Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Quanti minori sbarcati e dimenticati

Osservatorio Italia-razzismo
30 agosto 2012
Ai drammatici bollettini estivi sul moltiplicarsi degli incendi, o a quelli che indicano il numero di persone morte per via del caldo, o a quelli sulla congestione del traffico (anche se il costo elevato della benzina ci ha dato un taglio) perché non aggiungere il conto degli sbarchi di migranti sulle coste italiane?


In effetti le ultime settimane sono state movimentate e hanno registrato l’aumento di quanti hanno cercato, in condizioni di totale insicurezza, di raggiungere l’Italia. Ecco i dati: 100 persone, tra eritrei e somali, sono arrivati a Portopalo a bordo di un peschereccio, partito da Bengasi: ma all’imbarco erano quasi 300. 100 persone sono arrivate al porto di Leuca a bordo di un’imbarcazione di 25 metri. 12 sono quelle sbarcate, in due momenti diversi, nella zona di Trapani. 18 migranti sono stati messi in salvo dalla Guardia Costiera mentre si trovavano alla deriva nel Canale di Otranto. E ancora, nella sola giornata del 19 agosto, sono quasi 400 quelli che arrivano a Lampedusa.

Tra gli sbarcati sono numerosi i minori non accompagnati. Qui va ricordata la denuncia di Save the Children a proposito di 51 minori arrivati in Italia da soli e attualmente ospiti nel Centro di pronta accoglienza di Lampedusa, nonostante sia previsto il loro tempestivo trasferimento in un’apposita comunità. Le condizioni “precarie e inadeguate”, così sono state definite, in cui vivono attualmente quei minori, richiamano lo stato delle strutture di Lampedusa esattamente un anno fa,  quando scoppiò una rivolta. Il motivo era riconducibile da un lato all’abbandono e alla disperazione delle persone lì presenti e, dall’altro al fallimento del sistema di accoglienza lampedusano. Un apparato, quest’ultimo, affidato interamente alla spontaneità e alla filantropia degli abitanti dell’isola che, armati solo di buona volontà, hanno fatto ciò che potevano fare. A documentare tutto questo, numerosi Rapporti. E a illustrare efficacemente la precarietà dell’accoglienza anche dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, ecco il recentissimo Le strade dell’integrazione, curato dal Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir). Viene analizzato il livello di integrazione di quanti ottengono la protezione internazionale. L’esistenza e la gestione di servizi preposti a tale compito dipende anche dalla legislazione in materia di asilo e, in un paragrafo del Rapporto, ne viene fatta una ricostruzione precisa da cui emerge la mancanza di un “programma nazionale di integrazione”. Per questo motivo le persone rifugiate sono equiparate a quelle immigrate per motivi diversi dal timore fondato di perdere la vita. Una tale equivalenza però ha come effetto la sottovalutazione dello stato di vulnerabilità di chi è in una condizione di fuga. Viene giustamente  ricordato, infatti, che “in Europa una percentuale variabile tra il 20 e il 35% dei rifugiati è sopravvissuto a esperienze di tortura o violenza estrema”. Ecco perché, già dal momento della richiesta di asilo, ci sarebbe bisogno di strutture qualificate in cui la persona possa “elaborare l’accaduto e cominciare a immaginare di ricostruire la propria vita”.    

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