Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 gennaio 2014

"Ci violentavano a turno in quel capannone nel deserto"
L'unica sopravvissuta al naufragio di Lampedusa accusa il suo scafista carceriere
la Stampa, 14-01-2014
LAURA ANELLO
 PALERMO - E'la sopravvissuta. La sopravvissuta a tutto. Alla traversata nel deserto, al rapimento, agli stupri, al più grande naufragio nella storia recente del Mediterraneo. L'unica superstite delle venti ragazze predate, torturate, violentate prima dell'imbarco che adesso è qui, in un'aula di giustizia, a puntare il dito contro Elmi Mouhamud Muhidin, il venticinquenne somalo che ogni sera ne sceglieva una e la portava fuori con i suoi complici. Chi restava dentro, nel capannone sperduto nel deserto libico, sentiva le urla, le botte, le risate, le grida: «Basta, pietà». E sembra portarla sulle spalle, Florence - la chiameremo cosi questa ragazza le cui iniziali sono E O. - la vita e la morte delle compagne che prima sono passate dall'inferno della prigionia e poi sono annegate nel naufragio del 3 ottobre a Lampedusa.
Piccola, magra, i capelli corti, lo smalto rosso alle unghie, un giubbotto bianco, la ragazza eritrea parla davanti al gip di Palermo Giangaspare Camerini nel corso dell'incidente probatorio al processo contro il carceriere-trafficante somalo: è la prima volta che i sette superstiti di quel naufragio trattenuti finora a Lampedusa (erano otto, ma uno ha fatto perdere le sue tracce) parlano in un'aula di giustizia. «Che tipo di violenza ha subito?», le chiede il giudice, mentre in aula sembra di sentire l'odore della paura delle donne, lo stesso a ogni latitudine, in ogni língua, per ogni colore di pelle. Lei esita, dà un'occhiata di sbieco all'imputato attorniato dalle guardie di sicurezza, prende fiato e parla: «Mi hanno malmenato, mi hanno costretta ad aprire i vestiti, a mostrarmi, e poi...». E poi scoppia a piangere, Florence, perché la vergogna ë troppa per una ragazza di diciotto anni che durante l'interrogatorio di novembre raccontò di avere perso la verginità li, in quel capannone dove era stata portata a forza, predata insieme a un centinaio di sventurati che camminavano nel deserto per arrivare in Libia e imbarcarsi verso l'Europa. Rapiti e torturati finché i familiari non pagavano il riscatto per la libertà, se cosi si può chiamare il prosieguo della disperata marcia nel deserto. «Dopo avermi immobilizzata a terra - dice - mi hanno buttato in testa della benzina provocandomi un forte bruciore al cuoio capelluto, al viso e agli occhi. Successivamente, non conten- ti, i tre, a turno, hanno abusato di me. Non hanno fatto neanche uso di protezione, noncuranti della mia giovane età e del fatto che fossi vergine».
Il giudice le chiede anche questo, se davvero quella violenza atroce sia stata la sua prima volta. E la domanda arriva come un pugno nello stomaco, tradotta in dialetto tigrino dalla interprete, che abbassa gli occhi anche lei. Florence glissa, o forse ha un moto di orgoglio: «No - dice - la verginità l'avevo persa con il mio fidanzato che è rimasto in Etiopia. Ma le mie compagne di viaggio sono state violentate tutte».
Tra loro c'era anche una ragazza di nome Johanna, e a sentirne la storia non sai se definiria più coraggiosa o più impaurita delle altre. Avevano dovuto trascinarla fuori per i capelli tanto faceva resistenza, urlava, piangeva. «E cosi aveva fatto anche nel ca-pannone delle violenze, attiguo a quello della detenzione, dove era stata portata insieme con una sua compagna», racconta l'avvocato Carlo Emma, che difende tutti i superstiti. Non aveva voluto sottostare alle richieste: aveva picchiato, morso, scal- ciato. «Piuttosto ammazzatemi». L'altra era tornata, con i lividi e la vergogna. «Dov'è Johanna?», le avevano chiesto i compagni. «Johanna non torna», aveva risposto lei tra le lacrime. Per poi confidare a un cugino che aveva visto il suo corpo trascinato come un sacco, verso il deserto. Morta. A sentire tutto questo, il naufragio epocale del 3 ottobre sembra un epilogo dolce, e il mare un sudario pietoso sulle 366 vittime.
