Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

27 aprile 2010

Calabria Testimoni premiati col permesso di soggiorno
«Schiavi a Rosarno per due euro l'ora»
Corriere della Sera, 27-04-2010
Giovanni Bianconi
REGGIO CALABRIA — Il reclutamento per la raccolta delle olive, illegale e clandestino, avveniva dalle parti di un presidio delle forze dell'ordine. Senza che nessuno avesse nulla da ridire. Era un imprenditore italiano titolare di un frantoio a caricare i lavoratori immigrati: «Veniva a prendere sia me che altri quattro extracomunitari alle 7 del mattino nei pressi del bar vicino alla caserma di polizia di Rosarno e ci riportava la sera dove ci aveva prelevato, verso le 5 o le 6». Così ha raccontato Abedelaziz Ramli, marocchino di 42 anni, uno dei circa quindici testimoni dell'inchiesta della Procura di Palmi per i quali ora è stato chiesto un permesso di soggiorno in Italia per motivi di giustizia.
Il reclutatore italiano, spiega Ramli, «era a conoscenza che sia io che gli altri quattro non eravamo in regola con il permesso di soggiorno perché ce lo aveva chiesto e quando ha saputo che eravamo irregolari ci ha detto che qualora per strada ci fermava la polizia 0 i carabinieri dovevamo subito dire che gli avevamo chiesto un passaggio e che non lo conoscevamo».
Lavorare direttamente con gli italiani era già un buon risultato, perché la paga arrivava anche a 30 o 35 euro al gior-
no. Se invece a reclutare erano i «caporali» — extracomunitari anche loro — il guadagno scendeva a 22 euro. La differenza spettava agli intermediari dello sfruttamento: «Erano loro a pagarci e a trattarci come schiavi e anche peggio — spiega un altro testimone, Amine Jdidi, 23 anni, arrivato da Casablanca —, perché oltre a lavorare dalla mattina presto fino a tarda sera, a volte per riscuotere quei pochi soldi dobbiamo pregare il caporale che ce li versa a poco la volta, e addirittura a qualcuno sono stati negati». Sei di questi nordafricani sono stati arrestati ieri, tre sono latitanti, mentre per venti italiani sono stati disposti gli arresti domiciliari. È il primo risultato dell'indagine seguita alla «rivolta» dei braccianti stranieri che all'inizio dell'anno ha incendiato Rosarno, conclusasi con l'allontanamento degli immigrati. Ma, dal giorno dopo, il «caporalato» ha ripreso a funzionare e quattro mesi di intercettazioni, eseguite da polizia e carabinieri, hanno fornito il riscontro alle dichiarazioni di testimoni che hanno accettato di parlare con gli investigatori. A parte gli arresti, la guardia di finanza ha sequestrato beni e terreni per un valore di circa 10 milioni di euro, accumulati anche grazie allo sfruttamento del lavoro nero.
«I caporali preferivano reclutare quelli senza permesso di soggiorno—ha raccontato ancora Ramli — perché ogni sopruso che loro commettevano non poteva essere denunciato. La mancanza di permesso è garanzia di impunità del caporale, perché è impossibile che il lavoratore senza permesso di soggiorno vada a denunciare presso le forze dell'ordine».
Ramli dormiva in una delle ex fabbriche sgomberate dopo la rivolta, «dividevo l'alloggio con altre venti persone, che come me erano alla ricerca del lavoro giornaliero nei campi», e l'altro marocchino Jdidi ha spiegato: «Ogni etnia ha un alloggio che divide con i propri connazionali e viene difeso come un vero e proprio territorio che non può essere invaso da altri». Il tariffario del lavoro con gli intermediari è di 25 euro al giorno, a cui bisogna sottrane 3 che i caporali intascano per il trasporto di andata e ritorno, oppure di 1 euro per ogni cassetta di mandarini raccolta e 40-50 centesimi per ognuna di arance. «Ma i caporali —ha dichiarato Jdidi—anche quando si lavora a cassetta ci rubano i soldi, nel senso che rubano le cassette da noi raccolte e le mettono sul loro conto. Pertanto lavorare a cassetta 0 lavorare a giornata è la stessa cosa, perché non ci pagano più di 20 o 30 cassette pur raccogliendone il doppio».
Mohamed Baridi, anche lui marocchino, 46 anni, è arrivato a Rosarno a fine dicembre 2009, pochi giorni prima della rivolta. Prima lavorava a Mila-
no, Torino e in altre località del nord. Lui è in regola con il permesso di soggiorno, e dopo i disordini ha continuato a raccogliere arance e mandarini con in tasca un «foglio di assunzione». Il 20 gennaio è caduto da un albero, i caporali l'hanno riportato alla fabbrica abbandonata dove dormiva e i suoi amici hanno chiamato un'ambulanza. All'ospedale hanno certificato sette giorni di prognosi, e subito dopo i caporali pretendevano la restituzione di quella specie di contratto che gli avevano consegnato: «Mi hanno minacciato dicendo che se non glielo rido non mi danno i soldi che avanzo e non lavorerò più da nessuna parte. Per questa ragione penso che a breve, come starò meglio, andrò via da Rosarno».
Tre di questi «padroni senza legge», come vengono chiamati nell'atto d'accusa dell'ufficio guidato dal procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo, sono stati arrestati nelle province di Caserta, Siracusa e Catania, dove stavano svolgendo il loro lavoro di sfruttamento con altre persone, in altre zone. E il capo della squadra mobile di Reggio Calabria Renato Cortese, il poliziotto che arrestò Provenzano, dichiara: «Siamo soddisfatti dì aver dato una mano a una comunità di povera gente vessata da questi personaggi».




Le campagne, bombe pronte a scoppiare

Avvenire, 27-04-2010
Domenico Marino
In tutta la regione sono migliaia i braccianti agricoli sfruttati. Il lavoro nero rende alle cosche 290 milioni di euro
DA REGGIO CALABRIA
Non di solo Rosarno soffre l'immigrazione in Calabria. Migliaia di lavoratori sono sfruttati, malpagati e maltrattati in molte altre parti della regione, anzitutto quelle in cui è più alta la richiesta di manodopera agricola. Perché gli stranieri, anzitutto se irregolari, lavorano sodo, chiedono poco e pretendono ancora meno. Quindi convengono a imprenditori, più o meno importanti, comunque con pochi scrupoli. Secondo un'indagine di Demo-skopika resa pubblica ieri, le 'ndrine guadagnano 290 milioni di euro dal controllo del caporalato. "Tre Piane, tre bombe sociali con innesco pronto. La prima è esplosa a Rosarno con le conseguenze che tutti conosciamo. Le altre due pronte a deflagrare in qualsiasi momento": lo dichiarava, nelle settimane successive alla clamorosa rivolta di Rosarno, il presidente della Commissione regionale della Calabria per l'emersione del lavoro non regolare, Benedetto Di lacovo, indicando altre due zone ad alta densità agricola e ad altissimo rischio sociale. "Dopo la rivolta - aggiungeva - nella Piana di Gioia Tauro, ciò che più preoccupa ora è la grave situazione che si registra nelle Piane di Lamezia e di Sibari, territori molto vasti a vocazione agrumicola e olivicola, comparti in cui operano prevalentemente immigrati. Il quadro più allarmante è nella Sibaritide, dove c'è una concentrazione di migranti per tre volte superiore a quella di Rosarno che vivono in condizioni di irregolarità per effetto del lavoro nero e sommerso, che sono le pratiche quotidiane prevalenti". Il dirigente regionale, con un lungo passato nel sindacato, sottoli-
neava che era già stata avviata "una ricognizione a 360 gradi sul fenomeno del sommerso nella nostra regione per elaborare un
apposito "Piano Emersione", attraverso la sottoscrizione di un Patto per la legalità ed il contrasto al sommerso in agricoltura con le forze sociali e le istituzioni locali e regionali preposte".
A sentire i dati snocciolati da Benedetto Di lacovo, al 31 dicembre 2008 la presenza di immigrati residenti regolari nei 23 Comuni della Sibaritide, monitorata da un'associazione con l'ausilio delle organizzazioni agricole locali, era stata quantificata in 6.635 unità, in prevalenza comunitari come i 2.725 lavoratori romeni; 474 bulgari e i 471 polacchi. Quindi 957 extracomunitari marocchini, 511 albanesi e 479 ucraini. La criticità della situazione sibarita è emersa con prepotenza pochi giorni dopo i fatti di Rosarno e prima dell'intervento di Di lacovo, con il blitz che ha portato i carabinieri di Corigliano Calabro a sgomberare due baraccopoli. Sono stati demoliti casolari e accampamenti dove sopravvivevano almeno una quarantina di immigrati. "Occorre ripristinare la legalità", ha commentato dopo l'offensiva il sindaco di Corigliano, Pasqualina Straface.
La Sibaritide, terra ricca in agricoltura ma anche dal punto di vista turistico e culturale, è ferita coni poche altre dalla 'ndrangheta che nell'indotto agricolo ha ovviamente i suoi ricchi interessi. A cominciare dalla gestione delle assunzioni con efficienti caporali che ogni giorno, all'alba, alla guida di furgoni malandati fanno il giro della Piana per prelevare il popolo invisibile e portarlo a lavorare nei terreni agricoli del comprensorio. Alle poche decine di euro di paga bisogna sottrarre il pizzo da versare al caporale. Secondo alcune stime quando arrivala stagione agrumicola, che peraltro coincide con quella olivicola, il fabbisogno di manodopera in zona aumenta in modo considerevole tanto che il numero di stagionali arriva a superare, appunto, le 12 mila unità. Metà di essi sono invisibili, non registrati, irregolari. Molte anche le donne. Uno squarcio inquietante su questo sistema è stato aperto anche da alcune operazioni della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che ha portato in carcere decine di persone.



