Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

01 luglio 2010

La visita a Malta
Napolitano e i soccorsi Ue: rispettare i diritti umani

il Sole, 01-07-2010
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (foto), in visita di stato a La Valletta, ha riaperto il confronto con Malta sull'immigrazione clandestina dopo le pesanti incomprensioni e divergenze che si sono registrate tra i due paesi «Malta e Italia - ha detto ieri - come frontiera sud dell'Ue, si trovano in prima linea nel soccorso agli immigrati, nel pieno rispetto deli insopprimibili diritti fondamentali della persona umana». Frutto del riavvicinamento è la convocazione per l'8 luglio a Roma del vertice bilaterale italo-maltese che un mese fa era stato annullato.



Napolitano: dalla Uè risposte comuni sugli immigrati

Il Messaggero, 01-07-2010
ROMA - L'interesse comune con i maltesi è tutto centrato sul Mediterraneo, e sul contrasto all'immigrazione clandestina. Contrasto che ha avuto successo dopo le intese con la Libia e i contestati respingimenti in mare. C'è dunque bisogno di «risposte comuni europee», nel rispetto dei diritti dell'uomo e dei richiedenti asilo. Giorgio Napolitano, nel brindisi al presidente di Malta, Abela, ne ha approfittato ieri sera per lanciare  un monito in difesa  dell'euro, di una Ue che ha bisogno venga «rilanciata l'idea  di un'Europa forte, coesa e autorevole», ciò che serve per dare «stabilità e credibilità»  alla moneta comune. Moneta che è stata sotto attacco, accusata di «fragilità», ma, dice il capo dello Stato, grazie alle «coraggiose decisioni, sia pure tra esitazioni e difficoltà», assunte dalle istituzioni europee, dal Fmi e dagli Stati, ora «ci permettono di guardare al futuro con rinnovata fiducia». A patto, dice Napolitano, che si sviluppi l'integrazione europea.
L'impegno comune nel nostro mare, e il progetto di Unione per il Mediterraneo, sono un obiettivo da perseguire. 11 presidente della Repubblica, naturalmente, non nasconde la preoccupazione per la difficile situazione in Medio Oriente, che vede «inaridite le capacità di confronto pacifico», ma — insiste — non bisogna arrendersi alla sfiducia: la Ue deve battersi perché prevalgano le tendenze più costruttive.



Napolitano a Malta: «Sull'immigrazione serve una politica comune Ue»

l'Unità, 01-07-2010
Marcella Ciarnelli
Il presidente della Repubblica in viaggio a Malta elogia i rapporti eccellenti tra i due Stati e indica la rotta da seguire sull'immigrazione: «Più politiche europee comuni, più iniziative comuni, istituzioni europee più forti».
«Eccellenti» si dice allo stesso modo in italiano e in maltese. Lo fa notare il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano parlando dei rapporti tra Italia e Malta, al termine del suo primo impegno ufficiale della sua visita di Stato, l'incontro con il presidente George Abela al Palazzo del Gran Maestro. Ed è una sottolineatura importante dati i contrasti e le divergenze che ci sono stati negli ultimi mesi tra i due Paesi nel contrasto all'immigrazione clandestina. La decisione del governo maltese, finora mantenuta, di ritirarsi formalmente da Frontex, la missione europea di contrasto dell'immigrazione illegale. E poi la contrapposizione tra Roma e La Valletta da quando l'Italia, un anno fa, ha adottato una rigorosa e dura politica di respingimenti in mare, una politica più volte criticata dall'agenzia delle Nazioni Unite per la protezione dei rifugiati. Ed anche la vicenda dei 78 eritrei su un gommone rifiutati da Malta. Ci furono solo otto superstiti.
LAVORARE INSIEME
Italia e Malta, sono terre di frontiera, la porta dell'Europa per chi decide o è costretto ad abbandonare il paese d'origine, famiglia, affetti alla ricerca di un futuro migliore. E quindi entrambe non possono sottrarsi dal lavoro costante per frenare un' immigrazione senza regole ma allo stesso tempo garantendo chiunque abbia bisogno di essere accolto in nome di quel diritto innegabile all'asilo. Due terre di frontiera. Quindi anche l'Europa lo è. Napolitano ha voluto ricordare anche in questa occasione come sull'immigrazione sia necessaria una politica estera comune. «Ne siamo convinti sostenitori. Noi e anche Malta chiediamo più politiche europee comuni, più iniziative comuni, istituzioni europee più forti. Vogliamo più integrazione perché questa è la sola strada attraverso cui l'Europa e ogni suo singolo Paese possono affermare il proprio ruolo in un mondo tanto cambiato e che continua a cambiare». È questo l'approccio per «rafforzare la cooperazione euro-mediterranea, una dimensione importante delle politiche europee non sufficientemente sviluppata. Si sono fatti passi avanti, ci sono stati sviluppi interessanti quale l'annunciata Unione per il Mediterraneo». Su questa strada bisogna proseguire tenendo conto dei passi avanti fatti finora e di cui fanno parte gli accordi con la Libia che, in una sorta di triangolazione coinvolgono anche tutti e tre i Paesi che agiscono in quel «teatro naturale che è il Mediterraneo». E, di conseguenza, l'Europa. «Tra pochi giorni -ha annunciato il presidente- ci sarà una importante missione del governo maltese in Italia con incontri al massimo livello con l'esecutivo per mettere ancora meglio a punto ogni aspetto della nostra collaborazione».
Non solo di immigrazione hanno parlato i rappresentanti dei due Paesi che hanno in comune «profondi legami storici, culturali e spirituali». La preoccupazione per il conflitto in Medio Oriente che le difficoltà rinnovate non devono portarci «ad arrenderci alla sfiducia». E poi la crisi economica che non potrà mai essere risolta con la fine dell'euro da qualcuno pur pronosticato. L'euro invece va difeso in nome di «un'Europa forte, coesa ed autorevole».



