Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 novembre 2011

 

«Irregolare» chi perde il lavoro: un favore alla criminalità organizzata
l'Unità, 05-11-2011
Saleh Zaghloul  
Circa un milione e mezzo di persone immigrate regolari è diventato irregolare negli ultimi due anni a causa del mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Si pensi che nel 2010 i documenti non rinnovati sono stati 684.413 (Dossier Caritas 2011). Le persone che perdono il permesso di soggiorno non ritornano nei loro paesi d’origine ma restano in Italia a lavorare, a questo punto, in nero. La maggiore responsabilità di tutto ciò è attribuibile alle norme sul rinnovo del permesso di soggiorno e all’interpretazione restrittiva con cui vengono applicate. E così perdere il contratto di lavoro equivale a perdere il permesso di soggiorno. La convenzione OIL n. 143/75, ratificata dall’Italia, tuttavia, dispone diversamente: «Il lavoratore migrante non potrà essere considerato in posizione illegale o comunque irregolare a seguito della perdita del lavoro, perdita che non deve, di per sé, causare il ritiro del permesso di soggiorno». Ma ciò non avviene. Malgrado la crisi, alcuni settori come, ad esempio, l’edilizia, l’agricoltura e alcuni servizi necessitano di mano d’opera immigrata. Perché allora privare l’economia italiana, che ha bisogno di crescere, della possibilità di impiegare legalmente lavoratori già formati? A chi giova condannare oltre un milione di persone alla clandestinità e al lavoro nero? Per quale ragione viene favorita l’evasione fiscale e la concorrenza sleale, a svantaggio dei datori di lavoro rispettosi della legalità? Per quale motivo togliere a un numero enorme di persone la possibilità di avere un rapporto con le istituzioni e, in particolare, con le forze dell’ordine? Come non capire che, così facendo, le si costringe alla marginalità e le si butta tra le braccia della criminalità?
 
 
 
