Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 ottobre 2014

I 182 morti a Lampedusa  ancora senza nome  arrivano i parenti col Dna 
Il 3 ottobre 2013 la strage dei migranti: 366 vittime, la metà mai identificate 
Il Papa riceve sopravvissuti e familiari: "L`Europa apre le porte a chi soffre" 
la Repubblica, 02-10-2014
FRANCESCO VIVIANO  ALESSANDRA ZINITI 
LAMPEDUSA. Da oltre un anno porta in  tasca la fotografia di suo figlio. Non se ne  separa mai. Quell`unico figlio di 12 anni  perduto nel naufragio del 3 ottobre di  uno anno fa nella strage di Lampedusa.  Lo cerca perché ancora non sa dove lo  hanno sepolto e se è tra quei 41 bambini  inghiottiti assieme ad altri 365 disperati  che erano sul barcone affondato  davanti all`isola dei Conigli. 
Adesso Hamed (non è il suo vero nome,  esiste il rischio di rappresaglie in  Eritrea da dove era fuggito) spera di poter  piangere su una di quelle 41 bare  sparse tra i cimiteri dell`agrigentino.  La speranza è affidata al Dna: a quello  suo, ( si sottoporrà al prelievo in questi  giorni a Lampedusa) e a quello di suo figlio  già campionato dalla scientifica  della polizia, insieme agli altri delle decine  di cadaveri ancora senza nome. Hamed  non è il solo a sperare nel miracolo:  portare un fiore sulla tomba di quei 182  cadaveri contrassegnati ancora oggi,  sulla tomba, da un numero. Sono almeno  50 le persone sbarcate negli ultimi  due giorni sull`isola alla ricerca di figli,  sorelle, fratelli, parenti. Vengono dalla  Svezia, dall`Olanda, dalla Germania,  dalla Svizzera, hanno ottenuto un regolare  passaporto, sono cittadini europei  a tutti gli effetti. Alcuni di loro li avevamo  visti sbarcare a Lampedusa quel  3 ottobre scorso, sporchi, feriti, seminudi:  oggi sembrano altre persone. Se  non fosse per il dolore che si legge nelle  loro facce, nei loro occhi, potrebbero essere  scambiati per turisti. 
Kaled, poco più di 20 anni, indossa un  vestito grigio sopra una camicia bianca,  un altro non ha più quei capelli arruffati, ha un taglio corto ed è sbarbato. Portano  scarpe che hanno comprato nei  centri commerciali di quelle città dove  adesso vivono e lavorano, mandando  soldi ai loro parenti in Etiopia, in Eritrea,  in Ghana. La maggior parte dei sopravvissuti  è tornata sull`isola grazie  anche alla solidarietà del "Comitato 3  Ottobre", che ha anche contribuito alle  spese per far fare il test del Dna da laboratori  autorizzati, un Dna che sperano  possa essere compatibile con quello prelevato ai morti dalla polizia scientifica. 
Ieri, quando alcuni di loro sono arrivati  a Roma, con i book fotografici dei loro  parenti morti, sono stati contattati dalla struttura del commissario straordinario  del Governo per le persone  scomparse Vittorio Piscitelli, per fare il  confronto delle foto. «Ma soltanto per i  parenti più prossimi - spiega un investigatore  - sarà possibile stabilire con  certezza la compatibilità del Dna equindi  potere dare un nome e cognome a  quelli che ancora oggi sono dei fantasmi». 
Molti dei sopravvissuti e parenti delle  vittime sono stati ricevuti da Papa  Francesco che, commosso, ha detto: «Sento cose che non sí possono dire perché  non si trovano le parole per dirle.  Tutto quello che avete sofferto si contempia  nel silenzio. Voglio dire che sono vicino a voi, prego per voi, prego per le  porte chiuse dell`Europa perché si aprano». E chissà se Kaled Ben Salem, lo scafista tunisino che guidava il barcone della  morte, in carcere con l`accusa di omicidio  volontario, si ricorderà di avere  portato alla morte 366 persone che cercavano  una vita migliore. 
 
