Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 ottobre 2011

I «boss comunitari» spopolano grazie alla mancata integrazione
l'Unità, 06-10-2011
Saleh Zaghloul

Italia-azzismo    Osservatorio
Sergio Romano parlando delle esperienze migratorie di molti paesi europei, ha affermato che «da alcune comunità straniere sono emerse nomenklature composte da persone ambiziose che aspiravano a fare dei loro connazionali una sorta di collegio elettorale e di servirsene per diventare gli interlocutori accreditati delle autorità locali» (Corsera, 8/9/2011). In effetti è proprio così, ma la chiusura tipica delle comunità etniche non è l’effetto delle politiche multietniche adottate dai governi locali, che punterebbero sul «superamento dell’assimilazione» e sul «consentire agli immigrati di rispettare le loro tradizioni, confessare la loro fede religiosa, conservare le loro feste comunitarie, trasmettere ai loro figli la conoscenza della lingua e della cultura dei Paese di provenienza». Ciò che allontana le comunità dal resto della società e che ha prodotto le “nomenklature” fra gli immigrati è stata una politica di tutt’altro segno e di tutt’altro indirizzo. In Italia i governi che si sono succeduti negli ultimi 20 anni hanno fatto molto poco per facilitare la possibilità degli stranieri di partecipare alla vita pubblica e politica e perché fossero avvaiti proficui percorsi di integrazione nella società italiana. Molto è stato fatto invece per rendere questi percorsi sempre più tortuosi. Si pensi alla difficoltà con cui si ottiene il permesso di soggiorno e quella con cui lo si rinnova. Ma non è solo questo. Mi riferisco soprattutto a quanto poco, per non dire nulla, è stato fatto per il diritto di voto agli stranieri e per una legge sulla cittadinanza basata sullo ius soli. La semplificazione di queste procedure contribuirebbe all’uscita di scena di quei “boss comunitari” che ponendosi come intermediari tra gli stranieri e le istituzioni mantengono ai margini i loro connazionali.



TUTTE LE BALLE CHE CI RACCONTANO SUGLI IMMIGRATI
Libero, 06-10-2011
GILBERTO ONETO
In queste settimane il dibattito si infuoca attorno alla manovra economica e tutti hanno suggerimenti su dove e come ridurre le spese. Nessuno però dice mai di intervenire su una delle voragini che si inghiottono i soldi della comunità: l'immigrazione. È stata abilmente fatta passare l'idea che gli immigrati siano una risorsa, una ricchezza, che siano quasi i soli a contribuire in positivo alle dissestate casse comuni. Sull'immigrazione è stata fatta una colossale opera di disinformazione.
I principali gruppi di motivazioni che vengono solitamente tirati fuori per giustificare l'immigrazione sono: 1) che i nuovi Cittadini pagheranno (...)
(...) le nostre pensioni, 2) che gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, 3) che gli immigrati sono una risorsa economica, 4) che sono una ricchezza sociale, 5) che pongono rimedio alla nostra denatalità, 6) che abbiamo il dovere della solidarietà. Vediamo di esaminare soprattutto i punti aventi inci- denza economica, non senza avere prima fatto una indispensabile premessa.
Il fenomeno è cruciale ma le informazioni per conoscerlo e governarlo sono approssimative. I soli dati ufficiali che si hanno a disposizione sono quelli che riguardano iregolarizzati. Restano vaghi i numeri di quelli appena arrivati o che vivono nel mondo dell'illegalità. Ci si deve perciò affidare principalmente alle informazioni della Caritas-Migrantes che, pur ricevendo finanziamenti pubblici, e una struttura privata che svolge i compiti che toccherebbero allo Stato, ma e anche e soprattutto una organizzazione di parte e questo non la aiuta a fornire le garanzie di imparzialitä che la struttura pubblica, pur nelle sue lentezze e ineffi- cienze, dovrebbe invece garantire. La Caritas e anche condizionata dalle sue scelte ideologiche, dal suo evidente schieramento a favore dell'immigrazione e dell'accoglienza a qualsiasi costo e condizione, oltre che dal non trascurabile dettaglio che proprio dall'ambaradan dell'immigrazione trae sostanziosi finanziamenti.
