Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 gennaio 2015

Affare immigrati  50mila euro al giorno  per coop e onlus
Il caso dei «richiedenti asilo» nel Napoletano  ospitalità per 1.359 persone in 29 strutture
Il Mattino, 09-01-2015
Daniela De Crescenzo
Cinquantamila euro al giorno: li spende il ministero dell`Interno per provvedere all`ospitalità dei 1359 immigrati richiedenti asilo finiti in 29  strutture di Napoli e Provincia.
Soldi che si vanno ad aggiungere  ai 50 milioni di euro sborsati nel 2013 dall`assessorato regionale alla Protezione Civile: una enorme montagna  di soldi divisi tra associazioni, onlus, imprese e albergatori. Sono questi ultimi che nella prima fase dell`operazione hanno fatto intascato la gran  parte dei fondi provenienti dall`assessorato regionale che sistemò i richiedenti asilo negli hotel trasformati seduta stante in Cara, Centri di accoglienza  per richiedenti asilo. I proprietari degli hotel diventarono sul campo dirigenti dei centri di accoglienza. La manovra, però, suscitò non poche perplessità e infinite polemiche.
E la gestione dell`emergenza migranti non andò meglio nelle altre Regioni tanto che ben prima della conclusione dell`inchiesta Mafia Capitale (che ruota anche intorno alla malagestione della vicenda immigrazione) si decise di far gestire gli stranieri dalle Prefetture. L`ufficio di governo di Napoli invertì la rotta organizzando tredici bandi diretti alle associazioni capaci di assicurare agli stranieri non solo un tetto, ma anche l`assistenza. L`importo a base di gara è stato di 35 euro al giorno per ogni migrante (in precedenza erano previsti 40 euro). Due avvisi sono andati deserti, undici sono stati assegnati. La parte del leone l`hanno fatta le associazioni Family e New Family, collegate anche in associazione temporanea d`impresa, che avevano già lavorato con la Regione Campania per la precedente emergenza Nord Africa. Le due società provvedono a 624 immigrati incassando quasi ventimila  euro al giorno e distribuendo gli stranieri in tante e diverse strutture: hotel, affittacamere, case d`accoglienza: tutto va bene quando si tratta di sistemare i migranti.
Ma le associazioni in campo sono tante anche se molte si limitano a gestire quote molto più ridotte di ospiti. Hanno partecipato alle gare, vincendole seppur con quote ridotte: il Pioppo, Less, l`Istituto Santa Croce, l`hotel il Rosone, Litus, Demetra, Crescere insieme, Arci Ala di riserva, Virtus Italia Onlus, Croce rossa, Ltm. A loro spetta sistemare i migranti arrivati a Napoli e Provincia. Su una di queste cooperative, quella che ha sede nell`istituto scolastico Santa Croce è stata presentata in Parlamento un`interrogazione dall`onorevole Arturo Scotto. Secondo il Parlamentare di Sinistra e libertà la coop: «risulta legata a Francesco Paolo Di Martino, conduttore del fitto e titolare della scuola paritaria; lo stesso Di Martino è stato coinvolto nello scandalo «Sistri» sulla tracciabilità dei rifiuti, ed è stato indagato dalla procura della Repubblica presso il tribunale  di Napoli per reati come truffa ed emissione di false fatturazioni».
In ogni caso la carenza di strutture ad hoc ha creato non poche difficoltà e gli stranieri a Napoli sono finiti in gran numero negli hotel della zona della Ferrovia. Ma ci sono migranti anche negli hotel Panorama e Liternum di Giugliano, Rosone di Trecase, Circe di Pozzuoli, Villa Angelina di Castellammare. Un gruppo è stato alloggiato dall`affittacamere Spaziani di Varcaturo, un altro è stato sistemato presso l`istituto per minori a rischio Sant`Antonio la Palma, molti sono finiti presso le sedi delle associazioni attrezzate all`occorrenza.
Le proteste degli stranieri in questi mesi sono state continue. Segnalati mancanza di assistenza, ritardi nell`incasso del cosiddetto Pocket money (2,50 euro al giorno che dovrebbero permettere le spese personali), sovraffollamento e vitto insoddisfacente. Per tenere sotto controllo la situazione l`ex prefetto Francesco Antonio Musolino ha organizzato una task force di cui fanno parte le forze dell`ordine (Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza) coordinata dal vice prefetto dirigente dell`area mmigrati, Gabriella D`Orso che avvierà i blitz a sorpresa da lunedì: controlli che si aggiungono a quelli, e sono tanti, già attualmente in corso.



