Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 ottobre 2014

 «Sbarchi, navi civili dopo Mare Nostrum»
La proposta avanzata dal generale Tricarico Appello di 43 deputati Pd: ancora salvataggi
Avvenire, 24-10-14
ANGELO PICARIELLO
ROMA - Mare Nostrum si può superare risparmiando sui conti e non in solidarietà e tantomeno in salvataggi di vite umane. La fondazione di analisi strategiche Icsa si inserisce con una proposta originale. Si suggerisce l`impiego di mezzi non militari, mentre esponenti del Pd chiedono di non fermare l`operazione avviata da un anno. A PAGINA 19
Mare Nostrum si può superare risparmiando sui conti e non in solidarietà e tantomeno in salvataggi di vite umane. La fondazione di analisi strategiche Icsa si inserisce con una proposta originale nel dibattito un po` schizofrenico sul prosieguo /non prosieguo dell`operazione. «Si deve continuare a salvare e nel contempo si può risparmiare rendendola più efficiente», sostiene il generale Leonardo Tricarico,
ex capo di Stato maggiore dell`Aeronautica, consigliere militare di palazzo Chigi e presidente della fondazione. La chiave è superare l`impropria «militarizzazione» del salvataggio. La ricerca è stata presentata ieri presso la sede di via santa Maria delle Fratte dallo stesso Tricarico e dal vice, il prefetto Carlo De Stefano, per un decennio ai vertici dell`Antiterrorismo. Nel giorno in cui nel partito del presidente del Consiglio si coagula una vasta area a sostegno del mantenimento dell`operazione, Icsa indica una possibile terza via. «L`operazione Triton che dovrebbe prendere il posto di Mare nostrum non sarà in grado di garantire i salvataggi in mare», sostengono 43 deputati del Pd fra cui i leader dell`opposizione interna Pippo Civati, Gianni Cuperlo, Michela Marzano e Walter Verini. E Tricarico conferma: né Frontex, né la sua versione plus hanno modo di intervenire: «La vigilanza alle frontiere si occupa di sicurezza, mentre qui si parla di solidarietà, di tutela dei diritti umani, che sono valsi all`Europa il Nobel per la pace, anche se ora finge di dimenticarsene», attacca Tricarico. La strategia italiana, quindi, dovrebbe essere duplice, da un lato lavorare sul fronte interno ad abbattere i costi e a razionalizzare l`intervento, dall`altra «se siamo ancora in tempo nel semestre», si chiede Tricarico, «si deve sollecitare l`Europa a darsi una strategia strutturata di intervento nell`accoglienza dei rifugiati». Perché, «pur cercando in lungo in largo fra circolari e direttive, non c`è traccia di modalità di attuazione della Convenzione Europea dei diritti umani, e ogni intervento rimanda alle direttive Onu, che invece sono puntualissime, ma largamente disattese, da Spagna, Grecia e anche dalla Francia. E non parliamo di Malta...».
Il modello proposto porterebbe ad abbattere i costi, «anche a un dimezzamento, nelle nostre simulazioni, in base ai costi orari dei singoli mezzi messi a confronto», spiega Tricarico. E nel contempo un`operazione con mezzi prevalentemente civili (ma con il coordinamento della Guardia costiera), «non comporterebbe alcun calo di servizio», anche perché «potrebbe comunque utilizzare mezzi militari. Si tratterebbe di valorizzare come capofila la Rete di ricerca e soccorso in mare che fa capo alle capitanerie di Porto, in base al principio "ciascuno deve fare quel che gli compete". Unità aeree e navali attrezzate e soprattutto dedicate, ricorda Icsa: «300 mezzi nautici in 113 porti. Aerei ed elicotteri dei nuclei di Sarzana, Pescara e Catania. Mentre «per sorveglianza, avvistamento e scoperta a distanza servono principalmente sensori satellitari, velivoli non pilotati, e radar costieri». Allo scopo «l`Italia dispone anche di avanzate dotazioni satellitari. Tante unità specializzate per il salvataggio, che potrebbero essere messe a sistema con specifici software». I costi si abbatterebbero, «una nave commerciale, o un traghetto, da adibire allo stesso scopo costerebbe non più di un milione al mese». E la solidarietà potrebbe anche avvantaggiarsene: «Le navi militari sono fatte per respingere, non per accogliere persone».




