Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 febbraio 2011

QUATTRO BAMBINI ROM E UN SINDACO
Un’azione giudiziaria per il rogo di via Appia Nuova
Mercoledì 23 febbraio ore 15.00
Sala Stampa della Camera dei deputati via della Missione 4

Intervengono
Luigi Manconi  Presidente di A Buon Diritto
Alessandro Gamberini  Avvocato

Partecipano
Susi Fantino Presidente del IX Municipio, Sandro Medici Presidente del X Municipio,
Daniele Ozzimo Vicepresidente Commissione Politiche Sociali di Roma Capitale, Nazareno Guarnieri Presidente della Federazione Romanì,
Claudio Graziano Responsabile nazionale Arci per Rom e Sinti,
Silvio Di Francia Segreteria romana del Pd

E i parlamentari
Ileana Argentin, Rita Bernardini, Rosa Villecco Calipari, Gianni Cuperlo,
Guido Melis, Roberto Morassut, Andrea Sarubbi, Walter Tocci, Livia Turco, Luigi Zanda

I sig.ri giornalisti sono pregati di accreditarsi presso l’Ufficio stampa della Camera al n. 06.67602620



L'odisea burocratica di due veri marocchini scambiati per algerini
L'Unità, 22-02-2011
Giulia Di Giacinto

Algerini o marocchini? L.M. e J.Y. 31 e 33 anni, dall’agosto del 2010, vengono spostati in vari Centri d’identificazione ed espulsione d’Italia: Milano, Gorizia, Roma. Entrambi dichiarano, immediatamente, di essere marocchini. Ma nessuno, chissà perché, crede ai due e così i primi giorni di settembre vengono rimpatriati in un’altra nazione, l’Algeria. Le autorità consolari algerine inizialmente rivendicano la cittadinanza di quegli uomini, salvo, poi, ripensarci. Ma quanto è costato l’errore sulla loro nazionalità ai due cittadini marocchini? Molto. Raccontano di essere stati trattenuti per ben 100 giorni, da settembre a dicembre, in una stazione di polizia di Algeri. Sono stati rinchiusi in una piccola cella senza finestra, non avevano né un letto, né tantomeno un materasso, hanno avuto da mangiare esclusivamente pane e burro e, per lavarsi, avevano diritto solo a una doccia al mese. Nel frattempo, nessuno ha mai spiegato loro perché si trovassero lì e se c’erano delle imputazioni a loro carico per giustificare il trattenimento in cella. Ma la risposta, a ben vedere, era molto semplice: la polizia algerina aveva bisogno di ulteriore tempo per accertarsi dell’identità dei due uomini. Al termine di questa lunga e disumana verifica il responso è stato il seguente: i due avevano dichiarato il vero, non sono algerini. A questo punto, la macchinosa procedura riprende il suo corso. L’Algeria ormai non sa più che farsene dei due e tantomeno può mandarli in Marocco: il loro destino è quello di fare ritorno in Italia. E così il 13 dicembre vengono riportati al CIE di Ponte Galeria a Roma. Da quel momento, è ripresa la conta dei giorni, in attesa, ancora una volta, di essere “identificati ed espulsi”.



Incendio al campo rom, presentato ricorso alla Corte europea dei diritti
Cinque, 22-02-2011
L'Associazione Progetto Diritti onlus e i consiglieri di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio Luigi Nieri e Filiberto Zaratti chiedono la condanna per lo Stato italiano, con riferimento al comportamento tenuto dal Campidoglio
L'Associazione Progetto Diritti onlus, i consiglieri di Sinistra Ecologia Libertà nel Consiglio regionale del Lazio Luigi Nieri e Filiberto Zaratti, la responsabile regionale welfare di Sinistra Ecologia Libertà Ileana Piazzoni, presentano ricorso urgente alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo, con riferimento ai tragici fatti avvenuti nell'insediamento di Tor Fiscale a Roma, che hanno portato alla morte di 4 bambini, per chiedere che sia tutelato il diritto alla vita dei bambini e di tutti coloro i quali vivono in condizioni inumane all'interno dei campi irregolari di Roma.
Si tratta di una richiesta di condanna per lo Stato italiano, con riferimento al com-portamento tenuto dal Comune di Roma, per la mancata predisposizione di strumenti atti a impedire il verificarsi del tragico evento che ha avuto luogo nell'in¬sediamento rom di Tor Fiscale, per la violazione dell'art. 2 della Convenzione europea, che prevede la salvaguardia dei diritti dell'uomo e, nello specifico, la tutela del diritto alla vita. Con l'esposto - in reazione alla procedura prevista davanti alla Corte Europea - Luigi Nieri, Filiberto Zaratti, Ileana Piazzoni e Progetto Diritti, chiedono alla corte di adottare ogni pronuncia opportuna e urgente nei confronti dello Stato per evitare che nella città di Roma possano ripetersi simili episodi, e
Rinveniamo una responsabilità diretta delle autorità comunali nella morte di persone lasciate in condizioni tragiche nel totale abbandono
che quindi i cittadini di etnia rom possano essere soggetti al rischio imminente per la propria vita e per la propria incolumità. La richiesta è fondata sulla descrizione della situazione degli insediamenti dei cittadini rom contenuta in diversi rapporti ed anche sulla base dell'indagine conoscitiva della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica. «Ci rivolgiamo alla Corte europea per il trattamento incivile riservato dal Comune di Roma ai cittadini di etnia Rom. Rinveniamo, infatti, una responsabilità diretta delle autorità comunali nella morte di persone lasciate in condizioni tragiche nel totale abbandono - dichiara il Capogruppo di Sel nel Consiglio regionale del Lazio Luigi Nieri».