EDITORIALE • L`intollerabile integralismo delle furie islamiste e dei paladini dell`Occidente
«Liberté, égalité, fraternité» e il loro doppio
NOI  E LORO
il manifesto, 09-01-2015
Marco Bascetta
Il giudizio della stampa di tutto il mondo è quasi unanime: la mattanza parigina rappresenta un attacco alla libertà, colpita in una delle sue  espressioni più classiche ed esplicite, la satira contro il potere, la morale, i dogmi di tutte le religioni. Giusto, non c`è da eccepire. Nondimeno sulle bandiere della Rivoluzione francese stavano scritte tre parole: liberté, égalité, fraternité. Converrà allora esaminare l`orrenda esecuzione di massa nella redazione di Charlie Hebdo e le sue prevedibili conseguenze alla luce di ciascuna di queste parole.
Cominciamo dalla prima, liberté. L`islam politico (e il rapporto stretto tra Islam e politica è dato dalla sua stessa genesi storica fuori da qualsiasi contesto statuale preesistente) è indubbiamente nemico della libertà. Non c`è bisogno di guardare alle sue espressioni più estreme, come il califfato di Al-Baghdadi, per constatarlo. O all`opulento oscurantismo saudita. Basta già rivolgere lo sguardo alla Turchia parlamentare e semieuropea di Erdogan per mettersi sull`avviso. Quando parliamo di Islam l`attrito tra laicità e religione, tra diritti individuali e norme comunitarie è garantito. Anche se non è necessariamente destinato a sfociare in atti di estrema violenza o in condizioni di soffocante oppressione. Resta il fatto che un miliardo e mezzo di persone, con diversi gradi di ortodossia e convinzione, professano questa religione. Se non si coltiva  l`idea folle di risolvere il problema alla maniera dei crociati, o quella, non meno strampalata, di segmentare il pianeta  in compartimenti stagni, questo attrito  deve essere fronteggiato con gli strumenti  dell`intelligenza politica e lo sviluppo  delle lotte democratiche nei paesi  islamici e in Europa.
Non mancano, però, tra quanti in questi giorni celebrano i giornalisti di Charlie come martiri della libertà, numerosi paladini della superiorità occidentale  che, tra furori proibizionisti, campagne omofobe, tolleranza zero e anatemi contro la «società permissiva», intattengono un rapporto a dir poco  problematico con la libertà. Immagino  che alle matite anarchiche di Charlie,  non sarebbe affatto piaciuto diventare un simbolo per questa gente. Non sono solo gli islarnisti a non avere ancora digerito la Rivoluzione francese.
Il secondo bersaglio degli attentatori di Parigi è égalité. Nessun presunto detentore di verità assolute può contemplare l`idea di eguaglianza, se non nel senso di una conversione più o meno forzata. Del resto, i regimi islamici poggiano su principi fortemente gerarchici e, dopo il tramonto  del nazionalismo arabo, sull`indiscusso potere dell`autorità religiosa. Tuttavia, i guardiani dell`Occidente su questo punto preferiscono tacere, poiché sostanzialmente condividono, a loro modo, il punto di vista degli avversari. I più espliciti, citando Oriana Fallaci, sí dichiarano appartenere a una «civiltà superiore» e dunque in diritto di discriminare non solo chiunque provenga da un diverso ambito culturale, ma anche il dissenso al proprio interno nel momento in cui superi confini che vanno sempre più restringendosi. All`eguaglianza dei diritti oppongono filtri, barriere e condizioni.  L`integrità dei principi di questi patrioti dell`Occidente non ammette contaminazioni né evoluzione alcuna. Infine, égalité metterebbe in questione le gerarchie, le stratificazioni sociali e il sistema di privilegi cui sono affezionati. Dunque, se gli uomini del califfato, ben convinti a loro volta di rappresentare una «civiltà superiore», le sparano addosso, tanto meglio.