Secondo il Dossier statistico 2010 della Caritas-Migrantes, ci sarebbero in Italia all'inizio del 2010 4.235.000 stranieri residenti, o 4.919.000 considerando quelli non ancora iscritti all'anagrafe. Gli stranieri sono triplicati in un decennio e aumentati di quasi un miüone nell'ultimo biennio. I clandestini sono stimati fra i 500 e i 700 mila, ma non e certo scorretto pensare che siano almeno il doppio. Si arriva perciö a una cifra di piü di 6 milioni di persone (quasi l'11% della popolazione residente, uno straniero ogni 9 italiani), cui vanno aggiunti circa 500 mila naturalizzati italiani negli Ultimi anni. Metä circa degli immigrati sono donne. Nel 2007 gli stranieri erano 3.690.000, il 5,6% della popolazione.
PAGANO LE PENSIONI?
Grande risalto e stato dato al fatto che i contributi degli immigrati hanno aiutato l'Inps a rimettere un po' a posto i conti. In effetti l'arrivo di tanti nuovi contribuenti che non percepiranno pensioni per un po' di tempo e salutare. Si tratta pero di una situazione temporanea perche, a partire da 20 anni da oggi (quando a maturare pensioni di vecchiaia o anzianitä cominceranno a esserci moltitudini di immigrati), si riproporrä anche nella comunitä foresta lo stesso Schema attuale di un rapporto fra lavoratori e pensionati sbilanciato a favore di questi Ultimi, a meno che non si conti su un continuo afflusso di immigrati giovani paganti. In tale caso si tornerebbe in qualche modo al sistema a ripartizione su cui in anni di boom demografico si era basato il sistema pensionistico, facendo saltare ogni buonaintenzione di trasformarlo in un sistema a capitaliz- zazione. Insomma gli immigrati non risolvono i problemi del sistema pensionistico italiano ma lo spostano solo un po' più in là nel tempo. Oggi il rapporto fra pensionati e abitanti è di circa 1 a 5 per gli italiani e di 1 a 25 per gli stranieri: il divario diminuirá costantemente fino a stabilizzarsi sullo stesso rapporto a meno che - come detto - il numero degli immigranti non continui a crescere in misura esponenziale.
Dai dati Inps più recenti e completi disponibili (III Rapporto su immigrati e previdenza), risulta che nel 2004 gli stranieri iscritti ai ruolini pensionistici erano 1.537.380, e cioè meno della metà del totale degli immigrati di allora. Non cambia la situazione nel 2010, quando - secondo la Caritas - gli iscritti all'Inps sarebbero circa due milioni, e cioè circa il 40% dei regolari. Questi versano un totale di 7,5 miliardi in contributi previdenziali; nel 2007 le pensioni erogate erano 294.025 con una spesa annua di 2 miliardi e 564 milioni. Oltre a queste c'è una cifra imprecisata ma piuttosto alta per prestazioni sociali d'altro genere. Ci sarebbe cosi un saldo attivo di qualche miliardo. Occorre notare che il bilancio è migliorato da quando è stata soppressa la facoltà prima concessa agli immigrati di farsi rimborsare i contributi versati in caso di rimpatrio, rafforzando la tendenza a permanere in Italia.
I DATI NON TORNANO
Per essere un gruppo sociale la cui presenza viene giustificata come "forzalavoro", occorre notare come la percentuale di stranieri che pagano i contributi pre - videnziali sia sospettosamente bassa. Questo significa che la piü parte diloro non pagai contributi sociali perché lavora in nero, o evade, o non lavora affatto, o fa "lavori" (criminalità, droga e prostituzione) che non hanno vocazione né possibilita di essere assoggettati a contributi.
I numeri non tornano. Comprendendo anche gli irregolari, meno di un terzo degli stranieri versa contributi previdenziali: una percentuale inferiore a quella del totale degli italiani al di sotto dei 65 anni (39.318.000 nel 2010) che sono regolarmente oc- cupati (più di 21 milioni), e cioè il 54,7%.
Risulta perciò piuttosto evidente (e préoccupante) che l'attuale attivo del bilancio previdenziale degli stranieri sia rapidamente destinato a esaurirsi (salvo una crescita esponenziale degli immigrati e una irrealistica dilatazione del mercato del lavoro) e che perciò la presenza degli stranieri non risolverà ma aggravera i problemi pensionistici.
É del tutto falso affermare che gli stranieri pagheranno le nostre pensioni: lo fanno in parte marginale oggi per la loro età media più bassa, ma impoveriranno ulteriormente in avvenire le sempre più esigue risorse del paese.