Emergenza rom ed ex Enotria: Il Comune Interviene
Il Messaggero, 222-02-2011
GIORGIO NARDINOCCHI
L'emergenza rom ad Aprilia si sta giocan¬do su più fronti. Ieri il sindaco Domenico D'Alessio ha tenuto un vertice tecnico in Comune su ex Enotria (occupata abusivamente da alcune famiglie senza fissa dimora) e nomadi in transito che da dieci giorni si spostano da un punto all'altro della città aggirando le ordinanze comunali. Sullo sfondo il clima di tensione in conseguenza dell'aggressione razzista dei giorni scorsi ad opera di un gang di minorenni che ha mandato all'ospedale un giovane rom. L'arresto dei responsabili da parte dei carabinieri ha fermato le possibili derive sociali, senza far venire meno la condanna verso la violenza di stampo razzista.
«Si tratta di fatti completamente diversi: noi condanniamo duramente l'atto di razzismo, ma la convivenza delle comunità deve avvenire nel rispetto delle leggi e nella sicurezza di tutti» spiega il sindaco al termine della riunione alla quale hanno partecipato il comandante della municipale Massimo Giannantonio e il dirigente dell'ufficio ambiente.
Sull'ex Enotria il Comune nell'agosto dell'anno scorso aveva ordinato al proprietario dell'immobile di pulire l'interno del capannone dove sono accumulati rifiuti d'ogni genere e di mettere in sicurezza lo stabile impedendo le continue occupazioni. L'ordinanza, ripetuta dopo 90 giorni, non è stata eseguita dal proprietario dello stabile che è un commissario liquidatore in quanto la proprietà vera è in fallimento. «A questo punto - dice D'Alessio -
dovremmo prenderci cura noi di effettuare la bonifica. Dovremo stanziare dei fondi e poi addebitarli all'ente liquidatore. Se non verremo rimborsati imporremo un'ipoteca sull'immobile per recuperare la spesa nel momento in cui verrà messo in vendita».
L'altro problema è la carovana di nomadi che da oltre dieci giorni si sta prendendo gioco delle ordinanze comunali che stabiliscono una certa durata di permanenza per le roulotte in viaggio. Prima si sono accampati in via Caligola. Poi si sono spostati in via Cattaneo, e quindi, nella zona industriale. Adesso pare si siano trasferiti definitivamente. Ma la vigilanza della municipale resta alta.

 

Maxi-tendopoli in Sicilia per gestire gli sbarchi Maroni appoggia la richiesta di Casini per un’ «unità di crisi» aperta all’opposizione 3

Corriere della Sera, 22-01-2011
Fiorenza Sarzanini
ROMA — Il piano di emergenza che in queste ore viene messo a punto al Viminale è quello che prevede lo scenario peggiore. Perché in Libia vivono da tempo oltre un milione di clandestini provenienti da altri Paesi della regione e il crollo del regime di Gheddafi potrebbe spingere molti di loro a mettersi in viaggio verso l’Europa e dunque sulla rotta che passa per l’Italia. Il clima di tensione che si respira nel nostro Paese trova conferma quando la Difesa decide di alzare il livello di allerta nelle basi dell’aeronautica, mentre l’Interno coordina gli interventi di sicurezza in collegamento con l’Unione Europea. Ma la trova soprattutto nella decisione del ministro dell’Interno Roberto Maroni di appoggiare la richiesta del leader Udc Pierferdinando Casini per la creazione di una «unità di crisi» aperta ai partiti dell’opposizione. I due ne avrebbero parlato in colloquio telefonico e stasera la questione sarà affrontata nella riunione convocata a palazzo Chigi. Schierati aerei e flotta navale Il sistema di controllo sulla costa libica è già saltato, il contingente della Guardia di Finanza che fino a qualche giorno fa pattugliava porti e spiagge insieme ai poliziotti locali è stato trasferito presso l’ambasciata italiana a Tripoli. Gli ufficiali di collegamento che sono ancora operativi hanno comunicato di non avere più interlocutori con i quali trattare. Vuol dire che non c’è più alcuna vigilanza e dunque bisogna riorganizzare il sistema di sorveglianza con i mezzi navali e con gli aerei. Perché le notizie arrivate ieri in serata— sia pur non controllate — parlavano di decine di barconi pronti a salpare appena le condizioni del mare lo consentiranno. Non a caso si è deciso di mobilitare la nave Marina Elettra dotata di un particolare sistema radar e di controllo tecnologico che consente l’intercettazione delle comunicazioni. Fino a ieri sera era nel porto di La Spezia, ma nelle intenzioni dei vertici militari c’è quella di farla salpare con a bordo le unità speciali di contrasto all’immigrazione clandestina, in grado di fronteggiare l’arrivo dei pescherecci e dei barconi carichi di migranti. Il finanziamento da 100 milioni di euro Era stato proprio Maroni — di fronte al precipitare della situazione in Libia — a sollecitare Silvio Berlusconi a convocare con urgenza un vertice interministeriale. In primo piano c’è l’emergenza immigrazione, ma ci sono anche le ripercussioni di questa crisi sull’economia italiana. «Rischiamo di fare la fine di Costantinopoli» , ha sottolineato il titolare dell’Interno illustrando al presidente del Consiglio i pericoli provenienti dalle rivolte che infiammano l’intero Maghreb. E non celando i propri timori per il fermento di quell’area islamista che, secondo numerosi esperti, si muove per fomentare e per cercare di orientare i movimenti popolari. Sabato scorso, mentre in Cirenaica esplodevano le proteste, il prefetto Rodolfo Ronconi, responsabile del Dipartimento Immigrazione del Viminale, ha presieduto la riunione con i responsabili degli Affari Internazionali della commissione europea per mettere a punto il piano di intervento in mare. L’Italia ha già schierato i mezzi navali della Marina, della Finanza e della Guardia Costiera e quelli aerei per la sorveglianza dall’alto. Ora scatta la missione Frontex, ma anche questo potrebbe non bastare tenendo conto che la Tunisia e l’Egitto non sono affatto pacificate e pure il Marocco appare in fermento. L’Italia ha chiesto alla Ue un finanziamento da 100 milioni e domani Maroni rinnoverà questa esigenza nell’incontro a cinque che precede la riunione dei ministri dell’Interno dei 25 Stati membri dell’Unione prevista giovedì a Bruxelles. Caserme e tendopoli per migliaia di posti Il vertice di domani al Viminale coinvolgerà Francia, Grecia, Cipro e Malta, direttamente coinvolti insieme alla Spagna nella nuova ondata migratoria che arriva dall’Africa. Maroni comunicherà quanto è già stato deciso di fare in Italia per essere pronti a gestire le migliaia di extracomunitari che potrebbero arrivare nei prossimi giorni e quelli che sono già approdati dopo essere partiti dalla Tunisia. Al momento viene confermata la scelta di farli rimanere in Sicilia: la Protezione Civile ha trasferito il materiale per allestire tendopoli in varie aree e così «sfollare» il centro di accoglienza di Lampedusa e soprattutto l’intera isola ormai occupata da migliaia di migranti. I Cie e le altre strutture italiane hanno una capienza complessiva di oltre 6.000 persone, ma si punta ad avere almeno altrettanti posti e dunque si devono individuare le aree dove creare i villaggi. Una soluzione estrema che però non viene affatto esclusa, tenendo conto della gravità delle informazioni che arrivano dalla Libia e più in generale dal Nordafrica. Chi chiede asilo dovrebbe invece essere alloggiato nel Villaggio degli Aranci a Mineo, in provincia di Catania, anche se il Cir, Consiglio Italiano per i Rifugiati, ha chiesto ieri al ministro di valutare un’ipotesi alternativa nel timore che «in una struttura così grande si perda il controllo della situazione» . La scelta definitiva dovrebbe essere fatta oggi, inserita in un progetto complessivo che si muove seguendo le regole previste dallo stato di emergenza umanitaria decretato nei giorni scorsi. Un piano da sottoporre all’Unione Europea dove Maroni ribadirà che l’Italia non è in grado di fronteggiare da sola «una situazione che rischia di trasformarsi in un a catastrofe per tutto il nostro continente» .