Coinvolgimento e collaborazione delle assemblee legislative per fronteggiare le emergenze legate all’immigrazione. È quanto chiede il “Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea”.
Studio sulle legislazioni regionali in materia di immigrazione: quasi tutte hanno leggi specifiche. Solo in sette hanno una legge prevista dallo Statuto.
ImmigrazioneOggi, 7-11-2011
Maggiore coinvolgimento delle assemblee legislative, europea, nazionali e regionali, e il rafforzamento della cooperazione interparlamentare per fronteggiare le prolungate emergenze, dovute da un lato alla crisi economico-finanziaria e dall’altro ai flussi di immigrazione.
Sono le raccomandazioni contenute nella Nota di sintesi del Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea che è stato presentato venerdì scorso a Perugia.
Il Rapporto, giunto alla 13/a edizione, è realizzato dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati in cooperazione con le Assemblee regionali. La pubblicazione si avvale anche degli apporti dell’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie del Cnr e dell’Osservatorio sulle fonti dell’Università di Firenze.
Sono sei le parti che articolano il Rapporto: la prima è la Nota di sintesi, curata dall’Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati, quest’anno dedicata alla evoluzione della governance europea sui temi, come detto, dell’immigrazione e dell’economia. La seconda parte offre una panoramica delle tendenze e dei problemi della legislazione regionale ed è curata dall’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini-Cnr”.
Seguono poi le sezioni dedicate all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di rapporti tra Stato e Regioni curata dall’Osservatorio sulle fonti dell’Università di Firenze; la parte statistica sulle tendenze evolutive della produzione normativa statale; il capitolo che analizza le tendenze in atto nei processi decisionali europei curata dall’Ufficio rapporti con l’Unione europea della Camera dei deputati e l’ultima sezione che esamina in prospettiva comparata le tendenze della produzione legislativa nei principali Paesi dell’Unione europea. Per quanto riguarda gli aspetti legati ai flussi migratori ed alle politiche di integrazione a livello regionale, dallo studio emerge che quasi tutte le Regioni ordinarie hanno una legge specifica in materia di immigrazione. La seconda sezione del documento – di cui riportiamo un estratto integrale – segnala che esistono leggi regionali specifiche finalizzate a disciplinare la materia in maniera organica, ma anche leggi generali su materie diverse, spesso riguardanti i diritti sociali, che hanno come destinatari l’intera popolazione regionale e che, in forza di qualche disposizione, sono da intendersi applicabili anche agli immigrati.
Quest’ultimo è, ad esempio, il caso della Regione Molise, priva di una disciplina specifica sul fenomeno della immigrazione, ma che con la LR n. 1/2000, ha disciplinato il sistema regionale di assistenza sociale, individuando all’articolo 2 quali destinatari delle prestazioni sociali “i cittadini italiani residenti nella regione, nonché gli stranieri, gli apolidi e le persone occasionalmente o temporaneamente presenti sul territorio regionale qualora si trovino in condizioni di difficoltà tali da non consentire l’intervento da parte dei servizi della Regione o dello Stato di appartenenza”. In Veneto ed in Basilicata vi sono leggi espressamente dedicate al tema dell’immigrazione. La legislazione di tali Regioni risulta abbastanza risalente nel tempo, maturata in tempi nei quali, da un lato era inferiore il grado di autonomia delle Regioni e, dall’altro, il tema dell’immigrazione non aveva quella rilevanza politica oggi avvertita. In ogni caso se la legge della Basilicata prevede che gli interventi previsti siano “rivolti agli immigrati provenienti da Paesi extracomunitari e alle loro famiglie che soggiornano sul territorio regionale e che in esse risiedono in regola con le leggi dello Stato” (art. 3), con un rinvio alla fonte statale per l’individuazione dei destinatari, la legge veneta si applica “agli immigrati provenienti dai Paesi extracomunitari che dimorano nel territorio della Regione” (art. 2, co. 1), e dunque non richiama il requisito della regolarità del soggiorno. Sette Regioni hanno una legge in materia di immigrazione successiva allo Statuto: sono Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Calabria. Qui le leggi sull’immigrazione sono state approvate in anni recenti (dal 2007 al 2010), a dimostrazione di un fenomeno percepito in maniera viepiù crescente. Colpisce subito la situazione delle Regioni Marche e Lazio, che dispongono di due Statuti che poco concedono al tema della immigrazione, ma risultano entrambe dotate di una legge molto più puntuale ed accurata nella individuazione dei destinatari. Sostanziale omogeneità si registra tra gli Statuti delle Regioni Toscana, Abruzzo, Calabria, Campania e Puglia e le rispettive leggi in materia di immigrazione. La legge della Regione Campania (n. 6 del 2010) estende la disciplina “per l’inclusione sociale, economica e culturale delle persone straniere presenti in Campania” anche agli immigrati non in regola col soggiorno. Analogamente la legge della Regione Puglia, n. 32 del 2009, parla genericamente di “immigrati”, o “cittadini immigrati presenti sul territorio regionale”, o, ancora, di stranieri “presenti a qualunque titolo sul territorio della regione”. Anche la legge della Regione Toscana n. 29 del 2009, afferma che le previsioni della legge si estendano “a favore di cittadini stranieri comunque dimoranti sul territorio regionale”, ivi compresi, dunque, gli irregolari. In Calabria, la LR n. 18/2009, più che disciplinare situazioni giuridiche soggettive degli immigrati, detta misure di carattere generale e programmatico. In Liguria, infine, la LR n. 7/2007, dal titolo “Norme per l’accoglienza e l’integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati”, include (art. 2, co. 1) tra i suoi destinatari “le cittadine e i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea, gli apolidi, i richiedenti asilo e i rifugiati, presenti sul territorio regionale” a differenza dello Statuto che parla di immigrati residenti. Cinque Regioni hanno invece un nuovo Statuto e una legge ad esso precedente: si tratta di Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Umbria e Abruzzo. In Abruzzo, la LR n. 46/2004, dal titolo “Interventi a sostegno degli stranieri immigrati” non sembra andare oltre l’orizzonte che verrà poi delineato dalla disposizione statutaria (art. 7, co. 7) che individua tra i suoi destinatari le persone immigrate. In Piemonte, invece, è più netta la divergenza tra legge e Statuto regionale. La LR n. 64/1989, approvata ben 16 anni prima dello Statuto (del 2005), liquida la questione dei destinatari prevedendo che “le provvidenze e gli interventi previsti alla presente legge sono riferiti agli extra-comunitari immigrati in Piemonte ed ivi residenti, in regola con il permesso di soggiorno”, mentre lo Statuto, come sopra evidenziato, parla semplicemente di immigrati. In Emilia-Romagna, la LR n. 5/2004, precede di un solo anno lo Statuto ma appare, a differenza di questo, assai più prudente. Se, infatti, lo Statuto parla di veri e propri diritti sociali degli immigrati, degli stranieri profughi rifugiati ed apolidi spingendosi perfino a riconoscere loro il diritto di voto e se, pertanto, netta è la distanza che vuol prendersi dalla legislazione nazionale, la legge regionale opera essenzialmente attraverso la tecnica del rinvio proprio ad essa. In Lombardia vige ancora la LR n. 38/1988, e come nel caso di altre leggi così risalenti (Piemonte, Veneto, Molise e Basilicata), non si avverte quell’urgenza di rivendicazione di una grado significativo di autonomia regionale in materia: l’art. 1, co. 2, della legge lombarda si limita a stabilire che essa “opera nei confronti degli immigrati che provengono da Paesi extracomunitari e dimorano nel territorio regionale”. In Umbria, infine, vige la LR n. 18/1990, approvata ben quindici anni prima dello Statuto: anche tale legge risente di un clima diverso rispetto a quello attuale; tuttavia, pur non mancando in essa il rinvio alla legislazione statale, laddove individua come destinatari degli interventi “i cittadini provenienti da Paesi extracomunitari e loro familiari che risiedano o dimorino nel territorio della regione Umbria secondo la normativa vigente” (art. 2, co. 1), già all’epoca tentava una netta fuga in avanti, stabilendo che “i cittadini della Comunità economica europea, gli apolidi, i rifugiati e i profughi possono beneficiare degli interventi di cui alla presente legge ove non usufruiscano di più favorevoli o di analoghi benefici in forza della normativa comunitaria, statale e regionale”.
 
