Lega Nord non vuole saperne di abolire le Province.



"Più spazio in Europa ai lavoratori immigrati"

La Stampa, 13-07-2010
Marco Zatterin
l promemoria sul tavolo della commissaria dice che ogni anno in Italia trovano impiego 11 mila lavoratori stagionali extracomunitari, quasi tutti nell'agricoltura e nel turismo, un numero inferiore alla metà di quelli registrati in Spagna. L'espressione sul volto di Cecilia Malmstrom comunica invece il palese dubbio sulla correttezza della cifra. «Saranno    tre volte - prova a dire la svedese -però noi dobbiamo affidarci alle statistiche ufficiali».
La responsabile Ue per gli affari interni presenta oggi due proposte mirate a semplificare la circolazione degli immigrati non europei. Il primo testo delinea le regole per i lavoratori stagionali, sei mesi al massimo con possibilità di ritorno per tre anni, parità di trattamento, controlli più stretti grazie ad apposite autorità nazionali. Il secondo si rivolge ai salariati di più alto livello, ingegneri e esperti che le multinazionali intendono spostare da una sede all'altra, gente che fatica a muoversi sul continente per colpa dei vincoli amministrativi che cambiano da stato a stato. «Sono posti che servono - assicura a "La Stampa" la commissaria -. Per questo vanno tutelati».
E' un quadro preoccupante? «Lo sono le tendenze demografiche. La popolazione diminuisce e l'ultimo rapporto Ocse fa capire che potremmo avere difficoltà in alcuni settori economici, dove molto l'offerta semplicemente non incontra la domanda. Gli stagionali in Europa sono ufficialmente  100 mila. Certo sono di più, perché molto situazioni   sono  in nero, sono estreme, c'è sfruttamento. E' qui che si creano casi come quello di Rosarno, un evento terribile, provocato dalla rabbia nata nelle aspettative tradite. Bisogna fare il possibile perché non si ripeta».
Basta una direttiva per dire che un africano ha gii stessi diritti dì un italiano?
«So che il vostro governo attende questo provvedimento, ne abbiamo parlato; lo vedono come una mossa positiva. La nostra proposta è un buon contributo per aiutare a ristabilire la legalità. E' nell'interesse delle comunità locali e di chi amministra le attività economiche, visto che sono braccia difficili da trovare altrimenti». Non ci sono alternative? «Spetta agli stati membri decidere se ricorrere al lavoro degli immigrati oppure no. Noi non imponiamo   nulla. Chi vuole, può anche fare dei test preventivi, e misurare la possibilità di coprire i posti necessari con assunzioni nazionali. Se poi ritengono che non basti, noi li aiutiamo ad amministrare queste nuove risorse umane».
Spesso le condizioni sono terribili. Ad esempio, mancano alloggi. Cosa potete fare? «Chi impiega gli stagionali deve far sì che abbiano un tetto. Le autorità locali hanno il dovere di vigilare. Sennò, la Commissione può intervenire, come sempre quando vengono violati i trattati europei».
Come far emergere ì casi? «Proponiamo un meccanismo per chi vuole denunciare le situazioni limite. Ogni stato avrà un organismo apposito».
Il dossier delle multinazionali è differente. Qui sì parla di lavoratori più preparati, come gli ingegneri indiani... «Spesso i grandi gruppi hanno bisogno di trasferire temporaneamente i loro specialisti all'interno delle filiali europee. La difficoltà è che abbiamo ventisette normative e molti vincoli burocratici. Noi vorremmo che tutto fosse più semplice, che il trasferimento si potesse fare in un mese, che le famiglie potessero restare unite. Sennò, oltretutto, riusciamo di perdere delle intelligenze che fuggono in America, perché hanno meno limiti».
Cambiamo argomento, l'attualità lo richiede. Parte il primo  scambio  rimpatrio di massa di immigrati dall'Italia a Algeria e Tunisia. Cosa ne pensa? «Gli stati hanno diritto di negoziare  accordi bilaterali. Noi trattiamo da tempo con Tunisi e Algeri, non è semplice. L'Italia ha fatto bene. Però la Commissione continua a credere che sarebbe meglio che queste intese fossero elaborate a livello comunitario».