Immigrazione, l'Europa è "preoccupata" oggi vertice di governo a Palazzo Chigi
la Repubblica, 22-02-2011
Vladimiro Polchi
ROMA — La grande paura è il crollo della diga libica: «Se salta il tappo, l'onda rischia di allagare le nostre coste». I tecnici del Viminale non nascondono la preoccupazione: quanti  immigrati potrebbero passare da una breccia in Libia? «Almeno 40mila, come nel 2008». E la situazione «preoccupa» anche la Commissione europea, che è «pronta a mettere a disposizione altri mezzi». Sulla crisi libica — e sugli sbarchi dalla Tunisia che sono ripresi nella giornata di ieri - si tiene oggi un vertice a palazzo Chigi, chiesto dal ministro dell'Interno in vista della riunione di giovedì del Consiglio europeo Giustizia e Affari interni.
A preoccupare è soprattutto la tenuta del trattato Italia-Libia, che impegna ì due Paesi a collaborare nella «prevenzione dell'immigrazione clandestina». Il trattato ha chiuso temporaneamente una falla, ma ne ha aperte altre: Laurent Jolles, delegato per l'Europa del Sud dell'Unhcr, fa notare che «i flussi si sono spostati dalla Sicilia, che nel 2010 ha registrato un calo del 84,7% degli sbarchi, verso Calabria e Puglia, con aumenti rispettivamente del 174% e del 467%». Un invito alla cautela arriva però da Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati: «In Libia ci sono oltre 20 centri di detenzione e non sappiamo quanti siano i migranti oggi trattenuti, ma una cosa è certa: i libici hanno tutto l'interesse a ingigantire l'allarme sbarchi».



Immigrati/ Crisi Maghreb, a Roma vertice Berlusconi-Maroni
In vista della riunione del Consiglio Ue Giustizia affari interni
Roma, 22 feb. (TMNews) - Vertice nel pomeriggio di oggi a Roma a palazzo Chigi con il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Interno Roberto Maroni per l'allarme immigrazione verso l'Italia, dovuto alla crisi in Libia e nei paesi del Maghreb.
L'incontro è stato chiesto da Maroni in vista della riunione sul tema del Consiglio europeo Giustizia affari interni (GAI), in programma giovedì prossimo. Al vertice di Roma parteciperanno anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, i ministri Maroni, Frattini, la Russa e Romani.
"L'Italia è il primo paese destinatario di potenziali enormi flussi migratori, di un flusso di dimensioni epocali, in caso di caos, catastrofi e violenze" nei paesi del Nordafrica" ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, alla fine del Consiglio Esteri dell'Ue, ierii a Bruxelles.
In Libia, ad esempio, ha sottolineato il ministro, "ci sono 2 milioni di persone non libiche che non avrebbero alcuna ragione di restare là se non per il lavoro". Un Consiglio Ue specifico sulla questione è previsto per giovedì e venerdì.
Roma, 22 feb. (TMNews) - Vertice nel pomeriggio di oggi a Roma a palazzo Chigi con il premier Silvio Berlusconi e il ministro dell'Interno Roberto Maroni per l'allarme immigrazione verso l'Italia, dovuto alla crisi in Libia e nei paesi del Maghreb.
L'incontro è stato chiesto da Maroni in vista della riunione sul tema del Consiglio europeo Giustizia affari interni (GAI), in programma giovedì prossimo. Al vertice di Roma parteciperanno anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, i ministri Maroni, Frattini, la Russa e Romani.
"L'Italia è il primo paese destinatario di potenziali enormi flussi migratori, di un flusso di dimensioni epocali, in caso di caos, catastrofi e violenze" nei paesi del Nordafrica" ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini, alla fine del Consiglio Esteri dell'Ue, ierii a Bruxelles.
In Libia, ad esempio, ha sottolineato il ministro, "ci sono 2 milioni di persone non libiche che non avrebbero alcuna ragione di restare là se non per il lavoro". Un Consiglio Ue specifico sulla questione è previsto per giovedì e venerdì.

 

