Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

07 maggio 2013

LE INUTILI FORZATURE
Corriere della sera, 07-05-2013
GIAN ANTONIO STELLA
Cécile Kyenge, che vive la nomina a ministro dell'Integrazione con una certa euforica loquacità, è riuscita a farsi bacchettare perfino dal presidente dei medici stranieri in Italia, Foad Aodi. Il quale le ha raccomandato di muoversi «con cautela». Un passo alla volta. Partendo «dalle cose che uniscono e non da quelle che dividono». Parole d'oro. A mettere troppa carne al fuoco, com'è noto, si rischia di bruciare tutto.
Il tema centrale, gli altri vengono dopo, è quello sollevato da Giorgio Napolitano quando si augurò che «in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Verissimo. Ed è uno dei temi che possono unire. Purché, appunto, lo si faccia nel modo giusto. Annunciare genericamente il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli, cioè dalla cittadinanza ereditata dai genitori a quella riconosciuta automaticamente a chi nasce qui, senza spiegare bene «come» e con quali regole, è un errore.
Per carità, le reazioni isteriche di razzisti del web o della politica come Mario Borghezio, che si è spinto a parlare di un «governo bongo bongo» e a dire che gli africani «non hanno mai prodotto grandi geni, basta consultare l'enciclopedia di Topolino», ignorando che erano neri ad esempio Esopo e Alexandre Dumas, cioè due dei più grandi e dei più tradotti scrittori di tutti i tempi, andavano messe in conto. I razzisti sono quella roba lì...
Il guaio è che il modo con cui la Kyenge ha annunciato, insieme con tante altre cose, un disegno di legge in «poche settimane» per lo ius soli è stato così spiccio e insieme vago da creare una reazione di inquietudine, se non di ostilità, anche tra molti che danno per ovvia la necessità di cambiare la legge attuale.
In realtà, come hanno spiegato Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi nel saggio L'evoluzione delle leggi sulla cittadinanza: una prospettiva globale, non esiste una ricetta universale. Nell'Europa del Settecento dominava lo ius soli figlio del feudalesimo che legava l'uomo alla terra e al feudatario. E lo ius sanguinis d'origine romana che oggi ci pare egoista verso gli «altri», fu reintrodotto proprio dopo la Rivoluzione Francese. Non è automatico che di qua stiano i buoni e di là i cattivi. In diversi Paesi africani dopo l'indipendenza, Congo compreso, chi aveva lo ius soli l'abolì all'istante per passare allo ius sanguinis prevedendo in vari casi l'«obbligo» di pelle nera. Una reazione forse comprensibile dopo il colonialismo ma, piaccia o no, razzista.
Certo è che, stando ai numeri, buona parte dei Paesi civili ha seguito da mezzo secolo in qua un percorso abbastanza comune verso l'approdo più sensato: il sistema misto. Nel 1948 lo ius soli, scrivono le due studiose citate, «risulta applicato nel 47% circa dei Paesi (76 su 162), lo ius sanguinis nel 41% (67 Paesi)» mentre il misto è adottato nel restante 12%. Tra i Paesi dove i nati sul suolo patrio erano subito cittadini c'erano «gli Stati Uniti, il Canada, tutti i Paesi dell'Oceania, la maggior parte dei Paesi dell'America Latina, le colonie inglesi e portoghesi in Africa e Asia e, in Europa, Regno Unito, Irlanda e Portogallo».
Oggi non è più così: solo gli Usa hanno mantenuto di fatto lo ius soli integrale. Gli altri, davanti alle grandi ondate migratorie che rischiavano di scatenare reazioni xenofobe difficili da gestire e dunque negative per gli stessi immigrati, hanno preferito introdurre nuove regole. Esattamente come altri Paesi dove valeva lo ius sanguinis ed erano in imbarazzo nei confronti di tanti cittadini nati e cresciuti lì, hanno seguito il percorso opposto andando loro pure verso il misto. Cioè il riconoscimento della cittadinanza grazie al doppio ius soli (ai figli di chi già era nato sul posto) o a precise norme, più o meno restrittive (esempio tedesco: dopo 8 anni di residenza dei genitori) che garantiscano a chi è nato sul luogo la certezza di diventare un cittadino per un diritto e non per concessione di questa o quella autorità. Fatto sta che se nel 2001 erano ancora legati allo ius sanguinis il 69% dei Paesi africani, l'83% di quelli asiatici, l'89% di quelli latino-americani, l'Europa in gran parte era già passata al «misto». Che via via ha visto aggregarsi l'Irlanda, il Portogallo, la Grecia... Insomma, i bambini nati in Italia che frequentano le nostre scuole e parlano solo italiano e cantano l'inno di Mameli e magari vincono come Lihao Zhang il premio Voghera per la poesia dialettale lombarda, aspettano da tempo una risposta. E se rispettano le regole hanno diritto a diventare italiani. Ma proprio per riconoscere loro questo diritto occorre stare alla larga da improvvise forzature solitarie. E soprattutto da certe ambiguità che eccitano le risse e non aiutano il dialogo.



