Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 marzo 2010

Una settimana d'azione per dire «no» al razzismo Carfagna: «Il governo contro ogni discriminazione»
Avvenire     12-03-2010
ROMA. Al via la "Settimana d'azione contro il razzismo", promossa e organizzata dall'Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali (Unar) del ministero per la Pari opportunità con una trentina di attività ed eventi dal 15 al 21 marzo in tutta Italia.A presentare l'iniziativa è stata ieri Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità, insieme al dirigente generale dell'Unar, Massimiliano Monnanni. Si tratta, ha spiegato il ministro, di un'iniziativa di prevenzione «sulla quale puntiamo molto ed entrerà in tutte le scuole italiane come è avvenuto per la "Settimana contro la violenza". L'obiettivo è quello di educare gli studenti italiani al ripudio di ogni comportamento razzista e discriminatorio e sensibilizzarli al rispetto e all'accoglienza». La "Settimana d'azione contro il razzismo" ,ha aggiunto Carfagna, «conferma l'impegno del governo contro ogni sorta di discriminazione, in questo caso basata sulla razza e l'etnia. Dal 2003 è attivo l'Unar che ha proprio il compito di registrare e risolvere tutti i casi che attraverso varie segnalazioni giungono al nostro Ministero». «Abbiamo potenziato la "Settimana contro il razzismo" - ha sottolineato Monnanni che ha illustrato le attività dell'Unar - con circa 30 iniziative finanziate dal nostro ufficio in collaborazione con Regioni ed enti locali». «Promuovere la cultura del rispetto dell'altro - ha sottolineato il ministro - è un compito che le istituzioni devono portare avanti. La discriminazione purtroppo è un atteggiamento ostile che spesso si traduce con atti di violenza verso chi si ritene diverso per sesso, razza, religione, etnia o orientamento sessuale e disabilità».





Sempre più minori non accompagnati
Avvenire 12-03-2010
DA ROMA PAOLA SIMONETTI
Il loro flusso in Italia è in progressivo aumento, ma anche in continuo mutamento. Sono la fascia più fragile degli immigrati
che approdano nel nostro Paese: i minori stranieri non accompagnati, quelli spinti spesso dalla povertà delle famiglie d'origine ad espatriare, nella maggior parte dei casi ad opera di trafficanti senza scrupoli. In due anni, dal 2006 al 2008, nel nostro Paese hanno visto un incremento del 30,2%: il loro numero complessivo è di 7.216. Sono per il 90 per cento maschi e oltre il 70% ha un'età compresa fra i 16 e i 17 anni. Si fermano più a lungo, fuggono di meno e hanno una più capillare assistenza sul territorio italiano da parte dei Comuni, che aumentano numericamente nell'accoglienza. Le ultime stime le ha tracciate il terzo Rapporto tematico redatto dall'Anci, presentato ieri a Roma, «un documento -sottolineano i promotori - che mira a tenere il polso  del fenomeno, ma anche e soprattutto degli interventi messi in campo per la tutela di questi ragazzi». I principali protagonisti del cambiamento avvenuto nelle caratteristiche degli arrivi, sono gli under 18 afghani, aumentati del 170%; un'etnia che rappresenta il 49% di quei minori che chiedono asilo politico (capitolo nuovo quest'anno sotto la lente dell'Anci), una fetta quest'ultima che si è più che triplicata: con un incremento del 250%, sono passati dai 251 del 2006 agli 879 del 2008. Fra i Paesi di provenienza più presenti, ci sono anche Albania, Marocco, e Romania, a cui seguono nazioni africane instabili o in conflitto come Nigeria, Somalia Eritrea in netto aumento. Cinque le regioni dove si concentrano i primi arrivi: Veneto, Marche, Friuli Venezia Giulia, Puglia e Sicilia sono le zone interessate dal 50% dei minori contattati e presi in carico nel nostro Paese, dal 42% dei minori collocati in prima e pronta accoglienza e dal 60% di coloro che sono stati accolti nelle strutture di seconda accoglienza. Ma a fronte di aumento del flusso migratorio infantile, il Rapporto Anci registra anche un miglioramento delle politiche adottate dalle amministrazioni locali. Un impegno che non vede più solo le grandi aree metropolitane in prima linea sul fonte della presa in carico di questi piccoli   migranti,   ma anche i Comuni più piccoli: su 5.784 amministrazioni prese in causa dall'indagine,  il 17,7% pari a 1.023 Comuni ha dichiarato di aver accolto minori non accompagnati, attivando un servizio o un interveto di tutela; di questi, 93 hanno preso in carico l'85% dei minori complessivi giunti in Italia, cifra che vede un incremento  rispetto al 2006 del 75 per cento. Migliorata anche la permanenza  all'interno delle comunità: la percentuale di fughe è passata dal 62 al 40 per cento. Resta tuttavia ancora a macchia d leopardo, la risposta delle  amministrazioni,  con metodi non standardizzati, a cui il Programma nazionale di protezione specifico attivato nel 2008, l'Anci spera metterà ordine.