 
 
L`appello. «Italia, tre mesi per fermare le stragi» 
Avvenire, 02-10-13
LUCA LIVERANI 
Un anno dopo il naufragio  di Lampedusa  - 368 morti - nessuna  decisione politica è stata presa  per gestire il flusso di migranti  in fuga dalle guerre in  Medio Oriente e Africa. A parte  la lodevole eccezione di  Mare Nostrun, di cui si è fatta  carico l`Italia salvando in un  anno 140 mila persone, i governi  europei guardano altrove.  I deputati Mario Marazziti  (Democrazia solidale), presidente  del Comitato parlamentare  per i diritti umani  della Camera, e Khalid  Chaouki (Pd), coordinatore  dell`Intergruppo sull`immigrazione, lanciano con l`Unhcr  e il Cir quattro proposte  perché il Mediterraneo non  sia più un cimitero di donne,  uomini e bambini. 
Alla vigilia del 3 ottobre, primo  anniversario della tragedia,  Marazziti presenta quattro  proposte. La prima: permettere  la presentazione della domanda  di asilo nei paesi di  transito, prima delle pericolose  traversate, per organizzare «viaggi sicuri» che annullerebbe  il business dei trafficanti. «Per il 70% vengono da Eritrea,  Siria, Mali, Nigeria e paesi  in crisi, ed è attesa l`onda  dall`Iraq del Nord. Già esiste il permesso di soggiorno per  motivi umanitari che ogni  paese europeo può mettere in  atto». La seconda: attivare una  Agenzia europea per l`immigrazione «che operi sull`altra  sponda del Mediterraneo  per gestire non solo l`emergenza  ma l`intero problema». Proposta che, spiega Marazziti,  sarà inoltrata all`Alto rappresentante  Ue per gli affari  esteri, il ministro Federica  Mogherini. Terzo: «Creazione  di un Campo di accoglienza  europea in Sicilia per analizzare  le domande» e permettere  una condivisione europea  degli accoglimenti, favorendo  i ricongiungimenti delle  famiglie, vietati di fatto dalla  convenzione di Dublino.  Quarto: creare in Nord Africa  uno spazio utile per transiti controllati, dalla Libia - in  un`area sotto controllo Onu alla  Tunisia, con garanzie per  il trasferimento in Europa. 
«La commemorazione deve  servire per fare politica, perché  di retorica ne è stata già  fatta abbastanza», dice Cristopher  Hein, direttore del Cir  (Consiglio italiano per i rifugiati). «L`Italia - avverte - ha  meno di tre mesi di presidenza  Ue: li usi per promuovere  politiche europee». Beat  Schule dell`Acnur ricorda che  in Europa è arrivato il 4% dei  profughi, 200 mila persone, nei paesi di confine con la Siria  - Giordania, Libano - tre  milioni. «Come se in Italia dice  Marazziti - fossero arrivati 20 milioni».  
 
 
 
Papa Francesco e i superstiti di Lampedusa: "L'Europa apra le porte del cuore"
Bergoglio incontra una delegazione di eritrei scampati al naufragio del 3 ottobre 2013. "A volte quando sembra di essere arrivati al porto ci sono cose durissime"
stranieriinitalia.it, 02-10-14
Città del Vaticano – 2 ottobre 2014 - “Sento cose che non si possono dire perché non si trovano le parole per dirle. Tutto quello che avete sofferto si contempla nel silenzio, si piange e si cerca il modo di essere vicini”.
Parole commosse di papa Francesco, che ha incontrato ieri pomeriggio in Vaticano una delegazione di 37 cittadini eritrei, superstiti o familiari delle vittime delle naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa. Nella strage morirono 368 persone.
 “A volte – ha detto il pontefice - quando sembra di essere arrivati al porto ci sono cose durissime. Si trovano porte chiuse e non si sa dove andare. Ma ci sono molte persone che hanno il cuore aperto per voi. La porta del cuore è la più importante in questi momenti”.
“Chiedo a tutti gli uomini e donne di Europa – ha aggiunto Francesco - che aprano le porte del cuore! Voglio dire che sono vicino a voi, prego per voi, prego per le porte chiuse perché si aprano!”
Uno degli eritrei, spiega una nota del Vaticano,  ha chiesto al Papa appoggio e sostegno, ad esempio per il riconoscimento delle salme che in certi casi non si è ancora potuto raggiungere. Al Papa è stata offerta in dono una scultura in ferro, raffigurante una bot
 