Grazie alla visita del presidente Napolitano alla Valletta, superate le difficoltà tra Italia e Malta sulle politiche di immigrazione nel Mediterraneo.

ImmigrazioneOggi, 01-07-2010
Il Capo dello Stato annuncia un incontro tra le delegazioni dei due Governi che si svolgerà a Roma nelle prossime settimane.
“Tra pochi giorni ci sarà un’importante missione del Governo maltese in Italia con incontri al massimo livello con il nostro Governo per mettere a punto ancora meglio ogni aspetto della nostra collaborazione sulla politica dell’immigrazione”. Con questa frase, pronunciata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al termine di un colloquio con il presidente maltese George Abela nel Palazzo del Gran Maestro alla Valletta durante la visita ufficiale nell’isola che terminerà oggi, il Capo dello Stato ha fatto intendere che le difficoltà tra i due Paesi per il controllo dell’immigrazione nel Mediterraneo sono definitivamente superate.
L’incontro anticipato da Napolitano riprenderà di fatto il confronto che doveva svolgersi un mese fa a Roma con un incontro bilaterale fra i Ministri dell’interno e degli esteri dei due Paesi e che fu annullato all’ultimo momento. Il presidente maltese Abela, dal suo canto, ha detto che le relazioni con l’Italia sono eccellenti sia sul piano bilaterale che multilaterale ed ha ricordato l’appoggio avuto dall’Italia per l’ingresso del suo Paese nell’Unione europea e per la realizzazione di un punto di asilo a Malta per i rifugiati ed ha aggiunto che si sono risolti i problemi che ci sono stati sulla politica di contrasto all’immigrazione con Spagna, Italia, Libia e Svizzera.
Napolitano ha poi sottolineato come “Malta e Italia, come frontiera sud dell’Unione Europea, si trovano in prima linea nel soccorso agli immigrati, nel pieno rispetto degli insopprimibili diritti fondamentali della persona umana, e sollecitano risposte comuni europee al dramma dell’immigrazione clandestina e alle legittime aspettative dei richiedenti asilo”.



FORTEZZA EUROPA
Quei «non sbarcati» che parlano alle nostre coscienze
il manifesto, 01-07-2010
Stefano Liberti
Le notizie che giungono dalla Libia non devono solo suscitare indignazione per il modo sbrigativo con cui un paese nostro alleato tratta la questione dei migranti. Ci riguardano da vicino. Interrogano l'Italia, il nostro governo e la nostra opinione pubblica, in modo diretto: perché gran parte dei 250 eritrei trasportati ieri nel centro di Sebha (in attesa di un altro possibile drammatico trasferimento nel loro paese) fanno parte di coloro che nei mesi scorsi sono stati intercettati nel canale di Sicilia e rimandati indietro dalla nostra marina militare. Sono le vittime dei cosiddetti respingimenti.
Una pratica che il ministro degli interni Roberto Maroni definisce un giorno sì e l'altro pure come un trionfo, semplicemente perché ha fatto diminuire del 90 per cento gli arrivi a Lampedusa. Ma che cela una realtà assai più fosca: molte delle persone rispedite in Libia fuggono da persecuzioni o da guerre. La stragrande maggioranza di loro sono scappati dall'Eritrea e dalla brutale dittatura di Isaias Afewerki, che ha ipotecato il futuro di migliaia di giovani in una bolla di coscrizione obbligatoria e senza fine.
Oggi, grazie e in conseguenza ai nostri respingimenti, quei giovani sono forse destinati a tornare in un paese che li disprezza. E che non mancherà di punirli appena atterreranno. Se rimandati a casa, rischiano di fare la fine dei 161 loro connazionali che nel 2005 sono stati fucilati per aver disertato le file dell'esercito.
Non è un caso che, alla sola notizia di un possibile rimpatrio, alcuni dei detenuti di Misratah abbiano tentato il suicidio. Né è un caso che, in un'occasione analoga sei anni fa, gli eritrei rispediti indietro dalla Libia abbiano dirottato l'aereo su cui viaggiavano e costretto il pilota ad atterrare a Khartoum. Quella storia dovrebbe farci riflettere: il Sudan, che non è la Svezia, invece di punirli per il reato commesso li ha riconosciuti rifugiati politici.
Anche l'Italia garantisce la protezione intemazionale agli eritrei che riescono ad arrivare sul territorio nazionale. Ma fa di tutto per impedirglielo. I vari governi che si sono succeduti hanno stretto accordi con la Libia per impedire le partenze e delegare al paese di Gheddafi il ruolo di nostro guardacoste, in cambio di generose prebende. Han¬no firmato intese, realizzato partnership, organizzato scambi di visite. Fino al capolavoro dei respingimenti, in virtù del quale migliaia di potenziali richiedenti asilo sono stati rimandati indietro in uno stato che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra per i rifugiati, né ha alcuna intenzione di farlo.
Ma, anche se non li vediamo, se abbiamo impedito loro di arrivare, quegli immigrati mai sbarcati continuano a parlare alle nostre coscienze. Perché è il nostro governo che li ha privati di un futuro e li ha condannati al limbo in cui oggi si trovano. Perché siamo noi che abbiamo preferito chiudere gli occhi, pur non di non dover subire l'immagine dei cenciosi che sbarcano a Lampedusa. Quando quei giovani eritrei saranno rimandati a casa e finiranno inghiottiti in uno dei gulag di Afewerki, sarà difficile non dirci responsabili.