Il blitz reso possibile dalle testimonianze di 9 immigrati, che hanno raccontato ai magistrati i soprusi subiti. I braccianti africani percepivano 22 euro al giorno per lavorare fino a 14 ore

Rosarno, maxi-retata contro il caporalato 
Domenico Marino

Il coraggio degli extracomunitari è all'origine dell'operazione "Migrantes". Nove persone hanno trovato la forza di parlare dopo la rivolta di gennaio a Rosarno, raccontando ai volontari dell'Organizzazione internazionale per l'immigrazione (Oim) i soprusi e le violenze subite negli anni di lavoro e in quei giorni di guerriglia, sistemando così i primi tasselli investigativi dell'inchiesta sfociata ieri nelle trenta ordinanze di custodia cautelare vergate dal gip di Palmi assieme a sequestri per una decina di milioni di euro. Un blitz imponente, che ha portato in manette i responsabili d'un presunto e redditizio giro di caporalato con base nella Piana di Gioia Tauro, condotto in sinergia da polizia, carabinieri e guardia di Finanza. La collaborazione delle vittime (che hanno ottenuto un permesso di soggiorno per protezione sociale), sfuggite all'omertà che è legge da queste parti, è stata sottolineata ieri mattina in conferenza stampa dal procuratore della Repubblica di Palmi, Giuseppe Creazzo, titolare delle indagini: "Le testimonianze rese dagli extracomunitari vittime delle violenze dello scorso gennaio a Rosarno hanno corroborato i controlli del territorio e le intercettazioni ambientali".
Il questore di Reggio Calabria, Carmelo Casabona, ha
invece sottolineato come l'operazione di ieri "chiarisce definitivamente che a Rosarno il 7 gennaio scorso e nelle giornate successive non vi fu una esplosione di razzismo, ma una ribellione contro lo sfruttamento da parte degli extracomunitari". Il capo della squadra mobile reggina, Renato Cortese, ha aperto uno squarcio importante sulle indagini, sottolineando che i caporali reggini erano inseriti in una rete molto vasta con riferimenti a Catania e Villa Literno, nel Casertano. Domenica sera, prima che scattassero gli arresti, un carabiniere è stato ferito di striscio alla mano nel corso di tafferugli tra un gruppo di cittadini bulgari e dei rosarnesi. Il colpo che ha ferito il militare è stato esploso da un'arma a aria compressa. I trentuno destinatari dei provvedimenti restrittivi sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, violazione della legge sul lavoro e truffe nel settore dell'agricoltura. Nove di loro, tutti stranieri, sono finiti in carcere mentre per ventuno il gip di Palmi ha disposto gli arresti domiciliari. Una trentunesima persona è stata sottoposta all'obbligo di dimora. Tre degli extracomunitari finiti in manette sono stati rintracciati nelle province di Caserta, Catania e Siracusa, dove s'erano trasferiti dopo la rivolta. Nelle oltre quattrocento pagine dell'ordinanza vergata dal gip, è cristallizzato il sistema di collocamento illegale della manodopera clandestina destinata anzitutto ai lavori in agricoltura. Oltre ai caporali sono state identificate le aziende agricole che utilizzavano la manodopera straniera sottopagandola: i braccianti stranieri percepivano 22 euro al giorno per lavorare dalle 10 alle 14 ore. I datori di lavoro pagavano 1 euro a cassetta per la raccolta dei mandarini e 50 centesimi per le arance. I caporali, a loro volta, incassavano la somma di 10 euro su ogni lavoratore e 3 euro da ogni immigrato per accompagnarli nei luoghi di lavoro. E chi si ribellava finiva vittima di violenze d'ogni genere. Durante i mesi d'indagine gli investigatori hanno compiuto accertamenti patrimoniali nei confronti degli indagati, individuando beni mobili e immobili (tra l'altro 20 aziende e 200 terreni) considerati frutto delle e pure utilizzati per le attività illecite. Spulciando i libri contabili di aziende e cooperative, i finanzieri hanno appurato anche numerose truffe che sarebbero state consumate nei confronti degli enti previdenziali grazie all'ampia disponibilità di braccianti agricoli.



Una casa-albergo per immigrati

Avvenire, 27-04-2010
La struttura, situata a Cassano allo Ionio, potrà ospitare fino a 35 persone

DA REGGIO CALABRIA
A Cassano allo Ionio, intanto, proprio nella Sibaritide, è imminente l'apertura di "Casa La Rocca", una casa-albergo che dovrebbe offrire ospitalità temporanea e a costi accettabili ai lavoratori stagionali impiegati nelle aziende agricole della Piana. Potrà ospitare 25 persone, fino a un mas-
simo di 35 nelle situazioni di emergenza, che avranno una stanza, servizi igienici, una cucina comune, una lavanderia e uno spazio di socializzazione. Inoltre sarà garantita assistenza nell'accesso ai servizi pubblici, sociali e sanitari. La permanenza sarà a rotazione di tre mesi sino a un massimo di sei. La collocazione della struttura nel centro storico faciliterà l'interazione dei lavoratori coi residenti per cercare di superare stereotipi e pregiudizi. Il progetto "Casa La Rocca" è stato promosso e realizzato, grazie al contributo del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, da Cidis onlus dalla Coldiretti provinciale di Cosenza e dal Comune di Cassano. Essenziale il contributo della diocesi cassanese che, mettendo a disposizione un suo immobile, ne ha consentito la ristrutturazione. I lavori di recupero, quasi agli sgoccioli, sono stati realizzati in gran parte grazie all'impiego degli stessi immigrati. "Casa La Rocca" - hanno chiarito i responsabili - nasce con lo spirito di garantire il diritto sociale a uno spazio abitativo adeguato ai tanti immigrati che nella Sibaritide, e non soltanto, versano in condizioni di estremo disagio abitativo. Oltre a garantire ai tanti l'immediata esigenza di avere un tetto - hanno concluso - vogliamo anche promuovere quelle azioni di sostegno tese alla regolarizzazione e all'emersione dal lavoro nero".