Fraternité, la più desueta e cristiana delle tre parole, è con tutta evidenza spazzata via da quel taglio netto tra «fedeli» e «infedeli» che guida la mano degli assassini. Fraternità potrà darsi solo quando l`intero pianeta avrà fatto dell`Islam il suo credo. Non è l`antidoto alla guerra, ma il suo risultato. Fatto sta che anche in questo caso i cristianissimi difensori della civiltà occidentale preferiscono astenersi da commenti. Un siffatto principio impedirebbe infatti di considerare i migranti come pura e semplice minaccia, imponendo una qualche forma di intervento solidaristico nei confronti di chi fugge dalla fame e dalla guerra. Fraternitè è però anche un principio che pretende di distinguere tra i singoli e le loro comunità,  tra gli individui e i loro contesti culturali. 11 principio cristiano della «centralità della persona», se non se ne vuole fare solo una bandierina per le crociate contro l`aborto o l`eutanasia, dovrebbe significare appunto questo.  Poche espressioni sono prive di senso quanto la «fratellanza dei popoli», che in genere corrisponde agli interessi dei loro governanti e alle loro tregue armate. Questa distinzione tra individui  e comunità è esattamente ciò che i sacerdoti dell`individualismo occidentale paradossalmente rifiutano, ragionando per gruppi etnici e tradizioni culturali.  Ci siamo «Noi» e «Loro», gli «islamici» e i «civilizzati». Il quadro dello «scontro tra civiltà» è completo. E la vittoria dell`integralismo e dell` intolleranza anche. Lo schema della guerra santa può essere insidiosamente laicizzato. Charlie Hebdo è stato davvero ucciso dai suoi assassini ma si accinge ad essere sepolto da chi, strumentalmente, ne fa lo stendardo dei propri pregiudizi. Così, dalle ceneri della Praternité  universalistica ne sorge  un`altra, nazionale, identitaria, «bianca», se non quanto al colore della pelle certo quanto alla mentalità. Quella dell`«unità nazionale», dei «valori condivisi», quella che chiede di stringersi tutti contro il nemico esterno, quella allucinata che - nutrita da una ormai vasta letteratura, dalla pionieristica Fallaci al polemista tedesco Thilo Sarrazin (La Germania si autodistrugge), al francese Eric Zemmour suicidio francese), perfetta l`assonanza tra i due titoli, fino alla fantapolitica di Houellebecq - pensa davvero che un giorno l`Europa possa trasformarsi in un Califfato. Ipotesi cui nemmeno Al-Baghdadi, ragionevolmente dedito a destabilizzare i «regimi arabi moderati», crede minimamente. Se dovessimo marciare insieme a Marine Le Pen e Matteo Salvini, per non parlare dei fascisti tedeschi di Pegida, in difesa di una idea comune di «civiltà», allora il »Noi» finirebbe per assomigliare sempre di più a quello perseguito dai miliziani della guerra santa. A ciascuno i suoi integralisti da debellare. Il Califfàto non giungerà a governarci, ma la vita quotidiana rischia di diventare molto infelice.



Moschee. Alfano: “Più facili da controllare dei luoghi di preghiera improvvisati”
L'informativa alla Camera sulla lotta al terrorismo. "La nostra attenzione è sempre stata e sempre sarà alta, anche sui flussi migratori"
stranieriinitalia.it, 09-01-2015
Roma – 9 gennaio 2015 – Moschee e flussi migratori sono già sotto controllo nella lotta al terrorismo. "La nostra attenzione è sempre stata e sempre sarà alta" ha confermato stamattina il ministro dell'interno Angelino Alfano nella sua informativa alla Camera dopo la strage di Parigi.
"Alcune dichiarazioni  - ha ricordato il titolare del Viminale - hanno ritenuto di evidenziare, tra le possibile fonti di rischio, i centri di aggregazione religiosa in cui potrebbero operare i predicatori di odio, fomentando azioni violente. Voglio rassicurare sul fatto che sia le moschee sia gli altri luoghi di culto non vengono affatto trascurati nelle analisi di intelligence investigativa e siamo oggi in grado di poterne avere una fedele fotografia, avendone recentemente anche curato una puntuale rilevazione".
Poi un passaggio che dovrebbe far riflettere chi si oppone alla costruzione di luoghi di culto islamici degni di questo nome. "Il monitoraggio a fini di prevenzione di questo particolare aspetto aggregativo è reso difficile anche dal fatto che in molti casi il culto viene praticato in locali di fortuna del tutto inidonei e per i quali mancano le prescritte autorizzazioni. Questa peculiarità del fenomeno può favorire zone di ombra nelle quali sono più difficili gli accertamenti e le attività di rilevazione".
