La Russa e la «solita» equazione tra immigrati e criminali

10 agosto 2010 Italia-Razzismo
l'Unità
Domenica scorsa ricorreva il primo anno dall’entrata in vigore del reato di immigrazione clandestina e il ministro della Difesa La Russa, in un intervista su La Repubblica, ha usato parole poco rassicuranti. Per il Ministro, di fronte alla criminalità e all’immigrazione «occorre assumere altre iniziative affinché i clandestini non continuino ad arrivare da altre vie … Servono inasprimenti normativi. Non è una battaglia finita».

La Russa ha inoltre affermato che «il contrasto alla criminalità organizzata, alla criminalità comune e all'immigrazione deve restare una priorità».
Siamo alle solite. L’immigrazione e la criminalità sono ancora una volta considerate un unico indistinto fenomeno. E se fino a ieri l’affermazione era triviale sia sotto il profilo culturale, sia sotto il profilo tecnico-giuridico, da quando è stato introdotto il reato di clandestinità, l’affermazione diventa ­ paradossalmente, ma non troppo ­ tecnicamente corretta.
Essere clandestini, come usano dire, è considerato un crimine e come tale è perseguito. E gli immigrati irregolari sono ancora tanti, e tanti altri continuano ad arrivare o a diventare irregolari per l’impossibilità di rinnovare il permesso di soggiorno o per mancanza di un lavoro continuativo.
E di fronte a tutto questo, quale sarebbe la soluzione del Ministro La Russa? Semplice, dopo il fallimento delle ronde padane, adesso è il turno della perlustrazione delle nostre città con pattuglie interforze per scovare gli immigrati irregolari. Il rischio è quello di una vera e propria caccia all’uomo.
Dopo alcuni giorni, l’abbiamo visto in tv, in t-shirt, ma quando ha rilasciato quell’intervista era ancora al lavoro: la scusa del colpo di sole, dunque, non regge, Signor Ministro
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