Schiaffo agli schiavisti Arrestati i caporali degli africani di Rosarno
In manette mercanti di braccianti e imprenditori Lo sfruttamento degli immigrati portò alle violenze

il Giornale, 27-04-2010
Filippo Marra Cutrupi   

Rosarno   (Reggio   Calabria) A sfruttarli erano africani come loro, probabilmente arrivati in Italia nelle stesse misere condizioni. Ma mentre gli stagionali di Rosarno faticavano come bestie tra gli alberi d'arancio e mandarino, i caporali loro connazionali s'ingegnavano per far arrivare altra manodopera nella Piana di Gioia Tauro e lucrare sul disperato bisogno di lavoro di quella gente. Sono tunisini, marocchini, algerini e una donna bulgara che si spo-stavano tra Villa Literno, nel Casertano, Cassibile e Palagonia, in Sicilia, alla continua caccia di braccianti. Li muovevano come pedine, in base alla stagione e al tipo di raccolta. A fare luce sul mercato di uomini nelle campagne di Rosarno è ora l'indagine della Procura di Palmi, scattata all'indomani della rivolta dello scorso gennaio che ha messo a ferro e fuoco il paese.
In tre mesi di lavoro, un'apposita taskforce composta dagli uomini di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza ha accertato le durissime condizioni di lavoro e le violenze riservate alle migliaia di extracomunitari che, ogni anno, nella stagione degli agrumi, si riversano nella Piana per offrire le loro braccia. Ieri, nove caporali sono stati così arrestati, mentre per ventidue imprenditori agricoli e proprietari terrieri che impiegavano gli africani sono stati disposti gli arresti domiciliari ed il sequestro dei loro beni. Una ventina di aziende, tra cui 5 cooperative agricole, e 200 terreni per un valore complessivo di 10 milioni di euro. A tutti viene contestato il reato d'associazione a delinquere per sfruttare l'immigrazione, la violazione delle leggi sul lavoro e la truffa aggravata ai danni dello Stato peri contributi agricoli percepiti illecitamente. A dare il via all'«Operazione Migrantes» sono stati ancora una volta gli immigrati, con le loro coraggiose testimonianze.
Gli extracomunitari, dopo l'insurrezione che ha devastato mezza città e fatto 53 feriti, erano stati allontanati da Rosarno per evitare le ritorsioni di gruppi di rosarnesi intenzionati a farsi giustizia da sé. Trasferiti nei centri d'identificazione di Bari e Crotone, i clandestini hanno cominciato a raccontare cosa dovevano subire per lavorare nei campi. In quindici hanno rilasciato precise denunce, che hanno riempito pagine e pagine di verbali. Per la collaborazione resa hanno ricevuto un permesso di soggiorno speciale, che consentirà loro di rimanere in Italia. Poi le forze dell' ordine hanno cominciato a cercare i riscontri. I caporali sono stati seguiti per mesi, intercettati e fotografati sui furgoni che, ogni mattina, all'alba, si fermavano ai crocevia di Rosarno per raccogliere l'esercito di disperati e portarlo negli agrumeti. «Lavoravamo dall'alba fino a che non si vedeva più», hanno raccontato i giovani africani. Dodici, quattordici ore al giorno per 22 euro di paga. Tre euro li trattenevano i caporali come spese per il trasporto e altri dieci a lavoratore li incassavano dagli imprenditori agricoli, che pagavano 1 euro a cassetta per la raccolta dei mandarini e 50 centesimi per le arance. È stato così per anni, da novembre a marzo quando gli stagionali invadono Rosarno: paghe da fame e botte e minacce per chi osava ribellarsi. Dopo i turni massacranti nei campi, gli africani tornavano al gelo, nei loro tuguri sparsi per le campagne di Rosarno e Rizziconi o nelle fabbriche abbandonate della Rognetta e dell'ex Opera Sila.
È questo il contesto in cui è covata la rivolta del 7 gennaio scorso, scoppiata per le pistolettate ad aria compressa esplose da ignoti contro alcuni immigrati. Quasi quattro mesi dopo, finita la raccolta degli agrumi, a Rosarno gli africani sono rimasti in poche centinaia. Vivono tranquillamente, ma inquieta l'episodio avvenuto domenica scorsa quando un gruppo di stranieri, stavolta bulgari, si è scontrato con ragazzi di Rosarno e un carabiniere è rimasto ferito ad una mano dal piombino esploso, ancora una volta, da una pistola ad aria compressa.



Rosarno, in carcere trenta caporali

Liberazione, 27-04-2010
Stefano Galieni

L'operazione "Migrantes", che ha portato nella Piana di Gioia Tauro all'arresto di 31 persone, in gran parte italiane, accusate di gestire lo sfruttamento schiavistico dei lavoratori migranti, poteva essere effettuata sia da anni.
Le condizioni di vita di chi viveva a Rosarno, il paese passato alla cronaca per la rivolta del 7 gennaio scorso, nella cui periferia vivevano in condizioni sub umane circa 2500 lavoratori, erano note da sempre. Il ricatto si può snocciolare nelle cifre che venivano corrisposte in una giornata di lavoro: dai 10 ai 25 euro per 12 ore almeno, una parte dei quali finiva nelle tasche dei "caporali" che fungevano da intermediari per il lavoro e trasportavano i braccianti. Il calcolo del giro di affari che questo sfruttamento procurava è, secondo la procura di circa 290 milioni di euro. Chi accettava quelle condizioni,   soprattutto   lavoratori provenienti dall'africa sub sahariana, si ritrovava a lavorare in Campania, Calabria e Puglia, seguendo il ritmo dei raccolti ma sempre legato mani e piedi a questa fitta rete di cui probabilmente è emersa solo una infinitesi¬ma parte. E i lavoratori da anni denunciavano queste condizioni, ma finivano inascoltati e spesso non potevano neanche adire a vie legali sia per la paura sia perche la   legislazione vigente punisce in   questi   casi con una multa lo sfruttatore e con l'espulsione chi è schiavizzato. Il tutto in una condizione di violenza continua, subita in silenzio, nel terrore provato ogni volta che si provava a farsi vedere in giro in paese o a chiedere il proprio salario. La rivolta di gennaio era maturata negli anni, nella rabbia e nell'indifferenza, nel senso di oppressione continua da cui non sembrava non si potesse uscire. Dopo i fatti di gennaio il ministro Maroni ebbe il coraggio di dire che tutto era imputabile alla "eccessiva
tolleranza dimostrata da regione e governo di centro sinistra nei confronti dei migranti irregolari", una affermazione che suona come grottesca in un contesto in cui la criminalità organizzata domina pressoché incontrastata il territorio. Da allora molte cose sono accadute, gli undici immigrati rimasti feriti dalle aggressioni dei "cittadini rosarnesi" hanno avuto un permesso di soggiorno temporaneo, gli altri o sono finiti nei centri di accoglienza e per richiedenti asilo di Crotone e Bari o sono dispersi per il centro sud, solo a Roma sono in circa 120, in gran parte vivono in alcuni centri sociali e hanno costituito una associazione ALAR (Associazione dei Lavoratori Africani di Rosarno) che non solo ha aperto un tavolo di discussione con la prefettura ma si è posta l'obbiettivo di impedire il ripetersi di episodi come quello di gennaio attraverso una presa di coscienza politica. In 200 sono rimasti o tornati a Rosarno, dormono dove possono hanno difficoltà a trovare altre soluzioni lavorative e temono di ripiombare nella tensione. Si perché l'operazione di polizia non solo ha portato all'arresto dei caporali e allo smantellamento di una piccola ma ramificata organizzazione che probabilmente intratteneva rapporti con tutte le grandi organizzazioni criminali del Mezzogiorno, ma anche al sequestro di 20 aziende e circa 200 terreni per un valore complessivo di 10 milioni di euro e all' emergere di frodi ai danni degli enti previdenziali. In pratica c'erano abitanti del paese che recepivano le indennità e in quanto risultanti lavoratori in agricoltura pur non esercitando affatto tale mestiere e c'erano proprietari terrieri che dichiaravano di avere alle proprie dipendenze pochissimi addetti a fronte di tonnellate di prodotti raccolti. L'associazione "Da Sud" nata per combattere le mafie e che sin dall'inizio aveva seguito la vicenda, ha realizzato un dossier dal titolo "Arance insanguinate" che segue il percorso già tracciato da un giornalista lo scorso anno con il volume "Gli africani salveranno Rosarno, e forse anche l'Italia". Soprattutto il dossier analizza in maniera sistematica quanto avvenuto prima e dopo i fatti di gennaio e, a quanto si dice, il testo è risultato materiale utile per le indagini così come lo sono state le testimonianze rese da alcuni lavoratori ancora presenti nei centri di accoglienza che hanno ottenuto, per ciò, un permesso di soggiorno. In conferenza stampa gli investigatori hanno affermato che tali testimonianze sono state suffragate da intercettazioni ambientali. Gli esponenti di "Da sud" nel considerare le notizie odierne come un buon auspicio, fanno appello alle forze politiche e sindacali nel timore che a Rosarno riesplodano tensioni contro i lavoratori migranti. Domenica scorsa, a Reggio Calabria, alla maratona "Corrireggio" hanno partecipato anche una trentina di lavoratori di Rosarno per chiedere regolarizzazione e la possibilità di vivere in pace con tutti. Anche fra i lavoratoli africani presenti a Roma si respira da una parte la soddisfazione nel veder riconosciute come veritiere le proprie affermazioni, dall'altra il timore che rinascano tensioni e che si inneschino meccanismi di rivalsa. Sarà importante vedere cosa accadrà il Primo maggio, quando i segretari generali confederali saranno presenti ad una manifestazione indetta da tempo proprio a Rosarno per dichiarare il proprio impegno contro il lavoro nero e la criminalità. Giungono anche le prime reazioni politiche, soprattutto dalla sinistra. Maurizio Musolino, responsabile immigrazione per il PdCI, "chiede che agli immigrati sfruttati a Rosarno venga immediatamente concesso un permesso di soggiorno. Roberta Fantozzi, della Segreteria nazionale del Prc auspica invece che il ministro Maroni abbia la dignità di scusarsi con i lavoratori africani. «Se c'è stata acquiescenza - ha dichiarato - questa è stata verso lo sfruttamento e il lavoro nero, non certo verso gli immigrati». Dello stesso tenore la parlamentare del Pd Rosa Villecco Calipari, mentre il sottosegretario al ministero dell'interno Mantovano, come se nulla fosse, dichiara che il governo aveva avuto ragione nelle sue scelte.