Alfano ha anche detto di non sottovalutare "le preoccupazioni che si indirizzano verso i flussi di immigrazione, individuati come possibile veicolo di infiltrazione dei movimenti terroristici in territorio nazionale. Anche a questo proposito vorrei dare rassicurazioni circa l'attivazione di adeguati dispositivi di controllo, ricordando come siano in corso forme sinergiche di collaborazione tra le nostre agenzie di sicurezza e gli omologhi uffici antiterrorismo esteri, per garantire la più ampia copertura informativa sui rischi di infiltrazione insiti nelle dinamiche migratorie che interessano le frontiere italiane".
Intanto, il governo sta per varare nuove norme contro la "figura del terrorista molecolare home made, capace di trasformarsi in un'impresa  individuale terroristica, nel senso che si autoradicalizza e si autoaddestra anche ricorrendo al web, si procura le armi e le istruzioni per il loro uso, progetta da solo, e comunque senza apparenti e dimostrate appartenenze a reti strutturate, attacchi o azioni terroristiche".
Un decreto dovrebbe dare al Questore la possibilità di ritirare il passaporto ai sospettati e di metterli sotto sorveglianza speciale, in modo da “restringerne capacità di movimento e campo di azione". Contro i cosiddetti "foreign fighters" (in Italia se ne stimano una cinquantina) si introdurrà "una specifica figura di reato che, colmando una oggettiva carenza, colpisce non solo i combattenti stranieri, ma anche chi agisce dietro le quinte tirando le fila degli spostamenti verso l'estero".
É previsto anche un giro di vite sul web, fonte di propaganda e addestramento. Il provvedimento ha spiegato Alfano, consentirà "all'autorità giudiziaria di ordinare ai provider l'interdizione dell'accesso ai siti utilizzati per la diffusione di messaggi di incitamento a condotte terroristiche censiti in una black list continuamente aggiornata dalla polizia postale".
 


Anche i terroristi fanno affari con i migranti
Avvenire, 09-01-2015
Nello Scavo
In una cosa i profughi sono riusciti laddove mai nessuno era arrivato: far mettere intorno a un tavolo la mafia turca, quella siriana e gli emissari dei gruppi combattenti, primo fra tutti l’Is. Sciiti o sunniti non importa. Il lucroso giro d’affari scaturito dal traffico di profughi vale più che una diatriba etnico-religiosa. n una cosa i profughi sono riusciti laddove mai nessuno era arrivato: far mettere intorno a un tavolo la mafia turca, quella siriana e gli emissari dei gruppi combattenti, primo fra tutti l’Is. Sciiti o sunniti non importa. Il lucroso giro d’affari scaturito dal traffico di profughi vale più che una diatriba etnico-religiosa. n una cosa i profughi sono riusciti laddove mai nessuno era arrivato: far mettere intorno a un tavolo la mafia turca, quella siriana e gli emissari dei gruppi combattenti, primo fra tutti l’Is. Sciiti o sunniti non importa. Il lucroso giro d’affari scaturito dal traffico di profughi vale più che una diatriba etnico-religiosa. n una cosa i profughi sono riusciti laddove mai nessuno era arrivato: far mettere intorno a un tavolo la mafia turca, quella siriana e gli emissari dei gruppi combattenti, primo fra tutti l’Is. Sciiti o sunniti non importa. Il lucroso giro d’affari scaturito dal traffico di profughi vale più che una diatriba etnico-religiosa.
Da ottobre ad oggi sono almeno 15 i cargo carichi di esseri umani individuati dalla Guardia costiera italiana e da quella greca: uno ogni settimana. Alla media di 4 milioni di fatturato per ogni traversata, fanno 60 milioni di euro, per dei mercantili malmessi che vengono acquistati a meno di 300mila euro.
Da settimane i servizi segreti turchi consigliano di alzare la guardia. La Direzione generale della sicurezza (Egm) ha emesso una nota di allerta, segnalando l’esistenza di 'cellule dormienti' nel Paese. Secondo l’informativa dell’Egm, l’Is starebbe anche «cercando di estendere la sua influenza nelle moschee in particolare ad Ankara, Konya
e Istanbul». Ma le basi logistiche e finanziarie del gruppo armato «sono altrove». I fondamentalisti disporrebbero di «case sicure» in diverse città, «in particolare Adana e Mérsin».