Caritas: «Per ora non c'è pericolo per i migranti, ci opporremo se toccheranno diritti dei bambini»
Avvenire 12-03-2010
intervista
Oliviero Forti, responsabile immigrazione: «Più risorse ai Comuni e nuove norme per chi compie 18 anni»
DA MILANO PAOLO LAMBRUSCHI
Prima di pronunciarsi, la Caritas attende le motivazioni della sentenza perché la Cassazione si prouncia caso per caso. Ma il principio generale della legge è chiaro, al primo posto viene la tutela dei diritti del bambino. E sui minori non accompagnati Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana, chiede che il governo accolga le richieste   dell'Anci   di concedere il permesso anche a chi, al compimento dei 18 anni, risiede sul territorio nazionale da meno di tre anni.
Forti, la sentenza della Cassazione non lede i diritti dei minori, come hanno dichiarato ieri alcune organizzazioni umanitarie? Dobbiamo leggere la motivazione per schiarire un momento nebbioso, abbiamo ancora pochi elementi per giudicarla. Per ora direi agli immigrati di non preoccuparsi perché la Cassazione valuta caso per caso e probabilmente avrà tenuto conto dell'interesse del minore che rimane sempre prevalente. La legge italiana dice infatti che laddove l'allontanamento del genitore dovesse pregiudicare lo sviluppo psico-fisico del minore allora può essere rilasciato, in via eccezionale, un permesso di soggiorno temporaneo. Ovviamente qualora venisse leso il diritto del minore, ci opporremo. Veniamo ai minori non accompagnati, dei quali in molti comuni le Caritas si occupano collaborando con la rete di accoglienza. Come valuta il rapporto dell'Anci?
Una fotografia corretta. Sottolineo il dramma dei profughi afghani, aumentati e provenienti dopo viaggi molto rischiosi dal corridoio adriatico. Per loro l'Italia dovrebbe essere luogo di transito perché hanno i congiunti nell'Europa del nord, ma per la normativa comunitaria la Penisola diventa destinazione finale. In più, segnalo il problema dei minori stranieri, spesso trafficati, che non vengono intercettati. Non abbiamo stime, ma sappiamo che sono in aumento. Quanto al piano di accoglienza lanciato dall'Anci nel 2008, segnalo le difficoltà economiche dei comuni più piccoli. In che senso?
Se è giusto spalmare anche in provincia i minori, soprattutto nei luoghi di sbarco, questi comuni vanno dotati di risorse adeguate. I percorsi educativi e di inserimento sono lunghi, possono durare anche tre anni e quindi molto costosi, mentre per contro vi sono risorse per pochi mesi.
Quindi chiedete più risorse al ministero. Ma se poi al compimento dei 18 anni il minore viene espulso? È un problema che riguarda anche molti progetti educativi delle Caritas per questi minori finanziati con l'otto per mille. Se poi vengono espulsi, si butta via il lavoro di anni. Siamo d'accordo con l'Anci. Chiediamo di rivedere la norma del pacchetto sicurezza la quale prevede il rilascio del permesso solo al minore che, al compimento della maggiore età è in Italia da tre anni.