 
 
Il dovere dell'lrpef e i diritti promessi
il sole, 07-11-2011
IMMIGRAZIONE
L' ultima scoperta è un tesoretto di sei miliardi l'anno: è l'Irpef versata dagli immigrati al Fisco italiano, il 4,1% dell'imposta netta totale. Pagare le tasse è un dovere anche per chi è straniero di nascita e contribuente (italiano) è diventato con gli anni. Dovere che agli immigrati costa 2.810 euro di Irpef a testa. In media, perché un operaio straniero specializzato in Lombardia (reddito imponibile 14-944 euro e Irpef di 3.600) può arrivare a pagare più tasse del contribuente italiano residente in Molise, Basilicata o Calabria. Più di 2 milioni di contribuenti stranieri, di tutto rispetto. Nonostante la crisi, visto che la prima indagine sulle tasse degli stranieri della Fondazione Moressa è sull'anno d'imposta 2009. La stessa crisi, invece, ha spazzato tutte le promesse di diritti che negli ultimi anni hanno alimentato le speranze di integrazione. Diritti mancati. Chi si ricorda più della promessa di rivedere la Bossi-Fini sulle quote d'ingresso? Del voto alle amministrative e della cittadinanza breve per le seconde generazioni che nascono in Italia e frequentano la scuola (non solo dell'obbligo)? Fino all'impegno, pure scritto in qualche proposta di legge, di allungare la validità del permesso di soggiorno a chi - per la crisi - perde il posto di lavoro.
 
 
 