Frena la disoccupazione nei Paesi ricchi
Rapporto Ocse: la crisi blocca i flussi migratori, entro 10 anni forza lavoro in stallo

La Stampa, 13-07-2010
Fabio Pozzo
Il tasso di disoccupazione nei Paesi dell'Ocse a maggio è sceso all'8,6%, contro l'8,7% di aprile. Invariato il dato dell'Italia, che resta ancorato all'8,7% di aprile e marzo. Il Paese è a mezza classifica: la Spagna guida i peggiori, con un 19,9%; la situazione migliore in Corea del Sud con un 3,2%, in Austria con un 4% se ci si ferma all'Europa.
Lo dice l'Ocse, che registra anche il numero dei disoccupati nell'area delle nazioni più industrializzate: 45,9 milioni di persone, sempre a maggio, con un aumento di 1,4 milioni rispetto allo stesso mese del 2009 e di 14,7 milioni rispetto al maggio 2008. L'ente parigino rileva, inoltre, che il tasso di disoccupazione tra gli immigrati risulta superiore ai nativi: in
Italia è all'11% per gli stranieri, contro il 7,5% nazionale del 2009.
A proposito di immigrati. Dall'International Migration Outlook dell'Ocse, il rapporto sulle previsioni per il 2010 dell'immigrazione  internazionale, emerge che la crisi economica ha frenato anche i flussi migratori verso i Paesi più ricchi. Nel 2008 sono calati del 6%, rispetto alla forte crescita degli ultimi cinque anni, con incrementi medi dell'11% (e i primi dati sul 2009 confermano un'ulteriore flessione). Fanno 4,4 milioni di persone in meno. Ancora più marcata, su questo fronte, la flessione registrata in Italia: -26% di ingressi, a 424 mila unità, dopo i 571 mila immigrati del 2007.
Nella scheda sull'Italia l'Ocse rileva che l'immigrazione  permanente resta «significativa»,  anche se nel 2008 è stata prevalentemente alimentata da ricongiungimenti familiari (+39% a 123 mila) e i liberi flussi in ambito Ue. Sono invece nettamente calati gli ingressi legati al lavoro, mentre si sono abbassati da 170 mila a 150 mila i visti su colf e badanti. In ogni caso, chi arriva poi resta: la popolazione straniera totale registrata come residente in Italia è cresciuta del 12% nel 2008, a quota 3,9 milioni, a causa soprattutto dell'aumento di cittadini romeni (+27% a 800 mila totali). Nel 2009 il numero di stranieri residenti è aumentato di un ulteriore 10%, a 4,28 milioni, sempre per l'effetto romeni (+39%).
Aumentano inoltre in Italia gli studenti stranieri, del 10% sul 2008-2009, tanto da raggiungere il 7% del totale della popolazione studentesca. E sono in crescita, fino a raddoppiare, i richiedenti asilo (31 mila nel 2008). Quanto agli sbarchi di clandestini, se nel 2008 erano aumentati a 3.7 mila, lo scorso anno sono invece calati del 90%, «a riflesso degli accordi di cooperazione stretti con la Libia», scrive l'ente parigino.
Tornando ai Paesi dell'area Ocse, il rapporto sostiene che "l'immigrazione continuerà ad avere un ruolo vitale, data la
necessità di nuovi lavoratori per mantenere crescita e prosperità». Considerando il progressivo invecchiamento della popolazione, senza un aumento degli attuali tassi di migrazione, l'Ocse prevede che la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) nei paesi industrializzati aumenterà solo dell'1,9%  nei prossimi 10 anni contro il +8,6% nel 2000-2010. In particolare per l'Italia, è previsto un calo del 2,5% (uno dei maggiori dell'area Ocse) contro+2,9% nel 2000-2010.

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links