«Ti ricordo benissimo, per tutte le botte che mi hai dato», dice un sopravvissuto rivolto a Muhidin, al quale il procuratore aggiunto della Dda Maurizio Scalia e il sostituto Geri Ferrara contestano i reati di sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, tratta di esseri umani e violenza sessuale. Un'inchiesta ambiziosa, presa in mano dalla Direzione distrettuale antimafia che intende ricostruire le rotte internazionali di una moderna tratta degli schiavi. «Alcuni di noi sono stati picchiati con manganelli, appesi con la catena, sottoposti a scariche elettriche», raccontano tutti a porte chiuse, confermando le accuse contro il somalo, ripercorrendo un mese di terrore. «Hanno utilizzato il nostro cellulare per chiamare i nostri familiari e chiedere un riscatto che andava dai 3300 ai 3500 dollari per ognuno di noi». Solo quando i soldi sono stati accreditati sui conti bancari, il gruppo ha ripreso la via del deserto. Per andare, in gran parte, verso la morte.



Clandestini, la base 5Stelle: “Il reato va abolito subito”
Consultazioni in rete  Si esprimono in 25 mila: 16 mila contraddicono Grillo e Casaleggio
il fatto, 14-01-2014
Paola Zanca
Il leader e il guru avevano bocciato l’emendamento dei senatori del Movimento che voleva depenalizzare le norme sugli immigrati, ieri il verdetto del web La soddisfazione dei parlamentari: “Abbiamo vinto, il nostro non è un regime”. Oggi la legge delega a Palazzo Madama
REATO DI CLANDESTINITÀ GRILLO E CASALEGGIO FINISCONO NELLA RETE
I DUE LEADER SI ERANO ESPRESSI CONTRO L’ABOLIZIONE MA IL SONDAGGIO ONLINE SCONFESSA LA LINEA DI DESTRA L’APPLAUSO DEI SENATORI AI 16 MILA SÃŒ: “ABBIAMO VINTO”
Maurizio Buccarella corre su per le scale, paonazzo. Fa irruzione nella sala al terzo piano di Palazzo Madama dove i suoi colleghi senatori sono in riunione, come tutti i lunedì. “Abbiamo vinto”, urla. E i 50 senatori Cinque Stelle si lasciano andare a un applauso liberatorio. Sono le 18:08. E ufficialmente, tutti loro, si sono appena presi la rivincita su Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. La Rete ha dato ragione a loro, all’emendamento che abolisce il reato di immigrazione clandestina. E loro possono tornare ad applaudire, come fecero il giorno in cui i due senatori illustrarono la loro idea in assemblea, un lunedì come ieri, tre mesi fa.
ORA SI FESTEGGIA: viva la democrazia dal basso, altro che regime, ecco da chi arrivano i “diktat”. Ma per capire la portata del risultato del sondaggio di ieri bisogna tornare a quei giorni di ottobre. È giovedì 3 quando 366 corpi di migranti in arrivo dal Nordafrica vengono recuperati al largo di Lampedusa. Uno dei peggiori naufragi del Mediterraneo, una strage che indigna il mondo intero. Ai senatori Cioffi e Buccarella (il secondo, avvocato leccese, prima di approdare in Parlamento si è occupato spesso di queste questioni) viene in mente un emendamento che hanno presentato prima dell’estate. È l’asso nella manica che può inchiodare i partiti che si sperticano in buoni propositi sul superamento della Bossi-Fini: via questo odioso reato di clandestinità, che intasa i tribunali e non serve a niente. Il lunedì lo illustrano ai colleghi M5S che lo approvano per acclamazione; il mercoledì è ai voti in commissione Giustizia: parere positivo del governo, sì dai democratici e da Scelta Civica, l’emendamento passa. Il mattino dopo, il blitz dei Cinque Stelle è l’apertura di tutti i giornali. Grillo e Casaleggio perdono la testa. E senza pensarci su, battono un comunicato durissimo sul blog, per la prima volta a doppia firma: sconfessano Cioffi e Buccarella (“la loro posizione è del tutto personale”, sono dei “dottor Stranamore senza controllo”), spiegano di non essere “d’accordo sia nel metodo che nel merito”: primo perché “un portavoce non può arrogarsi una decisione così importante senza consultarsi con nessuno”, secondo perché “se durante le elezioni politiche avessimo proposto l’abolizione del reato di clandestinità, il M5S avrebbe ottenuto percentuali da prefisso telefonico”. Imbarazzo generale, i due senatori costretti al dietrofront, lacrime e urla dei colleghi. Finisce con una decisione salva-tutti: ogni argomento che non sta nel programma, va discusso in Rete.