IMMIGRAZIONE • Salta il trattato di amicizia, l'Italia teme il flusso di migranti
Cade la frontiera
il manifesto
Cinzia Gubbini
ROMA -Gli occhi ora sono puntati sulla Libia. Dalle coste di Lampedusa, ma anche dai palazzi della politica. Ormai è chiaro che l'emergenza sbarchi dalla Tunisia è stato un gioco demagogico del governo in crisi: la situazione sull'isola siciliana è stata complessa (soprattutto a causa della decisione del ministro Maroni di non rendere immediatamente operativo il centro di permanenza) ma i numeri non sono stati da emergenza. Meno di tremila persone compreso l'ultimo sbarco di ieri sera, quando sul molo sono arrivati 59 migranti tunisini tra cui una donna incinta. Con lo scoppio della rivolta in Libia, però, le cose sono cambiate. La situazione potrebbe complicarsi, sia dal punto di vista dei numeri che delle procedure. Quest'ultimo profilo è di certo il più interessante e inedito. Lo ha messo in evidenza ieri pomeriggio un fatto clamoroso: due ufficiali dell'aeronautica libici hanno disertato dopo aver ricevuto l'ordine di sparare sui manifestanti a Bengasi, e hanno diretto i loro Mirage sull'isola di Malta. Una volta arrivati hanno spiegato di non aver scelto l'Italia per timore che, in base all'accordo italo-libico, sarebbero stati rimpatriati. Il problema è proprio questo: l'Italia continua a giocare, anche in seno all'Unione europea, il ruolo dell'alleato con la Libia. Il ministro degli esteri Frattini e Berlusconi hanno condannato le violenze ma hanno preso le distanze dalle richieste di cacciata del colonnello Gheddafi: «Non siamo noi a dire chi deve andare e chi deve restare», ha detto Frattini.
Per l'Italia, dunque, resta in piedi il trattato con la Libia e l'amicizia con il Colonnello. Cosa succederà quando sbarcherà sulle coste italiane il primo richiedente asilo libico? «Ovviamente il diritto d'asilo è un diritto personale -spiega la portavoce dell'Agenzia delle nazioni unite per i rifugiati, Laura Boldrini - su tutto il resto bisogna chiedere al ministro degli esteri italiano, non a me. Noi, di certo, abbiamo messo in luce tutte le criticità di quel trattato».
L'altra questione riguarda, ovviamente, i numeri. E' stato ancora Frattini a lanciare l'emergenza: «Potrebbero arrivare centinaia di migliaia di immigrati,  l'Italia non può certo restare sola». In realtà, anche in questo caso, chi ha seguito in questi anni da vicino le vicende libiche invita alla cautela: «Deve essere chiaro che non si sa quanti siano gli stranieri in terra libica, e di certo non accadrà che da un momento all'altro si riverseranno migliaia di migranti africani in Italia», puntualizza Cristopher Hein direttore del Consiglio italiano per i rifugiati che da qualche anno ha in piedi un progetto in Libia. «Nei centri di permanenza libici, di cui peraltro non conosciamo le sorti, ci sono al massimo 4 mila persone. E in quanto al numero di stranieri presenti nelle città, non è dato sapere. In questi anni sono stati sparati numeri non verificati, dal famoso milione e mezzo di persone fino ad arrivare a quanto dichiarato poco tempo fa dal ministro dell'Interno libico: 3 milioni e mezzo. Un numero difficile da credere, visto che l'intera popolazione libica arriva a 6 milioni di persone». Insomma, la propaganda è stata talmente roboante in questi anni da impedire, al momento, di avere contezza dei fatti. Ma è ancora l'Acnur a mettere in luce un altro elemento di criticità: «Siamo molto preoccupati per il destino degli stranieri che vivono in Libia - dice Boldrini - da una parte, anche nel discorso del figlio di Gheddafi, è stata adombrata l'idea che a fomentare la rivolta siano stati "stranieri", non meglio identificati. Dall'altra il regime si serve anche di mercenari stranieri. Insomma, da qualunque
parte si guardi la questione, oggi non è un bel momento per chi vive in Libia ed è di origine straniera. Ma si tratta spesso di categorie vulnerabili: il nostro ufficio ha registrato 8 mila rifugiati e 3 mila richiedenti asilo, in genere provenienti dal Corno d'Africa. Potrebbero essere in pericolo».
Intanto l'allarme è, genericamente, per la paura di un'ondata di nuovi sbarchi sull'isola di Lampedusa, anche se nessuno può prevedere se e quando avverrà. Stamattina è previsto un vertice a Palazzo Chigi per «fare fronte al-l'emergenza». Le associazioni intanto bocciano in coro la decisione di concentrare tutti gli sbarcati nel mega villaggio di Mineo, contraddicendo così il modello rodato in questi anni, che prevede invece la distribuzione in vari centri di piccoli numeri di persone. « La soluzione deve essere un'accoglienza diffusa e per piccoli gruppi e non un mega ghetto costoso - ha dichiarato Filippo Miraglia dell'Arci - che aiuterebbe soltanto un imprenditore privato a recuperare il buco di un affare andato male, in contrasto con quanto prevede peraltro la legge se, come dichiarato dal ministro Maroni, l'intenzione è quella di svuotare i grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e trasferire tutti i rifugiati nel villaggio vicino Catania



L'amicizia pericolosa del premier "A traffico di esseri umani è protetto da Tripoli e Gheddafi"
la Repubblica, 22-02-2011
ALBERTO D'ARGENIO
ROMA—È Silvio Berlusconi a volere l'accordo di amicizia italo-libico. È lui a spazzare dal ta¬volo tutti i dubbi che avevano bloccato la diplomazia italiana e il governo Prodi dallo scendere a patti con Muhammar Gheddafi. Costi quel che costi, la normalizzazione dei rappor¬ti con Tripoli e l'amicizia con il dittatore libico deve diventare uno dei vanti della politica internazionale del Cavaliere. Il quadro emerge dai catto classificati ottenuti da WikiLeaks e in possesso de L'espresso che Repubblica anticipa. Leggendoli si colgono le perplessità degli Usa sull'operato del governo Berlusconi. Che dal suo ritorno a Palazzo Chigi nel 2008 incontra il dittatore libico otto volte. Gheddafi - è il convincimento della diplomazia a stelle e strisce - è ben contento di essere "sdoganato" dal premier italiano nel vano tentativo di entrare nel salotto buono della politica europea.
Che il Colonnello sia un leader con il quale fare i conti in Europa lo sanno tutti. Da presidente della Commissione Ue Prodi lo riceve a Bruxelles. Da premier negozia l'accordo di partnership tra Italia e Libia, ma ne blocca la firma. Troppo esose le richieste di Gheddafi, sproporzionate da un punto di vista economico e politico. Troppo scarse le garanzie sul rispetto dei diritti umani per gli immigrati. Poi, nella primavera del 2008, al governo torna Berlusconi che dopo pochissimi mesi vola a Bengasi per firmare lo storico "Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione" che mette fine ai dissidi sui danni coloniali italiani. Eppure solo pochi mesi prima il nostro ambasciatore a Tripoli, Francesco Trupiano spiegava agli americani gli ostacoli e i dubbi stilla trattativa. Il cablo "confidenziale" diretto al Dipartimento di Stato di Washington è del 7 novembre 2007. L'ambasciatore Usa a Tripoli fa un resoconto dell'incontro con il collega italiano. Che senza mezzi termini definisce il Colonnello e la leader sphip di Tripoli interlocutori «dalla mentalità corsara». Con loro, aggiunge, non sarà facile chiudere in tempi brevi alcun accordo. «Non hanno una reale visione strategica, fanno un danno a loro stessi insistendo su legami tattici tra concessioni e compensazioni». Insomma, i libici trattano come al Suk, non ascoltano le richieste italiane e continuano ad alzare il prezzo. Soprattutto «insistono sul fatto che gli è dovuta un'autostrada che l'expremier Silvio Ber-lusconi ha offerto di finanziare durante una visita a Tripoli del 2004». La famosa autostrada da 5 miliardi che pochi mesi dopo Berlusconi regalerà a Gheddafi (salvo poi trovarsi in difficoltà a reperire i fondi per la sua costruzione). Così il 30 agosto 2008 l'accordo viene firmato a Bengasi. Pochi giorni dopo Trupiano ne spiega i contenuti all'ambasciata americana. In un file classificato rivolto al Dipartimento di Stato i diplomatici Usa descrivono con costernazione la cerimonia con Berlusconi alla presenza dai discendenti delle vittime del colonialismo e commentano: «Il governo libico era ansioso di concludere quest'anno lo storico trattato con l'Italia all'interno della recente apertura all'Europa».
Anche dopo l'entrata in vigore dell'accordo i libici restano un partner "corsaro". In un cablo del 17 febbraio 2009 l'ambasciatore Usa, Gene A. Cretz, racconta la «frustrazione» del collega italiano di fronte ai libici che continuano a non collaborare sull'immigrazione. Per Trupiano «non è plausibile» che decine di migliaia di immigrati passino per la Libia «senza almeno il tacito consenso del governo», se non della sua «complicità» nel traffico di essere umani, armi e passaggio di terroristi. Ma il governo Berlusconi continua a trattare Gheddafi da amico.
L'accordo viene finalmente ratificato e nel maggio 2009 la Libia inizia a cooperare. Per la prima volta riprende 500 immigrati respinti dalle nostre motovedette. Cretz racconta che la Libia «non ha voluto prendere a bordo delle sue navi gli immigrati. In un caso ha chiesto all'Eni, che opera in una piattaforma offshore, di rimorchiare un vascello africano alla costa. In un altro ha permesso a una nave italiana di ri-portareimigrantiaterra.UnavoltagiuntiaTripoli, secondo l'ambasciata italiana, i migranti saranno processati e mandati in un centro di detenzione». Le preoccupazioni americane sono per il loro trattamento (alcuni, scrivono, potrebbero ottenere l'asilo). Tema che invece non sembra interessare il nostro governo. Cretz scrive che per le organizzazioni umanitarie i centri di detenzione sono passati da «poverie affollati ad accettabili», ma con l'arrivo di nuovi immigrati  «le condizioni probabilmente peggioreranno». E conclude allarmato: «Il governo libico tiene famiglie e gruppi nazionali insieme per facilitare le deportazioni di massa su voli charter verso l'Africa occidentale».
Ma i problemi che l'Italia incontra con i libici, mentre Berlusconi riceve Gheddafi a Roma, riguardano anche la sicurezza. Una fonte italiana informa i diplomatici Usa a Tripoli che il Colonnello sta «deliberatamente ritardando» la distruzione delle armi chimiche prevista dalla firma della convenzione internazionale Cwc. Un'informazione tanto allarmante da spingere l'ambasciatore Cretz a chiedere a Washington di intervenire. Intanto gli affari con l'Italia continuano.