Lo “ius soli”, un’utopia ancora da scrivere
È “nel cuore” di Letta, ma non nel suo ptogramma di governo
Le proposte possibili sono molte
il Fatto quotidiano, 07-05-2013
Corrado Giustiniani
Che un bambino nato in Italia da genitori stranieri sia dichiarato solo per questo immediatamente nostro concittadino, appare giorno dopo giorno un’utopia politica. Reclamata, peraltro, dal 72,1 per cento degli italiani, se ha visto giusto l’Istat, in un’indagine condotta su 8 mila famiglie e diffusa nel corso del 2012. Lo “ius soli” è sì “nel cuore” di Enrico Letta ma non “nel programma su cui il governo ha ottenuto la fiducia”. E quel “farò del mio meglio ma vedremo”, con cui il presidente del Consiglio ha concluso il suo ragionamento sul tema, non è certo un buon viatico per la ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge, che pure vuole andare avanti presentando “nelle prossime settimane” un disegno di legge sulla cittadinanza per le seconde generazioni di immigrati: un milione di ragazzi, il 65 per cento dei quali nati in Italia, che costituiscono oltre il 7 per cento della popolazione scolastica.
Ma, al di là dello “ius soli” integrale di stampo Usa, che del resto non ha riscontro in nessun paese d’Europa, sembra tuttavia concretamente possibile migliorare fortemente la crudele legge 91 del 1992 sulla cittadinanza (approvata all’unanimità dal Parlamento dell’epoca) che impone a un ragazzino nato in Italia di trascorrere 18 anni ininterrotti prima di poter accedere alla cittadinanza. E che, colmo della cattiveria, allo scoccare dei 18 anni non ti concede automaticamente la cittadinanza, come avviene ad esempio in Francia, ma ti dà un anno di tempo per presentare domanda e se scoccano i 19 anni, tanti saluti.
CI SONO alcuni segnali politici che paiono incoraggianti. Il primo viene dal Movimento 5S che ha fatto sapere, con il suo capogruppo alla Camera, Roberta Lombardi, di essere d’accordo con Cécile “se il bambino è integrato e se respira la cultura del paese”. Un bel passo avanti rispetto a quando Beppe Grillo definì in un suo post “senza senso” lo “ius soli”. E se Roberto Maroni lo definisce con un tweet “una perdurante follia buonista, cui la Lega è da sempre contraria” e il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri giura che “in Italia non passerà mai”, spunta sugli stessi banchi del Pdl una proposta del senatore Carlo Giovanardi per concedere all’inizio della prima elementare la cittadinanza ai bambini nati in Italia quando almeno un genitore straniero fosse da almeno un anno in Italia. Questo, per evitare ad esempio che donne in gravidanza giungano a bella posta a partorire nel nostro paese, come accadeva in Irlanda alla fine degli anni ’90, quando vigeva ancora una legge sullo “ius soli” integrale, poi cambiata in tutta fredda. Giovanardi, che prima la pensava in modo ben diverso, ha annunciato l’immediata presentazione di un disegno di legge in questo senso. L’ex ministro dell’Integrazione Andrea Riccardi compie il percorso opposto: dallo “ius soli” in cui credeva prima, allo “ius culturae”, al quale si è convertito: cittadinanza solo dopo la conclusione di un ciclo scolastico, ha proposto a “Repubblica”. A Giovanardi basta la prima elementare, lui chiede la quinta.
Finora le proposte di riforma presentate dal centro sinistra, sin da quella dell’ultimo governo Prodi, insabbiatasi in Parlamento, hanno lasciato aperti due canali: cittadinanza ai bambini nati in Italia subito, con genitori stranieri sufficientemente integrati, e cioè in condizione regolare e in Italia da almeno cinque anni. E cittadinanza ai bimbi stranieri non nati, ma venuti da piccoli nel nostro paese, al compimento di un intero ciclo di studi. E in Europa, quali sono le regole?