Troppi silenzi su Lampedusa
Europa, 06-10-2011
Massimo Livi Bacci
La scorsa settimana, il governo era stato chiamato a riferire a camera e senato sui fatti di Lampedusa del 21 settembre: era una buona occasione per fare il punto non solo sui duri scontri avvenuti nell’isola, ma anche sulle ondate migratorie messe in moto dalle vicende nordafricane e sugli orientamenti del governo in materia. Deputati e senatori sono stati serviti con una striminzita relazione letta dalla sottosegretaria Viale, identica anche nelle virgole alla camera e al senato, reticente sul primo argomento, quasi muta sul secondo.
Quanti erano i tunisini sull’isola, quanti sono stati coinvolti, quante le donne, quanti i bambini? Quanti sono stati rispediti all’origine? Quanti poveracci sono ancora impacchettati sulle navi traghetto? Quali le loro condizioni igieniche e sanitarie? Cosa si intende fare delle strutture devastate sull’isola? Domande senza risposte: per fortuna notizie molto più dettagliate di quelle fornite dal bollettino ministeriale si erano lette nella stampa, viste in tv, udite da testimoni e operatori. Il parlamento ringrazia per la considerazione. Ma silenzi, omissioni o notizie parziali sono più eloquenti di una lunga relazione. Vale la pena commentare tre punti.
Il primo riguarda la decisione presa dal governo di considerare d’ora in poi Lampedusa “porto non sicuro” per barconi e natanti di migranti intercettati o soccorsi in mare, che d’ora in avanti saranno dirottati nel “porto sicuro” di Porto Empedocle, sulla terraferma siciliana. E perché non si è fatto prima? Perché si è lasciato che a Lampedusa arrivassero, si stipassero e accatastassero per giorni, settimane e talvolta mesi, migliaia di migranti in attesa di rimpatrio o di altra destinazione? Si è fatto credere che accompagnare i migranti soccorsi in mare verso altre destinazioni fosse impraticabile, e che Lampedusa dovesse essere per forza il capolinea. Ora si scopre che non è così. Questo fatto – assieme agli inspiegabili ritardi, in passato, nelle evacuazioni – accredita la convinzione che si sia volutamente fare di Lampedusa uno “spauracchio migratorio”, la giustificazione mediatica per le politiche securitarie leghiste, un avvertimento in chiave elettorale e propagandistica sui misfatti delle migrazioni: oggi a Lampedusa, domani in Padania, domani l’altro ovunque in Italia. Con protagonista incolpevole la stressata, provata e tartassata popolazione di Lampedusa: 6mila abitanti, venticinque chilometri quadrati, 52mila sbarchi in nove mesi, conflitti e degrado, l’Isola del Diavolo di una nuova Cayenna.
Secondo punto. Pochi giorni fa, Maroni aveva dichiarato: «L’accordo con la Tunisia funziona. Ha dato i suoi frutti». Vuole dirci il governo che cosa non ha funzionato, visto che gli sbarchi sono ripresi? Quali politiche l’Italia ha in mente oltre l’aiuto fornito alla Tunisia per controllare le coste ed impedire le partenze? Quali impegni di cooperazione stiamo studiando per sostenere un’economia al collasso, soprattutto nel sud del paese, per la fine delle attività transfrontaliere con la Libia, la chiusura degli alberghi, la disoccupazione devastante? Oltre il canale di Sicilia non c’è la Svezia, ma un paese che ha bisogno estremo di aiuto, magari transitorio; che deve ricostruire le proprie istituzioni; rifarsi dal trauma del rientro forzato dalla Libia di centinaia di migliaia di emigrati. La nostra politica sembra preoccupata solo del funzionamento del circuito partenze-sbarchi-rimpatri, allargando lo scarico del lavabo: ma perché il rubinetto rimane aperto? Terzo punto: le lagnanze verso l’inettitudine dell’Europa, e di “una risposta che tarda a venire”.