Libia, ancora bombe sulla folla Frattini: rischio marea immigrati
Avvenire, 22-02-2011
Ore 12.10 - Frattini: preoccupati per rischio guerra civile e marea immigrati
"Siamo molto preoccupati per il rischio di una guerra civile e per i rischi di un'immigrazione
verso l'Unione Europea di dimensioni epocali". Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini durante una conferenza stampa al Cairo seguita all'incontro con il segretario generale della Lega Araba Amr Mussa, durato circa 45 minuti.
Ore 11 - Aeroporto distrutto, C130 per italiani non atterrerà a Bengasi
"Non arriverà a Bengasi, dove l'aeroporto è stato bombardato, ma in un altro scalo della Libia" il C130 dell'Aeronautica Militare che dovrebbe rimpatriare oggi un centinaio di italiani. Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, sottolineando che "per motivi di sicurezza" non rende noto il luogo dove il velivolo militare atterrerà. La Russa ha anche detto che sarà il cacciatorpediniere lanciamissili Francesco Mimbelli a salpare dall'Italia per fare "da piattaforma per il controllo aereo nel sud del Mediterraneo". La Mimbelli è una unità multi-ruolo con un equipaggio di circa 400 persone.
Ore 10.30 - L'Onu chiede inchiesta indipendente
L'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay ha chiesto oggi una "inchiesta internazionale indipendente" sulle violenze in Libia ed ha chiesto lo stop immediato delle gravi violazioni dei diritti dell'uomo compiuti dalle autorità libiche".
Ore 10.10 - Da Nalut: taglieremo il gas all'Italia
In un messaggio postato su Facebook dal sito di opposizione libica "17 febbraio" gli abitanti della regione occidentale della Libia, dalla città di Nalut fino a Gherban, hanno minacciato di tagliare le forniture di gas all'Italia e all'Ue. "Dopo il silenzio che avete osservato sui massacro perpetrato da Gheddafi, abbiamo deciso di tagliare il gas libico che parte dal campo di Al Wafa e che passa per la nostra regione verso l'Italia e il nord dell'Europa attraverso il Mediterraneo", si legge nel messaggio.
Ore 9.50 - Testimoni: nuovi attacchi aerei sulla folla
Residenti a Tripoli citati dalla tv Al Jazira sul suo sito riferiscono di nuovi attacchi aerei questa mattina su alcuni quartieri di Tripoli. Secondo le fonti "mercenari" sparano sui civili in città.
Ore 8.30 - L'Egitto apre un valico per i feriti
Le autorità egiziane rafforzeranno il controllo della frontiera con la Libia con guardie di frontiera ed apriranno il passaggio di Salloum per consentire l'ingresso in Egitto di persone malate e ferite. Lo ha detto una fonte militare.
Ore 7.30 - C13 pronto a partire per recuperare gli italiani
Un aereo C130 dell'Aeronautica Militare "è pronto a partire dall'Italia per rimpatriare un centinaio di connazionali che si trovano a Bengasi". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, parlando con i giornalisti ad Abu Dhabi, dove si trova in visita ufficiale.
L'APPARIZIONE DI GHEDDAFI - Muammar Gheddafi ha fatto un'apparizione lampo - appena 22 secondi - la notte scorsa sulla tv libica, la prima a una settimana dallo scoppio della rivolta contro il suo regime, per annunciare di trovarsi a Tripoli e non in Venezuela, e confutare quelle che ha definito "malevole insinuazioni" dei media occidentali. La brevissima - appena 22 secondi - apparizione di Gheddafi 'in diretta' alla tv libica aveva lo scopo di smentire le voci diffusesi ieri secondo cui egli aveva già lasciato la Libia per trovare rifugio in Venezuela. "Vado ad incontrare i giovani nella piazza Verde. E' giusto che vada per dimostrare che sono a Tripoli e non in Venezuela: non credete a quelle televisioni che dipendono da cani randagi", ha detto il colonnello facendo riferimento alle informazioni diffuse ieri da numerose tv e media internazionali sulla sua presunta fuga da Hugo Chavez. La immagini diffuse dalla tv libica mostravano il colonnello Gheddafi con un mantello e un ombrello in mano mentre saliva a bordo di un fuoristrada nella sua residenza-caserma di Bab Al Azizia. Con una scritta in sovrimpressione, la tv libica ha spiegato che "in un incontro in diretta con la rete tv satellitare Al Jamahiriya, il fratello leader della rivoluzione ha smentito le insinuazioni dei network malevoli".
Continua la violenta repressione di Tripoli - Bombardata la folla in piazza, oltre 250 i morti solo ieri. Secondo un messaggio inviato via Twitter alla Bbc, elicotteri Apache hanno attaccato civili che marciavano da Misurata, terza citta' della Libia, verso la capitale. Seif al-Islam, uno dei figli di Gheddafi, ha ordinato una commissione d'inchiesta sulle violenze, capeggiata da un giudice libico e con partecipazioni libiche e straniere per i diritti umani.