E FINALMENTE, ieri, è arrivato quel giorno. Votano in circa 25 mila iscritti al blog (su 80 mila aventi diritto). Quasi 16 mila stanno con Cioffi e Buccarella, solo in 9 mila sposano la linea Grillo-Casaleggio. Non se lo aspettava nessuno, diciamo la verità. Tant’è che ieri, prima che venissero diffusi i risultati, era già pronto a scoppiare il patatrac. Tre senatori (Francesco Campanella, Luis Orellana, Lorenzo Battista) si espongono pubblicamente contro le modalità del sondaggio: la mail che allerta gli iscritti è arrivata ieri mattina a urne già aperte, ci sono solo sette ore per votare, non c’è stata nessuna informazione preliminare, sono “dilettanti allo sbaraglio”, Casaleggio usa il blog “come una pistola”. Dallo staff li liquidano come i soliti dissidenti in cerca di pretesti per fare casino: non c’è stato tempo per fare prima, Cioffi e Buccarella hanno allertato Casaleggio solo giovedì, quando hanno visto che il calendario del Senato tornava a discutere di clandestini e reati proprio oggi. State tranquilli, assicurano, “la nostra gente è del 2014”, “sta al computer tutto il giorno”, “si è già fatta un’idea”, “voterà”.
Non va proprio così: clicca meno di un terzo dei certificati. Ma è scongiurato il rischio che oggi i banchi dei Cinque Stelle finissero falcidiati da “pipì tattiche” (copyright senatrice Michela Montevecchi), appelli ai “temi etici” (Elena Fattori) e altri escamotage per evitare di rispettare le volontà supposte della Rete. Defezioni che avrebbero mandato in tilt il gruppo e il principio movimentista del “portavoce”.
Evidentemente ha ragione Vito Crimi quando avverte i giornalisti: “Sottovalutate gli attivisti, vedrete che la nostra base ha una sensibilità un po’ diversa da quella che pensate”. E anche da quello che pensano Grillo e Casaleggio.



Lampedusa. Kyenge: "Modello di accoglienza, hanno aperto le case ai migranti"
La ministra: "Un modello da far valere su tutto il territorio nazionale. A febbraio una sintesi per la riforma della cittadinanza"
stranieriinitalia.it, 14-01-2014
Roma - 14 gennaio 2014 - "La gente di Lampedusa? Degli "eroi". Gente straordinaria che non ha esitato ad aprire le porte di casa ai migranti, a dargli da mangiare e da coprirsi. Il loro potrebbe diventare un modello di accoglienza da far valere su tutto il territorio nazionale".
Lo ha detto ieri la ministra per l'integrazione Cécile Kyenge rispondendo a una domanda rivoltale da un alunno dell'Istituto comprensivo Regina Elena di Roma, una scuola ad alta percentuale di bambini e ragazzi stranieri.
Accolta da un gruppo di studenti della scuola primaria e dai più piccoli della scuola dell'infanzia, la ministra ha partecipato ad un incontro con docenti, genitori e studenti nell'aula magna dove il coro e l'orchestra si sono esibiti in un concerto dal titolo 'Ogni lingua e' musica'.