È vero, l’Europa si muove scompostamente in tema di migrazioni. Ma cosa propone l’Italia? «L’equa ripartizione degli oneri», dice il governo, per asilo e profughi: l’Europa però ci ride in faccia ricordandoci che di “asilati” ne abbiamo 60mila, un quinto della Francia, un decimo della Germania. Aiuti per il controllo delle frontiere, chiediamo, ma intanto ci mettiamo di traverso con Frontex, bollato dal ministro come inutile “carrozzone”. Impegno per lo sviluppo dei paesi del nordafrica, chiediamo, ma dove sono finiti i fondi per la cooperazione? E infine, con quale prestigio trattiamo in Europa, se per mesi abbiamo fatto a meno di un ministro per le politiche comunitarie, se il primo ministro è bene nasconderlo anziché esibirlo, se nei fatti di Libia siamo stati messi in seconda fila e perfino umiliati?
 


Immigrati: istituita a Roma nuova sezione per riconoscimento asilo
Libero, 05-10-2011
Roma, 5 ott. (Adnkronos) - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha firmato il decreto istitutivo della seconda Sezione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma. Il provvedimento firmato da Maroni - rende noto il sottosegretario all'Interno con delega all'asilo e immigrazione, Sonia Viale - risponde all'esigenza di garantire un esame approfondito delle istanze in tempi rapidi.
L'apertura della seconda Sezione e' stata disposta al fine di aumentare il numero delle istanze esaminate per il riconoscimento di protezione internazionale presentate nel Lazio, Umbria e Sardegna, conciliando, pertanto, la necessita' di garantire l'esame approfondito delle singole domande con l'esigenza dei richiedenti di conoscere in tempi rapidi se hanno diritto o meno di rimanere sul territorio nazionale.



"Speranze deluse e degrado la miccia di lotte razziali"
la Repubblica, 06-10-2011  
VLADIMIRO P0LCHI
ROMA
Quartieri dormitorio, comunità straniere chiuse e impermeabili, disagio economico. L'Italia dei ghetti è unacoperta d'Arlecchino: tanti colori, quanti sono i fattori di rischio. La miccia esplosiva? Le seconde generazioni di immigrati e la delusione delle loro aspettative.
«Nel nostro Paese è in corso un processo di ghettizzazione dei territorio — conferma Gian Carlo Blangiardo, esperto di immigrazione e direttore del dipartimento di statistica alla Bicocca di Milano — questo è dovuto sia alle catene migratorie che portano i Cittadini stranieri ad abitare laddove trovano altri connazionali, sia allo status socio-economico che accomuna chi, italiano o non, abita nei quartieri periferici». Blangiardo fa gli esempi delle forti concentrazioni di cinesi e sudamericani in alcune zone di Milano. L'Italia dunque a rischio banlieue? In verità, la presenza dei migranti nel nostro Paese è distribuita in maniera piuttosto uniforme: un pulviscolo di nazionalità scarsamente concentrate. «0ltretutto — spiega Asher Colombo, docente di sociologia delle migrazioni internazionali a Bologna — gli immigrati creano anche dei Aussi interni, in una si- tuazione territoriale di grande fluidità». Crescono però le situazioni di degrado e sovraffollamento. In testa Roma e Milano con 300mila e 217mila immigrati residenti rispettivamente. Un campanello d'allarme arriva da un studio dell'università Cattolica dei Sacro Cuore di Milano, secondo il quale «le periferie urbane si con- figurano come veri e propri incubatori di razzismo e xenofobia». C'è poi il caso Roma: «Gli ingenti flussi migratori che si sono riversati qui negli ultimi anni— si leggeva nel "Primo rapporto sugli immigrati in Italia" del Viminale datato 2007—hanno dato luogo a fenomeni tangibili di segregazione residenziale, basata sul gruppo étnico di appartenenza».
Quali sono le comunità più chiuse? «Generalmente quelle cinesi, indiane, pachistane e bengalesi—risponde Blan-giardo — anche per le obiettive difficoltà di lingua». Una conferma arrivada una recentissima ricerca Abis per conto dell'associazione Genemaghrebina: i pachistani in Italia risultano spesso isolati, chiusi al mondo esterno, con «una minore integrazione delle donne che vivono quasi esclusivamente all'interno della comunità familiare allargata».
In questo contesto, le tensioni possono arrivare dal crescente disagio economico: «In un periodo di crisi, quando i servizi sociali scarseggiano — sostiene Blangiardo — le determinanti di tensione aumentano». In vista però non ci sarebbero «scontri razziali, ma guerre tra poveri, anche perché va dato atto al nostro Paese di essere riuscito in un modo o nell'altro ad accogliere inpoco tempo i cinque milioni di immigrati residenti».