IN FRANCIA ci sono tre possibilità: cittadinanza automatica a 18 anni, se i giovani qui nati vi hanno tenuto la loro residenza, continua o discontinua, per almeno cinque anni dagli 11 in poi. A 16 anni, se l’interessato ne fa domanda. A 13 anni, se fanno domanda i genitori, sempre con cinque anni di residenza obbligatoria. In Germania, cittadinanza automatica se un genitore ha il permesso di soggiorno illimitato da almeno tre anni. Nel Regno Unito ci vogliono 10 anni di residenza dopo la nascita senza assentarsi per più di 90 giorni. Resta da vedere cosa esattamente proporrà Cécile Kyenge e se il governo avrà la voglia e la forza di appoggiarla.



Giovanardi: "Cittadinanza ai bimbi all'iscrizione in prima elementare"
Ius soli, la proposta del senatore berlusconiano per i figli degli immigrati, se nati in Italia. "Così integrazione più efficace". da Bologna gli risponde il leghista Manes Bernardini, responsabile nazionale Immigrazione del Carroccio: "Così ondata incontrollabile di arrivi, graverà sul welfare"
la Reoubblica.it, 06-05-2013
Il berlusconiano Carlo Giovanardi, concittadino del ministro dell'integrazione, la modenese Cecile Kyenge, apre allo Ius soli, con una proposta: dare la cittadinanza ai bambini nati in Italia al momento dell'iscrizione alla prima elementare. ''Una proposta che avanzo - dice Giovanardi - contenuta in un disegno di legge che sto presentando al Senato, è quella di concedere la cittadinanza al bambino, nato in Italia da genitori extracomunitari, uno dei quali già in Italia da almeno un anno, se dopo la nascita risiede legalmente in Italia, al momento dell'iscrizione alla scuola dell'obbligo. Questa nuova norma si inserirebbe in un quadro normativo che prevede già la possibilità di chiedere la cittadinanza dopo 10 anni di permanenza legale nel nostro Paese, che si estende ai figli minorenni anche se non nati e residenti in Italia, e all'altra disposizione che consente al minore nato in Italia di chiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno di età''.
''Mi sembra - ha detto Giovanardi, come riporta l'Ansa - che questa sia una proposta ragionevole che, da un lato può rassicurare verso eventuali utilizzi strumentali della Ius Soli e dall'altro rende più efficace l'integrazione nel momento in cui i bambini italiani ed extracomunitari si trovano a frequentare assieme la
scuola dell'obbligo''.
Un no "categorico" alla proposta di Giovanardi arriva dal capogruppo leghista in Consiglio comunale a Bologna, Manes Bernardini, che è anche il responsabile nazionale Immigrazione del suo partito.  L'idea di Giovanardi è "un pasticciato compromesso. Ci auguriamo che non sia questo lo stile del nuovo Governo Pd-Pdl''. "Con lo ius soli apriremo le frontiere del nostro Paese a un'ondata incontrollabile di immigrati che graverà in maniera insostenibile sull'intero sistema del welfare''.



Lo «ius soli» nei Paesi europei non basta per diventare cittadini
Oltre alla nascita entro i confini servono altri requisiti
Corriere della sera, 07-05-2013
Alessandra Arachi
ROMA — Sono più di vent'anni che in Italia si parla di ius soli. Da quando, cioè, venne varata la legge sulla cittadinanza, tutta basata sullo ius sanguinis. Ovvero: non importa se sei nato in Italia, si diventa cittadini italiani soltanto se si hanno genitori italiani. Oppure se si aspetta di compiere diciotto anni, come è successo a Mario Balotelli, l'italiano nero più famoso d'Italia.
L'italiano al quale Cécile Kyenge, ministro per l'Integrazione, ha chiesto aiuto per diventare testimonial del suo progetto, il primo del suo dicastero: un decreto per far diventare legge lo ius soli. Super Mario ha accettato immediatamente. Nel Paese si è aperta la polemica, nonostante la benedizione del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova: «La cittadinanza è uno dei diritti umani che deve essere riconosciuto certamente alle persone che approdano nel nostro Paese», anche se «spetta alla politica decidere la formula».
Diritto di terra o diritto di sangue? In Europa non c'è nessun Paese che adotta lo ius soli nel senso puro del termine, così cioè come viene adottato negli Stati Uniti: se nasci in America diventi americano. Punto. In Europa bisogna andare nella cattolica Irlanda o nella liberal Germania per trovare un diritto di cittadinanza che leghi il minore straniero alla terra in maniera un po' più decisa.