Intervista a Antonello Mangano
Gli africani di Rosarno hanno saputo sfidare il ricatto delle n'drine

l'Unità, 27-04-2010
Manuela Modica

La rivolta ha messo in luce le spaventose condizioni di sfruttamento cui sono sottoposti i lavoratori stranieri. Spesso gli italiani si abituano a convivere con la mafia e a sopportare il controllo delle cosche
Quando a gennaio scorso il dramma degli stranieri esplose con violenta disperazione per le strade della cittadina calabrese e finalmente rimbalzò all'attenzione nazionale, Antonello Mangano aveva già denunciato le violenze e i soprusi. Aveva descritto tutto con puntualità nel libro «Gli Africani salveranno Rosarno, e poi anche l'Italia», pubblicato già l'anno precedente. Un libro - oggi riedito da Rizzoli, col titolo contratto in Gli Africani salveranno l'Italia - che aveva scavato nelle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati e che aveva ampiamente anticipato la ribellione di Rosarno. Ma l'autore sposa una tesi che potrebbe vedere anche più lontano.
Perché gli africani salveranno l'Italia?
«Perché sono proprio gli stranieri a reagire lì dove noi italiani siamo allenati a sopportare, abituati ad accettare i soprusi della mafia». Gli immigrati ci libereranno dalla mafia? «Le rivolte non nascono con questo obiettivo, non è certo questo a cui direttamente mirano. La mafia diventa uno dei tanti ostacoli che affrontano nel loro percorso di migrazione, si ribellano per sbloccare l'ostacolo che si è inserito nel loro cammino. Tuttavia non solo ci forniscono un esempio di non accettazone del sopruso, ma lottando per loro stessi i risultati saranno poi per tutti: lo sfruttamento sul lavoro è un tema che riguarda anche gli italiani».
Che, invece, sono avvezzi alla mala-vita, rassegnati e incapaci di ribellarsi...
«In tante realtà italiane è così, questo è chiaro, ci sono tantissimi contesti in cui la violenza è endemica e le reazioni stentano. Come in Calabria dove spesso queste storie vengono snobbate dalla stampa nazionale. Non ribellarsi aiuta questo silenzio, e i fatti di Rosarno sono esemplari: è bastata una rivolta di stranieri perché queste condizioni di sfruttamento venissero alla luce.Da gennaio in poi, invece, cci sono stati tantissimi episodi di violenze, che hanno anche caratterizzato la campagnia elettorale, vissuti come fatti normali».
Sono anche razzisti gli italiani?
«È ormai un discorso circolare: i media parlano di razzismo, i cittadini rifiutano di esserlo. Il nodo di queste vicende è lo sfruttamento, gli stranieri sono socialmente più deboli. Mi sembra più vigliaccheria che razzismo».
Cosa ti ha portato a Rosarno un anno prima della ribellione di gennaio? «Quello è stato solo l'ultimo evento, la vicenda inizia dai primi anni no-
vanta, io la seguo da 5 anni. Già a dicembre del 2008 gli stranieri avevano tentato una rivolta, sebbene meno violenta di quest'ultima.
Era una situazione risaputa, c'erano stati già i rapporti di Medici senza frontiere, poi nessuno ha fatto niente».
31 ordinanze di custodia cautelare ieri sono state emesse dal Gip dalla Procu-ra della Repubblica di Palmi dopo le indagini che hanno permesso di scoprire, «condizioni di assoluta subordinazione...opprimenti e inique condizioni lavorative». Finalmente? «Dalla rivolta c'è stato un impulso diverso, ma si deve dire che le indagini erano partite anche prima, un'inchiesta della Dda del maggio scorso aveva scosso moltissimo il territorio». Hai appena pubblicato un nuovo libro, "La Politica dei disastri", in versione e-book, edito da terrelibere.org. Cosa anticiperai stavolta?
“Il discorso sulle grandi opere è stata un'analisi confermata dalle inchieste che hanno riguardato vertici della Protezione civile. Si costruisce in emergenza opere spesso inutili. Il libro - in cuntinuum con "Ponte sullo Stretto e mucche da mungere" - non è forse un'anticipazione, ma offre una lettura differente».



Perché non sono stati chiesti i flussi annuali per i lavoratori stagionali

Osservatorio Italia-razzismo
L’Unità 27 aprile 2010
Il Primo Maggio delle Confederazioni sindacali a Rosarno si annuncia di grande importanza. E' posto in luce, chiaramente, il diritto al lavoro legale per gli immigrati che, nella piana di Gioia Tauro, da decenni raccolgono frutta e ortaggi al di fuori di ogni regola. Il fatto è noto alle organizzazioni sindacali, nazionali e locali. Però: come intervenire senza danneggiare i lavoratori e senza screditare la popolazione locale perbene?
I drammatici fatti del gennaio scorso con le sparatorie contro gli schiavi stranieri hanno tolto il coperchio a questo dramma. L'opinione pubblica ha condiviso la denuncia.
Storicamente le forze politiche e culturali democratiche si sono battute contro il latifondo e per la difesa dei braccianti agricoli italiani. Quanti lavoratori e quanti esponenti politici e sindacali – per questo - hanno perso la vita nel dopoguerra ? La letteratura italiana, ma anche internazionale, ha prodotto libri e studi avvincenti su quelle vicende. 
Da ieri, le forze dell'ordine di Reggio Calabria – dopo le indagini della magistratura di Palmi - stanno eseguendo 31 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di proprietari di terre italiani e di caporali stranieri.
La domanda è: come mai i flussi annuali per lavori stagionali in agricoltura, in quei territori non sono stati richiesti? A chi andavano le giornate di lavoro agricolo fatte dagli immigrati sfruttati?
Tutte le amministrazioni pubbliche locali devono rispondere a queste domande e i proprietari di terre, che per quelle coltivazioni hanno percepito gli aiuti economici della Comunità Europea, sono chiamati in causa.
Se non ci saranno risposte adeguate, il regime schiavistico a Rosarno e altrove è destinato a perpetuarsi.