MILANO  
IMMIGRATI/ Bonomi: il "buonismo" nasconde un’idea razzista dello straniero 
ilsussidiario.net, 07-11-2011
Pietro Vernizzi
“Un contributo per uscire dallo stereotipo che vede l’extracomunitario solo come forza lavoro, da tutelare secondo la versione ‘buonista’ o da sfruttare secondo quella meno benevola. Osservando invece l’immigrato per quello che è realmente: una sfida per il nostro welfare, il sistema dell’abitare, la realtà sociale e la cultura”. E’ questa, secondo Aldo Bonomi, direttore dell’Istituto di Ricerca Aaster, la portata innovativa del libro della Fondazione per la Sussidiaretà “L’immigrato, una risorsa a Milano”, curato da Gian Carlo Blangiardo e di cui si discuterà nel corso di un incontro previsto per stasera, lunedì 7 novembre, alle ore 21 nel Teatro Franco Parenti. All’incontro, oltre a Blangiardo e Bonomi, interverranno Maria Grazia Guida, vicesindaco di Milano, Aldo Brandirali, ex assessore alle Politiche giovanili, e Massimo Ferlini, presidente della Compagnia delle opere di Milano. Ilsussidiario.net ha intervistato Aldo Bonomi per presentare in anteprima i contenuti della ricerca.
Gli immigrati per Milano sono innanzitutto una risorsa o un problema?
Sono una risorsa e una realtà con valore di cittadinanza. Lo si deduce chiaramente dal libro di Blangiardo, che ha un grande dono: non parla del fenomeno migratorio in termini generici e complessivi. Spesso chi affronta il tema con superficialità lo utilizza per affermare una tesi piuttosto che un’altra, ma sempre in modo indifferente. Da una parte c’è chi sostiene in modo buonista che l’immigrazione è una risorsa, spiegando che senza di loro si fermerebbero le nostre piccole imprese e non avremmo più servizi sufficienti. In altre parole, queste persone valorizzano la funzione dell’immigrato lavoratore.
Per quale motivo questa posizione non la soddisfa?
Perché chi la sostiene dimostra di non capire che il migrante non è solo un lavoratore, ma una persona a tutto tondo che si porta dietro culture, religioni, forme dell’abitare e del vivere. Anche la tesi buonista quindi non tocca i veri nodi del problema come la cittadinanza. D’altra parte i “superficiali del rancore” sostengono che gli immigrati vanno benissimo per lavorare come schiavi, ma che le nostre culture sono tra loro incompatibili. E quindi sono “razzisti differenzialisti” per quanto riguarda il fenomeno migratorio come cittadinanza, e “sfruttatori benevoli” per ciò che riguarda la forza lavoro.
Mi sembra di capire che nessuna delle due posizioni è corretta …
Esatto, mentre la ricerca di Blangiardo compie uno zoom su Milano che va molto più in profondità. Andando a vedere etnia per etnia, zona per zona, come Milano ha affrontato il fenomeno migratorio e come la fenomenologia si è spalmata sul territorio. L’immigrazione infatti non crea problemi dentro le mura dell’impresa, perché finché l’extracomunitario fa l’operaio, il cameriere o la badante, non disturba nessuno. Le difficoltà nascono tutte sul territorio, ogni volta che tocca le forme dell’abitare e della convivenza. La ricerca induce quindi una riflessione profonda su questi aspetti, e se vogliamo ragionare sulla Milano che verrà dobbiamo partire proprio da qui.
Quale modello di integrazione auspica per l’Italia?
Abbiamo visto che il processo di ghettizzazione delle etnie, portato avanti da Francia e Gran Bretagna, non ha portato a risultati soddisfacenti. E rispetto a questi Paesi la situazione in Italia è meno drammatica, anche se i conflitti metropolitani a Milano non mancano: basti pensare al problema dei cinesi in via Paolo Sarpi e alla situazione di via Padova. Entrambi devono farci molto riflettere, perché nel corso dei recenti tumulti di via Padova sono state usate parole pesanti come “rastrellamento” e “coprifuoco”. Per fortuna la società civile ha poi cercato di riappacificare gli animi, riuscendo a evitare il peggio. Resta il fatto che via Padova è un quartiere che di fatto anticipa la Milano che verrà: per rendersene conto basta percorrerla in macchina, da piazzale Loreto alla Casa della Carità di don Virginio Colmegna. 
Come rispondere a situazioni come quella di via Padova?
L’immigrazione è un fenomeno di nuovi cittadini, che devono vivere e convivere dentro un’area urbana in grande mutazione. Gli immigrati sono certamente una risorsa, ma rimettono anche in discussione le forme di convivenza, di sviluppo cittadino e la stessa urbanistica. Utilizzando un termine coniato dall’attuale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, quella che si sta affermando è una società “meticcia”. Non dimentichiamoci tra l’altro che l’Expo porterà in Lombardia centinaia di Paesi: questa ricerca è utile anche per non arrivare al 2015 sprovvisti di strumenti culturali, ma con una Milano che ha una coscienza del fenomeno migratorio e riesce a disegnare la città che viene.
In quale misura fattori come livello d’istruzione, professione svolta, Paese d’origine e appartenenza religiosa incidono sull’integrazione degli immigrati?
Di recente ho lavorato a una ricerca sul fondo Famiglia e lavoro del cardinale Dionigi Tettamanzi, e ho capito che oggi non si può parlare della società milanese, semplicemente avendo come unico punto di riferimento il maschio adulto bianco ed europeo. Se non si ragiona incrociando professione, genere ed etnia, non si comprende nulla dei grandi cambiamenti che stanno avvenendo. Non si può più dire, come si faceva un tempo, “dimmi che lavoro fai e ti dirò chi sei”. Occorre anche prendere in considerazione la cultura di riferimento, l’etnia e la provenienza geografica. Ovviamente occorre evitare le prese di posizione fondamentaliste alla Samuel Huntington, il teorizzatore del “conflitto di civiltà”. Ma si deve anche prendere atto del fatto che ogni civiltà, società, cultura ha le sue tradizioni e modi di essere. E quindi se si vuole tenere insieme una società così variegata, il modello non deve essere il “frullato” bensì la “macedonia”.
Che cosa intende dire con questa metafora?
Secondo una certa mentalità, esiste una cultura e una forma dominante cui tutti si devono adeguare, e alla fine deve uscirne una “poltiglia grigia” in cui tutti quanti sono uguali. Altra cosa è il modello di chi pensa che la società meticcia sia composta da tanti gruppi molto diversi tra loro, e che ciò che occorre fare sia tentare di tenerli insieme senza confonderli. E questo secondo modello è molto più adeguato alla realtà.
 