Durante l'incontro, la preside e i docenti hanno anche illustrato alcuni progetti realizzati per affrontare con i ragazzi tematiche fondamentali per essere cittadini consapevoli. Tra le varie domande i ragazzi hanno chiesto a che punto è la legge sulla cittadinanza dei bambini stranieri nati in Italia.
«Abbiamo concluso la prima fase - ha risposto la Kyenge- durante la quale abbiamo confrontato le venti proposte di legge presentate. È stato un percorso lungo ma necessario perchè si tratta di una legge importante che riguarda tutti. Per questo abbiamo deciso di portarla in parlamento e discuterne a fondo. A febbraio inizieremo la seconda fase durante la quale cercheremo di arrivare ad una sintesi condivisa e spero che la società possa vincere cambiando questa legge».



La società multietnica non deve diventare multiculturale
Italia Oggi, 14-01-2014
Michele Magno    
Da noi oggi ci sono circa sei immigrati regolari ogni cento italiani. L'Istat stima che nel 2030 saranno quindici. Pochi o molti? Non è questo il punto. Nei nostro Paese la società multietnica è già un fatto, né il respingimento di qualche migliaio di clandestini può esorcizzarlo. La società multiculturale, invece, è una scelta politica. Nuove regole per gli immigrati sono certamente necessarie, ma - come ha scritto Tito Boeri su la Repubblica - dovrebbero imporre gradualità negli ingressi proprio mentre si investe nell'integrazione. Non va nemmeno confuso, però, il multiculturalismo con il pluralismo. Un equivoco che a sinistra si tende a coltivare con qualche pigrizia intellettuale. In una delle sue pagine magistrali sulla democrazia, Giovanni Sartori spiega che il pluralismo trova la propria origine nel principio della tolleranza. Un principio che si fonda sul rifiuto di ogni dogma e sul criterio della reciprocità (do ut des). Se non c'è reciprocità, allora il rapporto non è di tolleranza.
Il multiculturalismo batte la via opposta. In luogo di promuovere una «diversità integrate», coccola una «identità separata», e spesso la crea, magari inconsapevolmente. Il risultato - aggiunge Sartori - è una società a compartimenti stagni e anche ostili tra loro, i cui gruppi sono molto identificati in se stessi, e quindi refrattari all'integrazione. In questo senso, il multiculturalismo non è l'altra faccia dell'integrazione, ma la sua negazione. All'offensiva della Lega e alle campagne dei mo- vimenti xenofobi, insomma, si risponde, non solo tenendo ferma la barra del rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica europea. Ma chiarendo bene cosa occorre fare perché un melting pot funzioni, in modo che i suoi soggetti si sentano parte di una collettività, siano interessati all'ordine pubblico, si preoccupino del bene comune. La solidarietà è un bene che si regge sulla coesione sociale. Se quest'ultima è fragile e non è perseguita con politiche tanto efficaci quanto responsabili, la stessa auspica- bile rottura del nesso arcaico tra sangue e terra continuera a restare nel limbo delle buone intenzioni di élite ristrette: illuminate, ma disarmate.



Spunta il palazzo per gli immigrati con sede in centro e 30 dipendenti
Libero ,14-01-2014  
Michela Ravalico
A Milano non poteva mancare un Immigration Center. È l'ultima rivoluzionaria iniziativa di un fedelissimo del sindaco arancione Giuliano Pisapia, l'assessore al welfare Kerfrancesco Majorino, uno che ha fatto carriera nel Pd cominciando con i picchetti fuori dalle scuole e diventando leader dell'Unione degli studentí.
centro per stranieri
Sarà un edifício tutto dedicato agli immigrati, dove si potranno prendere appuntamenti per i permessi di soggiorno, per il ricongiungimento familiare, chiedere informazioni per accedere alle case popolari o per iscriversi alle liste del pediatra o il medico di base. Di contorno saranno organizzati corsi di italiano per stranieri, iniziative culturali, mostre e aperitívi per dare un'immagine friendly di un edifício che rischia di trasformarsi in una succursale della questura o della prefettura (comprese le code dal mattino presto a notte inoltrata lungo i marciapiedi e gli inevitabili bivacchi che si creano).