Per capire: in Irlanda si diventa irlandesi se si nasce da genitori irlandesi. Ma se i genitori sono stranieri basta che uno dei due risieda nel Paese da almeno tre anni prima della nascita del figlio che il bimbo può ottenere la cittadinanza. In Germania la procedura non è molto diversa: uno dei due genitori deve vivere nel Paese da almeno otto anni e avere un permesso permanente da almeno tre. Molto diverso che da noi.
Da noi Mario Balotelli è potuto diventare italiano perché era nato in Italia, ma sarebbero bastati forse pochi mesi di ritardo perché anche super Mario entrasse in quella trafila di richiesta di cittadinanza che sembra non finire mai.
Se lo ius soli diventasse legge, ogni anno avremmo circa 80 mila nuovi bambini italiani. Poi ci sarebbero altri quasi 600 mila minori che sono nati in Italia e potrebbero sognare una cittadinanza «retroattiva», grazie al nuovo decreto. Ma nel frattempo sono altre migliaia e migliaia gli stranieri che, arrivati in Italia bambini, hanno aspettato dieci anni per chiedere la cittadinanza e adesso attendono inutilmente di ottenerla, nonostante tutti i requisiti corrispondenti.
I nostri cugini oltremanica sono decisamente più morbidi. In Gran Bretagna per acquisire la cittadinanza si deve nascere in territorio britannico anche da un solo genitore che sia legalmente residente nel Paese in modo stabile. In Francia vale il doppio ius soli: ovvero se sei straniero nato da genitori stranieri già nati in Francia la cittadinanza è molto più facile.
Forse solamente gli svizzeri in Europa sono più severi di noi: qui la naturalizzazione è possibile solo dopo dodici anni di residenza stabile. E se ieri i deputati di Scelta civica Mario Marazziti e Milena Santerini hanno presentato una proposta di legge per uno «ius soli temperato» (sul modello tedesco e irlandese) e uno «ius culturae» (legato cioè alla formazione del minore), il governatore del Veneto il leghista Luca Zaia si è fatto alfiere di una visione moderata del suo partito che ha criticato lo ius soli da quando il ministro Kyenge lo ha proposto.
Zaia sostiene lo ius sanguinis, tuttavia non è contrario a dare la cittadinanza italiana a un immigrato «ma la deve avere sulla base di presupposti oggettivi», mentre l'ex ministro del Pdl alla Famiglia, il senatore Carlo Giovanardi apre inaspettatamente allo ius soli. Dice Giovanardi: «Una proposta che avanzo contenuta in un disegno di legge che sto presentando al Senato, è quella di concedere la cittadinanza al bambino, nato in Italia da genitori extracomunitari, uno dei quali già dimorante in Italia da almeno un anno, se dopo la nascita risiede legalmente in Italia, al momento dell'iscrizione alla scuola dell'obbligo».
Ha scatenato molte polemiche un post su Facebook del consigliere comunale della Lega per la Toscana a Prato, Emilio Paradiso, il quale ha definito il ministro per l'integrazione Kyenge «nero di Seppia». «Voleva solo essere una battuta satirica», ha tentato poi di spiegare il leghista.



Cittadinanza: proposta alla Camera da parte di Scelta civica con ius soli temperato e un ius culturae.
L’iniziativa, simile nei contenuti ad altre proposte di legge già depositate anche dal PD, è stata illustrata ieri alla stampa.
Immigrazioneoggi, 07-05-2013
Cittadinanza breve e con norme che ne facilitino l’acquisizione sia per i minori che per gli adulti, con un uno ius soli “temperato” e un ius culturae che la conceda anche dopo un percorso di formazione fatto in Italia.
È la proposta di legge presentata alla Camera dal gruppo di Scelta civica durante una conferenza stampa e che è già nei cassetti di Montecitorio dal 25 marzo scorso. Primi firmatari sono Mario Marazziti e Milena Santerini. Ma sono arrivate anche altre sottoscrizioni non solo dai deputati di Sc (Binetti, Catania, Antimo Cesaro, Fauttilli, Galgano, Gigli, Matarrese, Nissoli, Rossi, Sberna, Schirò Planeta, Tinagli, Vecchio, Vezzali) ma anche dai colleghi del Pd Realacci, Bobba, Verini.