 
 
Roma: “Figli di tante patrie” il concorso per le seconde generazioni promosso dalle Biblioteche di Roma.
Fino al 20 dicembre è possibile partecipare con scritti, video e fotografie.
ImmigrazioneOggi, 07-11-2011
“Identità sospese tra due generazioni, tra i mondi culturali degli adulti e quelli giovanili, tra i saperi e le memorie trasmesse e vissute”. È questo spesso il sentimento che accomuna i figli degli immigrati, le “seconde generazioni”.
A loro il servizio intercultura delle Biblioteche di Roma ha dedicato il concorso “Figli di tante patrie”, con l’obiettivo di “promuovere e stimolare la creatività dei giovani che, attraverso la scrittura, la fotografia e il video, potranno offrire il loro unico e speciale punto di vista sulla propria famiglia d’origine”. Il concorso è rivolto a giovani tra i 16 e i 36 anni residenti a Roma e provincia, figli di immigrati nati o cresciuti in Italia. Gli elaborati potranno essere presentati fino al 20 dicembre. “Non vogliamo dimostrare tesi – spiega Alice Dante, dell’ufficio intercultura del Comune di Roma – ma solo avere l’occasione per riflettere sulle complesse relazioni familiari che si instaurano tra genitori “immigrati” e figli “italiani”, spesso ancora privi di diritti di cittadinanza, sui conflitti fecondi e sui reciproci arricchimenti”.
Informazioni: www.romamultietnica.it.
 
 
 
«Riassunte» le mediatrici per i piccoli rom
Corriere della sera, 07-11-2011
Torneranno. Da subito. Per volere (e con i soldi) del Comune. Ma rimarranno? Dipenderà da altri.
Cioé il Governo. Dopo la denuncia di Maurizio Pagani, presidente dell'Opera nomadi di Milano, Palazzo Marino ha ripristinato il contratto, scaduto a luglio e finanziato da diversi ministeri, di una quindicina di mediatrici culturali che non da ieri, ma dal 1995, lavoravano con i piccoli studenti rom. Andando oltre il compito «scolastico»: le mediatrici seguivano i nomadi in classe e poi frequentavano gli stessi campi rom dove abitavano, per favorire l'integrazione e la creazione di una «rete». Le mediatrici culturali, per l'appunto, si erano viste, questa la denuncia di Pagani, cessare l'impegno professionale che durava da quindici anni. Ora la svolta. «Nonostante le pesanti difficoltà di bilancio», come specifica, il Comune ha riattivato i contratti. Che resteranno in vita almeno fino al 31 dicembre. Perché nel mentre «l'assessorato alle Politiche sociali sta elaborando un progetto di mediazione culturale», progetto che si spera «possa partire da gennaio 2012 e per il quale cui verranno chiesti finanziamenti statali». (a.ga.)
 