L'Immigration Center, un progetto su cui il Comune di Milano sta lavorando da un paio di anni e per cui ha ricevuto dal governo un contributo una tantum di 700mila euro, occuperà un palazzo in pieno centro a Milano, in via Scaldasole, a pochi passi dai Navigli e da una delle vie dello shopping più frequentate a Milano, Corso di Porta Ticinese. L'edificio di 900 metri quadrati sorge in un quartiere dove i prezzi delle case hanno un prezzo medio di 5.600 euro al metro quadrato (con picchi anche attorno agli 8mila euro al metro quadrato quando affacciano sul parco delle Basiliche o sulla basilica di Sant'Eustorgio). Un quartiere dove le case di ringhiera, un tempo abitate dal popolino, sono diventate dimora di ricchi ed arricchiti. Tanto per dirne uno, il rampollo di casa Agnelli, Lapo Elkann ha comprato una mansarda in via Vetere, a un tiro di schioppo da via Scaldasole. E presto come vicini di casa non avrà soltanto i frequentatori delle notti milanesi (il quartiere è uno dei cuori della movida meneghina) ma anche file di peruviani e nordafricani che attendono la chiamata per guadagnarsi un posto di lavoro regolare in Italia.
Le polemiche
«Uno scandalo», si infervora il consigliere comunale di Forza Italia Fabrizio De Pasquale. «Questa giunta non ha fatto altro che alzare le tasse, e invece di mettere in vendita e valorizzare un patrimonio immobiliare del genere per alleggerire un po' le tasche dei milanesi si inventa il centro per gli immigrati. Cosi ci perdiamo soldi sia per la mancata valorizzazione, sia per il mantenimento dell'edifício negli anni». Rincara la dose il consigliere di Fratelli d'ltalia, Riccardo De Corato: «È un errore trasferire un centro per gli immigrati in una viuzza del centro, dove la densità abitativa è altíssima. Significa creare problemi al quartiere. Molto meglio riconsiderare la collocazione e sceglierne una più periferica e lontana dalle abitazioni». Dal Comune minimizzano: «Si tratta di interventí effettuatí a costí bassissimi riadattando o recuperando spazi nostri», scrive Majorino sulla sua pagina Facebook. II palazzo, in effetti, è di proprietà dei Comune ed era già adibito agli uffici per l'avviamento al lavoro, il Celav. Peccato c.he, in base a quanto dichiarato sempre dall'assessore Majorino a Repubblica, saranno 30 i dipendenti del Comune che saranno trasferiti nella casa degli immigrati. Dipendenti che sono pagatí con le tasse di tutti i milanesi ma che lavoreranno solo per gestire le pratíche sull'immigrazione
Tutte le altre case
«L'ispirazione per creare un Immigration Center - raccontava l'anno scorso durante il forum per le politiche sociali l'assessore Majorino - mi è venuta passeggiando per Manhattan». A New York c'è un ufficio único per lo smaltimento di tutte le pratíche legate all'immigrazione. Come non averlo anche a Milano? ha pensato l'assessore che nel tempo libero scrive romanzi e combatte per dare a tutti i bambini di Milano «il diritto a festeggiare il compleanno in un luogo dignitoso».
L'idea non è sbagliata, dice chi lavora in onlus o associazioni che quotidianamente sono a contatto con le difficoltà burocratiche vissute dagli stranieri in Italia, ma i dipendenti comunali sono abbastanza preparati per gestire un passaggio del genere? Majorino non se lo chiede. Lui pensa a scrivere romanzi e ad aprire "case": a dicembre ha inaugurato, sempre in pieno centro (in via De Amicis, dietro l'Università Cattolica) la Casa dei Diritti. In questi giorni debutta la Casa delle Donne, in via Marsala, dietro il Corriere della Sera. L'importante è che siano nel centro della città e raccolgano consenso in vista delle prossime elezioni.

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