Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

2 gennaio 2012

 

Cambiamo con loro
Luigi Manconi
L'Unità 29.12.2012
L’Istat, ricorrendo a numeri inequivocabili, offre un malinconico ritratto della nostra società tra 50 anni. Un’immagine spietata che dovrebbe determinare profonde riflessioni. La rappresentazione che emerge è quella non semplicemente di un Paese invecchiato, cosa che da tempo sappiamo, bensì quella, ancora più inquietante di un’organizzazione sociale destinata alla decadenza.
In questo processo di accelerata senescenza, un solo dato risulta apertamente contraddittorio, ed è così sintetizzabile: tra mezzo secolo quasi un quarto della popolazione presente sul territorio italiano sarà composto da stranieri. Ripeto: non sono dati inediti, ma è la loro consistenza, e la crescita più rapida delle curve tracciate precedentemente, a fare la differenza e a porci davanti a quesiti ineludibili. Non è la Caritas, infatti, a tratteggiare i contorni di una società diventata “multietnica” e di conseguenza “multiculturale” e “multireligiosa” per incoercibili dinamiche demografiche, ma è l’istituto pubblico di statistica, che utilizza indicatori scientifici ed elabora proiezioni sulla base di fattori economico-sociali oggettivi.
Lo scenario disegnato è tale da mettere in discussione - o almeno così dovrebbe accadere - le due opposte, e speculari, strategie emerse negli ultimi anni in materia di immigrazione. La prima è quella che rimanda ancora all’ideologia propria degli imprenditori politici dell’intolleranza (così definimmo nel lontano 1988 la Lega e gli altri spezzoni della destra che iniziavano a mobilitare le ansie collettive contro “l’invasione straniera”) e che, in buona sostanza, riduce l’immigrazione a problema di ordine pubblico, a questione criminale, a risorsa per l’acquisizione del consenso xenofobo.
Tale concezione si è espressa in una politica che ha oscillato tra contenimento e respingimento e che, quando costrettavi, ha fatto ricorso alle sanatorie per “normalizzare” un fenomeno che si continuava a considerare fonte di disordine sociale. Il prevalere di tale politica nell’arco degli ultimi venticinque anni ha fatalmente indotto nel campo avverso - quello del centrosinistra - una politica essenzialmente di reazione: alla criminalizzazione dello straniero si è risposto con la sua “umanizzazione”. Dunque, allo straniero stigmatizzato come minaccia sociale si è contrapposta l’immagine dello straniero come vittima, i cui diritti umani andavano tutelati. Impostazione spesso preziosa, sempre necessaria, ma inevitabilmente parziale.
Nell’un caso, come nell’altro, il migrante è stato considerato esclusivamente come un problema. Da respingere o da tollerare, da sanzionare o da assistere, da discriminare o da tutelare. Ma se quella vittima, ostracizzata dalla destra e accettata dalla sinistra, va a costituire un quarto dell’intera popolazione, appare evidente che entrambi quegli atteggiamenti - l’uno ripugnante e l’altro condivisibile- sono destinati a rivelarsi vani.
Intanto, perché quella popolazione straniera sarà, ancor più di oggi, componente essenziale del nostro sistema economico-sociale: contribuirà in misura rilevante (cosa che fa già oggi in una percentuale di quasi l’undici per cento) al prodotto interno lordo e alla creazione di ricchezza nazionale, sosterrà il nostro sistema previdenziale e la continuità di alcuni settori economici, sarà parte integrante delle nostre strutture di welfare (lavoro di cura e sanità, assistenza agli anziani, educazione dei minori…).
Risulterà davvero una bizzarria, allora, voler conservare per questi “nuovi italiani” la vetusta e irrazionale normativa sulla cittadinanza. Ma questo scenario futuro impone un radicale cambio di mentalità e di strategia già ora. E dovrebbe produrre quella politica per l’immigrazione, che oggi sembra mancare totalmente, se si escludono alcune misure varate dai due governi guidati da Romano Prodi.
Una politica per l’immigrazione dovrebbe tradurre in norme e dispositivi quella verità che, se continuasse a rimanere mera astrazione, finirebbe col risultare una bolsa retorica. Quella, cioè, che parla dell’immigrazione come di “una risorsa”. Ma se davvero vogliamo che così sia, dovremmo immediatamente e finalmente iniziare a conoscerla la popolazione immigrata. Oggi ancora così indistinta e ignota, nonostante sia così articolata e differenziata al proprio interno. Tra gli immigrati ci sono laureati e artigiani, contadini e manovali. Ci sono operai che vogliono specializzarsi e trasferirsi in Scandinavia e letterati che sono qui per studiare il Convivio dantesco. Dobbiamo innanzitutto conoscerli. Dobbiamo, anche noi, non discriminarli quasi fossero una moltitudine anonima e seriale.
 