La proposta fa parte di un più ampio numero di progetti già depositati alla Camera a fine marzo su immigrazione e cittadinanza. In particolare sulla questione del riconoscimento della cittadinanza ai minori (affrontata nei progetti n. 463, 494 e 369 a firma esponenti PD) le proposte sono tutte orientate verso una forma di ius soli ma temperato con diverse sfumature. Nella proposta Marazziti “L’attuale legge sulla cittadinanza, la legge 5 febbraio 1992 n. 91 – si spiega nella premessa – non pare più adeguata a raccogliere il bisogno di cittadinanza e di integrazione sociale di tanti. Senso di cittadinanza, anche in senso giuridico, delle seconde generazioni: stranieri, figli di immigrati, ma non essi stessi immigrati, in quanto nati o comunque vissuti in Italia nell’intero periodo della loro formazione linguistica e culturale nel corso dell’età evolutiva”.
I modi di acquisto della cittadinanza contemplati oggi dalla legge sono sostanzialmente connessi all’applicazione del principio dello ius sanguinis (avviene per trasmissione dai genitori che sono italiani). L’articolo 1 del testo introduce alcuni casi di fortemente attenuato, prevedendo che per l’acquisto della cittadinanza italiana non sia sufficiente ius soli il solo evento della nascita sul territorio nazionale, dovendo concorrervi almeno uno dei seguenti requisiti: che almeno uno dei genitori sia già regolarmente soggiornante nel nostro Paese da non meno di cinque anni; che almeno uno dei genitori sia nato in Italia e vi soggiorni legalmente alla nascita del figlio da almeno un anno.
All’articolo 2 della proposta di legge di Scelta civica sulla cittadinanza, depositata alla Camera, sono invece introdotte alcune ipotesi di acquisizione della cittadinanza per ius culturae, conseguendo questa al prolungato e positivo inserimento del nuovo cittadino nella società italiana sin dalla minore età. Ciò avverrà, più esattamente, al completarsi delle seguenti fattispecie: su richiesta, entro un anno dal compimento della maggiore età, dello straniero nato in Italia, oppure entrato in Italia entro il quinto anno di età, che vi abbia sempre soggiornato regolarmente; su istanza dei genitori – o dell’interessato stesso divenuto maggiorenne – dello straniero minore di età che abbia frequentato e concluso con esito positivo un corso di istruzione primaria o secondaria di primo grado, ovvero secondaria superiore, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale idoneo al conseguimento di una qualifica professionale. Per quanto riguarda i minori si stabilisce inoltre che “lo straniero nato o entrato in Italia entro il quinto anno di età, che vi abbia soggiornato legalmente fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza entro due anni” dall’essere divenuto maggiorenne. L’articolo 3 modifica il testo vigente dell’articolo 9 della legge n. 91 del 1992, riconducendo ai più diffusi standard europei il periodo di stabile residenza in Italia richiesto per poter presentare la domanda di naturalizzazione. In particolare, il periodo di residenza legale è stato portato a tre anni per i cittadini europei, i quali hanno l’onere di richiedere l’iscrizione anagrafica per soggiorni sul territorio nazionale superiori a tre mesi. Nel caso della domanda di naturalizzazione ordinaria è stato invece previsto il requisito del soggiorno regolare ininterrotto da almeno cinque anni, sostituendolo così a quello della continuità nella residenza anagrafica, attualmente previsto dall’ordinamento vigente. All’articolo 4 viene affermata la possibilità del soggetto di mantenere la cittadinanza di origine. All’articolo 5 viene infine introdotta una disciplina transitoria, a nostro avviso necessaria ad evitare ingiustificate differenziazioni nel trattamento di situazioni tra loro sostanzialmente equivalenti.



Cie, per gli stranieri un «diritto» speciale
Isolamento preventivo, pene più severe per i ribelli, questo prevede il documento del ministero dell’Interno
l'Unità, 07-05-2013
Flore Murard-Yovanovitch
La gravissima crisi istituzionale ha risvolti ancora più bui di quelli ben noti. Il governo «tecnico» dimissionario ha lasciato in eredità alla nuova legislatura un «Documento programmatico» sui Centri di Identificazione ed Espulsione, che raccoglie le conclusioni, finora non smentite, di una «task-force» ministeriale istituita nel giugno 2012, dalla ministra Annamaria Cancellieri. Non è la prima volta che un governo decide di disporre di un’indagine sui Cie italiani, come la «Commissione De Mistura» del 2006. Ma mentre essa aveva analizzato sistematicamente tutte le criticità e concludeva per il «superamento» degli allora Cpta attraverso il loro svuotamento, l’attuale «task-force», composta esclusivamente da funzionari dell’Interno che hanno lavorato in assoluta segretezza, ignora in toto le conclusioni della precedente Commissione, anzi vuole incrementare il numero di centri di detenzione sul territorio nazionale. Ed inasprire il trattenimento amministrativo dei migranti in luoghi, che, da anni, giuristi autorevoli, associazioni ed alcuni esponenti politici, denunciano come di “non diritto” e di palese violazione dei diritti. Dietro un programma ammantato di tecnicismo, si cela in realtà una vera e propria rivendicazione ideologica dei Cie.