"Scenario imprevedibile Dobbiamo essere pronti"
La Stampa, 22-02-2011
Intervista
FRANCESCA PACI
ROMA -Non ci facciamo cogliere impreparati» ripete Laura Boldrini, portavoce in Italia dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). La crisi libica mette sotto forte pressione le frontiere meridionali dell'Europa, in particolare quelle italiane. Che effetti potrebbe avere il crollo della Libia sui flussi migratori? «Non sono in grado di fare previsioni, al momento le informazioni che arrivano dalla Libia sono confuse. C'è un pesante uso della forza, la situazione è in divenire. Non sappiamo se la protesta verrà recepita o repressa, tutto dipende dalla reazione del potere. Cedere subito all'allarmismo sarebbe sbagliato ma di certo è importante essere pronti con gli aiuti a fronteggiare un eventuale flusso».
Cosa dovremmo aspettarci? «Non so immaginare che tipo di politica migratoria avrà domani Tripoli verso l'Europa. Per ora il flusso è con¬tenuto. Cinquemila tunisini sbarcati a metà gennaio non è un numero drammatico. Se non fossero arrivati tutti insieme in pochi giorni e proprio mentre il centro di Lampedusa era chiuso non si sarebbe diffuso il panico. Prima dell'Accordo di Amicizia tra Italia e Libia Lampedusa gestiva già cifre importanti. I 26 mila migranti del 2008 approdarono in gran parte lì. La situazione non è grave ma i tunisini potrebbero essere un'avvisaglia, è giusto essere pronti».
Che tipo di migrazione vedremmo dallo sfaldamento della Libia?
«In passato non ci sono mai stati migranti di nazionalità libica, sebbene partissero da lì. Ora invece è possibile che arrivino. I flussi sono anche effetti collaterali di processi provenienti dal basso a seguito dei quali le fughe sono fisiologiche. Se le proteste venissero ascoltate ci sarebbero dei cambiamenti e i libici potrebbero aver interesse a restare in patria. Ma se il potere non dovesse cedere è ipotizzabile che i ragazzi protagonisti della rivolta cerchino la fuga».
Vuol dire che potrebbero chiedere asilo politico in Italia?
«Bisognerà vedere. Se il regime tenesse dovremmo aspettarci la fuga degli oppositori, se cadesse a scappare potrebbero essere gli altri. L'immigrazione tunisina ha motivazioni economiche ed è possibile che quella libica ne avrebbe di diverse. Lo scenario che si profila è nuovo, insisto: non facciamoci cogliere impreparati».
Gheddafi ha minacciato di far invadere l'Europa dai migranti. Cosa può fare l'Italia e cosa Bruxelles? «L'Italia ha già dato prova d'essere pronta a gestire flussi migratori importanti. Negli anni '90 decine di migliaia di albanesi sbarcarono da noi al crollo del regime. E nel '99 arrivarono sulle coste pugliesi 35 mila kosovari. Non so valutare le minacce di Gheddafi. Posso dire però che il flusso tunisino ha già una componente europea. I migranti tunisini sono giovani, hanno motivazioni economiche, dicono di voler esercitare il loro diritto alla libertà, non credono al cambiamento politico del paese e temono che la fuga del turismo aggravi la povertà. La maggior parte guarda alla Francia, all'Olanda, non all'Italia. Credo che con questa crisi l'Europa abbia una una chance di mettere in atto un maggior coordinamento, compresa la condivisione degli oneri nel caso si verificassero le peggiori previsioni e arrivassero decine di migliaia di persone».



BRUNO TABACCI
«Ecco perché la Libia fa tremare anche noi»
il Riformista, 22-02-2011
TONIA MASTROBUONI
L'Unione europea "non deve interferire" con le rivoluzioni che stanno rovesciando i regimi sulle sponde del Mediterraneo. Di più: "non ha mai detto chi se ne deve andare e chi deve restare: non l'ha fatto con Mubarak e non lo farà ora, in uno spirito rispettoso delle autonomie nazionali". L'agenzia che riporta le dichiarazioni del ministro degli Affari esteri Franco Frattini sulle rivolte in Libia è appena stata battuta che Bruno Tabacci già parla di uno «scandalo». Raggiunto telefonicamente dal Riformista il deputato dell'Api esprime il suo disappunto per la «posizione isolata» dell'Italia rispetto al resto d'Europa. Dopo giorni di bombardamenti con i razzi contro le proteste a Tripoli e nel re¬sto del paese e mentre giungono confuse notizie addirittura su raid dell'aviazione sui manifestanti, Tabacci chiede un «sussulto» al governo ma non si fa illusioni. «Il quindicennio berlusconiano è stato un tale disastro, dal punto di vista delle relazioni con paesi retti da personalità dubbie, che c'è poco da meravigliarsi dell'attuale impasse».
Sulle agenzie scorrono anche, nelle ore convulse in cui si comincia a parlare di colpo di Stato militare per spodestare Gheddafi, le notizie sul tonfo in borsa delle società che in questi anni hanno stretto rapporti con la Libia. Precipitano sui listini di Piazza Affari l'Eni, Impregilo e Ansaldo, ma anche Unicredit. E il ricordo va alle estati difficili del 2009 e del 2010 di Unciredit, quando i libici aumentarono la quota nella banca guidata allora da Alessandro Profumo e furono salutati come salvatori della banca più grande e, dunque, della patria. «Per quello- ridacchia Tabacci, tra i massimi esperti del sistema finanziario italiano - dobbiamo ringraziare Cesare Geronzi che li portò "in dote" da Capitalia». E per il capitalismo asfittico italiano, avvezzo ai patti di sindacato e abituato a decidere nelle cerchie ristrette anche i destini delle società più grandi, «i li-bici erano un partner ideale: portavano i soldi ma senza avere pretese». Forse non li esprimeva agli azionisti della banca di piazza Cordusio, ma certamente, come ricorda anche il parlamentare di lungo corso, Gheddafi aveva invece pretese di moneta sonante che espresse senza tanti giri di parole al Governo: «Quando è venuto qui per l'ultima sceneggiata mi pare che abbia chiesto cinque miliardi di euro all'anno per fare lo sceriffo alle frontiere. Il risultato è stato che ai confini della Libia sono apparsi quei campi di concentramento che
abbiamo elegantemente definito "controlli alla frontiera"».
Oltretutto, a proposito dell'«ansia» sulle ondate di immigrati su cui l'allarme è invece fortissimo, tra i ministri italiani. Tabacci fa notare che « è
ineludibile questa spinta dell'Africa verso l'Italia e l'Europa. Ma è anche un travaso sano, se guardiamo agli sviluppi demografici dei prossimi anni. Noi europei stiamo invecchiando inesorabilmente, mentre quelli sono popoli giovani che portano anche energie nel "Vecchio continente"». I rapporti con Gheddafi, per il deputato dell'Api sono «una spia del problema ormai drammatico dei rapporti del Paese - che si sono molto intensificati da quando governo Berlusconi - con personalità che hanno impoverito i loro popoli per accumulare ricchezze. E non mi riferisco solo al rais, ma anche a Putin. Sono loro gli interlocutori privilegiati del quindicennio berlusconiano. In cambio cosa abbiamo ottenuto?»
Forse una delle notizie più inquietanti riguardava ieri le tensioni an che sui titoli di debito pubblico: il rendimento del Btp decennale è balzato oltre il 4,80% e lo spread rispetto al bund decennale tedesco è schizzato a 160 punti. «Ecco il risultato dei nostri affari con gli "amici" dittatori: quando cadono, se ci sono interessi così giganteschi in ballo, trema tutto il sistema». In più, osserva l'ex deputato Udc, «questi rapporti ci hanno creato negli ultimi anni anche problemi con partner strategici e storici come gli Stati Uniti». Insomma, conclude, «è triste assistere ancora una volta a questo spettacolo indegno di un Governo che non si riesce ad allineare neanche ai partner europei. D'altra parte Berlusconi è quello che disse che la Georgia aveva invaso la Russia...».