 
Da 80 a 200 euro, arriva la tassa sui permessi di soggiorno
Stranieri in Italia 2.1.2012
Elvio Pasca
Stangata per gli immigrati: bisognerà pagarla ogni volta che si chiede il rilascio o il rinnovo del documento. In vigore dal 30 gennaio, servirà a finanziare le espulsioni e l’attività degli sportelli unici per l’immigrazione
Roma – 2 gennaio 2012- Per le tasche degli stranieri in Italia il 2012 si apre malissimo. Oltre che con la stangata che li colpirà, causa crisi, insieme agli italiani, gli immigrati dovranno fare i conti con una nuova tassa da versare ogni volta che chiedono o rinnovano il permesso di soggiorno.
Già prevista dalle legge sulla sicurezza del 2009, era finora rimasta sulla carta, forse in considerazione di un servizio tutt’altro che efficiente. Ora però diventa realtà, grazie a un decreto firmato a ottobre dagli allora ministri dell’Interno e dell’Economia Roberto Maroni e Giulio Tremonti e arrivato il 31 dicembre in Gazzetta Ufficiale.
L’importo del “contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno” varia in base alla durata del permesso: ottanta euro se è compresa tra tre mesi e un anno, cento euro se è superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, duecento euro per il “permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo”, la cosiddetta “carta di soggiorno”. L’esborso si aggiunge al contributo di 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico e ai trenta euro che si prende Poste italiane per il servizio.
La nuova tassa non riguarda i permessi dei minori, compresi quelli arrivati con un ricongiungimento familiare. Non pagano nemmeno gli stranieri che entrano in Italia per sottoporsi a cure mediche e i loro accompagnatori, così come chi chiede un permesso per asilo, richiesta d’asilo, protezione sussidiaria o motivi umanitari. Il contributo non tocca, infine, a chi chiede solo di aggiornare o convertire un permesso di soggiorno valido.
Che ci farà lo Stato con questi soldi? Metà dei nuovi introiti servirà a finanziare il “Fondo Rimpatri”, con il curioso risultato che gli immigrati regolari pagheranno le espulsioni dei clandestini, l’altra metà andrà al ministero dell’Interno per spese di ordine pubblico e sicurezza, per finanziare gli sportelli unici e l’attuazione dell’accordo di integrazione.
La novità scatterà dal 30 gennaio. Chi ha un permesso in scadenza, farebbe bene a chiedere il rinnovo prima di quella data per evitare il salasso.
 