XENOFOBIA L'ANOMALIA ITALIANA
EUROPA E LEGA NORD

lUnità, 27-04-2010
Paolo Soldini
Il 16 percento ottenuto dai sedicenti liberali della Fpò nelle elezioni presidenziali austriache conferma che in quasi tutti i paesi del continente esiste ormai uno zoccolo duro di consensi, tra il 7-8% e il 20%, per partiti che, in modo diverso, si richiamano a valori e princìpi dell'estrema destra. Alcuni esprimono una "protesta contro la storia": sono i movimenti che rivalutano i vari fascismi europei e il nazismo, come i Republikaner tedeschi, l'estrema destra russa, magia¬ra o baltica. Per altri, il motivo fondante non è l'occhio al passato. Il Front national di Le Pen, il partito popolare dello svizzero Blocher, gli olandesi di Wilders, il belga Vlaams Blok, il partito del popolo danese di Pia Kja-ersgaard ritengono di cogliere ed esprimere al meglio lo Zeitgeist: la paura degli "invasori" stranieri e della globalizzazione, il rifiuto di ogni idea di cessione di sovranità e l'ostilità contro la Uè, un evidente egoismo sociale, apertamente ammesso, sia su base statuale che regionale. Ciò che accomuna tutti i partiti di de¬stra, del primo e del secondo tipo, sono da un lato il razzismo, la xenofobia e un forte conservatorismo in materia di valori morali privati, dall'altro lato il populismo costruito intorno a figure carismatiche. Tutti interpretano un mito comunitario, che può esprimersi nel nazionalismo classico o in un regionalismo che costituirebbe la trama "moderna" dell'Europa dei popoli". La retorica regionalista spinge a prospettare ipotesi di rot¬tura della comunità nazionale per le aree "ricche e represse, incomprese e tartassate dal centro". Come si colloca in questo contesto europeo la Lega nord? Il nocciolo della politica leghista pare fortemente collegato al patrimonio consolidato dell'estrema destra conti¬nentale. Xenofobia e razzismo, ostilità verso la Uè, (in) cultura localista, perenne rivendicazione di risorse e "diritti" sequestrati dallo stato centrale. Il fatto che un movimento intimamente eversivo abbia acquisito una sua rispettabilità e oggi partecipi al governo del paese è una delle straordinarie anomalie italiane. Ci sono paesi europei nei quali quel che dicono e ciò che fanno in tema di razzismo e xenofobia ministri leghisti verrebbero considerati se non reati quanto meno farneticazioni da stigmatizzare nella politica e nei media. Qui li consideriamo intemperanze folkloristiche, fossili di un estremismo superato. Le analogie con l'estrema destra europea sono invece costitutive per la Lega. Il secessionismo non è stato abbandonato: è stato costretto nei panni di un federalismo che il sistema politico accetta come una prospettiva sensata pur non avendo in Italia alcuna tradizione, né alcuna storica spinta reale ed essendo immerso, oggi, in una fitta nebbia sul che sarà, come sarà, perché. L'egoismo "comunitario" non è diverso da quello che si manifesta altrove e la spia di questa identità della Lega sono la xenofobia e il razzismo. È il piano sul quale nessun processo di addomesticamento moderato appare credibilmente in atto. ?



Risponde il Direttóre Virman Cusenza
Immigrati negozianti insegne solo in italiano?

Il Mattino, 27-04-2010
Vanna Mazzati Piccoli
NAPOLI       '
Vanno bene le proposte di Bossi di obbligare i negozianti a parlare e comprendere l'italiano, non è una questione di razzismo ma di rispetto delle regole. Un negoziante che non sappia la lingua non è neppure in grado di leggere e comprendere tutte le norme e le regole che sono indispensabili per condurre un'attività commerciale, se cosi non fosse varrebbe la regola del «non capisco quindi non mi adeguo». Un vero pericolo per tutti quanti nel caso di negozi di alimentari, dove in gioco c'è la nostra salute. Non volendo necessariamente prendere le partì degli extracomunitari, non posso che pensare che la stéssa pretesa potremmo avanzarla noi italiani doc da generazioni nei confronti dei nostri governanti. Leggendo quello che le due Camere hanno prodotto nel corso degli anni, si direbbe che anche un'ottima conoscenza della lingua italiana potrebbe essere del tutto inutile. Accade che anche il più semplice dei decreti legge finisca col risultare del tutto incomprensibile anche a quella minoranza della popolazione in grado di comprendere senza 'problemi un testo, non affetta dal fenomeno dell'analfabetismo di ritorno.
Cara Mazzati, le confesso che sull'obbli¬gatorietà dell'italiano per le insegne dei negozi gestiti da stranieri sono passato da un sì a un no. E glielo spiego subito: all'inìzio mi sono detto perché mai gli extracomunitari o comunitari che siano non debbano uniformarsi alle regole, diventando omogenei al contesto in cui operano? Poi, ascoltando le spiegazioni dei direni interessati, ho mutato opinione. Una cosa è rispettare la legge del Paese in cui si lavora (e questa non ammette ignoranza, tantomeno della lingua) altro consentire ad ogni imprenditore o commerciante di manifestare la propria identità, che in certi casi rappresenta un valore aggiunto, e concorrere al libero mercato purché in regola. Se così non fosse, gli italiani non avrebbero prosperato negli States in anni lontani e non sarebbero nemmeno usciti dal ghetto delle Little Italy in cui erano relegati, emancipandosi e diventando cittadini americani a tutti gli effetti. E questo potrebbe valere per ogni forma di integrazione.
Nel caso delle insegne dei negozi, penso che il divieto proprosto dalla Lega calpesti la fantasia, la libertà e la ricchezza della libera iniziativa e dell'impresa. Sta poi agli amministratori, italiani, far sì che questa libera scelta dell'offerta e della domanda non sia a discapito delle legge e che avvenga nel rispetto dei diritti di tutti. In caso contrario, perché e da chi sentirsi minacciati?