 
 
Letta: ecco perché difendo Mare Nostrum
Avvenire, 02-10-14
Mare Nostrum è sinonimo di vita e civiltà, ed è falso e inaccettabile sostenere che l'intervento italiano incentivi l'immigrazione. È questo il senso dell'intervento che l'ex premier Enrico Letta ha scritto per Avvenire (oggi pubblicato sul quotidiano), a un anno dalla tragedia di Lampedusa. Fu da quel naufragio in cui trovarono la morte 368 migranti che trovò impulso l'operazione italiana di pattugliamento e soccorso nel Mare Mediterraneo, fortemente voluta proprio da Letta. 
"Caro direttore - scrive Letta - sento il dovere di intervenire in difesa dell’Italia e della missione umanitaria Mare Nostrum. Lo faccio convintamente di fronte allo straordinario impegno del nostro Paese, delle sue forze armate e dei suoi volontari che in un anno hanno evitato il ripetersi di quel dramma e ha strappato all’annegamento centinaia di vite umane. Lampedusa è anche il punto profetico dal quale è cominciato il magistero di papa Francesco, una scelta forte, che forse più forte non poteva essere. E Mare Nostrum è stata la risposta, altrettanto forte che l ’Italia, il Paese che accoglie il Papa, ha voluto mettere in campo". 
Per centinaia di persone, argomenta l'ex capo del governo, l’Italia è diventata sinonimo di vita. Eppure, man mano che il tempo è passato, il clima è cambiato: "Le stesse voci che, giustamente, giudicavano inaccettabile l’immagine delle bare nel piccolo hangar dell’aeroporto di Lampedusa hanno cominciato a tramutarsi in silenzi imbarazzati e poi in indignazione per un flusso di migranti giudicato insopportabile nel nostro Paese. Oggi alza la voce chi vuol far passare l’idea, profondamente sbagliata, che Mare Nostrum sia la causa dei flussi migratori verso l’Italia".
 Non è così, argomenta Letta, e sostenerlo è demagogico oltre che sbagliato. I flussi migratori dal Mediterraneo sono figli degli sconvolgimenti in Nord Africa e Medio Oriente. Libia, Siria, Iraq, Corno d’Africa. 
L'operazione Mare Nostrum però non è riuscito "a raggiungere il suo secondo grande obiettivo che era, oltre all’impegno umanitario per il salvataggio di più vite umane possibile, quello di contribuire a far cambiare linea all’Unione Europea". Il problema sta, secondo Letta, "nella differenza radicale tra l’approccio "nordico" e quello dei Paesi mediterranei, con uno scontro quasi valoriale tra i concetti di responsabilità e solidarietà".
Gli strumenti giuridici della Convenzione di Dublino non bastano più. "E basta vedere quali sono le risorse assegnate a Frontex, poche decine di milioni di euro per il complesso delle frontiere europee, per rendersi conto dell’inadeguatezza con la quale l’Unione sta gestendo la questione". 
Bruxelles deve riuscire a orientarsi "verso soluzioni più efficaci e in linea con i valori di solidarietà per i rifugiati e i richiedenti asilo tipici della tradizione europea". 
Il giudizio positivo su Mare Nostrum dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati e del mondo delle Ong, conclude Enrico Letta nel suo intervento su Avvenire, "deve valere da stimolo a renderci conto di quanto il nostro Paese possa essere ulteriormente protagonista in questo campo. La soluzione non passa dal lasciare i migranti morire annegati al largo delle nostre coste; una scelta simile è ributtante e inaccettabile, e oltretutto non modificherebbe sostanzialmente la situazione. È ormai necessaria una posizione europea molto più profilata, fin quasi alla gestione in loco del fenomeno, nei confronti dei Paesi di origine del flusso migratorio, Libia in primis. Finché questo non accadrà, rimarremo privi di soluzioni veramente efficaci, e continuerà la rincorsa alla demagogia sulla pelle di donne e uomini innocenti, vittime delle terribili contraddizioni di questo tempo".
 