L`UOMO DELLA STRAGE
E' eritreo, sta in Germania. Ed è accusato di aver organizzato un viaggio verso l`Italia per 243 profughi. Finiti in fondo al mare
l'Espresso, 24-10-14
FABRIZIO GATTI - FOTO DI FABRIZIO VILLA
Il «mi piace» cliccato sulla faccia di Michael Jackson e di Rambo. La data di nascita: 24 giugno 1985. Le foto con il fratello, la famiglia, gli amici. La pagina Facebook di Measho Tesfamariam,29 anni, un eritreo sbarcato in Italia fingendosi rifugiato e subito fuggito in Germania, non è diversa da quella di tanti suoi coetanei. Eccolo in una posa boriosa davanti alla sua gigantografia. E sempre lui, nella nuova immagine del profilo: in ginocchio di fronte a una chiesa e la scritta «Grazie a Dio per l`aiuto». Nulla di particolare. Se non fosse che Measho, sospettato di essere un trafficante che in Libia riempiva di profughi i barconi, in un esposto consegnato alla Procura di Milano è accusato di avere contribuito alla morte per annegamento di 197 eritrei, 46 sudanesi e dello scafista tunisino, o egiziano. Duecentoquarantaquattro persone caricate su un piccolo peschereccio alle tre di notte di sabato 28 giugno 2014 davanti alla spiaggia di Al-Khums, la terra di nascita dell`imperatore romano Settimio Severo, un centinaio di chilometri a Est di Tripoli: 244 ragazzi, molte donne, due ventenni incinte di sei mesi, un esercito di bambini, partiti nel buio e mai arrivati in Italia. Mai soccorsi. Mai più visti. Dopo quattro mesi senza notizie, non resta che pensare al peggio: il naufragio, l`affondamento, una delle tante stragi silenziose, mai registrate. Nuovi numeri che fanno salire il bilancio nel Mediterraneo: oltre quattromila morti, dall`ottobre 2013 a questi ultimi giorni di "Mare nostrum", l`unica vera operazione di salvataggio messa in campo da un governo europeo.
E Measho, il presunto trafficante che ascolta Michael Jackson e ama i selfie? L`ha fatta franca, con tutti i soldi che ha incassato. A metà settembre ha deciso di lasciare la Libia, sempre più insicura per la guerra civile. È salito su un barcone con altre centinaia di profughi veri. Ed è stato lui dice Abas, un compagno di viaggio, a chiamare i soccorsi con un telefono satellitare, una volta finiti in mezzo al mare. Una nave della Marina militare lo ha sbarcato a Brindisi, insieme con tutti gli altri presi a bordo. In Puglia Measho Tesfamariam ha finto di essere un rifugiato. Solo per qualche giorno, però. Il tempo di comprare un cellulare e una scheda telefonica "Lycamobile". Ed eccolo di nuovo in viaggio. In treno fino a Napoli. Poi a Bologna, dove il 19 settembre ? sale sull`Eurocity per Bolzano delle 11.52. Le ultime segnalazioni lo danno in Germania, dalle parti di Francoforte, dove abita il fratello Merhawi.
Sarà un nuovo grattacapo per i rapporti tra Italia e Germania. Perché Measho, come risulta, ha potuto lasciare il centro di identificazione pugliese prima che qualcuno gli prendesse le impronte digitali. Non è l`unico: su 150 mila profughi sbarcati in Italia dal 18 ottobre 2013 al 17 ottobre 2014, almeno centomila non sono stati identificati come prevede la legge. Una prassi tollerata dai funzionari del ministro dell`Interno, Angelino Alfano, per favorire la fuga dei richiedenti asilo verso altri Paesi del Nord Europa: se fossero stati schedati con le impronte nel sistema europeo "Eurodac", tutti i 150 mila nuovi profughi sarebbero dovuti rimanere per sempre in Italia: anche se erano attesi dai familiari in Germania, Norvegia o Svezia. Assurdità della burocrazia europea. Insomma, senza impronte non sarà facile per la polizia tedesca identificare l`imprendibile Measho.