DOPO LA VISITA DI FINI IN AFRICA

Italia-Tunisia Prove di dialogo
l'Opinione, 01-07-2010
Fabio Ghia
Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha effettuato l'altroieri una breve visita ufficiale a Tunisi. Seppur breve, la visita è stata intensissima e molto ben organizzata durante la quale Fini ha incontrato i massimi esponenti politici Tunisini, dal suo omologo, On. Fouad Mebazaa, al ministro degli esteri Kamel Morjanem, al Primo Ministro Ghannouchi. Particolarmente significativo è stato l'incontro con il Presidente Ben Ali, in cui Fini ha avuto modo di sottolineare il pieno sostegno che l'Italia sta dando in sede Unione Europea al processo di integrazione al mercato UE della Tunisia. Si è espresso favorevolmente per la creazione di "un'Assemblea Parlamentare Permanente Euromediterranea" con lo scopo di rafforzare l'integrazione e la cooperazione economica e finanziaria dell'area euro-mediterranea e del medio oriente. In particolare, il primo passo dell'Assemblea dovrebbe essere focalizzato sulla creazione della tanto attesa Banca di Sviluppo per il Mediterraneo, dove dovrebbero convogliare i fondi MEDA e "Ecip". Tenuto conto della vicinanza geografica e delle radici culturali mediterranee che accomunano le due nazioni, ci sarebbe da aspettarsi di più. La Tunisia ha aperto da tempo ad una politica di investimenti rivolta soprattutto nei confronti dei partner Europei e potrebbe essere vista come un catalizzatore di crescita. L'unico punto negativo della sua economia è il tasso dì disoccupazione al 13,5%. Ma proprio per questo non si può' non considerare che una qualsiasi impresa che mette piede in Tunisia avrebbe la possibilità di avvalersi dei previsti vantaggi "comunitari". Ragionando per mero esempio, la Fiat, pur lasciando la produzione di componentistica auto in Italia, potrebbe convogliarne l'assemblaggio in Tunisia, cosi come il libero commercio di autovetture Fiat di produzione tunisina, sull'intero territorio Magriebino. D'altra parte non si può' sottovalutare l'aumento dei flussi migratori "legali" dovuti ai contratti di lavoro stagionali. Purtroppo pero' in molti casi il migrante tende ad essere "assorbito" dalla delinquenza organizzata italiana, per essere impiegato "in nero". La Tunisia potrebbe essere vista, dunque, come elemento di penetrazione del mercato Maghrebino, nonché come partner ideale nel processo di integrazione Euromediterraneo. Stà a noi ben comprendere il significato e la validità delle offerte del mercato tunisino.