 
 
Tumori, immigrati più a rischio Le diagnosi arrivano troppo tardi
Gli stranieri colpiti da cancro muoiono più degli italiani, ma non perchè colpiti da forme tumorali più aggressive, solo perchè la malattia viene scoperta in ritardo. A lanciare l'allarme è l'Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Per affrontare il problema parte il primo progetto nazionale multietnico
la Repubblicaq, 04-11-2011
VALERIA PINI
ROMA - La salute degli immigrati diventa più fragile vivendo nel nostro Paese. Gli stranieri colpiti da un cancro muoiono più degli italiani. Non perchè la malattia sia più aggressiva, ma perchè viene scoperta in ritardo, fino a 12 mesi dopo. A lanciare l'allarme i dati dell'Associazione italiana di oncologia medica 1(Aiom). "Vediamo un aumento dei tumori più direttamente correlati a stili di vita sbagliati, polmone, testa-collo, colon-retto, stomaco, e al mancato accesso allo screening: collo dell'utero, seno e ancora colon retto - spiega l'oncologo Carmelo Iacono dell'Aiom -. Questo si traduce in diagnosi tardive, che arrivano quando la neoplasia è in fasi più avanzate e quindi più grave. In questa popolazione c'è poi un'incidenza maggiore di cancro al fegato, che ha origine, in gran parte dei casi, da cirrosi, dovute a forme di epatite B cronica ed è quindi più frequente in popolazioni che non hanno ricevuto la vaccinazione contro il virus, hanno vissuto in ambienti in cui questo prolifera o presentano altri fattori predisponenti come, ad esempio, rapporti non protetti, abuso di alcol...".
Le difficili condizioni di vita. Sullo stato di salute dei migranti pesano anche le difficili condizioni di vita. Oltre il 30% dei tumori è direttamente collegato ad una dieta scorretta. Abitare in ambienti umidi porta ad ammalarsi più facilmente. Chi fuma ha 23 volte più probabilità di ammalarsi di cancro al polmone, rispetto a chi non lo fa. In Italia gli immigrati sono 4.570.317, il 7,5% della popolazione. Un numero in costante crescita (sono 335mila in più rispetto al 2010, +7,9%) e con un peso sempre più rilevante nei reparti di oncologia medica. Per questo Aiom ha deciso di attivare il primo progetto nazionale multietnico dal titolo "Problematiche oncologiche nei migranti: dall'emergenza alla gestione". 
Il problema della lingua. Fra i problemi che gli stranieri affrontano per curarsi nel nostro Paese, c'è anche quello della lingua. Il progetto prevede la realizzazione di opuscoli informativi in diverse lingue da diffondere in collaborazione con altre Società scientifiche. E sul web, nel sito www.aiom.it 2, verrà attivata un'area dedicata con un'attenzione particolare per i ragazzi. I minorenni stranieri nel nostro Paese sono 932.675, di cui 572.720 nati in Italia. "Dobbiamo insistere sulla prevenzione, in particolare attraverso il coinvolgimento delle "seconde generazioni" - continua Marco Venturini, presidente dell'Aiom -. Si tratta di cittadini che parlano la nostra lingua, crescono in Italia, fanno da tramite per la traduzione, la comunicazione, l'informazione ai genitori e rappresentano una risorsa insostituibile come fautori del cambiamento culturale all'interno del nucleo familiare". 
La prevenzione. "L'adesione agli screening è altrettanto importante - spiega Iacono - si pensi che la mammografia può ridurre del 25% la mortalità. L'accesso a questo esame è ancora insufficiente nel nostro Paese, è in media del 55% (su 2 donne invitate solo una accetta), con un divario tra Centro-Nord e Sud dove i livelli di adesione sono al 40%. Nelle donne straniere il dato è ancora fortemente inferiore. Senza contare il dramma dell'immigrazione irregolare, che sfugge alla nostra percezione e che non accede ad alcun tipo di controllo preventivo. E' una nostra priorità annullare queste differenze".
Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links