È questo che vorrebbero decine e decine di parenti dei 244 dispersi. Cittadini eritrei che vivono in Italia, Svizzera, Norvegia, Australia, Canada, Stati Uniti e, ovviamente, in Eritrea. Sono loro finora i protagonisti di una caccia all`uomo che da giugno sta inseguendo Tesfamariam a distanza, annotando ogni spostamento, ogni contatto telefonico, ogni apparizione su Facebook. Fili che l`inchiesta de "l`Espresso" ha ora intrecciato, ricostruendo tutta la storia.
«Chiedo che il signor Measho Tesfamariam sia rintracciato dalla pubblica autorità e dia spiegazione di quanto è successo», è scritto nell`esposto depositato pochi giorni fa alla Procura di Milano e indirizzato alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna, l`ultima città italiana in cui il presunto trafficante è stato visto da altri eritrei e dove è stato probabilmente filmato dalle telecamere della stazione. La denuncia, formalmente contro ignoti, è firmata da un magazziniere di Milano, ma riporta anche le segnalazioni di una commerciante di Milano, di un operaio e di un rifugiato che vivono a Roma. Alla Procura sono state consegnate la lista di 87 dei 243 passeggeri dispersi e tre fotografie di Measho, un nome molto conosciuto tra gli esuli fuggiti in Europa attraverso la Libia.
«Il 26 giugno», racconta il magazziniere, 34 anni, in Italia dal 2008, «mia sorella Tzegereda mi chiama da Tripoli. Era arrivata da qualche giorno. Mi dice che nel giro di poche ore si sarebbe imbarcata. Ha 30 anni mia sorella e viaggiava con uno zio materno e un cugino di 26 anni». Il 26 giugno è un giovedì. «Venerdì 27 giugno, alle 8 del mattino, richiamo il numero di mia sorella, ma risulta spento.
Il giorno dopo, il 28 », continua il magazziniere, «non avendo più notizie dei miei familiari, chiamo il numero libico di Meashoilsuo telefono l`avevo memorizzato quando lui in persona giorni prima mi aveva chiamato per dirmi che mia sorella e i nostri parenti erano arrivati sani e salvi nella zona di Tripoli, dopo aver attraversato il Sahara dal Sudan e le regioni in guerra. Mia sorella mi ha poí spiegato che Tesfamariam era il contatto in Libia dei trafficanti che accompagnano i profughi nel deserto, nonché l`organizzatore della traversata verso l`Italia. Sempre mia sorella mi ha raccontato che proprio Measho aveva incassato i 1.600 dollari americani che chiedeva a ciascun passeggero per l`imbarco».
Il peschereccio scomparso ha reso 388.800 dollari, oltre 300 mila euro, tutti versati prima della partenza. Soldi che si aggiungono ai 1.600 dollari a testa pagati dai profughi in Sudan per attraversare il deserto. «Measho», aggiunge il magazziniere che ha firmato l`esposto, «mi dice che il barcone con mia sorella era partito sei ore prima, alle 3 di notte del 28 giugno. Lo risento il 30 giugno quando, nel primo pomeriggio, mi telefona dicendo che i miei parenti sono arrivati in Italia e per questo mi fa gli auguri».
È un fine settimana pazzesco per gli equipaggi di "Mare nostrum". In 48 ore, dal 28 al 30 giugno, la Marina militare soccorre oltre cinquemila profughi.Trenta persone vengono trovate morte asfissiate nella stiva di un peschereccio. Il mare è calmo. Ma quella di Measho è una bugia. Il barcone, uno dei tanti con cui l`eritreo si sarebbe arricchito nel 2014, non è mai arrivato. Infatti nessuno dei passeggeri chiama i familiari in Europa. Il 2 luglio Measho dice che bisogna telefonare a Ibrahim, il sudanese che ha fornito la barca. Entrambi sostengono che c`era dell`hashish a bordo e che i passeggeri sono stati tutti arrestati a Pozzallo, in Sicilia. Ma da Pozzallo smentiscono sia la droga, sia gli arresti. È un`altra menzogna per coprire la strage. Fino al 13 luglio Measho racconta solo bugie ai parenti che lo chiamano. Quel giorno smette di rispondere al telefono e anche Ibrahim, il sudanese, scompare.