LA FESTA DEI NUOVI ITALIANI
LA CAMPAGNA DEL PD PER I FIGLI DEGLI IMMIGRATI

l'Unità, 01-07-2010
Marco Pacciotti -Responsabile Forum Immigrazione Pd
Inizia la prima «Festa dei nuovi italiani», dal 1 al 4 luglio, promossa dal Forum Immigrazione del Pd. Sarà una occasione per discutere sui temi della cittadinanza e delle politiche che dal territorio contribuiscono a creare una civile convivenza, per presentare uno spaccato di quelle che sono le produzioni culturali di giovani artisti nati e cresciuti in Italia, figli di persone emigrate qui da anni per costruirsi una vita migliore. Già domani prenderemo di petto la questione: Bersani infatti lancerà la campagna sulla cittadinanza «I nuovi italiani, chi nasce in Italia è italiano». Un segnale della volontà del Pd di portare avanti questa battaglia di civiltà e progresso.
Abbiamo scelto di svolgere la nostra festa in un contesto inusuale, in uno dei locali giovanili più noti a Roma. Il Circolo degli Artisti è a cavallo di alcuni quartieri storici della capitale con un forte insediamento di cittadini stranieri. E per sua natura luogo di incontro e confronto fra culture attraverso la musica e altre forme di espressione artistiche. Sarà una occasione per porre l'accento sul futuro della città e della nostra società. Dare voce e visibilità a una Italia che già esiste e che con gli anni arricchirà il nostro Paese, non solo in termini di Pil, ma di creatività e talenti. Ovvero di quella che è sempre stata la principale risorsa dell'Italia. La festa quindi si svolgerà in una parte di città vitale e multiculturale. E fu ingeneroso e sbagliato da parte di Maroni citarla come una banlieu, evocando il rischio della esplosione violenta di conflitti sociali, come accaduto in Francia. Un accostamento improprio, allarmismo gratuito. I problemi esistono, sarebbe stupido nasconderlo, ma sono di natura differente e c'è la possibilità di intervenire. Possibilità che non richiede decreti legge vessatori né percorsi a punti di varia natura, ma politiche di integrazione concrete, che mettano gli amministratori nelle condizioni di poter intervenire con azioni positive, sia di carattere culturale che welfaristico. Inoltre è ormai tempo di accettare ciò che è già evidente e di promuovere l'estensione di alcuni diritti sociali e civili. In primis la cittadinanza per quei ragazzi nati o cresciuti in Italia, che studiano, tifano e vestono come i loro coetanei, ma che al compimento dei 18 anni, scoprono di essere stranieri in quella che sentono la loro Patria. Una assurdità che riguarderà nei prossimi anni centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi, ai quali verrà poi richiesto di trovare subito un lavoro o di essere studenti universitari perfettamente in regola con gli esami per poter avere e rinnovare il permesso di soggiorno ed accedere al diritto di rimanere in Italia. Per queste ragioni il Pd ha presentato nei mesi scorsi disegni di legge volti a porre rimedio a questa ingiustizia. La cittadinanza quindi come un diritto attribuito, non più concesso, sul principio dello ius soli, per restituire dignità e tranquillità a questi ragazzi e alle loro famiglie.?



TRIBUNALE UDINE, ILLEGITTIMO IL CRITERIO DI RESIDENZA

ASCA, 01-07-2010
Udine, - Il requisito di anzianita' di residenza costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata a danno dei cittadini comunitari residenti in Fvg ed e' contrario, pertanto, ai principi di parita' di trattamento vigenti nell'Unione europea.
Questa, in sintesi, la motivazione con cui il giudice del lavoro del Tribunale di Udine ha accolto, con una sentenza emessa il 30 giugno, il ricorso presentato da un cittadino rumeno contro la mancata erogazione dell'assegno di natalita' regionale, il cosiddetto bonus bebe', da parte del Comune di Latisana.
La decisione del giudice, in particolare, dichiara illegittimo il criterio previsto dall'art. 8 bis della legge regionale n.11/2006 (''Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialita'''), che nella nuova formulazione approvata nell'attuale legislatura stabilisce, per l'accesso al beneficio, il requisito della residenza decennale in Italia e quinquennale in regione. In considerazione del fatto che il diritto comunitario ha un'efficacia ed applicabilita' immediata e diretta nell'ordinamento interno e prevale su qualsivoglia norma interna ad esso incompatibile, il giudice di Udine non ha potuto far altro che imporre al Comune di Latisana di disapplicare la norma regionale nella parte in cui impone il requisito di anzianita' di residenza.
Accolte quindi le tesi di Cgil, Cisl e Uil, che hanno sostenuto il ricorso assieme all'Asgi, l'Associazione studi giuridici sull'immigrazione, che ne ha curato l'iter giudiziario. ''Il giudice di Udine - spiega il responsabile regionale dell'Asgi Walter Citti - ha giustamente rilevato inoltre che la discriminazione non ha una ragionevole giustificazione, in quanto si riferisce ad una misura attinente alla tutela della famiglia, della natalita', dei minori e delle funzioni genitoriali. Istituti che, per loro intrinseca natura e finalita', si richiamano a valori di valenza universale e che pertanto debbono rivolgersi indistintamente a tutta la popolazione residente, senza distinzioni, in adesione a principi costituzionali e a quanto previsto dalle convenzioni internazionali vincolanti per l'Italia, come la convenzione Onu sui diritti del fanciullo''.