Così azzerano le tutele di base dei minori
il manifesto 12-03-2010
Maurizio Golgi   
Da ieri la difesa delle frontiere e la sicurezza sono diventate più importanti della tutela dei minori. Con una sentenza che smentisce un recentissimo orientamento, la Cassazione infatti ha stabilito l'espulsione dei «clandestini» anche se i figli vanno ancora a scuola. Inoltre non varrà più la salvaguardia dello sviluppo psicofisico sano per mantenere un genitore in famiglia, piuttosto prevarrà solo il principio che si potrà ottenere la permanenza in Italia «per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore se determinati da una situazione di emergenza». Ma quali sarebbero questi «gravi motivi»? Solo quelli riconducibili a deficit motori serissimi, a gravi ritardi mentali o a problemi sanitari quali insufficienze cardiache oppure malattie congenite.
Questa sentenza è un passo indietro, e non solo da un punto di vista giuridico. Il pensiero va alla sollecitudine con la quale la Corte ha recepito la marcia indietro innescata con il decreto sul pacchetto sicurezza. E tutto il corpo giuridico - in riferimento ai minori - rischia di regredire alla situazione di molti anni fa.
Il collegamento di questa sentenza è con la logica dello «sfascia famiglia», contro i principi più recentemente espressi dalla Carta di Nizza {nel 2000) sul rapporto genitori-figli. Come pure si avverte la sconsideratezza di questo pronunciamento che invece di unire divide. Negli anni di lavoro presso il Tribunale dei mi¬nori di Roma - e mai per una scelta a priori garantista - anche chi scrive ha operato in difesa delle famiglie: quelle stanziali, quelle appena giunte in Italia.
La sentenza della Cassazione è una forzatura che farà piacere al governo, ma è un masso che peserà sull'attività della magistratura minorile e non solo. Le alternative per mantenere la famiglia unita saranno sempre meno: si dovrà rispettare il decreto di espulsione e verrà meno l'evoluzione multiculturale della nostra società. La Cassazione con questa sentenza si è palesemente dimenticata della quantità di minori presentì o nati in Italia: circa 900 mila residenti e 520 mila nati sul territorio italiano. Non è pensabile che siano tutti figli di genitori regolarmente registrati. La stragrande maggioranza parla la lingua, ha acquisito alcune nostre usanze, è diventata «maestra» dei loro genitori.
Domanda: come si può chie-ere che - in questa situazione -uno dei genitori o entrambi possono essere espulsi? Quale sarà la sorte di questi minori di fronte ad una famiglia divisa per legge? Dovranno seguire i genitori nel loro esilio? La responsabilità di «far scomparire» una parte della genitorialità è gravissima; se per genitorialità si intende l'idea - come fa la Convenzione dell'Onu - che «i genitori sono importanti per garantire lo sviluppo pedagogico e psicologico dei minori come pure sostenerli nella crescita». Dopo il pacchetto sicurezza, anche i giudici si fanno legare le mani. Gli articoli di legge stanno travolgendo qualsiasi tutela dei minori previsti invece in quella Convezione dell'Onu di più di vent'anni fa.