Il coraggio di guardare al futuro
il Sole 24 ore, 22-02-2011
Ugo Tramballi

C irenaica libera!», dice  per telefono da Doha  un amico che lavora al palazzo dell'emiro del Qatar. Il to¬o è gioioso. Gli arabi incomincia¬no a pensare a un Medio Oriente senza il detestato Gheddafi e a loro - re, monarchi, ministri e soprattutto la gente comune - la cosa sembra eccitante. A noi non troppo. In questi giorni siamo in una condizione permanente da stato d'emergenza: per gli "emirati islamici" che certamente prenderanno il po-sto del governo centrale di Tripoli; per l'imminente massa d'immigrati Biche sbarcheranno sulle nostre coste; per l'energia che non arriverà più dalla Libia; per gli investimenti finanziari libici in ltalia e quelli delle nostre imprese in Libia che corrono qualche rischio con chiaro danno per la nostra economia.
È un pessimismo comprensibile perché può accadere: oggi, in questo momento e forse per un bel po', chi potrebbe scommettere sulla stabilità della Libia senza il suo dittatore? Nonostante Mubarak, in Egitto c'era una società civile, con intellettuali, partiti, soprattutto un esercito. A Tripoli Gheddafi ha sempre governato imponendo un culto della personalità alla nordco-reana. Una parte del sistema egiziano era riformabile, il regime libico no: c'è il colonnello o le déluge.
Tuttavia, perché non provare ad essere un po' ottimisti come gli arabi, sia pure senza il loro entusiasmo? Essere ottimisti in questo caso significa guardare al futuro, non a ciò che oggi è la Libia ma a quello che sarà domani. Il paese è una specie di laboratorio possibile: l'Italia non ha molte multinazionali ma quelle che abbiamo sono praticamente tutte laggiù, in un paese dalle immense risorse e poco abitato. Alla lunga non è difficile ricostruire la stabilità necessaria perché anche i libici siano cittadini soddisfatti quanto gli investitori stranieri. L'assicurazione su cui avevamo riposto il 100% dei nostri investimenti si chiamava Gheddafi. Ma quanto può essere garanzia a lungo termine un regime che controlla milioni di barili di petrolio e lascia due terzi dei suoi abitanti con meno di due dollari al giorno?
L' accordo col dittatore ha rallentato l'invasione degli immigrati, ma non risolve il problema so-ciale che la provoca. Ricordiamo cosa era l'Europa e cosa eravamo noi poco più di 6o anni fa. La storia dimostra che le genti emigrano verso le democra¬zie e quando la democrazia ce l'hanno in casa, le opportunità di lavoro crescono e loro non se ne vanno.
Ad essere sinceri le imprese italiane non hanno mai voluto rischiare molto nei paesi dalle garanzie opache. In una situazione diversa da quella mediorientale, all'inizio degli anni 90 Corporate Italy decise di non rischiare sull'India che iniziava le riforme economiche: era un paese democratico e caotico, diverso dalla Cina che non era democratica ma disciplinata. Al contrario dimolti concorrenti europei, vent'anni dopo l'India che cresce a un tasso del 9% continua a non essere un paese strategico per noi, quanto la Cina. È stato un errore. La Libia, quello che è accaduto in alcuni paesi e quello che ancora deve accadere in altri ci propongono di riflettere sulla democrazia anche come investimento: non più rischioso di altri ma raccomandabile. Quando si esorta chi mette i soldi, a farlo sul futuro di paesi difficili ma così essenziali come la Libia, bisogna chiarire quale sia la democrazia possibile che potrà trovare. Quello che può venire fuori a Tripoli e negli altri paesi arabi, nel migliore dei casi è l'abbozzo di una democrazia: semi di tolleranza e libertà sparsi tra fondamentalismo e settarismo, dai quali nascerà, forse, qualcosa di simile ai nostri sistemi. Ma mai uguale. Come la Turchia che trent'anni fa era un paese povero a libertà limitata dai militari; e oggi è un paese ricco governato da un partito islamico di gran lunga più simile alla nostra De anni 50 che ad Hamas. È un modello possibile per la Libia da dove arriva oltre il 20% del nostro petrolio e potrebbe ricominciare a transitare più della metà dei clandestini? Non abbiamo garanzie. Quello che sappiamo da qualche settimana è che le assicurazioni dei satrapi prima o poi scadono.