OIM E AICCRE, SUBITO TAVOLO AL VIMINALE SUI RIMPATRI

ASCA, 30-06-2010
Roma,- Subito un ''tavolo'' al Viminale sui rimpatri. A chiederlo sono state oggi alcune realta' che si occupano di immigrazione come l'Aiccre (Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e Regioni d'Europa), il Cir (Centro italiani rifugiati) e l'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) nel corso della presentazione a Roma dei risultati del primo progetto ''Nirva'' sui rimpatri volontari assistiti.
E' stato il Direttore del Cir, Christopher Hein, a ricordare la direttiva europea in tema di immigrazione sul territorio della Comunita' europea che, introducendo il diritto a rientrare volontariamente nel proprio paese di origine, ''appare in oggettivo contrasto con l'interpretazione data dal Ministero dell'Interno sulla non possibilita' di accesso, invece, dei clandestini ai programmi di reimpatrio assistito''.
Secondo le organizzazioni umanitarie occorre, a tal proposito, ''preparare il terreno per dare seguito, anche in Italia, alla direttiva europea'' tenendo anche conto, ha poi aggiunto Hein che, di fatto, un reimpatrio forzato costa ben 5 volte di piu' di uno assistito. ''Quello dei reimpatri, d'altronde, - ha aggiunto il direttore del Cir - resta uno degli elementi fondamentali per il sistema di asilo e, piu' in generale, per delle fruttuose politiche immigratorie di un paese''.
Anche il direttore dell'ufficio regionale per il Mediterraneo dell'Oim, Peter Schatzer ha sottolineato la necessita' di ''procedure di asilo valide e condivise. E' molto meglio aiutare i migranti a tornare volontariamente nei propri paesi di origine - ha detto - che tentare la piu' complessa strada delle espulsioni''.
Intanto il progetto dei rimpatri volontari assistiti (che prevedono l'aiuto ad ottenere i documenti di viaggio, il pagamento dei costi del viaggio e un sostegno nel paese di origine) inizia a dare i primi frutti anche in Italia. In un solo anno sono state, infatti, 228 le persone riaccolte nei paesi di origine mentre l'opera informativa del progetto Nirva ha visto la diffusione di 10 mila depliant in 10 diverse lingue.



Trentacinque nazioni unite in una scuola

City, 01-07-2010
Angelo Paura
Il parco Trotter
In via Padova convivono 50 nazionalità diverse, da dove siete partiti?
Siamo nati nel 1994 con l’idea di tutelare il parco e le quattro scuole all’interno di esso: il nostro progetto era quello di realizzare una città dell'infanzia. Tutto è iniziato grazie alla volontà di alcune insegnanti e di genitori dei bambini che volevano far rivivere un esperimento nato agli inizi del secolo.
Avete cercato di far rinascere il parco così come era stato pensato all’inizio del ’900...
Sì, volevamo ricollegarci alla tradizione: sperimentare un nuovo modo di vivere la scuola e l’educazione. Quando nacque il Trotter, con le sue quattro scuole, in pochi anni divenne un modello innovativo per tutto il mondo. Venivano a studiarlo delegazioni estere: bambini all’aperto, animali, una banca, una tipografia. Il verde diventava il vero libro di testo dei bambini.
E oggi?
Ovviamente la situazione col passare degli anni è cambiata. Via Padova ha vissuto due diverse immigrazioni: prima negli anni ’50 dal Veneto e dal Meridione, poi, dagli anni ’90, dal resto del mondo. Abbiamo così pensato di portare avanti questo laboratorio in divenire, confrontandoci con i nuovi immigrati.
Oggi nella scuola dell’infanzia, elementare e media si contano 35 diverse nazionalità.
E pensare che quando partimmo gli alunni stranieri erano solo il 2%. Adesso siamo arrivati al 50%. Siamo stati i primi a parlare in tempi non sospetti di intercultura e di integrazione.
Come?
Con una scuola parallela. Dopo le lezioni i bambini stranieri, ma anche gli italiani, si fermano e vengono seguiti da volontari: attraverso l’insegnamento della lingua, con laboratori, cerchiamo di farli sentire veramente cittadini italiani.
Prima l’omicidio di Aziz, il ragazzo di 19 anni egiziano ucciso a febbraio con una coltellata da una banda di sudamericani. Poi gli scontri tra polizia e cittadini egiziani, scesi in strada per manifestare la loro rabbia per l’accaduto. La vostra via è entrata nelle cronache come il ghetto d’Italia. Qualcosa è cambiato da allora?
Questo è stato il grosso errore delle istituzioni. Si sono accorti della nostra esistenza solo dopo questo brutto fatto di sangue. Invece di trattarci come una miniera hanno pensato di reprimere e basta. Proprio in questo momento l’associazione ha capito che era fondamentale far diventare il parco un punto d’incontro per tutti. Far vedere che la nostra via è un po’ come le Ramblas di Barcellona: un punto d’incontro in cui si vive la città.
Però poi sono arrivate le ordinanze del Comune: chiusura dei locali e dei negozi a orari prestabiliti, controlli a tappeto.
Non siamo contrari ai controlli. Anzi, siamo in costante collegamento con le forze dell’ordine che lavorano in via Padova. Crediamo però che il Comune abbia esagerato. Tutta la zona è stata militarizzata: controlli a ogni ora. In questo modo hanno raggiunto solo un obiettivo: snaturare la vera essenza della via.
In che senso?
Le persone che prima stavano in strada, magari dopo una lunga giornata di lavoro, non ci sono più. Le vie sono vuote. Tutti hanno paura, anche gli immigrati con un permesso di soggiorno si sono rinchiusi.
Sta dicendo che se da una parte voi cercate di partire dai bambini per costruire i futuri cittadini italiani, senza badare al colore della pelle, le ordinanze e le istituzioni vi remano contro?
Questo è quello che percepiamo. Il nostro è un lavoro lungo, meticoloso che darà i suoi frutti tra anni. I messaggi intimidatori non portano da nessuna parte. Per questo siamo scesi in piazza, per fare vedere che via Padova ha un volto, funziona, è ricca.
Parla della manifestazione che avete fatto subito dopo l’omicidio di Aziz...
Preferiamo chiamarla passeggiata liberatoria. Credevamo che potessero arrivare solo 300, massimo 400 persone. Invece eravamo in 3mila.
Poi c’è stata la festa: “Via Padova è meglio di Milano”, la frase pronunciata da un bambino straniero appena arrivato in Italia, dopo aver visto la via...
L’idea di fare una festa per aprire la nostra zona alla città era nata l’anno prima. Però dopo gli scontri e le repressioni abbiamo trovato un motivo in più.
E il Comune?
Pare che finalmente si sia accorto dell’importanza del lavoro fatto dall’associazione “Amici del Parco Trotter”. Insieme recupereremo la fattoria didattica. Questa volta siamo all’inizio di una trasformazione: forse un altro modo di pensare via Padova c’è. Speriamo non sia solo propaganda elettorale.