Clandestini, e ora diranno «Cassazione razzista»?
il Giornale 12-03-2010
di Paolo Granzotto
Una sentenza, quella numero 5856 della Corte suprema di Cassazione, cioè del vertice della giurisdizione ordinaria, che viene a rompere qualche uovo nelpaniere della sempre un po' piagnucolosa apologia multietnica. Essa stabilisce infatti che gli immigrati irregolari con figli minori che studiano in Italia non possono chiedere di restare nel nostro Paese sostenendo - come sostenevano gli avvocati di un clandestino albanese al centro della causa - che la loro espulsione provocherebbe un trauma «sentimentale» e un calo nel rendimento scolastico dei figli che si risolverebbe nell'impossibilità (...)
(...) di assicurare loro un «sano sviluppo psicofisico». In sostanza, per la Cassazione l'esigenza di garantire la tutela alla  legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori. Ma c'è di più: nel respingere il ricorso la Suprema corte ha inteso anche sventare quello che si sarebbe potuto rivelare un sotterfugio per aggirare la legge. Si legge infatti nella sentenza che dando per preminente il diritto allo studio si finirebbe per «legittimare l'inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l'infanzia». Ovvero per darla vinta a chi fa il furbo.
La sentenza numero 5856 creerà non pochi imbarazzi a quei Comuni che nel nome del solidarismo multietnico già avevano aperto le aule scolastiche ai figli dei clandestini. E non pochi argomenti polemici offrirà a quella parte della società politica e civile che nell'afflato multietnico, culturale e religioso nega il concetto stesso di clandestinità (siamo tutti fratelli, tutti figli di Terra madre, eccetera). Sentiremo dunque battere i tamburi di latta dei diritti umani negati e s'arriverà certamente all'accusa di «deriva razzista» rivolta alla magistratura. Nella quale si nutre sì fiducia, alla quale si mostra sì doveroso rispetto e della quale si difendono autorità, indipendenza e autonomia. Però a seconda di come tira il vento. Quelle che certo andranno a farsi benedire, nella immancabile disputa che seguirà alla sentenza della Suprema corte saranno le «regole». Le stesse mai tanto chiamate in causa in questi ultimi tempi e usate come munizionamento di mitraglia nella vicenda della presentazione delle liste elettorali. Regole alle quali è dovere democratico attenersi, regole da rispettare nella forma e nella sostanza, regole alle quali adeguarsi senza batter ciglio a meno di non mettere a repentaglio la tenuta democratica e antifascista del Paese. In questo convulso clima regolamentista e formalista che divinizza il comma, il timbro, la copia conforme, gli stessi minuzzoli che furono demonizzati quando maneggiati da Corrado Carnevale, non a caso bollato da «giudice ammazzasenten-ze», ci vorrà una solida faccia di bronzo per cambiar rotta sostenendo che c'è regola e regola. E che quella che si riferisce alla corretta interpretazione della legge non vale. Anzi, puzza di razzismo. Non che il bronzo faccia difetto alle facce dei progressisti e dei regolamentisti alla Rosy Bindi. E dunque, anche se stavolta ne serve davvero tanto, sapranno dove trovarlo. Magari con l'ausilio dell'ennesimo appello firmaiolo della Repubblica, di un articolo dell' «autorevole» Observer o di una dichiarazione del sempre generoso Luiz Inacio Lula. Resta però il fatto che il Tribunale di ultima istanza, la cui missione fondamentale è di assicurare l'interpretazione della legge, ha confermato che un clandestino è un clandestino. Anche se con figli in età scolare. Una sentenza, quella numero 5856, che ci conforta. Che fa, come s'usa dire, chiarezza e contro la quale non c'è ricorso che tenga.
SOTTERFUGIO Infanzia strumentalizzata se in questo caso prevalesse il diritto allo studio
IMBARAZZO I negatori del concetto stesso di clandestinità diranno ora che la Corte è razzista








SCUOLA CLANDESTINA
il manifesto 12-03-2010
Marco Bascetta   

Giorno dopo giorno, sentenza dopo sentenza, non finiranno di manifestarsi le Conseguenze aberranti dell'aver reso la clandestinità un crimine, di aver trasformato una condizione di esistenza in reato, in quella assenza integrale di diritti che come ogni maledizione che si rispetti si estende alla progenie.
Dopo aver messo sotto tiro il diritto al lavoro e quello alla salute non poteva uscirne indenne neanche il diritto all'istruzione. Ci ha pensato la Corte di Cassazione   che,   smentendo una precedente sentenza del 19 gennaio di quest'anno, nega al genitore «irregolare» la possibilità di restare accanto ai propri figli iscritti in una scuola della Repubblica. La frequentazione scolastica dei figli non costituirebbe una circostanza eccezionale, tale da richiedere deroghe, piuttosto Un trucco attraverso il quale il clandestino può riuscire a insediarsi subdolamente nella nostra «normalità». È evidente che il risultato pratico di questa sentenza condurrà all'espulsione di fatto di genitori e figli. Contribuendo, per altra via, alla crociata della ministra Mariastella Gelmini -che infatti plaude alla sentenza - contro l'eccessiva presenza extracomunitaria (culturale e numerica) nelle nostre scuole. La precedente sentenza della Cassazione, oggi sconfessata, sarebbe stata colpevole, secondo i giudici della prima sezione civile, di preoccuparsi della «sola salvaguardia dei diritti del minore» a scapito dell'inviolabilità delle patrie frontiere, della sicurezza e di quell'insieme di paure, pregiudizi e ricatti che sottendono la normativa sull'immigrazione. Non v'è dubbio, questa volta, che le toghe, lungi dal correggere le nefaste conseguenze del reato di clandestinità, abbiano aderito pienamente allo spirito e alla lettera della legge. Il cui scopo reale non è certo la missione impossibile di annientare l'immigrazione clandestina, ma di istituire un vuoto di diritti, anche i più elementari, un apartheid ih cui costringere a obbedir tacendo una buona parte della forza lavoro migrante.
Ci dovrebbero riflettere coloro che, affidandosi alla nemesi giudiziaria, misurano ogni questione, politica e umana, con il metro della legalità. E a forza di dar la caccia ai «mariuoli», dimenticano le cattive leggi e i pessimi legislatori (non solo berlusconiani) e interpreti togati che infestano questo paese. I quali, c'è da scommetterci, non tarderanno a prescrivere, dopo aver cercato di obbligare (per fortuna con scarso successo) i medici alla delazione, l'esibizione dei permessi di soggiorno di entrambi i genitori agli scolari extracomunitari. Il diritto alla salute e quello all'istruzione non sono ancora stati cancellati dal nostro ordinamento, ma non sono più in cima alla scala delle priorità nella politica del governo e nemmeno, sembra, nella ratio della magistratura. Che l'ossessione della sicurezza (intesa come ordine pubblico e buona condotta) sia fatta prevalere su ogni altro diritto e principio di civiltà non è un problema che riguardi i soli migranti, è una minaccia che incombe su tutti e non da oggi.