«Non so più nulla fino a settembre», spiega l`autore dell`esposto, che si è annotato tutte le date, i nomi, i numeri di telefono nella speranza di ritrovare la sorella: «I118 mi chiama da Israele, dove lavora, il fratello di Natsnet, una delle due ragazze incinte disperse. Lui conosce personalmente Measho. Da bambini in Eritrea abitavano nella stessa casa, vicino a Ge bel Hamed. Mi dice che Measho è in Italia. È stato sbarcato, forse il 12 settembre, dalla Marina militare a Brindisi». Con un giro di chiamate, la rete internazionale dei parenti in poche ore recupera un numero di telefono italiano. Risponde Measho: «Parliamo per due ore fino all`una di notte», rivela il magazziniere di Milano: «Mi dice che i nostri familiari sono tutti morti. Oppure sono stati rapiti da un`altra organizzazione libica di cui lui sostiene di non saper nulla, ma forse anche questa è una bugia. Pretendo di incontrarlo. Decidiamo di vederci l`indomani alle 15, in stazione a Bologna. Ma la mattina del 19 settembre, quando lo chiamo per avere conferma, Measho non risponde più. Al suo posto parla un altro eritreo, suo compagno di viaggio. Dice che a Bologna hanno preso il treno delle 11.52. Hanno già passato il confine, sono in Austria». Qualche giorno fa i parenti scoprono il numero tedesco di Merhawi Tesfamariam: il fratello conferma che Measho è in Germania ma dice di non sapere dove. Poi anche Merhawi non risponde più. Come abitanti di una società liquida, nessuno ha indirizzi stabili. Soltanto numeri di cellulare e pagine Facebook: «Thanxxxs my best friend love u and miss u», grazie amici, vi amo e mi mancate, scrive Measho l`8 ottobre sulla sua pagina.A questo punto solo la polizia criminale può forse rintracciare il finto profugo che, tra post, selfie sorridenti e 244 persone mandate a morire, non ha mai pubblicato chi sia davvero.
Seduti a un bar della stazione Termini, a Roma, Grmay, 25 anni, il rifugiato in attesa di asilo, e Hagos, 41, l`operaio, mostrano l`elenco dei dispersi. Grmay sta cercando la zia più giovane di lui, Helen, 20 anni, numero 18 della lista. Hagos il fratello Kidane, 39 anni, numero 3 della lista. «Quando chiamavo in Libia, rispondeva Measho, il capo, e ti chiedeva: con chi vuoi parlare?», racconta l`operaio: «Mio fratello e tutti gli altri erano prigionieri in un capannone. Anche a me hanno detto che sarebbero partiti il 28 giugno. Adesso, quando mi telefonano dall`Eritrea, resto in silenzio perché non so che cosa dire. Mio padre mi chiede: dov`è tuo fratello? E io non rispondo».



Dopo 2.500 migranti salvati chiude la missione del Moas: "Finiti i fondi"
Insufficienti le donazioni arrivate per far proseguire la prima esperienza di soccorso “privato” in mare. E nessun imprenditore si è fatto avanti. Ultima uscita il giorno prima della chiusura di Mare nostrum. Catrambone: “Non so se si potrà cooperare con Triton”
Redattore sociale, 23-10-14
ROMA - Circa 2.500 migranti soccorsi in mare dal 26 agosto ad oggi, ma il primo intervento umanitario “privato” nato da un’idea della famiglia di imprenditori italo-americani Catrambone, residenti a Malta, terminerà il proprio intervento a fine ottobre per aver terminato i fondi messi a disposizione di tasca propria (circa 4 milioni di euro) e a causa di una raccolta fondi insufficiente a sostenere il progetto. A darne notizia a Redattore sociale è proprio Regina Catrambone, che insieme al marito Christopher ha dato vita al Moas, Migrant offshore aid station. “Le risorse messe a disposizione dalla nostra famiglia sono terminate – spiega Regina Catrambone - e purtroppo non saremo in condizioni di protrarre la missione nei mesi a venire. Ringrazio le persone che ci hanno sostenuto attraverso le donazioni, tuttavia la cifra raccolta è insufficiente a sostenere persino le spese vive dell’operazione”.