Le porte aperte degli Usa 100 milioni di nuovi americani

la Repubblica, 01-07-2010
Federico Rampini
Gli immigrati sono all'origine del boom demografico e creativo degli Stati Uniti. Ma per molti, specie nel Sud, sono ancora una "minaccia". Finora Obama è stato a guardare. Ma oggi annuncia la svolta
NEW YORK - Nel preparare il discorso alla nazione che farà oggi, affrontando il tema esplosivo dell'immigrazione, Barack Obama si è studiato più volte queste cifre. Le proiezioni dello U. S. Census Bureau possono dare le vertigini. Secondo i demografi del censimento federale entro quarant'anni la popolazione degli Stati Uniti sarà aumentata fino a situarsi tra 422 e 458 milioni, dai 300 di oggi. Le stime più prudenti, dell'Onu, indicano 404 milioni nel 2050. Anche nell'ipotesi minima, cento milioni di persone in più. Un aumento di un terzo rispetto all'America di oggi.
In proporzione, bisogna immaginare l'Italia cresciuta di 18 milioni in poco più di una generazione. E quasi tutto dovuto all'ingresso di stranieri, più il tasso di natalità elevato delle minoranze etniche già residenti. Si capisce che anche in America il "partito della paura" sia diventato un problema serio per il presidente, con i referendum anti-immigrati dall'Arizona al Nebraska. Ma dalla settimana scorsa quello schieramento non è più il solo in campo. "Agli immigranti del mondo intero che hanno spirito d'iniziativa, noi dobbiamo dire: venite in America, vi accoglieremo a braccia aperte". Sono le parole di Michael Bloomberg, il sindaco di New York che il 24 giugno ha lanciato la sua iniziativa pro-immigrati: Partnership for a New American Economy.
È una vasta alleanza in cui spiccano due componenti. Da una parte ci sono i sindaci delle metropoli multietniche, da Los Angeles a Philadelphia, da San Antonio a Phoenix, uniti a prescindere dal colore politico (lo stesso Bloomberg è un ex repubblicano, oggi indipendente di centro). L'altra colonna portante sono imprenditori alla guida dell'industria americana, da Boeing a Disney a Hewlett-Packard. "Chiudere le porte agli immigrati sarebbe il suicidio di questa nazione", avverte Bloomberg. Propone una corsìa preferenziale per dare subito la Green Card (permesso di soggiorno a tempo illimitato) a chiunque crei lavoro per dieci persone. "Più immigrati uguale più benessere", è lo slogan del sindaco. Il suo alleato più prezioso è Rupert Murdoch. In quanto padrone della tv Fox News, il magnate di origine australiana (e lui stesso naturalizzato americano) crea una contraddizione in seno alla destra. Fox News è la tv più schierata contro Obama. Ma sull'immigrazione gli ordini di scuderia sono precisi: non si cavalcano campagne xenofobe.
Per Obama la scesa in campo del duo Bloomberg-Murdoch, con l'alleanza trasversale sindaci-industria, ha aperto un nuovo spazio di manovra. Col discorso di oggi il presidente può avventurarsi sul terreno che è stato definito "il terzo binario della politica americana": l'allusione è al binario del metrò dove passa la corrente ad alta tensione.
Luis Gutierrez, deputato democratico dell'Illinois, è uno dei 22 parlamentari latinos, membri dell'associazione Congressional Hispanic Caucus. Obama li ha riuniti martedì, in preparazione della sua uscita pubblica. È una base elettorale preziosa. Nel 2008 alle elezioni presidenziali i due terzi degli ispanici votarono per lui. "Il presidente - dice Gutierrez - spiegherà all'America perché è importante una grande riforma. La priorità è trovare una via equa, trasparente e garantista, per legalizzare 11 milioni di clandestini". In preparazione del discorso di oggi, un segnale lo ha mandato John Morton, l'uomo di Obama che dirige l'Immigration & Custom Enforcement. "Stop alle espulsioni di mogli e bambini che non hanno i documenti in regola - dice Morton - le deportazioni devono concentrarsi sugli elementi sospetti di terrorismo, o sui membri di gang criminali". Al tempo stesso il presidente ha fatto un gesto verso gli Stati di frontiera più preoccupati per l'escalation di violenza che accade a Sud di Tijuana o del Rio Grande, dove infuria la guerra dei narcos messicani. "Mille poliziotti in più alle Border Patrol, e 1200 soldati della Guardia Nazionale lungo il confine", annuncia Janet Napolitano che dirige la Homeland Security, il superministero degli Interni.