Amnesty: «Piano nomadi sbagliato Stop agli sgomberi forzati dei rom»
Liberazione 12-03-2010
Quella dei rom «è una situazione terribile». Al campo - abusivo - di via Marchetti e poi al campo - legale - di via Candoni, l'Alto Commissario per i diritti umani dell'Orni Navy Pillay vede con i propri occhi quello che decine di dossier raccontano da anni ovvero le spaventose condizioni di vita dei rom in Italia. A via Marchetti, soprattutto, Pillay ha avuto l'impressione di trovarsi catapultata «in uno dei paesi più poveri» del mondo: baracche, topi fango, povertà, pochissima igiene. Ed è tornata a criticare la paranoia securitaria del governo e della maggioranza di centrodestra, colpevoli di vedere rom e migranti come problemi di ordine pubblico e non come esseri umani da integrare. Sarà per questo motivo che la rappresentante delle Nazioni Unite, dopo l'incontro con Maroni, Alfano e Frattìni, elogia unicamente la visione di Gianfranco Fini che, durante la chiacchierata, ha parlato di scuola e cittadinanza per gli stranieri.
Nel secondo dei due giorni di visita in Italia, Pillay ha toccato tutte le tematiche, compreso l'inserimento delle donne nel tessuto decisionale e produttivo: «I Paesi in via di sviluppo stanno facendo meglio dell'Italia». Un'altra pesantissima critica dopo che, mercoledì, si era detta «preoccupata dello stato di diritto» nel nostro Paese a causa degli attacchi di Berlusconi alla magistratura. Tornando ai rom, l'Alto commissario non ha risparmiato critiche al Piano nomadi del sindaco Alemanno e del prefetto Pecoraro, che prevede la chiusura di decine di campi abusivi: «trasferire» i rom « non è una soluzione adeguata» perché vengono espulsi nelle periferie, lontano dai servizi, con poche possibilità di mandare i figli a scuola.
«Alemanno sbaglia nel voler trasferire queste persone in periferia, senza coinvolgerle nelle decisioni e senza offrire un vero alloggio»
Sono esattamente le stesse conclusioni alle quali perviene Amnesty International che giusto ieri ha chiesto alle autorità italiane, Alemanno in primis, di fermare gli sgomberi forzati dei cosiddetti nomadi - che nomadi non sono. «Il Piano nomadi è una risposta sbagliata» perché viola il diritto all'alloggio dei rom, dice Amnesty che lancia uria campagna per i diritti di questa etnìa sottoposta a continue vessazioni. Il Piano nomadi di Roma, ormai a regime, prevede la riduzione da cento a tredici campi autorizzati e coinvolge 6mila dei 7200 rom censiti. L'associazione internazionale, però, afferma che nella Capitale vivono almeno 10-12mila rom «e dunque dove andranno a finire le persone escluse dal Piano?». Da quando è entrato in vigore, spiega l'esperto sull'Italia Ignacio Jovtìs, centinaia di "nomadi" sono stati sgomberati più volte e costretti a trovare un rifugio di fortuna, senza la possibilità di una alternativa. Il diritto intemazionale prevede che tutte le persone interessate sappiano di un imminente sgombero «ma questo non è avvenuto e anche questa è una violazione dei diritti umani». Il Piano è una risposta sbagliata soprattutto perché considera i rom per quello che non sono, e cioè nomadi: in realtà la stragrande maggioranza sogna un alloggio sicuro e la possibilità di continuare a vivere a Roma, città nella quale molti sono nati. «L'Italia deve fornire delle soluzioni alternative di alloggio diverse dai campi, come l'accesso all'edilizia popolare», ora difficile perché le graduatorie contemplano soltanto la possibilità di venire sfrattati da un alloggio ufficiale, non da un campo magari abusivo. Quel che è peggio «è che soltanto alcune famiglie sono state consultate» dal Campidoglio e dalla Prefettura, e come risultato un numero altissimo di rom non sa nemmeno di far parte di un Piano nomadi: «Finché la comunità non verrà inclusa nelle decisioni, ogni progetto è destinato a fallire», conclude Amnesty.
Il timore è che il Piano messo a punto da Alemanno possa venire presto copiato da altre amministrazione come Milano, dove da mesi vengono sgomberati centinaia di rom, senza alternative.
Alla presentazione della campagna c'erano anche alcune persone dei campi. Come Giuliano, residente a Tor de' Cenci da sempre, campo au-torizzato e monitorato dalle forze dell'ordine: «Eppure lunedì verranno a prenderci per la fotosegnalazione e per le impronte digitali». Prenderanno le impronte anche a sua figlia, quindicenne, ottima studentessa e cittadina italiana: «Ci vogliono spostare a Castel Romano ma noi non vogliamo andare così lontano». Dissente Najo Adzovic, rappresentante dei rom del Casilino 900, ora demolito: «Alemanno è stato il primo sindaco in quarant'anni a venire a vedere come vivevamo per cercare una soluzione». Poi un affondo alle associazioni, come Arci e Opera Nomadi, che da sempre assistono i rom: «Cosa hanno fatto per l'integrazione? Hanno vissuto sulle nostre spalle».
Proprio Sergio Giovagnoli dell'Arci ha ricordato che una legge regionale del Lazio impedisce di creare campi attrezzati che ospitano più di 250 persone. A via Candoni sono già 600. E della protezione umanitaria promessa ai rom slavi impossibilitati ad ottenere la cittadinanza perché senza documenti del Paese di origine, per ora nessuna traccia.