 È qui che si concentra l’afflusso di profughi in attesa di un passaggio in nave per l’Europa. I richiedenti asilo sbarcati nei giorni scorsi in Italia hanno dichiarato di aver saldato le spese di viaggio versando diverse migliaia di dollari presso alcune agenzie di money transfer di Mérsin e dintorni. Una volta al sicuro i migranti avrebbero poi comunicato a 'mediatori siriani' le password per l’incasso.
Il business dei mercantili fantasma, che cambiano proprietà all’ultimo momento rendendo pressoché impossibile risalire all’ultimo armatore, è in forte espansione. «Le navi vengono acquistate nel Mar Nero e addirittura in Siria, dove la guerra ha bloccato i commerci – spiega un portavoce della Guardia Costiera greca –, oppure in Turchia nella zona costiera poco lontano da Smirne. Lì la concorrenza tra i demolitori è spietata e per poco più di 200mila dollari si può acquistare una portacontainer varata mezzo secolo fa e guadagnare venti volte tanto caricandola con 500 migranti». Ogni 'passeggero' paga in media 6mila dollari. Unica concessione, la gratuità per i bimbi piccoli, purché viaggino in braccio ai genitori.
Perché tutto funzioni occorre che la filiera lavori in sincronia. La criminalità turca si occupa di acquistare i cargo in età da disarmo. Gli ultimi mercantili approdati in Europa avevano cambiato proprietà poche settimane prima. E i nuovi armatori altri non erano che irreperibili cittadini siriani residenti, se mai si tratti di persone in carne ed ossa, in zone di guerra. Intanto i combattenti garantiscono ai profughi un passaggio sicuro fino a Mérsin, dove poi con l’appoggio della mafia turca i profughi vengono caricati su gommoni o vaporetti 'turistici' e trasbordati sui mercantili ormeggiati fuori dal porto.
Come sia possibile che i vascelli se ne stiano in rada per giorni, senza che un solo quintale di merce salga a bordo, nella totale indifferenza delle autorità portuali non è poi un gran mistero. Giusto un anno fa 110 funzionari di pubblica sicurezza furono trasferiti nottetempo a Mérsin. Non si trattava di rinforzi, ma di rimozioni forzate. Gli agenti, alcuni di alto grado, furono 'purgati' insieme ad altri 4mila funzionari pubblici, tra cui 120 magistrati, accusati di aver sollevato un polverone sui casi di corruzione che mettevano in cattiva luce l’entourage del presidente Erdogan. Con quanta voglia e con quali poteri quegli stessi poliziotti possano oggi investigare sulla gestione del porto di Mérsin e le infiltrazioni dell’Is è facile da immaginare.



Rosenheim non sta con la sposa. In viaggio verso nord con i migranti abbandonati della nave Ezadeen
Reportage. Si imbarcano sulla Ezadeen. Con 400 euro in tasca e alcuni documenti sgualciti ora tentano di raggiungere la Svezia. Dopo 10 giorni di viaggio in mare e due in giro per l'Italia, la polizia federale tedesca impone una sosta inattesa
la Repubblica.it, 08-01-2015
GIACOMO ZANDONINI

Rosenheim non sta con la sposa. In viaggio verso nord con i migranti abbandonati della nave Ezadeen
ROSENHEIM - Hanno tutto in tasca: 400 euro e alcuni documenti sgualciti. Il resto lo cercano in Svezia: parenti già arrivati, una casa. Amina e Mohammed, suo cognato, hanno lasciato la Siria meno di un mese fa. Con loro, due bambini, i figli di Amina. Il padre li aspetta a Malmö. Ma dopo 10 giorni di viaggio in mare e due in giro per l'Italia, la polizia federale tedesca impone una sosta inattesa. Siamo a Rosenheim, città di 60mila abitanti nella Baviera meridionale e prima fermata tedesca del treno Venezia - Monaco. Qui confluiscono le due principali rotte di migrazione verso il nord Europa, quella italiana e quella balcanica e qui, nel solo 2014, la Bundespolizei ha fermato più di 9mila persone - 25 al giorno - in gran parte rifugiati siriani e eritrei. E centinaia di presunti trafficanti.