Obama non può abbandonare questo tema alle iniziative dei singoli governatori, ai referendum locali. "È impensabile - dice il suo portavoce Robert Gibbs - che ogni Stato Usa faccia una riforma diversa sull'immigrazione". Con il rischio che prevalgano le frange più fanatiche, e provvedimenti spesso puramente simbolici, inapplicabili. Come la legge varata a furor di popolo nella cittadina di Fremont, nel Nebraska: vieta di affittare ai clandestini e scarica sui padroni di case l'onere di controllare i documenti. Un'operazione che spesso neppure la polizia è in grado di fare, per il dilagare di sofisticati falsari della Social Security (il codice fiscale).
Anche la legge anti-clandestini passata per referendum in Arizona rischia di trasformarsi in un boomerang. Si vedrà se i nuovi controlli della polizia locale saranno efficaci. Per ora l'effetto immediato è la campagna di boicottaggio degli Stati vicini contro il turismo in Arizona. E all'interno dei partiti? Di certo il Tea Party e le frange estreme della destra populista hanno dimostrato di poter intimidire i repubblicani moderati in bilico per la rielezione a novembre. L'ex candidato presidenziale John McCain ancora pochi anni fa sull'immigrazione aveva una posizione così aperta da firmare un disegno di legge insieme a un progressista come Ted Kennedy. Adesso, col suo seggio senatoriale a rischio in Arizona, McCain si arrocca in difesa: "Primo, sigillare questa frontiera".
Altrove in America il pericolo-criminalità non pesa molto nel dibattito sull'immigrazione. I dati sulla delinquenza sono in calo, per la prima volta in una recessione. Conta di più il fatto che la crisi lascia in eredità 15 milioni di disoccupati: per loro, gli stranieri sono concorrenti su un mercato del lavoro ancora depresso. Ma nel lungo periodo per la destra è rischioso pescar voti cavalcando queste paure. Il Tea Party è già percepito come un "club bianco". Se i repubblicani s'identificano per il colore della pelle sono condannati a diventare minoranza.
Perfino dopo la più grave crisi economica dalla Grande Depressione, in America sull'immigrazione c'è una vena di ottimismo inesauribile. L'interpreta il celebre demografo-economista-urbanista Joel Kotkin, che ha appena pubblicato il saggio The Next Hundred Million (I prossimi cento milioni). Per lui la formidabile crescita demografica resta la causa principale di vitalità dell'America. Non è solo questione di numeri ma di freschezza, rinnovamento, dinamismo. "Sulle cento maggiori imprese americane - dice Kotkin - quindici sono state fondate e guidate da stranieri". Google, Facebook, Yahoo, non esisterebbero se gli Stati Uniti avessero chiuso le frontiere. "Entro la metà del secolo - prosegue Kotkin - questo paese avrà 350 milioni di persone sotto i 65 anni. L'Europa al confronto sarà un continente-ospizio, con un terzo della popolazione ultrasessantacinquenne". La demografia non ha smesso di avere un ruolo nel confronto geo-strategico tra superpotenze. "Non a caso Putin lamenta il rischio di una decadenza della Russia: nel 2050 avrà perso il 30% dei suoi abitanti e sarà ridotta a un terzo degli Stati Uniti". L'altra grande rivale, la Cina, è soggetta a un rapido invecchiamento che metterà a dura prova la tenuta sociale, per la mancanza di Welfare State.
Contro questo vate dell'abbondanza umana, però, oltre alla destra xenofoba si levano voci da sinistra. Kotkin ha nemici tra gli ambientalisti radicali, che predicano la crescita zero anche nelle nascite. Peter Kareivan, scienziato del Nature Conservancy, dice che "non fare figli è l'atto più eroico per combattere le emissioni di CO2". La femminista-verde Colleen Heenan condanna le famiglie numerose come "irresponsabili per il loro contributo alla distruzione delle risorse naturali". Obama deve tener conto che anche a sinistra non tutti identificano l'immigrazione con una manna dal cielo.
Per Kotkin queste critiche sono assurde, oltre che profondamente estranee alla natura dell'America. "Lo spazio qui non manca affatto. Abbiamo più immigrati di Germania, Francia, Inghilterra, Canada e Giappone messi insieme, eppure la densità della popolazione Usa è un sesto di quella tedesca. E anche per salvare il pianeta occorrono idee nuove, quindi giovani. In quanto alla qualità della vita sarà assai peggiore in quei paesi dove mancano nuove generazioni per sostenere la popolazione anziana. E poi le frontiere aperte sono un ingrediente indispensabile della società aperta. L'America non sarà più egemonica come in passato, ma grazie alla mescolanza multietnica conserverà una marcia in più, dalla tecnologia alla creatività culturale. L'atteggiamento verso gli immigrati ci identifica come una terra di diritti, libertà personali, tutele costituzionali, valori universali".