La stagione all'inferno degli stranieri: così la 'ndrangheta incassa 290 milioni

Il Messaggero, 27-04-2010
CORRADO GIUSTINIANI
ROMA '- "Una stagione all'inferno". Così Medìci senza frontiere ha intitolato il suo Rapporto sulle condizioni degli immigrati stagionali nelle   campagne del Sud. Una  clinica mobile che si è spostata nelle regioni   meridionali dietro alle varie raccolte, dai pomodori alle pesche, dai kiwi ai meloni, dal'uva agli'agrumi: 643 visite agli  stranieri che le avevano richieste e, con l'occasione, 600questionari somministrati e compilati.
Sconvolgenti i risultali: dai 4 ai 6 euro di paga per raccogliere un cassone di pomodori da 350 chili. E il compenso mensile che non raggiungeva ì 300 euro, dopo che i caporali vi avevano sottratto dai 3 ai 5 euro al giorno. Ancora: il 64 per cento di quei lavoratori non aveva accesso all'acqua corrente, il 69 per cento non disponeva di luce elettrica e utilizzava candele per l'illuminazione, il 65 per cento alloggiava in strutture abbandonate e sovraffollate. Sette pazienti su dieci intervistati hanno dichiarato di essere arrivati in Italia in buone condizioni, ma sempre per sette su dieci, adesso, i medici avevano formulato almeno un sospetto diagnostico. Il 90 per cento del campione non aveva alcun contratto di lavoro, e il 70 per cento era privo di permesso di soggiorno. Quindi anche i regolari erano impiegati in nero.
Questa indagine, Medici senza frontiere l'ha diffusa nel 2008. Ma le condizioni dei lavoratori non sono certo migliorate l'anno scorso, come ha accertato una missione di 40 sindacalisti, che l'estate scorsa si è fermata nella provincia di Foggia, per contattare i lavoratori impiegati nella raccolta dei pomodori. Secondo una scheda compilata dalla Fìat, la Federazione dell'Agroindustria Cgil, i lavoratori sgobbano per 12 ore al giorno e la loro paga è di 3 euro per 300 chili di prodotto raccolto. «Quello che ci ha lasciato stupiti - racconta Ivana Galli della Fìai, che ha partecipato alla spedizione -è la totale indifferenza dei sindaci, delle istituzioni: ma non vedono queste migliaia di disgraziati, non sanno dove vanno a dormire?» Identico stupore rimarcato nella ricerca di Medici senza Frontiere.Se Msf però, ha trovato che il 70per cento di loro era senza permesso di soggiorno, il sindacato ha rilevato l'opposto: il 70 per cento ce l'aveva (rifugiati politici, immigrati comunitari e altri).
Dato comune, invece, il lavoro nero: senza contratto anche i regolari. Quanto rende alla malavita tale sfruttamento? L'Istituto Demosko-pika, ha fatto i conti per la Calabria: 290 milioni di euro. C'è uno strumento per sconfiggerlo: concedere il permesso di soggiorno agli irregolari che denunciano i loro sfruttatori, come prevede l'articolo 18 del testo unico sull'immigrazione per le donne vìttime dì tratta. Come è accaduto nell'inchiesta di Reggio Calabria.




Immigrati come schiavi» A Rosarno trenta arrestati
Sfruttamento e minacce dai "caporali": le inchini dopo gli scontri di gennaio

Il Messaggero, 27-04-2010
GIANFRANCO MANFREDI
ROSARNO (Reggio Calabria) - Sfruttati come bestie da s¬ma. Ogni giorno negli agrumeti, prima dell'alba a oltre il tramonto. Compensati con salari da fame, inferiori ai 22 euro al giorno, fino a "cottimi" da strozzo, di sessanta centesimi ogni cassetta d'arance. Per giacigli, dormitori di massa, in tuguri    fatiscenti e malsani. E poi ricatti, maltrattamenti,  pestaggi, condizioni di vita sub-umane, senza    assistenza sanitaria né contributi né assicurazione.
Ha scoperchiato la drammatica speculazione che ha provocato a gennaio la rivolta dei "ghetti" degli immigrati di colore, l'inchiesta della procura di Palmi che ieri ha portato all'arresto   di   trenta persone accusate di associazione per delinquere fìnalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina straniera  e truffe aggravate ai danni di enti pubblici.
L'indagine, coordinata dal procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo, ha inchiodato a un quadro impressionante di reati non solo una rete organizzata di "caporali" più o meno legati al sottobosco della 'N-drangheta locale, ma anche figure che nelle 413 pagine dell'ordinanza di Custodia cautelare emessa dal Gip Silvia Capone vengono definite «padroni senza legge», dietro i quali vi sono imprenditori dell'agricoltura di piccoli e grandi appezzamenti terrieri", e finanche "caporali" extracomunitari. Un inedito soggetto criminale - si legge nell'ordinanza «che proviene dalla stessa area geografica delle persone sfruttate e che può quindi procurare con grande facilità, avvalendosi anche della sua rete di legami e di contatti, squadre di lavoratori extracomunitari della sua medesima etnia».
I giorni della rabbia e della rivolta, oltre la sparatoria che innescò la miccia e la reazione violenta dì gruppi di residenti, si spiegano con le condizioni disumane in cui vivevano 2.500 immigrati. Così l'inchiesta , condotta dal dirigente della squadra mobile reggina, Renato Cortese (lo stesso "segugio" che ha catturato il boss,
Bernardo Provenzano) s'è potuta avvalere di interrogatori e intercettazioni ma anche della collaborazione   di immigrati clandestini ai quali e' stato concesso un permesso di soggiorno per restare nel territorio italiano.
Dalle indagini sugli imprenditori agricoli sono state scoperte truffe ed evasioni di cifre a nove zeri. E perciò la magistratura ha disposto il sequestro di venti aziende e duecento terreni per un valore complessivo di circa 10milioni di euro.
L'operazione contro il caporalato arriva a pochi giorni di distanza dalla festa del primo maggio che sarà' celebrata a Rosarno proprio perche' Cgil, Cisl e Uil hanno deciso di lanciare un messaggio in favore della legalità'. Ed e' il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, a ricordare che la decisione è stata presa per "affermare il principio di rispetto per chi lavora spesso in condizioni di schiavitù'". Unanime la soddisfazione del mondo politico per gli arresti: il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha telefonato per complimentarsi al Procuratore Creazzo.




Effettuati 31 arresti Dietro la rivolta storie di caporalato. Ma l'opposizione polemizza