Ignorando il fallimento del sistema Cie e le lesioni inflitte ai diritti fondamentali dei migranti, il ministero dell’Interno individua l’unica criticità dei Cie nella sola condotta delle persone trattenute. I Cie risulterebbero inoltre «indispensabili per un’efficace gestione dell’immigrazione irregolare», trascurando l’inefficacia in qui versano i Cie. Nel 2012, dei 7.944 migranti trattenuti nei 13 Cie operativi in Italia, solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) quindi del 50,54%. Lo stato di sovraesposizione sarebbe imputabile all’alibi della Primavera araba, allorché proprio maghrebini e tunisini furono oggetto di respingimenti illegali. Inesattezze, analisi distorta della realtà, quando non vere e propri errori in materia giuridica. A leggere il documento, sembra redatto con l’obiettivo di leggittimare il sistema, a fronte delle puntuali e autorevoli critiche avanzate dalla cultura giuridica.
Il “rapporto” guidato dal sottosegretario Saverio Ruperto si fa anche scappare alcune candide confessioni sulle scelte compiute nel 2011 dal governo italiano: «L’estensione temporale (a 18 mesi) era giustificata... dall’esigenza di scoraggiare il calcolo di convenienza spesso compiuto dagli stranieri trattenuti (...)», cioè la mera ammissione di una funzione special-preventiva del trattenimento, che è propria della pena in senso stretto, nonché la confessione della violazione della Direttiva Rimpatri. Mentre il trattenimento nel Cie non ha (non dovrebbe avere, secondo la legge) finalità punitiva, né le pene possono essere irrogate senza crimini e senza giudizio... Principi caposaldi dell’ordinamento democratico che nei Cie trova la sua negazione.
«PREVENIRE LE SOMMOSSE»
Ma vi è un aspetto più inquietante ancora sul quale quel documento interno insisterebbe: la necessità di prevenire e domare le sommosse, isolando i «rivoltosi» e addirittura «potenziali rivoltosi» in appositi spazi «moduli idonei ad ospitare persone dell’indole non pacifica» (si passa sui concetti di filiazione lombrosiana). Se l’uso di «celle d’isolamento» a fini di pestaggi mirati e i trasferimenti dopo le azioni di protesta sono sempre stati documentati (Fulvio Vassallo Paleologo), quella prassi viene ormai formalizzata come «soluzione» anche preventiva. Aree speciali per detenuti speciali in carceri speciali...
Lo studio programmatico suggerisce persino interventi normativi, come quello di inserire un’aggravante specifica per i reati commessi all’interno dei Cie: la «ribellione» nei Cie, verrebbe equiparata ai crimini meritevoli di un surplus di pena. Come denuncia l’Asgi l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione -, «il documento sembra ignorare che i reati in questione sono tutti già previsti dal codice penale e dunque mostra di volere implementare quel diritto speciale degli stranieri che viola, clamorosamente, i principi ordinamentali italiani».
La Campagna LasciateCIEentrare, e tutte le associazioni che ne compongono il comitato promotore, intanto, chiedono che il ministero dell’Interno e le istituzioni governative e parlamentari non tengano conto del Documento Programmatico sui Cie e chiama una conferenza nazionale. A noi che entriamo nei Cie, che abbiamo visto le gabbie per «animali umani», questo documento fa rabbrividire, perché formalizza e leggitima la prassi segregazionista e razzista, la violenza istituzionale, addirittura l’implementazione di un diritto sempre più speciale per gli stranieri. Svela soprattutto la rappresentazione che il ministero dell’Interno ha dell’immigrazione e la matrice culturale alla sua radice: migranti-oggetti-da contenere e domare con una logica persecutoria. No, non è un documento storico della ditattura Pinochet contro i desaparecidos. È stato pensato ed elaborato oggi, contro i migranti, in Italia, proprio nel cuore dell’Europa.



Pisa - Dal "nomadismo" all’integrazione: la scolarizzazione dei bambini rom nel pisano
Melting Pot Europa, 07-05-2013
Chiara Puglisi
Si chiama Amen Bask Da il progetto di scolarizzazione dei bambini rom di Pisa e in lingua romanes significa “andiamo avanti insieme”.