Moas (Migrant offshore aid station)
Nei giorni scorsi, la Phoenix I, l’imbarcazione di 40 metri messa in mare dal Moas per soccorrere i migranti dotata di gommoni, droni per individuare le barche in difficoltà e uno staff di esperti per rispondere alle prime necessità dei migranti, è partita per la terza e ultima missione e non passa giorno in cui non ci sia qualcuno da soccorrere. Dall’inizio del progetto, il team della Phoenix ha lavorato a stretto contatto con le autorità impegnate nel Mediterraneo con l’operazione Mare Nostrum. Una volta intercettata l’imbarcazione in panne dalla Phoenix, infatti, il Moas ne segnala la presenza alle autorità chiedendo l’autorizzazione ad intervenire. I migranti vengono così accolti sulla Phoenix dal team e consegnati alle autorità marittime o trasportati fino in Italia. Ma dal primo novembre, in mare le cose cambieranno.
La Phoenix, terminerà la sua ultima missione e al posto dell’operazione Mare Nostrum ci sarà Triton. “L’operazione Mare Nostrum si concluderà il 31 di ottobre e la missione Triton che gli subentrerà non opererà con le modalità attuali – spiega Catrambone -. Intanto le aree di conflitto si stanno espandendo coinvolgendo milioni di persone che sicuramente cercheranno in mare una via di fuga disperata. Al momento non sappiamo se si potrà cooperare con le autorità europee e con Triton”.
Tante storie. Tante e diverse le storie raccolte dai membri del team del Moas sul ponte della Phoenix. In tre mesi, infatti, sono stati soccorsi tanti siriani in fuga dalla guerra, ma non solo. Sulle carrette del mare anche tanti provenienti dal Pakistan, Marocco, Nigeria, Eritrea, Ghana, Gambia, Bangladesh, Costa d’Avorio, Mauritania, Tunisia, Senegal, Guinea Bissau, Niger, Mali, Sierra Leone e Benin. Tanti anche i bambini e le famiglie che hanno pagato a caro prezzo la traversata del Mediterraneo, in alcuni casi anche vendendo tutto quello che avevano prima di partire. Volti e storie di passaggio anche sui vari canali del progetto Moas, dal sito internet al canale Twitter o quello di Youtube, in cui si vedono tutte le fasi delle operazioni  e le imbarcazioni o i resti dei gommoni intercettati dai droni durante le operazioni.
A pochi giorni dalla conclusione dell’ultima missione della Phoenix, la sfida lanciata dai Catrambone, però, rischia di restare una parentesi nella storia dei flussi attraverso il Mediterraneo. All’appello dei due imprenditori, infatti, hanno risposto alcune organizzazioni non governative, come Medical Bridges, mentre alcuni hanno donato all’organizzazione attraverso il web. Tuttavia le donazioni raccolte non sono sufficienti per finanziare altre operazioni. “Il Moas è stato estremamente efficace nel salvare vite umane in mare – spiega Christopher Catrambone -, ma abbiamo bisogno di maggiori finanziamenti per condurre le missioni future. Le nostre attività, inoltre, dipendono anche dall’ottima collaborazione con Mare Nostrum, che purtroppo sta giungendo al termine. Ora dobbiamo lavorare tutti insieme per continuare a salvare vite”. A missione terminata, il Moas però non getterà la spugna anche se al momento, spiegano i coniugi, non ci sono state proposte di collaborazione da parte di altri privati o realtà imprenditoriali. “Ci concentreremo nel fundraising – spiega Regina Catrambone -. Pertanto rinnoviamo la richiesta di sostegno a imprenditori ed alle istituzioni pubbliche e private”. (ga)



Non più di tre mesi nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Ora è legge
Sì definitivo della Camera, ridotto drasticamente il tempo di permanenza massima nei Cie, finora 18 mesi. Manconi (Pd): "Basta detenzioni immotivate e trattamenti inumani"
stranieriinitalia.it, 23-10-14
Roma – 23 ottobre 2014 – Da un anno e mezzo a tre mesi. Ed è un bel salto di civiltà.