PADANIA  27-04-2010
IGOR IEZZI
La risposta dello Stato è ar-rivata, chi ha causato la ri-volta di Rosarno a gennaio dello scorso anno è stato arrestato. Roberto Maroni ora può esultare. Chi invece sembra paradossalmente rabbuiarsi è la sinistra: piuttosto di gioire ha a preferito attaccare il ministro dell'Interno definendolo «imputato politico» (l'espo-nente dell'Italia dei Valori Luigi De Magistris), chie-dendo «tolleranza zero con-tro i leghisti» (Claudio Fava, di Sinistra Ecologia Libertà) oppure criticando le «poli¬tiche del Governo in tema di immigrazione» (Rosa Cali-pari, vicepresidente dei de¬putati Pd). Il titolare del di¬castero dell'Interno, che ha puntato il dito contro una sinistra «superficiale e sen¬za idee» va avanti e proprio ieri, nella riunione di coor-dinamento delle forze di po¬lizia delle province di Napoli e Caserta, ha fatto il punto anche sugli insediamenti dei cittadini extracomunitari della zona (in particolare Castelvolturno e Casal di Principe).
Intanto, per i fatti di Rosarno, le persone arrestate con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina straniera e truffe sono 31. Questo il risultato dell'indagine della Procura di Palmi av-viata subito dopo la rivolta di Rosarno dell'anno scorso. Polizia, carabinieri e guardia di finanza, grazie anche alla testimonianza di una quindicina di extracomuni-tari, hanno fatto luce sulla grave situazione di caporalato che aveva causato il de¬grado nella piana di Gioia Tauro. I braccianti stranieri impiegati a Rosarno nella raccolta degli agrumi per-cepivano ventidue euro al giorno per lavorare dalle 10 alle 14 ore. I datori di lavoro pagavano 1 euro a cassetta per la raccolta dei manda¬rini e 50 centesimi per le arance. I caporali, a loro vol¬ta, incassavano la somma di 10 euro su ogni lavoratore e tre euro da ogni immigrato per accompagnarli nei luo¬ghi di lavoro. Per i lavoratori immigrati era impossibile ribellarsi, la risposta era l'aggressione anche fisica
Da questa condizione di-sumana di sfruttamento partì la rivolta dello scorso gennaio. Dalle indagini pa-trimoniali nei confronti de-gli imprenditori agricoli so-no state scoperte anche truffe ai danni degli enti pre¬videnziali. E proprio per questo motivo che il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palmi ha disposto il sequestro diventi aziende e duecento terreni per un valore complessivo di circa 10 milioni di euro.
«Si tratta di un'operazione di grande importanza» ha commentato l'inquilino del Viminale. «E' questa la ri-sposta dello Stato ad una situazione di degrado inac-cettabile» ha spiegato. Un lavoro che è partito dalle «vere cause» della rivolta di gennaio, senza perdersi die-tro «spiegazioni semplicistiche e superficiali» che ave¬vano visto nella 'ndranghe¬ta, «tirata in ballo per colpire il Governo», l'origine di una esplosione di violenza inau-dita. In realtà tutto è stato causato «dallo sfruttamento del lavoro nero». «Sì, sono molto soddisfatto del lavoro che è stato portato avanti» dice orgoglioso l'esponente leghista. «Ora stiamo af-frontando situazioni simili anche nelle province di Na-poli e Caserta. Parole che non stanno a significare l'assenza della criminalità organizzata, semmai la col-locano nella giusta ottica. Sono i caporali che «fanno venire manodopera dall'estero per poi sfruttar-la». La rivolta di Rosarno è il risultato di questo sfrutta-mento, non come sostene-vano in molti l'opera della 'ndrangheta che si era mossa per distogliere l'attenzio-ne da altri interessi. Anche questa volta la sinistra non si è voluta sottrarre dalle polemiche, mettendo ancora una volta nel mirino il ministro leghista. «Che novità... - risponde per nulla sorpreso Maroni - è triste comunque vedere certi comportamenti, è lo dice uno che proviene dalle fila della sinistra». Sono inviperiti. «Io soffro molto per loro e per la loro insofferenza -aggiunge - ai nostri successi nella lotta alla Mafia e alla criminalità organizzata che hanno sempre spacciato come una loro prerogativa». Per l'opposizione è il ministro che deve chiedere scusa per aver messo sul banco degli imputati la tolleranza nei confronti degli immigra¬ti. «Io non ho mai detto quelle cose, semmai - chiarisce -ho parlato dei clandestini. Ho sempre espresso la mia contrarietà nei confronti dell'immigrazione clandestina, non nei confronti dell'immigrazione. La sinistra sta facendo confusione come sempre, non avendo argomenti usa quelli falsi». Come succede ogni giorno sulla fine degli sbarchi a Lampedusa. Prima l'oppo-sizione parlava di utopia, ora che l'utopia è diventata realtà accusano il Governo di respingere i rifugiati. «Paradossale e grottesco» è il giudizio di Maroni: «Partono sempre dal presupposto che si deve criticare ogni cosa si faccia, soprattutto se a farla è un leghista. Vadano pure avanti così, i risultati di queste posizioni si sono viste alle ultime elezioni regionali». «Dietro certe parole e discussioni ci sono solo analisi superficiali», rincara la dose. «Tutto quello che succede è colpa del governo. L'unico principio della sinistra è l'antiberlusconismo da macchietta, siamo alla sinistra da cabaret. "Piove governo ladro" è l'unica cosa che sanno dire». Purtroppo «il partito democratico si è trasformato nel partito dei clandestini. Sul tema dell'immigrazione loro si schierano con gli irregolari, noi con i cittadini. Per fortuna che la gente sta capendo». Grazie anche ai successi ottenuti dalle politiche di Maroni.



Rosarno, trenta arresti per caporalato retata dopo la rivolta degli immigrati

la Repubblica 27-04-2010
GIUSEPPE BALDESSARRO
REGGIO CALABRIA— Una trentina di arresti, 20 aziende agrico¬le sequestrate e sigilli a 200 ap¬pezzamenti di terreno, per un va¬lore di 10 milioni di euro. Sono questi i numeri di "Migrantes", l'inchiesta della procura di Palmi nata a seguito della rivolta di Rosarno. In manette caporali e pro¬prietari di agrumeti, accusati di associazione a delinquere per lo sfruttamento della manodopera e induzione all'immigrazione clandestina. Tutti considerati veri e propri ras del lavoro illegale nei campi della piana di Gioia Tauro. Profittatori della disperazione dei braccianti stranieri, co¬stretti a lavorare per pochi euro al giorno e, indirettamente, causa del clima di rabbia che portò alla violenta reazione degli immigrati tra il 7 e il 10 gennaio scorsi. Tre giorni in cui il centro di Rosarno venne messo a ferro e a fuoco dagli stranieri, che poi subirono la reazione dei cittadini protagonisti di una sorta di caccia al nero.
L'indagine è partita nelle ore successive agli scontri, quando 1200 immigrati furono allonta-nati dalle due ex fabbriche rosarnesi dove vivevano in condizioni disumane. Sgomberati e inviati nei centri di prima accoglienza di Crotone e Bari, alcuni diloro hanno collaborato con gli inquirenti reggini, raccontando il meccani-smo dello sfruttamento. I pro-prietari terrieri si rivolgevano ad una fitta rete di caporali incaricati di reperire la manodopera tra i migranti. Questi sceglievano i braccianti che, accompagnati nei campi all'alba, vi restavano «finché c'era luce». Schiavi, difatto, pagati dai 20 ai 25 euro al giorno, o a 50 centesimi a cassetta per le arance (un euro per i mandarini) , di cui 3 euro andavano ai caporali, peri il trasporto sui furgoni. Condizioni «inumane», dice il questore di Reggio Calabria Carmelo Casabona.
Un comunità che, tuttavia, ha contribuito in maniera decisiva alle indagini. Peri il procuratore di Palmi Giuseppe Creazzo «il lavo¬ro investigativo è stato possibile grazie alle testimonianze rese da 15 cittadini extracomunitari». Dichiarazioni riscontrate con «le osservazioni sul territorio, i pedi-namenti e le intercettazioni, che si sono dimostrate decisive». E senza le quali, ha spiegato Creazzo, «l'inchiesta non si sarebbe potuta fare». Secondo il capo della mobile Renato Cortese è emersa così «una rete di collegamento tra caporali che gestivano la manodopera, concapisaldi anche a Catania e Villa Literno. Personaggi che erano veri e propri collocatori dibraccia».L'operazione èfrutto di indagini che hanno coinvol¬to anche i carabinieri e la Guardia di finanza (in conferenza stampa erano presenti i rispetti vi comandanti provinciale, Pasquale Angelosanto e Alberto Reda).
Tra le novità si registra il sequestro di terreni e piantagioni. Nel mirino della procura sono infatti finiti alcuni importanti aziende agricole, impegnate nella commercializzazione all'in-grosso di agrumi e olive, ed i rispettivi titolari. Anche dopo gli arresti di ieri, resta alta la tensione aRosarno. Secondo l'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), che ha collabora¬to con la magistratura, sono ancora centinaia gli stranieri sfruttati sui campi della Piana di Gioia Tauro. Tant'è che, anche domenica pomeriggio, si è verificata una rissa tra locali e braccianti bulgari e romeni. Il timore è che gli stranieri comunitari abbiano sostituito i clandestini e che lo sfruttamento abbia semplicemente cambiato bacino da cui attingere.
E se per il ministro Roberto Maroni si tratta «di un'operazio-ne importantissima contro lo sfruttamento», il centrosinistra con Rosa Villecco Calipari attacca il governo affermando che è caduta la tesi secondo cui «c'era stata troppa tolleranza verso gli immigrati».