 
 
Cittadinanza ai figli di immigrati nel discorso di Capodanno
Vita 01 gennaio 2012
Ecco i punti salienti del messaggio di fine anno del Presidente
Riduzione della spesa pubblica corrente, anche se ciò comporta rinunce dolorose per molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative e lotta all'evasione. Il discorso di fine anno del Presidente Giorgio Napolitano è iniziato così.
Equità=giovani
Ma Napolitano ha precisato anche che «si deve innanzitutto stare attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma più in generale occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi.
Nouve politiche sociali
«Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall'esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro», ha proseguito Napoltano. L'Italia e l'Europa devono «rivedere il modo di concepire e distribuire il proprio benessere, e concentrare i loro sforzi nel guadagnare nuove posizioni e opportunità nella competizione globale. Questo senza mettere in causa la dimensione sociale del modello europeo, il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro».
Cittadinanza ai figli di immigrati
Ancora una volta in poche settimane, il presidente è tornato a lanciare un appello sul diritto di cittadinanza dei bambini figli di immigrati. «Non c'è futuro per l'Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica - ha detto. Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all'altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze. Avvertiamo quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale, confrontandoci con la condizione di quanti vivono in gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile, confrontandoci con l'emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio, o con quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare. Ci si pongono dunque acute necessità di scelte immediate e di visioni lungimiranti. Occorre una nuova "forza motivante" perché si sprigioni e operi la volontà collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e sguardo rivolto "con speranza fondata verso il futuro"».
 
 
 
 
Chi beneficia dell'Indulto è meno recidivo di chi esce dal carcere a fine pena
Luigi Manconi Giovanni Torrente
il Messaggero 30 dicembre 2011
Domenica scorsa, al termine della visita di Benedetto XVI nel carcere di Rebibbia, ha echeggiato un grido solo, scandito dalla voce dei reclusi: amnistia. Si tratta di un termine e di un provvedimento generalmente guardati con sospetto, troppo frettolosamente rimossi o affrontati con una prudenza che tende a farsi reticenza.
Eppure, quell’atto di clemenza per cui si battono i Radicali è stato seriamente considerato e certamente non escluso dal Capo dello Stato, da un giurista autorevole come Carlo Federico Grosso e dal ministro della Giustizia Paola Severino. D’altra parte, si tratta di una misura prevista dalla Costituzione e, di conseguenza, andrebbe discussa, accolta o contestata con argomenti razionali. Cosa che raramente accade.  Più spesso, l’amnistia viene esorcizzata sulla base di un dato assolutamente falso: ovvero sull’errato presupposto che il più recente atto di clemenza (in questo caso, l’indulto, che dell’amnistia è parente stretto e che unitamente all’amnistia andrebbe adottato) non produrrebbe alcun risultato positivo. O meglio: produrrebbe solo sfaceli. In primo luogo: “tutti gli indultati ritornano presto in galera”, dice il luogo comune. Ma non è affatto così. La ricerca da noi condotta dimostra esattamente il contrario: la recidiva tra i beneficiari dell’indulto è meno