Sfruttamento del lavoro agricolo

 

Sfruttamento del lavoro agricolo
Stefano Galieni
Quando si parla di immigrazione e sfruttamento del lavoro agricolo, soprattutto di migranti, inevitabilmente l’immaginario collettivo porta a pensare ai fatti di Rosarno, che hanno fatto emergere, nella loro totale criticità, condizioni di vita mai affrontate.
 Eppure questi contesti di sfruttamento, con forme e modalità diverse da territorio a territorio riguardano un po’ tutto il meridione, spesso sono gli stessi lavoratori a contendersi un posto di lavoro malpagato ed in condizioni di vita estreme, muovendosi con il ritmo stagionale della raccolta dei diversi prodotti lungo rotte ormai stabilizzate. Le vicende calabresi hanno fatto facilmente dimenticare che il primo processo per riduzione in Europa, parte da un contesto relativo all’estate del 2006 in Puglia quando i carabinieri di Bari, coordinati dalla DIA, portarono alla luce un contesto di centinaia di lavoratori, per lo più polacchi, costretti a lavorare per 15 ore al giorno, per 2 euro l’ora e a vivere in condizioni disumane. 16 persone hanno ricevuto anche in appello una condanna per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani e alla riduzione in schiavitù. Il volume edito da Manni (88 pp. 12 euro) dal titolo “L’agricoltura pugliese tra occupazione irregolare e immigrazione” curato da Milena Rizzo, raccoglie gli atti di un convegno che si è tenuto lo scorso anno nel Centro Studi Economici dell’Università del Salento, 6 gli autori che tra esperienza concreta e riflessioni interdisciplinari hanno provato a tracciare un quadro della situazione regionale in materia. Numerosi gli spunti interessanti che meritano anche approfondimento di ricerca ma il punto di caduta per gli autori è comunque quello connesso alla contraddizione fra una legislazione su immigrazione e mercato del lavoro che sembra ancorata a criteri fordisti da anni Sessanta e una richiesta di flessibilità e di adattabilità al lavoro che è perfettamente inserita nelle regole ferree del mercato globale. E in periodo di crisi, quando anche raccogliere i prodotti dal campo potrebbe non risultare conveniente per i proprietari terrieri, la riduzione del costo del lavoro è applicata come variante fondamentale, quella attraverso cui mettere in competizione fra loro lavoratori migranti del magreb con quelli neocomunitari, quella che permette di avere sempre eserciti di manodopera di riserva. Eppure in Puglia si vanno sperimentando, a differenza che in altre regioni, ipotesi di alternativa: la legge regionale di contrasto al lavoro nero, la soluzione degli alberghi diffusi per affrontare il tema dell’accoglienza, l’esempio della masseria di Nardò stanno portando i primi frutti. Nonostante la crisi aumenta nella regione il numero di lavoratori in agricoltura occupati regolarmente, segno di processi di emersione, a volte solo sulla carta, dal lavoro nero, ma ipotesi su cui forse vale la pensa spendersi per provare a costruire anche una migliore economia di scambio nel Mediterraneo. Da segnalare, fra gli interventi quello di Gianluca Nigro, di Finis Terrae, particolarmente impegnato ora a Nardò, ma che da anni si occupa di un fenomeno che lucidamente inquadra come sospeso fra premodernità e postmodernità
Liberazione il 30 luglio
 
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