Da Damasco all'Italia in tre settimane. Il viaggio di Amina è iniziato lo scorso dicembre alle porte di Damasco. "La situazione era troppo pericolosa e così siamo partiti". Prima tappa Tartous, città portuale controllata dal regime di Assad. In dodici ore di autobus la famiglia raggiunge Mersin, il porto turco da cui partono molti dei viaggi verso l'Europa. Si imbarcano dopo pochi giorni sulla Ezadeen, un cargo per il trasporto di bestiame riadattato dalle organizzazioni dei trafficanti. Per 6000 dollari a testa viaggiano per dieci giorni insieme a altre 360 persone, costretti in gabbie inospitali e con poco cibo. Una sosta in Grecia, probabilmente a Creta, per il maltempo e quindi l'arrivo in Italia grazie alle operazioni di salvataggio coordinate dalla Guardia Costiera. Il 3 gennaio toccano terra a Corigliano Calabro, sul mar Ionio. "La Croce Rossa ci ha portato a Milano - spiega Mohammed - siamo rimasti due giorni in un centro di accoglienza e poi siamo ripartiti".
Fermati nel viaggio verso nord. La prima tappa è Monaco di Baviera. Da qui si deve proseguire per Amburgo, Copenhagen e infine in traghetto per Malmö. Con loro sul treno ci sono decine di siriani, mescolati a turisti con borse da sci e a lavoratori di rientro dalle ferie. Tareq, uno dei figli, guarda dal finestrino e dice "Talj Talj". Significa neve, in arabo siriano. Siamo vicini al Brennero e a tratti si intravedono montagne imponenti, tanto che la madre chiede se sia l'Everest. Mohammed risponde divertito che "no, quello è in India, o Nepal". Ma il divertimento cede presto il passo alla preoccupazione. Ha una mappa aperta sullo smartphone e mostra alla donna dove si trovano. In Italia non sono stati identificati e sperano di non essere fermati prima della Svezia, dove vogliono chiedere asilo. Si avvicinano le frontiere e le probabilità di controlli aumentano. Al passo del Brennero non ce ne sono, né si vede la polizia austriaca, che pattuglia abitualmente il treno. E' a Rosenheim, prima stazione tedesca dopo l'Austria, che compaiono invece due agenti della polizia federale. A nulla serve mostrare una foto del permesso di soggiorno svedese del marito, dicendo di volerlo raggiungere: i due adulti e i due bambini devono scendere per essere identificati.
Rosenheim, porta di ingresso per i rifugiati. Rosenheim è da sempre una città di confine. Alle sue porte si incrociano tre linee ferroviarie e due autostrade, provenienti da Italia e Ungheria, fra i principali paesi d'accesso dei migranti irregolari nello spazio Schengen. Nel secondo dopoguerra il vecchio municipio e alcune ex-caserme ospitarono migliaia di rifugiati polacchi fuggiti dai combattimenti, mentre nelle campagne intorno alla città venivano smantellati diversi campi di internamento e addestramento, sotto-campi del lager di Dachau e campi di lavoro legati alla fabbrica della BMW di Stephanskirche. E' in una di queste strutture, convertita in caserma della Bundespolizei, che vengono portati i migranti senza documenti regolari, provenienti quasi tutti da paesi con situazioni umanitarie estremamente difficili, e i presunti trafficanti. "Saranno almeno 400mila i profughi arrivati in Germania l'anno scorso, non sappiamo più dove metterli".
Un flusso continuo. Il numero è esagerato - si parla infatti di 156mila richieste d'asilo nel 2014, che comunque è il dato più alto nell'Unione Europea - ma l'impressione del poliziotto con cui parliamo è quella di un flusso continuo. E così è. Nel 2014 decine di migliaia di rifugiati hanno attraversato il confine a sud di Rosenheim in treno, in pullman e su auto private. Basti pensare che nel corso dell'anno in Italia sono sbarcate 170mila persone e le domande di asilo sono state meno di 50mila: una fuga verso nord che, accanto alla Germania, ha come meta principale la Svezia. Ce lo conferma un attivista della rete Refugees Welcome Rosenheim, che preferisce restare anonimo dopo aver ricevuto minacce da gruppi di estrema destra della città: "nel 2014 gli arrivi hanno continuato a crescere e le strutture di prima accoglienza sono diventate insufficienti, tanto che nella primavera 2015 a Rosenheim saranno allestiti due nuovi centri, portando da 150 a 400 il numero di rifugiati ospitati".