Clandestini Cassazione senza pietà
il Fatto Quotidiano 12-03-2010
di Enrico Fierro

Un Paese che non ha più pietà. Un Paese che si batte il petto per la famiglia e per la sua unità, ma solo se mamma e papà hanno la pelle bianca e sono cittadini di pura "razza italica". Una brutta Italia ossessionata dall'incubo delle sue frontiere assediate da orde di barbari. Annibale è alle porte e allora prevalga, sempre e comunque, l'esigenza di tutelare i sacri confini. Anche quando a minacciarli è un povero cristo con regolare permesso di soggiorno e in trepidante attesa della cittadinanza italiana. Che ha i figli a scuola. Bambini che parlano bene la lingua, che hanno legato con i loro amichetti italiani, che studiano con profitto. E che hanno bisogno come l'aria di un padre presente, affettuoso sempre, severo quando serve. Un padre. Come tutti gli altri bambini. Ma la Corte di Cassazione non la pensa cosi: su tutto, sui bambini, sul loro equilibrio, sul loro sistema affettivo, prevalga l'esigenza di tutelare i sacri confini. Ecco quindi la sentenza: i clandestini vanno espulsi anche se hanno figli a scuola. Quanti danni, quante lesioni profonde del vivere civile e finanche dei sentimenti minimi che devono dare anima ad una comunità hanno prodotto anni e anni di razzismo. Si, razzismo, altre parole non ci sono e non servono. Razzismo agitato come arma propagandistica, che ha truccato numeri e statistiche, ha piegato la realtà a suo uso e consumo, fino a diventare una vera e propria ideologia. Mai sufficientemente contrastata, né da una cultura spesso distratta, né da una opposizione sempre flebile. Che ha sorriso giudicando stravaganti alcune iniziative di sindaci leghisti (il divieto di sedere sulle panchine, gli ostacoli ad aprire moschee e luoghi di culto non cristiani, l'ossessiva propaganda), senza capire il male che stava divorando l'Italia. "Tolleranza zero", quante volte abbiamo sentito questa pessima formuletta senza accorgerci che migliaia di uomini e donne che vivono nel nostro Paese sono invece a "diritti zero". Poveri cristi utili a tirar su le nostre case nei cantieri, ad assistere i nostri vecchi malati e soli, a raccogliere le nostre arance a Rosarno, a muovere le fabbriche del Nord, ma senza uno straccio di diritto. Neppure quello di sognare un futuro.