della metà della recidiva ordinaria, registrata tra coloro che scontano interamente la pena in carcere. I dati raccolti dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria (DAP), da noi rielaborati e analizzati, mostrano come la recidiva dei beneficiari del provvedimento di indulto (legge n. 241 del 31 luglio 2006) relativa a reati commessi prima del 2 maggio 2006, dopo 5 anni dall'approvazione, si attesti al 33,92%. Certo, si tratta di una percentuale comunque assai elevata, ma va confrontata con quella che si registra tra quanti non usufruiscono di sconti o condoni. Ora, l'unico studio sul lungo periodo della recidiva di persone ex detenute compiuto di recente, si deve a una rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del DAP. Qui troviamo come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, fatto reingresso in carcere una o più volte. Il dato della recidiva dei beneficiari dell'indulto si colloca quindi su un livello molto inferiore rispetto a quello rilevato in un monitoraggio “ordinario”. L'opinione diffusa in base alla quale i provvedimenti di clemenza determinano un innalzamento della criminalità, rappresentato dalla recidiva degli scarcerati, appare quindi smentito dai dati di fatto. Al contrario, con l’indulto, la scarcerazione di persone sottoposte ad esecuzione penale, abbinata alla minaccia di scontare la vecchia e la nuova pena in caso di reiterazione del reato, pare svolgere un'efficace funzione preventiva, soprattutto fra coloro che erano alle prime esperienze detentive. In questo senso, la clemenza può essere intesa come una sorta di “messa alla prova” che ha un impatto positivo su persone con un percorso deviante non ancora stabilizzato.  
È utile, poi, disaggregare i dati e considerarli in relazione alla nazionalità di quanti beneficiano della misura. Si conferma un trend già rilevato nei precedenti monitoraggi, là dove emerge un tasso di recidiva fra gli italiani di ben 13 punti percentuali superiore a quello tra gli stranieri. Il dato è particolarmente significativo, perlomeno nelle sue dimensioni, tanto più se raffrontato con le retoriche dell’allarme sociale che hanno accompagnato il provvedimento di indulto: lo straniero extracomunitario, privo di permesso di soggiorno, come uno dei pericoli maggiori per la sicurezza pubblica una volta rimesso in libertà. La portata della differenza tra la recidiva degli italiani e quella degli stranieri pone dei seri interrogativi sul fondamento delle interpretazioni, diffuse sia a livello mediatico che nel senso comune, del ruolo e della rilevanza criminale dei diversi autori di reato.
Un’ultima notazione riguarda lo scarto tra il tasso di recidiva di coloro che, al momento dell'entrata in vigore dell'indulto, scontavano la pena in carcere e il tasso di recidiva di coloro che si trovavano in misura alternativa (soprattutto in detenzione domiciliare). Su questo, i dati disponibili si fermano a circa tre anni e mezzo dall’approvazione della legge. E mostrano, tra coloro che erano in misura alternativa, una recidiva inferiore di circa 10 punti percentuali alla recidiva tra quanti scontavano la pena in cella (21,97% a fronte del 31,15% ). Tale dato è coerente con tutta la letteratura in materia che mostra tassi di recidiva inferiori tra quanti non scontano la pena per intero in carcere. E dovrebbe costituire una forte sollecitazione ad una maggiore applicazione di misure di carattere extra-carcerario. È quanto sembra ispirare l’insieme dei provvedimenti annunciati dal ministro della Giustizia Paola Severino.
 