 
 
Quei fantasmi nel cimitero dei relitti
Avvenire, 02-10-14
Claudio Monici
È strano. Ma quando i rumori dell’isola di colpo si fermano e anche l’ultima motoretta smarmittata si fa sempre più lontana, da questi relitti di pescherecci che hanno solcato da una estremità all’altra del Mediterraneo, nel soffiare del vento è come se si udissero provenire delle voci, dei bisbigli, dei lamenti. Come quello che adesso sembra ricordare il richiamo di un neonato che ha fame, il singhiozzo silenzioso di una giovane donna che è stata violata, l’urlo terrorizzato di un uomo che si moltiplica all’infinito a invocare aiuto.
Ma poi, di colpo, come un’onda di mare che passa sulla spiaggia e spiana l’impronta di un piede, è di nuovo tutto e solo silenzio di legni morti.
Quelle barche che sembrano delle grosse bestie aggrovigliate, riverse su un fianco, allineate come il bottino di una battuta di caccia grossa, adesso solo prede per le macchine fotografiche dei turisti di settembre e dei cameramen approdati sull’isola, ancora parlano di storie umane.
A scrutare in quell’ammasso di relitti abbandonati che pioggia e sole si stanno mangiando, se guardate bene, ancora potrete distinguere i contorni di una memoria in rilievo, come uno spettro destinato al suo esilio senza possibilità di pace. Lì, su quei legni, hanno navigato esseri umani in cerca di un approdo nuovo, un mondo nuovo. E anche lì, guardando bene, si possono vedere i contorni sfocati dei barconi che, invece, non ce l’hanno fatta e che sono finiti in fondo al mare, nel Canale di Sicilia, con quel grido di aiuto invocato in coro e le braccia dei naufraghi aperte spalancate al cielo in cerca di un appiglio, che non c’era. E poi buio. A picco nelle profondità. 
Come è stato per la terribile strage della notte del 3 ottobre di un anno fa, costata la vita a 368 persone, quasi tutte di origine eritrea e che, proprio in questo primo anniversario, verranno ricordate con una cerimonia intereligiosa promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche e dalla arcidiocesi di Agrigento. Ci saranno anche alcuni sopravissuti e molti famigliari delle vittime. Arriveranno da mezza Europa e a quella stessa Europa chiederanno «perché l’Europa lascia morire le persone in mare?». Lo chiederanno con questo slogan coniato per l’occasione: "Proteggere le persone, non i confini" e lo porteranno al convegno che venerdì ospiterà i ministri Alfano e Mogherini, e Martin Schultz, presidente del Parlamento europeo.
Forse sarà solo lo scherzo del vento, del brusìo del mare, che è lì a pochi passi dal porto di Lampedusa, dove ci sono i chioschi con le bibite fresche e dove si noleggiano motoscafi e divertenti "Mehari" per l’estate.
C’è chi ti propone un tour attorno a questa stupenda isola che da più di trenta anni gli è stato posto lo stigma di "Lampedusa uguale sbarchi di clandestini, mare di corpi annegati". E con il turismo sempre più giù.
Eppure lo dice anche Giovanni, il vecchio pescatore, che la notte «là nel cimitero delle barche con le scritte in arabo, non ci passo più, si sentono delle voci, dei rumori strani da avere paura». Ma forse saranno solo i topi che vanno a rosicchiare vecchi stracci che erano abiti e cose appartenute ai migranti fortunati, che qui sono approdati vivi e non ripescati cadaveri per finire in un sacco nero, senza un nome e senza più una storia propria che diventa impossibile da ricostruire anche avendo un Dna. Da dove sarà partito quel corpo? Da quale luogo di supplizio di una dittatura, di una guerra, di un Paese-prigione? A chi chiedere un dna di riscontro, a quale genitore, a quale famigliare? Qualcosa si può fare, ma è sempre una goccia in mezzo a un mare di disperazione.
Adesso su quel groviglio di relitti sono stati puntati dei grossi fari, telecamere e microfoni. Un palcoscenico vivo quasi fosse uno spettacolo di teatro sperimentale dove per qualche giorno verranno messe a confronto idee, suggestioni, in una cornice di concerti e spettacoli che avverrano quasi simultaneamente per le vie dell’isola. Cinque giorni di Festival Sabir, "sul ruolo di Lampedusa come ponte fra i popoli nel cuore del mare Mediterraneo". Un forum internazionale di incontro fra culture, che però già suscita qualche malumore tra gli stessi organizzatori e nella popolazione dell’isola che si sente schiacciata da questa grande responsabilità di essere l’approdo della salvezza di chi giunge dal mare, ma altresì il simbolo di un fenomeno che sembra non trovare una chiave di svolta. Un marchio e troppe parole e pochi fatti, lamenta la gente di qui. Forse, un anno dopo quel 3 di ottobre 2013, è solo il momento per la preghiera e il ricordo.
 