Trafficanti, qui prendono solo i "pesci piccoli". E' sempre lui a spiegare che chi è fermato a Rosenheim, come la famiglia di Amina, e non è già stato foto-segnalato in altri paesi dell'Unione, non viene in ogni caso rimandato oltre frontiera. Viene però identificato, rendendo molto più difficile la permanenza in altri paesi europei, nonostante il regolamento di Dublino preveda clausole per mantenere l'unità familiare. A non essere rimandati indietro sono anche i sospetti trafficanti, che anzi, secondo l'articolo 96 del Residenz Akt federale, rischiano fino a 5 anni di carcere. Lo sa bene Cristiana Bianco, avvocata in uno studio legale di Monaco, secondo cui "quello del favoreggiamento dell'immigrazione irregolare è uno dei reati più in voga in questo momento in Baviera". Un reato che ha portato in carcere diversi italiani.
Da 500 a 1.000 euro a passeggero. "Si tratta nella gran parte dei casi di persone in crisi economica - spiega Bianco - attratte dalla possibilità di un guadagno facile ma ignare dei rischi. Sono avvicinati nei bar del nord Italia da agenti delle reti criminali e si impegnano spesso per un solo viaggio. Insomma sono l'ultima ruota del carro, mentre i trafficanti di professione sono pochi o rimangono alle spalle". Il guadagno è fra i 500 e i 1000 euro a passeggero per viaggi in auto o accompagnamenti in treno e la probabilità di essere intercettati è alta. Fonti del comando di polizia ci hanno parlato di 16 italiani oggi in carcere a Monaco, oltre ad alcuni stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. Numeri ufficiali sul 2014 non sono ancora disponibili, ma il Berliner Zeit parla di 9000 migranti fermati  -  erano 4000 nel 2013 - e di centinaia di sospetti trafficanti.   
La Sposa riesce a arrivare. Se alcuni migranti si rivolgono ai trafficanti, finendo ammassati nei doppi fondi dei pulmini o - in alcuni casi - in automobili noleggiate ad hoc, molti si auto-organizzano, comprando biglietti del treno, seguendo le indicazioni di connazionali già arrivati a destinazione. Spesso però, solidarietà e opportunismo si avvicinano pericolosamente, arrivando a confondersi. Ne sa qualcosa Omar, un giovane somalo che incontriamo nella stazione di Rosenheim. E' arrivato da poco dall'Italia, dove dice di essere rimasto sei mesi senza venire identificato. Molti connazionali gli avevano suggerito di prendere un pullman internazionale per raggiungere la Germania. Per acquistare il biglietto serve però un documento e "a Napoli - dice - per qualche centinaia di euro me ne avrebbero danno uno usa e getta. Giusto il tempo di farlo vedere alla rivendita, poi vai a buttarlo".
Vivere nell'incertezza. Lui però ha deciso di venire in treno e ora andrà a fare domanda di asilo a Monaco. Amina e la sua famiglia invece vengono rilasciati dopo una notte in una struttura provvisoria per migranti, e riusciranno a proseguire fino a Malmö. La Sposa - per parafrasare il recente film italiano - è arrivata a destinazione, ma fino alla valutazione dell'unità Dublino, che deciderà se rimarrà in Svezia o dovrà tornare in Germania, tutta la famiglia vivrà nell'incertezza. Nel frattempo, a Rosenheim continueranno i pattugliamenti di una delle squadre di polizia più famose in Germania, protagonista da 12 anni della serie tv Rosenheim Cops, e con questi i fermi di polizia e gli arresti dei piccoli trafficanti.
 


Turchia, viaggio nella nuova mecca dei trafficanti
Avvenire, 09-01-2015
Nello Scavo, inviato a Mérsin (Turchia)
Nella movimentata costa turca del Mediterraneo è bassa stagione. Eppure il modesto aeroporto di Adana non manca di passeggeri in arrivo. Non sono turisti. Lo si capisce dall’espressione mesta con cui gli adulti guardano i loro bambini. Sbarcano a gruppetti da voli provenienti dal Libano. Sono profughi siriani in cerca di una nave che faccia rotta verso l’unico continente senza guerre: l’Europa.