 
 
Immigrati, un giorno davanti alla scuola...
l'Unità 1.1.2012
Francesco Piccolo
Nel 2065 gli immigrati saranno il 25% - così ci dice lo studio demografico dell’Istat. Ogni lettore che ha incamerato questa notizia, sembra si debba chiedere: È una notizia buona? È una notizia cattiva? Sembra che in sintonia con il suo grado di civiltà, ognuno sappia darsi una risposta. E invece sono le domande che non funzionano, a prescindere dalla risposta. Siamo - dovremmo essere - più avanti. Anzi: siamo più avanti, senza saperlo ancora bene (o averlo accettato). Non sto parlando della politica dell’immigrazione: in quella siamo indietro anni luce - ma non c’è da scandalizzarsi troppo: la politica dell’immigrazione è immobile e vetusta come la quasi totalità delle scelte politiche italiane.
Ma guardiamo un po’ alla realtà: le nostre scuole sono il luogo giusto per guardare al futuro che è già presente, per comprendere che ciò che costituisce una delle grandi questioni in Europa negli ultimi decenni, in realtà è già un dato di fatto. Basta mettersi davanti all’uscita, e si assiste all’integrazione già avvenuta. Se poi l’integrazione è fatta anche di insulti, prese in giro, e razzismi sotterranei, questo fa parte del cammino. Pian piano, diminuiranno. 
Gli insulti tra compagni di scuola, se sei basso o hai l’accento diverso o hai i brufoli o la pella nera o vestiti fuori moda, ci stanno. Sono errori, ma ci stanno. Fanno parte della spietatezza dei bambini e degli adolescenti - che però attraverso quella spietatezza imparano ad accettare il mondo. Imparano la diversità individuale attraverso il conformismo, imparano ad accettare gli altri (e se stessi) attraverso un pregiudizio facile - ma il pregiudizio facile è facile anche da disinnescare. Quindi, il risultato concreto della realtà italiana è quello solito: la politica dell’immigrazione deve inseguire un avvenimento già costitutivo - e la speranza è che non sia ancora così nel 2065, quando un cittadino su quattro sarà straniero, e le leggi lo penalizzeranno ancora. La politica dell’immigrazione tenterà ancora di respingere il dato acquisito, la convivenza già in atto, la partecipazione economica e sociale di chi non è nato qui? In più, c’è la questione ancora più evidente di chi è nato qui ma non è considerato italiano: perfino il Presidente della Repubblica è dovuto intervenire per esasperazione, contro l’illogicità dei fatti. 
Ma l’illogicità dei fatti racconta allo stesso tempo la distanza tra la teoria e la realtà dell’immigrazione in questo paese. Da una parte, quindi, l’immigrazione è un avvenimento in fase di continua evoluzione, certo, ma nella sostanza già digerito dal sistema, grazie alle seconde e alle terze generazioni. Da un’altra parte, la storia insegna che ciò che sta avvenendo in Europa in questi anni è sempre avvenuto, riguarda gli italiani direttamente sia quando accolgono sia quando sono accolti. Le migrazioni nelle Americhe, le migrazioni in cerca di lavoro dal Sud - tutte cose che ripetiamo come una cantilena, perché le sappiamo. E allora perché le ripetiamo? Perché accanto a un sistema che è già in atto, e che porterà tra cinquant’anni a una proporzione tra italiani e stranieri (diciamo così) impossibile da dipanare (finalmente), i freni che si vedono sono più violenti, insensati, evidenti. Questo paese non è razzista. Ma all’interno di questo paese, i razzisti sono sempre più feroci, perché sentono che stanno perdendo. L’Italia non è quella che vuole far credere la Lega, e non lo è soprattutto nei luoghi dove la Lega prospera. Ma proprio per questo motivo, cresce la violenza teorica contro l’immigrazione. 
Tutto questo ha un fatto di cronaca esemplare. Se ci si ferma davanti a una scuola, all’uscita degli alunni, si vede un paese. Se però si guarda ai fatti di cronaca, il paese è un altro. Ed è quello che, per forza di cose, bisogna ancora usare come fermo immagine esemplare - anche se non lo è più, non può esserlo più. “Due morti, Samb Modou e Diop Mor, tre feriti gravi, tutti senegalesi: è questo il bilancio del pomeriggio di sangue a Firenze scatenato da Gianluca Casseri” I morti di Firenze. 
Un fatto recente, un dolore ancora vivo, costituito dalla follia mescolata all’ideologia degenerata. Non solo follia, come hanno detto i senegalesi in corteo: se fosse stata follia e basta, avrebbe ucciso bianchi e neri. Tra le bancarelle dei mercati di Firenze, prima in uno e poi un altro, Casseri ha inseguito e sparato a gente che non conosceva. Ha sparato a dei senegalesi in quanto senegalesi. Questo basta a farci tornare al punto di partenza. 
 
 
 