Nato nel 2003 e gestito dalla cooperativa sociale Il Progetto insieme alla Cooperativa Il Simbolo, all’interno del più ampio programma Città Sottili (che riguardava l’inserimento abitativo dei Rom), il servizio si propone di fornire sostegno scolastico e di promuovere il diritto al gioco a favore dei bambini dei campi nomadi.
Le famiglie seguite sono quelle del villaggio di Coltano, costituito per lo più da unità abitative autorizzate dal Comune e da qualche baracca, quelle dell’ex centro ittiogenico di Marina di Pisa, in cui risiedono cinque famiglie in case regolari, e quelle dell’insediamento più numeroso di Oratoio, abusivo e in attesa di sgombero. Con loro la cooperativa segue un programma che prevede l’inserimento dei minori nella scuola, da quella dell’infanzia alla scuola superiore di secondo grado, anche se, a detta della responsabile del progetto, non sono in molti che proseguono dopo la terza media, c’è ancora tanta dispersione scolastica.
Il progetto mette a disposizione un’equipe educativa composta da due operatori che si occupano del recupero scolastico e dell’attuazione di attività ludiche, trascorrendo quattro pomeriggi a settimana presso gli insediamenti rom. Prima del 2010 l’equipe lavorava anche a scuola, ma poi è stato ritenuto più efficace l’intervento pomeridiano. Fondamentale, all’interno di questo quadro, è il coinvolgimento delle famiglie, per renderle consapevoli di quanto sia importante il diritto allo studio per i loro figli. “La collaborazione è indispensabile, e per questa si intende anche mediazione tra scuola e famiglia o assistenza nella compilazione dei moduli” afferma la responsabile del progetto, che prosegue “l’ospitalità è molto sentita da questo popolo, non c’è mai stato problema di accoglienza all’interno dei campi perché hanno ben chiaro il ruolo degli operatori”.
Altra parte del progetto riguarda il trasporto. La cooperativa lo gestisce insieme all’autoparco comunale, attraverso i veicoli per i servizi scuolabus. Ogni mattina i tre pulmini (uno per le scuole medie e gli altri due per le scuole primarie e dell’infanzia) passano da Coltano e Oratoio a prendere i piccoli rom, e lo stesso fanno all’uscita di scuola. È previsto poi l’inserimento di accompagnatori sui mezzi: sul pulmino delle medie ci sono i volontari dell’associazione Auser, mentre sugli altri due gli accompagnatori sono rom. Diverso è il discorso per l’ittiogenico: da lì passa uno scuolabus per tutti i bambini di asilo ed elementari, italiani e stranieri, mentre ai Rom che frequentano le medie la cooperativa paga l’abbonamento del pullman. Il servizio di trasporto si paga in base alla fascia di reddito; per usufruirne è necessaria la presentazione della richiesta entro il termine previsto, con allegazione dell’Isee e del documento di identità dei genitori.
Un passo importante è stato fatto dall’Assessorato all’istruzione, che ha distribuito i Rom nei vari istituti comprensivi del territorio; spinto dalla volontà di non gravare troppo su una determinata zona (in particolare quella di Oratoio, dove c’è la massima concentrazione di nomadi), ha favorito al contempo una maggiore integrazione con i bambini italiani.
Un ruolo fondamentale è ricoperto dalla responsabile del progetto, quando assume la veste di intermediaria fra tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti: famiglie, scuole, servizi educativi comunali, autoparco e Società della Salute; quest’ultima è la committente del progetto e, insieme alla Regione Toscana e all’Articolazione Zonale Pisana della Conferenza dei Sindaci, provvede ai finanziamenti.
La scolarizzazione dei figli, inoltre, è uno dei requisiti essenziali per l’assegnazione delle case ai Rom, insieme al permesso di soggiorno di almeno uno dei genitori, al casellario giudiziale e all’assenza di carichi pendenti; la concessione viene rinnovata ogni anno.
Parlare di integrazione nel senso più ampio del termine, forse, è ancora prematuro; le difficoltà di inserimento per i bambini rom si presentano quotidianamente, considerando anche che all’interno del loro stesso clan convivono etnie diverse e che tradizionalmente l’immagine sociale di questo popolo è oscurata dai pregiudizi di un’opinione pubblica ostile. Ma la città sta facendo molto, intervenendo su quelli che domani saranno i “nuovi gitani”. E saranno andati a scuola.



Rimini - Si da fuoco perchè gli negano il permesso di soggiorno
Storie di emerginazione al tempo della crisi
Melting Pot Europa, 07-05-2013
Venerdì 3 maggio intorno alle ore 23.30 - in pieno centro storico - un cittadino di origini marocchine, con alle spalle una storia molto travagliata, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. La piazza era piena di persone che sono accorse avendo notato questa persona che si muoveva in maniera strana con gli abiti intrisi di benzina.