 
 
Nuovo sbarco di migranti nel Sulcis Sette nordafricani trasferiti a Cagliari
Nuovo sbarco di migranti sulle coste meridionali della Sardegna.
L'Unione sarda.it, 02-10-14
Nella tarda mattinata di oggi un barchino con a bordo sette stranieri ha raggiunto il porto di Sant'Antioco (Carbonia Iglesias). Una persona ha notato l'arrivo della barca, segnalandolo subito alle forze dell'ordine. Sul posto sono interventi i militari della Guardia di finanza, la Polizia e gli uomini della Guardia costiera. I sette - uno di loro ha dichiarato di essere algerino e gli altri tunisini - dopo le visite mediche eseguite dalla dottoressa Consuelo Tamburella, sono stati affidati al personale del Consorzio Sisifo che gestisce il centro di prima accoglienza di Cagliari-Elmas.
 
 
 
COMUNICATO STAMPA
Su Radio 3 RAI - “VITE MIGRANTI”
Voci, racconti e cronache di un’umanità in fuga
Roma - 29 settembre 2014
Dal 29 settembre al 3 ottobre alle ore 19.45, in occasione dell’anniversario della strage dei migranti al largo di Lampedusa, su Radio 3 RAI andranno in onda 4 puntate dal titolo VITE MIGRANTI, prodotte da AMM – Archivio delle Memorie Migranti e la Campagna LasciateCIEntrare. 
Le puntate, curate da Paola Ferrara, Gabriella Guido e Alessandro Triulzi si collocano all'interno del programma TRE SOLDI, lo spazio di Radio 3 RAI dedicato all’audio documentario. 
VITE MIGRANTI vuole raccogliere le voci, i racconti, le cronache individuali e familiari di donne e uomini che cercano una strada alternativa; forzati dagli eventi, dalle tensioni e dalle guerre sono costretti a lasciare la loro casa e i loro affetti per ritrovarli, ricostruirli o riannodarli altrove. 
Le testimonianze sono state raccolte durante le iniziative audio e video di ascolto partecipato della Campagna LasciateCIEntrare e degli operatori dell’Archivio delle Memorie Migranti nel corso di visite ai centri CARA e CIE, i Centri di accoglienza per richiedenti asilo resi esecutivi nel 2005 e quelli di ‘permanenza temporanea’, nominati successivamente ‘Centri di  Identificazione e di Espulsione’ dal Parlamento italiano.
VITE MIGRANTI sono testimonianze dirette di scelte difficili, di percorsi di vita che solcano il Mediterraneo, dove molto spesso li accoglie la diffidenza e l’intolleranza.
Alle voci dei migranti si uniranno anche quelle di artisti, testimoni e attivisti dei diritti umani, tra i quali Erri De Luca, Tahar Lamri, Giusi Nicolini, Giuseppe Cederna e molti altri, che hanno accompagnato, sostenuto e arricchito le campagne di ascolto e di legalità volute da LasciateCIEntrare.  
In Italia la campagna è sostenuta da Open Society Foundations.
Per maggiori info:
Web site: lasciatecientrare.it
Web site: www.archiviomemoriemigranti.net
 