Immigrati-imprenditori non fanno paura 
La vera minaccia è l'abusivismo
Vladimiro Polchi
repubblica.it 29.12.2011
Abusivismo, lavoro nero, prodotti e servizi a prezzi stracciati. Non solo la crisi mette in difficoltà le aziende italiane, ma anche la sfida con gli imprenditori immigrati. Un'indagine della Fondazione Leone Moressa 2 (condotta su 600 imprenditori italiani) fotografa la concorrenza imprenditoriale tra italiani e immigrati. Il risultato? Le imprese straniere non fanno paura, a patto però che rispettino regole e leggi sul lavoro. La vera minaccia è l'abusivismo. Il 60% degli italiani ritiene che le attività abusive e in nero siano molto più dannose rispetto alla concorrenza degli immigrati.
Cresce l'imprenditoria straniera. A giugno 2011 si contano oltre 400mila imprenditori stranieri (tra titolari d'azienda e soci): insomma, un imprenditore su dieci è nato all'estero. Se il numero di stranieri continua a crescere (+5,7% nell'ultimo anno), quello degli italiani cala (-1,4%). È ormai una tendenza consolidata negli ultimi anni: dal 2006 la presenza degli immigrati nell'imprenditoria è aumentata del 38,6% ed è calata quella degli italiani (-6,6%). Il peso maggiore degli stranieri sul totale degli imprenditori si registra a Prato (dove un imprenditore su 4 è straniero), seguita da Trieste (16,9%), Firenze (15,2%) e Roma (14,8%).
La concorrenza degli imprenditori immigrati. Per gli imprenditori italiani la presenza di aziende condotte da stranieri può diventare un problema. I motivi? La vendita di prodotti e di servizi a minor prezzo (57,5%) e di bassa qualità (15,1%), che determinerebbero una svalutazione dei prodotti Made in Italy (27,4%). Ma rispetto alla propria azienda la concorrenza diretta con imprese straniere non rappresenta un problema: il 55,9% degli intervistati non è coinvolto dalla competizione con gli imprenditori di origine straniera nel proprio mercato di riferimento. Tra coloro che lo ritengono invece un problema, il 36,9% dice di aver perso negli ultimi tre anni tra il 10% e il 25% di fatturato a causa della concorrenza di imprese straniere, il 31,3% oltre 1/4 del fatturato e infine il 29,2% meno del 10%.
Il rispetto delle regole. A detta degli imprenditori intervistati, le aziende gestite da italiani rispetterebbero di più le normative nazionali: appena il 37,5% degli stranieri rispetterebbe le norme sulla sicurezza, il 36,6% i contratti di lavoro e soltanto il 30,2% le normative fiscali. Per arginare questo problema andrebbero aumentati i controlli, addirittura proponendo di limitare le concessioni di permessi agli esercizi stranieri (13,8%). Tra tutti i settori di attività i più colpiti dalla concorrenza sleale sembrano essere il comparto del tessile (19,5%), del commercio (18,1%), i bar e i ristoranti (13,0%).
Il vero problema? L'abusivismo. Ma più della concorrenza degli imprenditori stranieri, il problema risulta essere l'abusivismo e le attività in nero, gestite soprattutto da imprenditori italiani: il 59,6% degli intervistati ritiene che tali attività siano dannose per la propria azienda. Il fenomeno è abbastanza diffuso, dal momento che il 38,3% è a conoscenza di attività in nero o abusive, in particolare nell'edilizia (50,0%) e nel commercio (40,9%). E quello che salta agli occhi è che dietro queste attività si celano per lo più imprenditori italiani.
 
 
 