A Lampedusa sbarchi continui E stasera vertice a Palazzo Chigi
Avvenire, 22-02-2011
Proseguono gli sbarchi di migranti provenienti dalle coste della Tunisia verso Lampedusa, nonostante le avverse condizioni del mare. In mattinata i carabinieri ne hanno bloccati 43, che erano riusciti ad approdare direttamente sulla terraferma. Nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa si trovano meno di mille immigrati, dopo i massicci trasferimenti avvenuti a partire dal pomeriggio di ieri con un ponte aereo verso altri Cpt di Sicilia, Puglia e Calabria. Le condizioni meteo in peggioramento, con mare forza 6 e forti raffiche di maestrale, secondo la centrale operativa della Capitaneria di porto di Palermo dovrebbero tuttavia scoraggiare la partenza di altri barconi dalla Tunisia.
Non si placa l’onda migratoria che si infrange sull’isola di Lampedusa. Ci sono stati ancora nuovi arrivi e sempre dalla Tunisia, mentre, in queste ore, si alza anche il livello di apprensione alla luce di quanto sta accadendo in Libia. Paese che dal pugno di ferro del colonnello Gheddafi è rapidamente scivolato nel collasso di quella che viene considerata a tutti gli effetti una devastante guerra civile, dagli sviluppi imprevedibili. Ma sicuramente preoccupanti per l’area geografica del bacino mediterraneo. E quindi per il piccolo arcipelago delle Egadi, Lampedusa, Pantelleria e Linosa, e le coste della Sicilia. Proprio per questa ragione, questa sera a Roma, il premier Silvio Berlusconi, i ministri degli Esteri, Franco Frattini, dell’Interno, Roberto Maroni, della Difesa, Ignazio La Russa e dello Sviluppo economico, Paolo Romani, terranno un vertice per affrontare l’emergenza immigrazione connessa alla crisi in Libia. La riunione si terrà in serata, attorno alle 20, per attendere il rientro del titolare della Farnesina da una missione in Egitto.
Era l’alba di ieri mattina quando 131 adulti stipati su due barconi - il primo con 89 persone a bordo, il secondo 42 - approdavano nel porto di Lampedusa dopo essere stati soccorsi a poche miglia dall’isola da due motovedette della Guardia costiera. Le due imbarcazioni, vecchi pescherecci, erano state avvistate la sera prima da un aereo militare in servizio di pattugliamento nel Canale di Sicilia. Domenica c’erano stati altri due sbarchi, con l’arrivo di 73 immigrati, che si sono dichiarati tunisini. Sempre ieri si è avuto un terzo sbarco: altri 6 uomini sono stati soccorsi al largo di Lampedusa su una piccola barca in avaria che procedeva a remi.
Sull’isola, che conta poco più di 5.500 residenti, attualmente si trovano, ospiti nel Centro di prima accoglienza, ancora circa 1.300 immigrati, che fanno parte di quella ondata di una settimana fa che in poche ore ha riversato sull’isola migliaia di tunisini.
Anche se la Centrale operativa della Capitaneria di porto di Palermo ha rilasciato un bollettino di cattivo tempo con previsioni meteo-marine in netto peggioramento, mare forza sei e forti raffiche di maestrale, che dovrebbero scoraggiare la partenza di altri barconi, sull’isola resta alta e accesa la preoccupazione di nuovi e ben più consistenti arrivi, se si dovessero aprire i «rubinetti» libici.
«Sì, siamo e sono seriamente preoccupato, per quello che potrebbe abbattersi sull’isola. Con la Libia in pieno caos e Gheddafi che dicono dileguato all’estero, salterebbero anche gli accordi tra Roma e Tripoli stipulati per frenare l’esodo clandestino da quella nazione - avverte il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis -.
Il Paese sguarnito d’ogni autorità, il territorio senza più controlli alle frontiere, significa che dobbiamo solo prepararci ad affrontare eventuali ondate di umanità disperata. Il senso di apprensione che si respira sull’isola è anche la mia viva preoccupazione». E conclude: «A giorni si completerà nel suo insieme la missione "Frontex", uomini e mezzi, non solo navali, inviati sull’isola di Lampedusa per cercare di contrastare il fenomeno. Per affrontare l’emergenza immigrazione e ridurre il malumore che si respira proprio mentre stiamo preparandoci alla stagione estiva. Ho visto 5000 immigrati arrivare da noi in pochissimi giorni. Era una processione continua. Non riesco a immaginare quello che potrebbe accadere nella peggiore delle ipotesi. Ma effettivamente è preoccupante pensare a un ammassamento esagerato di persone in poche ore. La verità è che questa preoccupazione si avvicina sempre di più». Claudio Monici



Il governatore siciliano: «In Veneto i profughi sbarcati qui»
Lombardo: sull’isola manca il lavoro. Bitonci: hanno soldi e tanti dipendenti, se li tengano
VENEZIA — «Prepariamoci all’invasione». I disordini scoppiati in Nordafrica agitano le notti del Carroccio. I ripetuti sbarchi delle ultime settimane, seppur diminuiti in questi giorni, sono infatti per i leghisti soltanto l’avanguardia dell’esodo che attende l’Italia, ed il Veneto, nel prossimo futuro, perché l’approdo naturale di molti stranieri in fuga, una volta superata l’emergenza, «non può che essere il Nord Italia ed il Centro e Nord Europa». Spettri padani? Mica tanto. «Gli immigrati vanno sistemati in un territorio e in un ambiente nel quale ci sono opportunità di lavoro come la Lombardia o il Veneto - scrive sul suo blog il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo -. È assurdo metterli qui. Si può avere qualunque tipo di concezione razzistica contro la Sicilia, ma qui di sicuro tutto si può fare tranne che l’integrazione in un tessuto lavorativo, economico e sociale tra i più deboli del nostro paese». Nessuna boutade, Lombardo fa sul serio: «L’ho anche scritto al ministro Maroni, come si può pensare di portare 5 o 6 mila persone a Mineo (Catania), in un’area che è la più depressa sotto il profilo economico- sociale e dove i livelli di disoccupazione sono i più alti e quelli di reddito i più bassi? Cinque o 6 mila persone portate lì che non possono certo essere sorvegliate a vista dai militari, anche perchè non sono delinquenti, in un posto dove vivevano 1400 americani. Grandi condizioni di disagio, ammassamento di persone, ricerca di una integrazione che il territorio non offre».
Basito Massimo Bitonci, onorevole sindaco di Cittadella: «Spero si tratti soltanto di una provocazione. Mi chiedo con che faccia tosta si possa dire una cosa del genere: con tutti i soldi che hanno avuto in questi anni e con le migliaia di dipendenti che ha la Regione siciliana, credo che Lombardo sia perfettamente in grado di gestire da solo l’emergenza». Scontro Nord -Sud a parte, per Bitonci resta il fatto che «finché non ci sarà un Centro per l’identificazione e l’espulsione anche in Veneto sarà complicato riuscire a gestire i flussi in arrivo nella nostra regione. Dopo di che è chiaro che siamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni tali che da soli, e non penso al Veneto ma all’Italia, possiamo fare ben poco. Deve intervenire l’Unione Europea». Preoccupato anche il senatore Piergiorgio Stiffoni, in visita venerdì scorso al centro di accoglienza di Sant’Anna, a Crotone, come membro del comitato Schengen: «Il nostro timore principale - spiega - è che collassino gli accordi sui flussi: sarebbe un disastro. Dobbiamo essere pronti al peggio». Sulle stesse frequenze di Bitonci Piergiorgio Cortelazzo del Pdl, per il quale «i Cie, da soli, non sono la risposta. Se i numeri sono quelli annunciati, con migliaia e migliaia di persone in fuga, in Veneto si dovrebbero infatti costruire centri in ogni quartiere». Cortelazzo condivide dunque l’appello ai livelli più alti del governo, da Roma a Bruxelles: «Di fronte ad una potenziale invasione, ad un esodo di natura straordinaria, servono misure straordinarie».

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