Quando il disoccupato straniero è costretto a tornarsene a casa
l’Unità del 4.06.2009

L’oggetto della circolare del Ministero dell'Interno del 6.5.2009 è la durata dei permessi di soggiorno per attesa occupazione.
Fino all’approvazione della Bossi-Fini il periodo di ricerca di nuova occupazione per il lavoratore non comunitario era di un anno (Convenzione OIL sulla parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti). Oggi il Testo Unico dispone che: la perdita del posto di lavoro non determina la revoca del permesso; dev’essere salvaguardato il diritto a soggiornare fino alla scadenza del permesso, e comunque - salvo nel caso di lavoratore stagionale - per un periodo non inferiore a sei mesi.
Nella recente circolare si cita invece il Regolamento attuativo del TU che dispone: "la Questura rinnova il permesso medesimo (…) fino a sei mesi", impedendo di fatto la possibilità di un’interpretazione estensiva di quel “periodo non inferiore ai sei mesi”. Insomma, dopo 180 giorni di lista di collocamento, tutti a casa. Eppure quell’interpretazione estensiva aveva consentito ai sindacati di negoziare a livello locale la proroga di quel periodo (ad esempio a Verona Treviso Pavia). Non può bastare: si tratta di utilizzare tutte le possibilità di prolungare la permanenza (dal cambiamento del titolo del permesso al patronage per la ricerca di nuova occupazione); e si tratta di sostenere la richiesta sindacale di sospendere per due anni quell’articolo della Bossi-Fini. Ma, soprattutto, si deve collocare questa battaglia “difensiva” in una prospettiva più ampia: lo scioglimento del legame tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno. Questo richiede una nuova norma o perlomeno una nuova circolare interpretativa capaci di equiparare la condizione del disoccupato straniero a quella del disoccupato italiano.

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