Rosarno, la retata dei caporali
Trenta arresti in Calabria: in manette anche una ventina tra proprietari terrieri e titolari di aziende

LA STAMPA 27 aprile 2010
Scrive il gip di Palmi: «In virtù di dettagliati racconti resi da costoro (una quindicina di extracomunitari, ndr) sulla loro triste esperienza di lavoratori sfruttati e sottopagati, è stato possibile accertare modalità e condizioni del loro lavoro, e dei protagonisti del loro sfruttamento». Il risultato di questa rivolta civile: una decina di caporali - «veri e propri padroni senza legge» -marocchini, algerini, bulgari e sudanesi, sono finiti in carcere; una ventina di proprietari  terrieri,  di  titolari  di aziende agricole di Rosarno, della Piana di Gioia Tauro, agli arresti domiciliari. E poi la Finanza ha sequestrato una ventina di aziende e duecento terreni (valore 10 milioni).
«Migrantes», l'hanno chiamata l'inchiesta della Procura di Palmi della Mobile di Renato Cortese e dei Carabinieri del comandante provinciale Pasquale Angelosanto. Colpisce un dato: ricordate la rivolta di Rosarno del 7, 8 e 9 gennaio? La cacciata dei neri, la protesta e la collera degli extracomuntari contro tutto e tutti? L'inchiesta del procuratore Giuseppe Creazzo muove i suoi passi all'indomani della rivolta e documenta uno spaccato di vita reale, di sfruttamento bestiale di lavoratori extracomunitari, come se nulla fosse accaduto.
Un mese dopo la rivolta, l'8 febbraio, ore 7.13. Telefoni intercettati: Mohamed: «Che dio ti salvi». Rafiq: «Sto aspettando alla stazione». Mohamed: «Domani se dio vuole, l'automobile è piena oggi. Ci vediamo domani». Rafiq: «Va bene, non c'è problema, come è la situazione, io aspetto dalle sei e mez-za...». Mohamed: «Giuro non c'è posto, volevamo prenderti con noi». «Ora vado a dormire adesso».
Uno dei testimoni eccellenti dell'inchiesta è un marocchino, Ramli Abedelaziz: «Dal mio ar-rivo a Rosarno ho sempre lavorato nelle campagne a racco¬gliere prima olive e poi agrumi. Prima della rivolta riuscivo a lavorare circa quattro giorni su sette alla settimana, mentre dopo la rivolta non sono più riu¬scito a trovare una giornata di lavoro. Io riuscivo a lavorare perché altre persone di varie etnie ovvero algerini, tunisini e marocchini mi portavano a lavorare con loro nei vari fondi agricoli di persone di nazionalità italiana che io non conosco e che a volte ho visto girare per i terreni ma che non sono in grado di riconoscere. Era l'intermediario straniero che mi pagava: ciò avveniva alla fine della giornata ovvero delle giornate per le quali lavoravo. L'orario di lavoro era il seguente: dalle prime luce dell'alba al tramonto, praticamente si smetteva di lavorare quando non si vedeva più. L'intermediario che la mattina passava a prendere sia a me che ad altri extracomunitari la sera ci riaccompagnava in Rosarno».
Ancora Ramli: «La paga era varia in base agli accordi che si raggiungevano con l'intermediario, ovvero 25 oppure 1 euro a cassetta. Dalla cifra complessiva di 25 euro bisognava detrarre 3 euro per l'intermediario, cosi anche se si lavorava a cassetta, bisognava dare tre euro sempre all'intermediario sulla cifra complessiva. Debbo comunque precisare che mi è capitato dì lavorare anche direttamente per qualche italiano».



A Rosarno finalmente pagano gli sfruttatori

il Riformista 27-04-2010
Ieri sono state arrestate trenta persone (di cui ventuno trattenute ai domiciliari) nell'ambito dell'operazione "Migrantes", coordinata dalla procura di Palmi, a cui hanno partecipato Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza contro il caporalato a Rosarno.
Alcuni degli arrestati sono extracomunitari che facevano par¬te di una rete fuorilegge che si occupava di procurare lavoro illegale agli immigrati d'accordo con una serie di aziende agricole complici. L'organizzazione costringeva gli extracomunitari a raccogliere agrumi per 15 ore al giorno in cambio di pochi euro. Le aziende agricole organizzavano anche truffe ai danni degli enti previdenziali, e per questo sono stati sequestrati beni immobili per circa 10 milioni di euro. Gli arresti sono stati resi possibili dalle testimonianze dei lavoratori extracomunitari vessati dalle organizzazioni di caporalato che, dopo i fatti di gennaio, avevano denunciato quello che sapevano alle forze dell'ordine nei centri d'accoglienza in cui erano stati trasferiti.
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha rivendicato l'azione delle forze dell'ordine calabresi, «perché dimostra che la strada intrapresa dal Governo per riaffermare la presenza dello Stato in Calabria è quella giusta».
Questo giornale aveva segnalato sin dal primo giorno della rivolta che il problema fondamentale della questione Rosarno non era il razzismo, enfatizzato agli occhi dell'opinione pubblica dall'aspetto di guerra tra poveri che scaturiva dalle immagini drammatiche di quei giorni; ma che il vero problema era l'assenza to¬tale dello Stato. Gli arresti di ieri hanno questo doppio significato: testimoniare che lo Stato c'è e che è in grado di farla pagare non solo agli sfruttati, ma anche agli sfruttatori. È importante che questo accada a una settimana dal primo maggio, e alla vigilia di una manifestazione per il lavoro che la Cgil ha convocato quel giorno proprio a Rosarno.



Francia. Per il ministro dell'Interno è reo di poligamia e frode
La donna con il niqab mette nei guai il marito

il Sole 24 Ore 27 aprile 2010
Attilio Gerani
Alla ricerca della popolarità perduta, l'Eliseo ha trasformato un fatto di cronaca in caso nazionale, un simbolo della lotta all'integralismo islamico. Dopo che lo scorso fine settimana una donna era stata multata perché guidava la vettura indossando il niqab, nel mirino del ministro degli Interni Brice Hortefeux è finito il marito, sul quale incombe la minaccia del ritiro della nazionalità francese. Con una lettera inviata al collega dell'Immigrazione e dell'Identità Nazionale, Eric Besson, Hortefeux ha chiesto di verificare legalmente tale possibilità poiché l'uomo, Liès Hebbadj, 35 anni, di origine algerina e naturalizzato francese nel 1996 in seguito a un matrimonio, secondo informazioni evidentemente in possesso dei servizi segreti sarebbe responsabile di alcuni reati: poligamia, frode" all'assistenza sociale, appartenenza a un movimento radicale.
La polemica si è gonfiata a dismisura nelle ultime 24 ore e le perplessità si concentrano soprattutto sul modo in cui la maggioranza - reduce da una pesante sconfitta alle regionali e con la popolarità di Nicolas Sarkozy inchiodata ai minimi - sta nuovamente cercando di cavalcare il téma dell'identità nazionale. La sequenza degli annunci più recenti dell'esecutivo non lascia molto spazio all'ambiguità, del resto. L'offensiva sul burqa è partita a metà della» settimana scorsa con l'annuncio del governo di un progetto di legge a breve per un divieto integrale e nonostante i
Sull'uomo incombe il ritiro della nazionalità francese: polemica per il modo in cui il governo cerca di cavalcare il tema dell'identità nazionale
dubbi di costituzionalità sollevati dal consiglio di stato in unparere reso alcune settimane prima: «Siamo pronti a prendere dei rischi giuridici», aveva avvertito il premier Francois Fillon promettendo un'approvazione del testo in Parlamento entro l'estate. Il resto l'ha fatto la cronaca e Liès Hebbadj è diventato in poche ore la cartina di tornasole di un dibattito che nei mesi scorsi aveva stentato ad appassionare i francesi poiché
privo di appigli concreti. Adesso ci sono, anche se le fondamenta giuridiche per stabilire un rapporto diretto tra i reati evocati (e non contestati poiché al momento nei confronti di Hebbadj non vi sono denunce e/o procedimenti giudiziari in corso) e il ritiro della nazionalità non paiono solidissime. Gli si attribuiscono quattro mogli e dodici figli, ma il diretto interessato ieri in conferenza stampa ha parlato di amanti. E anche se così non fosse, la poligamia non rientra tra i reati che portano automaticamente alla perdita della nazionalità nel paese di residenza, anche se il ministro Besson sta cercando di "adattare" la normativa all'esigenza del momento. L'opposizione socialista ha criticato l'atteggiamento dei ministri, responsabili di voler creare un caso, e quindi consenso, attorno alle legge per il divieto del velo nei luoghi pubblici. Ironia della sorte, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno poiché una netta maggioranza dei francesi, il 70% secondo un sondaggio di LH2 per NouvelObs.com, è già favorevole alla sua completa messa al bando.



















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