Non ha detto nulla a chi lo aveva notato, se non urlare una volta che le fiamme lo hanno avvolto.
Se non ci fosse stata la pronta reazione dei cittadini presenti, perlopiù giovani e giovanissimi frequentatori delle cantinette che prontamente hanno cercato di spegnere le fiamme con le loro giacche, l’uomo sarebbe potuto morire.
La stampa locale ha trovato subito l’occasione per spacciare un’altra versione e sancire chi fosse l’eroe, il salvatore: uno dei tanti militari che presidiano in pianta stabile il centro storico della città, ormai inesorabilmente militarizzato. Gli articoli riportano una versione dei fatti, che a quanto riferito dalla testimonianza dei presenti, non corrisponde alla realtà.
Sta di fatto che questa storia avviene proprio a ridosso di un’altra drammatica vicenda che riguarda una coppia di ragazzi riminesi, figli della migrazione, con problemi di dipendenze dall’eroina. Il 28 aprile in un capannone abbandonato nei pressi del centro storico, divenuto luogo di ritrovo per il consumo di sostanze pesanti, i due ragazzi hanno avuto un pesante litigio. Con loro c’era il cane del ragazzo di grosse dimensioni, che ha aggredito mordendo senza presa la ragazza, alla quale poi è stata amputata la gamba. Se i vicini non avessero sentito le urla e chiamato un’ambulanza la ragazza sarebbe morta dissanguata. Sabato scorso il collettivo Lab.Paz Project all’interno della Campagna cittadina FacciAMOci spazio, ha organizzato un’azione e una conferenza stampa nel luogo dove è avvenuta la tragedia, perchè questo fatto non rimanga nel silenzio.
Due storie diverse ma entrambe legate da un filo sottile, l’indifferenza di politiche e pratiche sicuritarie capaci solo di militarizare centri storici, di spostare i problemi altrove purchè non siano visibili, perchè se si è tossicodipendenti, punkabbestia o migranti con alle spalle dei precedenti penali non si ha cittadinanza alcuna, solo emerginazione, stigmatizzazione e isolamento sociale.
Perde lavoro e permesso di soggiorno, Marocchino si dà fuoco in piazza
da Rainews del 4 maggio 2013
Si è dato fuoco tra la gente perchè la Questura non gli ha rinnovato il permesso di soggiorno. Disperato per il probabile rimpatrio e per aver di recente perso il lavoro: sarebbero questi i motivi per i quali un marocchino di 45 anni, a Rimini, si è cosparso di gasolio, dandosi fuoco a mani e collo.
Prima del gesto che ha definito "dimostrativo" (perché non aveva l’intenzione di togliersi la vita) ha chiamato il 117, il numero delle segnalazioni della Guardia di Finanza, dicendo che si sarebbe incendiato se non lo avessero messo in contatto con il prefetto. Quando l’operatore delle Fiamme Gialle ha tentato di calmarlo, avvisando che sul posto avrebbe inviato una pattuglia della polizia, il marocchino ha esclamato un "no" disperato, si è diretto verso il centro della piazza, sotto il palazzo comunale e davanti alle cantinette, la zona della movida notturna riminese, si è cosparso di gasolio e con un accendino si è dato fuoco.
Il 45enne è stato dapprima soccorso da alcuni passanti che gli hanno gettato addosso i giubbotti per soffocare le fiamme poi, quando sono arrivati, i vigili del fuoco l’hanno cosparso d’acqua per eliminare i residui di liquido infiammabile. L’uomo ora è ricoverato all’ospedale Bufalini di Cesena. Non è in pericolo di vita, ma ha riportato ustioni di secondo e terzo grado sul braccio destro, il collo e le mani.
Dopo averlo identificato, la polizia ha potuto ricostruire le vicende personali del 45enne, ben conosciuto dalle forze dell’ordine per una serie di reati. Risulta denunciato per furto, droga, ricettazione, resistenza, guida in stato di ebbrezza e violenza sessuale. In Italia da almeno dieci anni con permesso di soggiorno, è già stato detenuto per i vari episodi. Dopo un passato burrascoso, il 45enne quest’anno aveva trovato lavoro per un breve periodo come manovale sul cantiere per la terza corsia dell’A14. Quando è rimasto senza lavoro e, a causa dei precedenti, allo scadere del permesso di soggiorno, in marzo, la questura gli ha negato il nulla osta per rimanere in Italia.

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