Lavoro stagionale. L’esempio di Cuneo

Osservatorio Italia-razzismo
Da marzo è stato pubblicato il decreto flussi stagionale che permette a 30.000 lavoratori stranieri di venire in Italia per un periodo limitato di nove mesi a svolgere mansioni nel settore agricolo. Secondo l'Inea (Istituto Nazionale di Economia Agraria) in questo settore il 23,37% dei lavoratori impiegati è straniero di cui il 18% è impiegato come bracciante. Questo tipo di  attività viene vista come transitoria da chi la svolge sia per la precarietà dei contratti di lavoro offerti sia per la fatica che il lavoro agricolo comporta. È infatti quest'ultimo aspetto a rendere il lavoro nei campi così poco attraente agli occhi degli italiani e a far sì che esso venga svolto dagli stranieri. Una fatica oltretutto resa più insopportabile dalle condizioni di vita in cui si trovano i braccianti, costretti ad alloggi fai-da-te in prossimità delle coltivazioni. Ed è proprio in questi contesti che emergono le tipiche dinamiche del caporalato, ovvero dello sfruttamento (ovviamente illegale) della manodopera lavorativa.

Da un anno per bloccare tale fenomeno, diffuso ormai in tutta Italia e non solo in ambito agricolo, è stato introdotto il reato di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro" che  prevede la reclusione da cinque a otto anni per i "caporali". Sono molte le associazioni che negli anni hanno lavorato affinchè venissero presi dei provvedimenti normativi, e molte sono quelle che hanno cercato di sensibilizzare i lavoratori al riconoscimento dei propri diritti. Quest'ultimo aspetto, nonostante sembri il più semplice da mettere in atto, in realtà è stato sempre quello più problematico perchè gli interlocutori, ovvero i lavoratori coinvolti, avevano delle difficoltà a riconoscersi come vittime del datore di lavoro. Non concepivano, cioè, come un abuso del loro tempo e dei loro diritti il fatto di lavorare per più di dodici ore al giorno senza pause e senza ricevere un'equa retribuzione. La negazione dei diritti base di ogni lavoratore non veniva vissuta come tale dai lavoratori stessi: l'importante era lavorare. Sono state poche, infatti, negli anni le rivolte dei lavoratori stranieri ma quelle che si sono svolte, sono state sufficienti a far emergere la cruda realtà del lavoro dei campi, e non solo. Le questioni più violente che hanno visto il coinvolgimento  dei braccianti stranieri sono state risolte dal ministero dell'Interno con il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai protagonisti di quelle vicende. Ma anche questo è risultato un provvedimento temporaneo la cui efficacia è limitata al tempo della validità del documento. Sarebbe opportuno, invece, provvedere a introdurre sistemi di regolarizzazione che prevedano il rilascio agevolato di permessi di soggiorno per lavoro a chi dimostra di svolgere effettivamente un'attività retribuita. Per ora, però, la messa in atto di meccanismi di questo tipo pare essere molto lontana, ma qualcosa si può fare. In provincia di Cuneo, per esempio, la Coldiretti sta mettendo a disposizione posti letto a i lavoratori agricoli che non dispongono di un alloggio che il loro datore di lavoro non può mettere a disposizione. È vero che si tratta di poco ma  fa sì che le persone non si riducano a dormire per strada o si ritrovino a sborsare cifre enormi per riposare nelle baracche.        

l'Unità 18 luglio 2013 

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