Alla fine il Parlmamento ce l'ha fatta a ridimensionare drasticamente il periodo massimo di permanenza dietro le sbarre dei Centri di Identificazione ed Espulsione di chi ha l'unica colpa di essere in Italia senza permesso di soggiorno. D'ora in poi non potrà "essere superiore a novanta giorni" e se entro quel termine non si riuscirà a rimpatriare l'immigrato, bisognerà liberarlo.
É scritto nella legge europea 2013 bis approvata lunedì definitavamente dalla Camera dei Deputati, ora manca solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Addio quindi al termine di 18 mesi introdotto nel 2011 dalla Lega Nord, quando era a governo il suo ministro dell'Interno Roberto Maroni. Un trattenimento così lungo, lo dicono i dati, non ha reso più efficaci le espulsioni (meno del 50% trattenuti viene effettivamente rimpatriato), però ha fatto aumentare nei Cie  tensione e disperazione, quindi rivolte e atti di autolesionismo.
"Una buona notizia: finalmente ridotto il periodo di permanenza nei Cie" commenta su Facebook il senatore del Pd Luigi Manconi, autore con il collega Sergio Giudice dell'emendamento sui novanta giorni.
"La riduzione – scrive Manconi -  potrebbe riportare i CIE a quella che dovrebbe essere la sola funzione: luogo di transito in vista dell'identificazione e dell'eventuale rimpatrio, evitando lunghe detenzioni immotivate di chi non ha commesso reati ma si trova solo in uno stato di irregolarità amministrativa. E che, in ragione di queste irregolarità, subisce nei Cie trattamenti spesso inumani e continua mortificazione della sua dignità".



Italiani dopo le scuole medie? Sarebbero almeno 20 mila l'anno
21 mila figli di immigrati nati in Italia prenderanno la licenza media a giugno. I protagonisti della  riforma della cittadinanza nei dati del Miur
stranieriinitalia.it, 24-10-14
Roma – 23 ottobre 2014 - Sono 21 mila i ragazzi con cittadinanza non italiana ma nati in Italia che completeranno il I ciclo scolastico con l'esame di terza media a giugno del 2015. A giugno 2016 saranno ancora di più, 26 mila.
Insieme alla lienza media potrebbero portarsi a casa anche la cittadinanza italiana, se andrà finalmente in porto la riforma della quale si torna a parlare in questi giorni. La regola su cui sembra ormai possibile un accordo tra la maggiorparte delle forze politiche prevede infatti che possa diventare italiano chi completa un ciclo di studi.
Il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ha anticipato  alcuni  dati sulla presenza di figli di migranti nelle nostre classi, in vista di un report più ampio che arriverà nei prossimi giorni. Nell'anno scolastico appena cominciato sono 442.348 gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti al I ciclo e 182.519 gli iscritti al II.
I dati del I e II ciclo
Per quanto riguarda l'anno scolastico 2013/2014 (dati consolidati) 453.013 alunni con cittadinanza non italiana hanno frequentato il I ciclo, 182.181 il II ciclo, per un totale di 635.194 ragazzi, pari al 6,2% della popolazione scolastica totale nel I ciclo e al 2,5% nel II ciclo. Il dato è in crescita: nel 2010/2011, quattro anni fa, i figli di migranti iscritti al I ciclo erano 412.212 (5,7% del totale degli alunni), 153.423 gli iscritti al II ciclo (2,1% del totale), per un totale di 565.635 studenti fra la primaria e le superiori.
I nati in Italia
Cresce visibilmente la quota di nati in Italia. Nell'anno scolastico 2013/2014 hanno frequentato il I ciclo di istruzione 246.653 alunni con cittadinanza non italiana nati nella nostra penisola, mentre in 27.790 erano iscritti al II ciclo. I nati in Italia sono ormai il 38,8% del totale dei figli di migranti iscritti al I ciclo di istruzione. La percentuale è del 4,4% nel II ciclo. Quattro anni fa, nel 2010/2011 queste percentuali erano del 30,5% e del 2,4%.

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