"Famiglia unita? Se ne vadano tutti"
LA STAMPA 12-03-2010
NOVARA

«Quel bambino ha una madre con il permesso di soggiorno, no? E allora non ci sono problemi: resterà in Italia con lei». Massimo Giordano, sindaco leghista di Novara, ascolta la sentenza de¬la Cassazione e non trattiene gli applausi.
Sindaco Giordano, in Italia c'è una legge che tutela l'equilibrio psico-fisico dei bambini. A questo cacciano via il padre... «Se vogliono mantenere unita la famiglia possono sempre andarsene tutti. In questo Paese si trova sempre un qualche motivo per non applicare la legge: i bambini, la burocrazia, le malattie. Il risultato è che gli irregolari finiscono tutti per vivere come regolari. E questo, se mi permette, non succede in nessun'altra parte del mondo».
Così però gli irregolari, di fronte al rischio di essere espulsi, finiranno per vivere come fantasmi. Niente scuola, niente ospedali. Una situazione ideale per chi cerca manovalanza criminale, non crede? «Mi creda, se un uomo non può mandare suo figlio a scuola, non può avere le cure sanitarie gratis, e sottolineo gratis, per la famiglia, non ha ogni giorno la pagnotta garantita dalla Caritas finisce per tornarsene a casa sua».
A Torino, il suo collega Chiamparino ha detto che il posto negli asili sarà garantito anche ai figli dei clandestini. Lei che ne pensa? «Che Chiamparino è figlio di un'ideologia che vuole aprire le porte a tutti. Il risultato? Torino è piena di extracomunitari, regolari e non, ed è molto meno bella di come potrebbe essere».








«Diritti umani, la Svizzera discrimina i musulmani»
CORRIERE DELLA SERA 12-03-2010
WASHINGTON — Nel suo Rapporto annuale sul rispetto dei diritti umani nel mondo, il Dipartimento di Stato americano critica anche la discriminazione dei musulmani in Svizzera. Il documento, presentato ieri nella capitale federale, fa in particolare riferimento al recente voto sul divieto di costruzione dei minareti, che già rischia di mettere la Confederazione elvetica nel mirino di una risoluzione di condanna delle Nazioni Unite. Più in generale, il rapporto cita una serie di esempi di «discriminazioni e molestie» nei confronti dei cittadini di fede islamica nel corso del 2009 «in diversi Paesi europei, tradizionalmente rispettosi dei diritti umani». E conclude che la «discriminazione verso i musulmani in parte dell'Europa è diventata fonte di crescente preoccupazione».
Ma le obiezioni più gravi del documento sono riservate all'Iran, dove secondo il Dipartimento di Stato la situazione dei diritti umani è «degenerata» nell'anno appena trascorso, soprattutto «dopo le contestate elezioni presidenziali di giugno». La Repubblica islamica, si legge nel rapporto, è un luogo dove viene messa in atto «una severa repressione», è «limitata la libertà di espressione e di associazione» e la mancanza di garanzie processuali è sempre più un problema.
Viene ricordata in particolare la violenta reazione con cui la milizia Basiji stroncò la protesta popolare contro i brogli elettorali di giugno, che diedero la vittoria ad Ahmadinejad: ci furono decine di morti e migliaia di arresti, seguite da una sistematica azione di censura contro i nuovi media e i network sociali, che erano stati l'anima della rivolta.
Washington segue «con grande attenzione» gli sviluppi interni iraniani. Il mese scorso, il segretario di Stato Hillary Clinton aveva lanciato l'allarme, avvertendo che l'Iran sta progressivamente trasformandosi in una dittatura militare dominata dai Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione che controllano i centri vitali dello Stato, dell'economia, dell'apparato militare e di sicurezza.


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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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