 
 
Accoglienza in crisi: Campo Francesco a Gorizia e la città di cartone a Trieste
Al confine Nord-Est, un piccolo numero di richiedenti asilo afgani diventa un casus belli, con l'estrema destra e il Comune schierati contro la tendopoli temporanea creata dalla giunta provinciale di centro sinistra e intitolata a Bergoglio
la Repubblica.it, 02-10-14
RAFFAELLA COSENTINO
Accoglienza in crisi: Campo Francesco a Gorizia e la città di cartone a TriesteUna piccola tendopoli per richiedenti asilo afgani e pachistani nel cuore di Gorizia. Per dare loro un riparo diverso da una baracca di cartone sul greto dell'Isonzo. L'hanno chiamato "Campo Francesco" in onore del Papa, che il 13 settembre ha visitato in Friuli il sacrario della Prima Guerra Mondiale a Redipuglia. Quel giorno il Pontefice, ricordando la figura di Caino, ha stigmatizzato come contrario al Vangelo l'atteggiamento di chi, davanti alle sofferenze di chi fugge da conflitti e massacri, dice "a me che importa?". E' nato così anche un gruppo di volontari che si auto-organizza su Facebook sotto il nome: "A me importa-Campo Francesco".
Il caso politico. Il campo temporaneo esiste da appena 15 giorni. Ospitava meno di 100 richiedenti asilo. Attualmente ne sono rimasti 47 in otto tende. E' diventato un "caso". La struttura, voluta dalla Provincia di centro sinistra, è contestata dal comune di Gorizia che è guidato da un sindaco di Forza Italia. Forza Nuova e Fiamma Tricolore hanno tenuto sabato un presidio contro i "nullafacenti a spese ed a carico dello Stato Italiano nonché del contribuente Goriziano", con lo striscione "Gorizia muore a Lampedusa". Il sit-in, una trentina di persone in tutto, è stato autorizzato proprio mentre in città si svolgeva "Gusti di Frontiera", la più grande manifestazione della provincia che attira decine di migliaia di persone per una fiera gastronomica che si estende in tutto il centro cittadino. Nei giorni precedenti CasaPound aveva attaccato in città gli striscioni "Mare nostrum morte vostra". 
Temendo "un disastro", Ilaria Cecot (Sel), assessore al Welfare della giunta provinciale di centrosinistra, ha sgomberato il campo, lasciando le tende vuote e portando via tutti i richiedenti asilo per un giorno. Nella stessa giornata una ventina di persone dei centri sociali hanno visitato la tendopoli. 
Intimidazioni ma anche volontariato. Cecot racconta delle tante intimidazioni subite. "Una persona del quartiere ci ha minacciato di mettere due bombe, poi è stata tirata una pietra nel campo, a seguire dieci petardi , il pericolo è già elevato". La tendopoli è stata installata grazie alla protezione civile regionale, su un terreno di proprietà provinciale in via Italico Brass che normalmente è adibito a campo di calcio. La scelta è caduta su quello spazio perché era l'unico disponibile e gli spogliatoi sono già dotati di acqua corrente ed energia elettrica. La gestione non è stata affidata a nessuno, non ci sono appalti di mezzo. "Mi sto arrangiando con il volontariato e l'aiuto della Caritas e della Asl per i pasti", spiega l'assessore.    
Accoglienza in crisi cronica. Sono tutti richiedenti asilo afgani e pachistani. Sono stati identificati dalla questura che ha rilasciato loro un foglio con l'appuntamento per l'intervista con la commissione che esamina le domande di protezione internazionale. "Siamo intervenuti perché il Comune di Gorizia rifiuta ogni reponsabilità - spiega Cecot - gli afgani vivevano sul greto del fiume Isonzo in posizione pericolosa a poche centinaia di metri dalla diga. Avevano costruito una baracca di cartone. Mangiavano un impasto di farina e acqua del fiume. L'acqua è inquinata e loro la bevevano. Queste persone giravano per la città senza alcun controllo medico, mentre noi siamo intervenuti anche dal punto di vista sanitario". 