Cresce nelle culle di San Silvestro
l'Italia che fa paura alla Lega
repubblica.it 1.1.2012
Il presidente Napolitano ne ha riparlato nel messaggio di fine anno: la politica e il parlamento devono dare una risposta ai bambini nati in Italia da genitori immigrati, che non possono crescere stranieri in patria o con diritti dimezzati. Il passaggio sulla riflessione da fare sullo Jus soli (i diritti di cittadinanza attribuiti ai bambini nati nel territorio nazionale) è stato, tra l'altro, fra i più criticati dalla Lega. Per capire quanto sia urgente quella risposta, però, basta dare un'occhiata alla più classica delle cronache liete di Capodanno: quella sui primi nati dell'anno. Si vedrà che da Aosta a Catania, in moltissimi ospedali d'Italia il primato è andato a bimbi di origine straniera o figli di coppie miste.
Dalla Torino multietnica arriva l'esempio più evidente. La prima torinese dell'anno si chiama infatti Takwa ed figlia di immigrati tunisini. E' venuta la luce un'ora e 42 minuti dopo la mezzanotte 1 all'ospedale Sant'Anna e pesa 4,1 chili. Papà Ben Ahmed e mamma Karik, di 44 e 26 anni, vivono da anni a Torino dove lui fa il meccanico e lei è casalinga. Hanno già un'altra figlia, Jasmine, di quattro anni. Anche la prima nata all'ospedale Maria Vittoria è per metà "straniera": la piccola Ginevra, papà italiano e mamma nigeriana, è arrivata poco prima delle 8 di stamani a far compagnia ai fratellini Gloria e Matteo. Da una coppia mista - papà italiano e mamma russa - anche il primo nato all'ospedale di Asti. Vivono a Frinco d'Asti ed è il loro primo figlio.
Poco dopo la mezzanotte è nata invece Beatrice Pastè, di 2,650 chili, la prima valdostana del 2012, figlia di una coppia mista. La mamma, Marinela Tilicà, è romena e il papà Claudio di Chivasso. Vivono nel Canavese, ma hanno scelto l'ospedale Beauregard di Aosta vista la chiusura dei reparti di Ostetricia e ginecologia nel polo di Ivrea. A Milano fra i nati di Capodanno c'è anche Mia Zarate, figlia del giocatore argentino dell'Inter.
Anche fra i primi nati d'Abruzzo c'è una bimba di origini straniere. E' nata all'ospedale di Avezzano da genitori marocchini residenti a Civitella Roveto. Da una coppia mista è arrivato invece il primo nato del 2012 in Molise: è un maschietto venuto alla luce un'ora e 55 minuti dopo la mezzanotte all'ospedale "Cardarelli" di Campobasso. Papà molisano, mamma di origine russa, il bimbo ha pesato alla nascita tre chili e 700 grammi.
In provincia di Savona il primo nato si chiama invece Ergi, è un maschietto, pesa 3,120 grammi, ed è figlio di una coppia albanese. E' venuto alla luce oggi alle 12,17 all' ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, da mamma Eli e papà Klajdi Prroj.
In Umbria ha genitori stranieri il primo nato all'ospedale di Città di Castello. In Toscana è di origini romene l'ultimo bimbo del 2011, il piccolo Radu Nicolae Scutaru, nato nella serata del 30 dicembre. Lo stesso primato, nel Tigullio ligure, è andato a una bimba nata a Sestri Levante da genitori del Bangladesh: Tora, 3,60 chili, è arrivata alle 10,55 del 31 dicembre.
Da un'altra coppia mista è arrivata anche la prima nata di Roma: Sonia, figlia di un avvocato romano e di mamma vietnamita, pesa 3,8 chili ed è venuta al mondo tre secondi dopo la mezzanotte all'ospedale San Filippo Neri. Andando a Sud, anche Giovanni - il bimbo che rivendica il primato di primo italiano del 2012, essendo nato poco dopo mezzanotte - è un simbolo dell'Italia che cambia: la mamma è barese, il papà è marocchino e non ha potuto ancora vederlo 2 perché bloccato da un visto mancante.
Dello Sri Lanka è originario invece il primo nato dell'anno a Catania 3: il piccolo, venuto alla luce stamane alle 3.15, si trova nel reparto di neonatologia dell'ospedale Garibaldi Nesima e pesa 2,550 chilogrammi.
 
 
 
Immigrazione: Torino, in quattro fuggono da Cie
ANSA 1.1.2012
Una ventina di immigrati rinchiusi nel Cie di Torino hanno tentato di fuggire poco dopo lo scoccare della mezzanotte, e quattro sono riusciti a varcare le recinzioni e a far perdere le proprie tracce.
Un quinto aspirante fuggitivo, un senegalese di 28 anni, e' stato bloccato in una Lancia, una strada limitrofa, ed e' stato arrestato: con gli agenti ha ingaggiato una colluttazione durante la quale ne ha morsicato uno a un braccio, ferendolo leggermente. 
 
 
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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