Settimana di sgomberi
A distanza di poche ore, a Roma e a Eboli, sono stati effettuati due sgomberi ai danni di un campo rom e di una baraccopoli abitata da africani.
Si tratta di situazioni diverse ma accomunate dal un primo effetto: aver lasciato senza un tetto, anche il più misero, circa 1200 persone. L’episodio romano rientra nel piano nomadi dell’amministrazione di centro destra, che consiste nella realizzazione di campi con strutture atte ad accogliere chi si mette in regola con la legge. La premessa è l’eliminazione dei campi abusivi  già esistenti. Qui, per un attimo, non si vuole discutere dell’opportunità e o meno di un simile intervento, in presenza dell’irregolarità delle strutture abitate. Ma si vuole evidenziare l’assenza di tutela legale, la violazione dei diritti dell’infanzia, e il brutale trattamento, denunciato anche da Amnesty International,  con cui si è attuato lo sgombero che, oltretutto,  non era stato notificato. In questo modo la comunità rom non ha potuto rivolgersi alla magistratura per tentare di fermarlo o posticiparlo. A leggere i fatti di Eboli, invece, sembra di rivivere le situazioni raccontate da Carlo Levi oltre 60 anni fa. Vi si trova  la forte presenza del caporalato e la drammatica assenza dello Stato. La prima perché le persone sgomberate sono lavoratori agricoli sprovvisti, la maggior parte, di un regolare titolo di soggiorno e che svolgono il loro lavoro in condizioni semi-schiavistiche. La seconda perché non si è visto, da parte delle istituzioni, nemmeno il tentativo di evitare una simile dimostrazione di forza illegale. La chiave di lettura di questa vicenda non è nuova, ma ogni volta colpisce: all’interno delle moderne economie di mercato possono sopravvivere modi arcaici di produzione.
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