Una delle principali vie d'accesso all'Europa. Le strutture di accoglienza di Gorizia sono piene. I 205 posti del Centro per richiedenti asilo di Gradisca d'Isonzo sono occupati dai profughi di Mare Nostrum, a cui viene data la precedenza. Segno anche dell'attenzione sempre puntata a sud e al Canale di Sicilia, mentre da anni l'altra principale via d'ingresso all'Europa è la rotta balcanica e il confine terrestre a Nord-Est. Nell'Italia che ha salvato dalla morte in mare oltre 140mila persone, dei numeri molto piccoli diventano un casus belli. A Gorizia la Caritas ospita altre 80 persone e  altre 26 sono in un albergo in convenzione con la prefettura, la quale, ci dice l'assessore, "non ritiene che sia necessaria una struttura di accoglienza permanente". 
Il processo per truffa. La stessa prefettura è balzata agli onori delle cronache perché lo scorso 26 marzo il tribunale di Gorizia ha rinviato a giudizio 13 persone a seguito di un'inchiesta sulla gestione del centro di accoglienza di Gradisca. "Tra queste i vertici dell'ente gestore Connecting people di Trapani, imputati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e di inadempienze di pubbliche forniture e due funzionari della Prefettura di Gorizia accusati di falso materiale e ideologico in atti pubblici - ricorda un rapporto di pochi giorni fa della Commissione Diritti umani del Senato - Dalle fatture mostrate alla Prefettura, nelle due strutture di Gradisca sarebbe stato fatto risultare, relativamente al periodo dal 2008 al 2011, un numero di presenze superiore a quelle effettive".
La città di cartone a Trieste. Intanto a Trieste circa 50 afgani dormono in una città di cartone in pieno centro. Hanno trovato rifugio in un edificio degradato del porto vecchio, vicino alla stazione, senza assistenza e con in tasca il foglio della questura che li rinvia a presentarsi dopo mesi per l'esame della domanda d'asilo. "Tra loro, abbiamo incontrato Mohammed che ha subìto 18 mesi di prigionia in Grecia solo perché in fuga dalla guerra - racconta l'associazione Tenda per la pace e i diritti - di notte si verificano lanci di pietre contro i richiedenti asilo da parte di ignoti. Chiediamo che venga trovata al più presto una sistemazione per queste persone". 
Bisiaco nato a Kabul. Tenda per la Pace, che ha sede a Monfalcone, ha avuto i suoi problemi con gli attacchi razzisti. Persone del luogo, in alcuni gruppi su Facebook, hanno minacciato di bruciare la sede e la casa attigua dell'attivista Genni Fabrizio, per avere esposto uno striscione con la scritta "Bisiacaria antirazzista". Questo slogan è il nome di un progetto portato avanti dall'associazione e finanziato dal piano per l'integrazione della Provincia. Si tratta di una campagna di comunicazione con fotografie degli abitanti dell'area di Monfalcone, la Bisiacaria appunto. Una serie di fotografie mostrano i volti di abitanti di origine italiana e di origine straniera, con il nome e una scritta del tipo: "bisiaco nato a Gorizia; bisiaco nato a Kabul". Il termine "bisiaco", spiegano gli attivisti, deriva da bezjak, parola slovena che significa 'profugo'. Ironia della storia, il passato anche a Trieste fa capolino da una targa che ricorda gli esuli da Istria, Fiume e Dalmazia, i "fratelli italiani" accolti dopo la fine della seconda guerra mondiale, "dopo il drammatico abbandono delle loro amate terre natie".
 
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