Ristorante vietato alle donne velate

Corriere della Sera, 01-07-2010
IL CAIRO — Nella capitale egiziana un noto ristorante ha deciso di vietare l'ingresso alle donne con il velo. Lo ha rivelato ieri il quotidiano Asharq Al-Awsat. A far scoppiare il caso è stato un cameriere che avrebbe rifiutato la prenotazione di alcune donne spiegando che «il ristorante non accoglie le donne velate». La notizia è stata in seguito confermata dal direttore del locale che ha spiegato: «Anche se non vi è alcuna legge che impedisce alle velate di entrare il proprietario ha deciso in questo senso». Il divieto varrà anche per le turiste che non potranno mangiare nel prestigioso locale se saranno velate o indosseranno il niqab. Il ristorante è tra i più rinomati del Cairo ed è considerato molto costoso. Il velo integrale, incoraggiato in Egitto dai salatiti, ha suscitato recentemente numerose polemiche, a tal punto che è stato fortemente criticato dal governo egiziano e dall'Università di al Azhar (la più alta autorità dell'Islam-sunnita).



Il razzismo esiste, ma è sbagliato gridare «al lupo, al lupo»

l'Unità, 29-06-2010
Questi i fatti per come li abbiamo potuti ricostruire. Mercoledì 23 giugno alle ore 21.30 tre operai senegalesi si presentano in una pensione a Meolo in provincia di Venezia, ma vengono insultati e cacciati dal proprietario. Ne nasce uno scandalo. Così la figlia del titolare: «io non ero presente. Ma, se è successo così, ci dispiace. Il fatto di aver accettato tranquillamente la prenotazione dimostra che per noi non c’era alcun problema ad ospitarli. Purtroppo mio padre è ultra 70enne, ha problemi di salute e una certa mentalità. Anche per noi costituisce un problema quotidiano. Ma non so se valga la pena montare un caso su questo fatto: qui alloggiano albanesi, ex jugoslavi e altri stranieri». In effetti, in assenza di prove contrarie, la spiegazione appare plausibile. Non così è sembrato a molti tra coloro che hanno ripreso la notizia e a tantissimi navigatori di internet che ne hanno fatto l’occasione per una vibrante denuncia del “razzismo veneto”. Guai a sottovalutare, evidentemente: il razzismo esiste, è insidioso e dissimulato e il “giustificazionismo” è molto diffuso. Ma è altrettanto vero che non abbiamo alcun bisogno di gridare “al lupo al lupo”. Razzista è termine massimamente denigratorio, forse il più stigmatizzante all’interno dei sistemi democratici, certo il più riprovevole per le culture che fino a qualche decennio fa erano maggiormente condivise in Italia (quella “cattolica” e quella “socialista”). Guai a non definire con parole appropriate l’intolleranza, la discriminazione, la xenofobia, quando si manifestano. Ma guai a utilizzare banalmente il termine “razzista” quando si sia in presenza d’altro. Non è un modo per rafforzare la convivenza bensì un mezzo per degradarla.
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