La regione di Adana, a un paio d’ore dal confine con la Siria, è la mecca dei profughi e l’Eldorado dei trafficanti di uomini. Migliaia di fuggiaschi rimasti incastrati a sud di Aleppo e Homs rinunciano ad attraversare il confine Nord, teatro di scontri e atrocità. Marciano verso il Paese dei Cedri e da lì, con i voli di linea, risalgono verso Adana, dove a meno di un’ora di treno raggiungono gli alberghi di Mérsin, il porto commerciale più importante della Turchia. Per un paio di settimane in una pensione si spendono non più di 270 lire turche, cento euro a camera. E di solito 15 giorni bastano per saltare su uno dei cargo strappati ai demolitori e rimesso in mare per l’ultimo viaggio. Da ottobre ne sono partiti 15, in media uno a settimana.
Le statistiche ufficiali dicono che nei 22 campi allestiti lungo il confine, nei quali affluiscono quanti vivevano nei villaggi delle province frontaliere, ci sono 221.500 profughi. Generalmente si tratta dei più poveri, che non hanno altra risorsa che sperare nella fine di una guerra già durata quattro anni. Gli altri, oltre un milione, hanno provato a trovare a proprie spese quattro mura affittate a buon mercato o stanno cercando il modo per lasciarsi alle spalle questa parte di Mediterraneo.
«Viviamo da sfollati, ma non ci è riconosciuto lo status di rifugiati», si lamenta Fareed, uno degli ultimi arrivati a Mérsin con la famiglia di una dozzina di persone. Secondo la legge turca, i siriani non sono tecnicamente dei rifugiati, ma 'ospiti' sotto protezione temporanea.
«In altre parole siamo tra due fuochi», insiste Fareed, che vicino Aleppo faceva l’infermiere e si illude di trovare facilmente lavoro in Europa. Nella città turca che guarda a un mare trafficato di bastimenti, il quarantenne siriano ha preso appena fuori dal porto due stanze senza riscaldamento. «Non ci staremo molto, siamo solo di passaggio – dice accendendosi in un lampo di speranza – ci aspettano i nostri cugini in Svezia ». Per lui restare in Turchia non ha senso. «Se non ci riconoscono come profughi di guerra vuol dire che da un giorno all’altro ci possono espellere», ributtandoli in pasto ai carnefici da cui scappavano.
«Ho quattro bambini, quale padre correrebbe questo rischio?». Ankara ammette che si tratta di persone che «per un lungo tempo a venire» non potranno tornare a casa, ha ribadito nei giorni scorsi il vice primo ministro Kurtulmus, invocando dalla comunità internazionale «politiche permanenti », ovvero un’azione diplomatica congiunta e cospicui fondi alla Turchia.
Intanto che si discute i contrabbandieri di vite hanno dalla loro una certezza: davanti a un mercantile stipato di esseri umani, lasciato senza governo e con il timone bloccato in direzione della costa, l’Europa non ha altra scelta morale che evitare le stragi. E i governi dell’Ue persistono nel credere «che in qualche modo le persone, che non hanno opzioni legali e nessun’altra speranza per la propria sopravvivenza, abbandoneranno così pericolosi tentativi di raggiungere il continente», ha scritto il New York Times.
Negli ultimi giorni le autorità turche stanno subendo la pressione di Bruxelles, che vorrebbe maggiori controlli sui siriani e soprattutto massima sorveglianza sui mercantili che salpano dai porti del Paese. Al momento da Ankara arrivano risposte interlocutorie. Nella regione, secondo le ong, ci sono almeno 1,5 milioni di rifugiati (su 75 milioni di abitanti) e in mancanza di un ponte umanitario verso il Vecchio continente, alla Turchia fa comodo che la pressione migratoria si alleggerisca da sé.
Qualche problema in più i trafficanti potrebbero averlo dall’annunciato giro di vite del Libano, che imporrà la richiesta di un visto ai profughi. Fino a pochi giorni fa dal Sud della Siria era possibile ripararsi dalle parti di Beirut senza dichiarare lo status di rifugiati, in questo modo i profughi che possono permetterselo raggiungono lo scalo libanese e da lì volano in Paesi con i quali esistono accordi di libera circolazione, come la Turchia, diventata nelle ultime settimane la principale centrale di smistamento degli immigrati irregolari verso l’Europa.
«La decisione – ha detto l’ambasciatore siriano a Beirut, Ali Abdul Karim Ali – contraddice gli accordi bilaterali, i quali prevedono che ogni cambiamento ai trattati debba essere discusso tra i due Paesi». I profughi oltre ad essere vittime sono diventati un’arma politica per destabilizzare l’intera regione. E una fonte di finanziamento per le mafie locali in combutta con le organizzazioni direttamente coinvolte nel conflitto.

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