Avrischio ghetto potrebbero essere allora le seconde generazioni, «che scontano —ricorda Colombo—una vecchia e inadeguata legge sulla cittadinanza». «II milione di giovani immigrati che vive in Italia — prosegue Blangiardo — potrebbe costituire la futura miccia di tensioni razziali: non ora, ma quando e se le loro aspettative di vita e di eguaglianza con i coetanei italiani non venissero soddisfatte». Non solo. Altro fattore di rischio sono gli irregolari: «La crisi economica sta colpendo anche i lavoratori stranieri — avverte Colombo—e questi in base alla Bossi-Fini se perdono il lavoro rischiano di perdere pure il permesso di soggiorno, accrescendo cosi la già pericolosa area dell'irregolarità strutturale».



Palermo reagiste: no alla moschea in chiesa
Libero, 06-10-2011
Andrea Morigi
PALERMO
??? C'è un limite anche all'islam. Contro l'ipotesi di trasformare in moschea una chiesa del capoluogo siciliano, reagiscono sia esponenti politici nazionali che locali.
Come anticipato ieri in esclusiva da Libero, nell'Oratorio del SS. Crocifisso di Lucca, preso in affitto dalla comunità musulmana bengalese, venerdi prossimo è atteso il predicatore Habibur Rahman Juktibadi, esponente della Jamaat-e-Islami, partito fondamentalista islamico del Bangladesh.
Alla Farnesina ignorano chi gli abbia eventualmente concesso il visto d'ingresso nell'area Schengen. «Di certo non l'ambasciata d'Italia a Dhaka, la capitale del Bangladesh», puntualizzano fonti del ministero degli Esteri contattate da Libero.
L'assessore alla Cultura del Comune, Giampiero Cannella, coordinatore Cittadino del Pdl, ricorda che «Palermo è storicamente la città dell'accoglienza, della tolleranza e del dialogo interreligioso». A qualcuno l'accoglienza nei confronti degli immigrati potrebbe essere apparsa come un segno di resa. Al contrario, «non si può però consentire che una testimonianza storica della nostra tradizione religiosa come la chiesa del SS. Crocifisso venga convertita "de facto" in moschea in spregio a qualsiasi rispetto per la memoria e norma positiva», scrive l'assessore in una nota. Oltre al patrimonio culturale della città, va tutelata anche la pace sociale e «non si può tollerare», continua Cannella, «la presenza in città di un predicatore fondamentalista che rischierebbe di diffondere messaggi contrastanti con quel clima che invece, in città, unisce persone di razze, paesi e religioni diverse tra loro». Perciò da un lato, «per quanto riguarda l'utilizzo improprio della chiesa, contatterò quanto prima gli organi competenti», mentre dall'altro «auspico che le istituzioni preposte vigilino sulla presenza a Palermo di esponenti fiancheggiatori della Jihad».
Sul caso interviene anche Souad Sbai, parlamentare del Pdl, secondo la quale «l'indiscrezione pubblicata da Libero è un campanello che suona allarme rosso» in una regione come la Sicilia «da sempre una terra che accoglie e integra», ma che non può essere confusa con una meta di proselitismo estremista».
Sono in questione anche la sicurezza e l'ordine pubblico, suggerisce la Sbai, perché «relativamente alle vicende dell'estremismo il Sud è realtà ben diversa da quella che vediamo al Nord, dove ormai è alla luce del sole l'infiltrazione di elementi che inneggiano al Jihad e al fondamentalismo militante». Nel caso di Palermo, invece, si tratta di un radicalismo islamico che si organizza quasi clandestinamente e «nella comunità bengalese questi personaggi non si sono mai esposti pubblicamente, ma hanno invece lavorato sotto traccia, cosa che li rende ancor più pericolosi». Perciò, «l'assessore Cannella ha perfettamente ragione: far arrivare a Palermo un personaggio di questo genere», dice la Sbai riferendosi a Juktibadi, «a fare solo proselitismo e a incendiare gli animi della comunità bengalese, sarebbe un errore gravíssimo, che non ci possiamo permettere».
In realtà c'è una sepoltura all'interno dell'ex luogo di culto, che reca un'iscrizione il cui desiderio andrebbe rispettato: «Posttenebras sperolucem». Mai sintomi dell'avanzata dell'islam più oscurantista sono stati già rilevati dal numero verde "Mai Più Sola" creato assieme alla Fondazione Nando Peretti che, conclude la Sbai «ci ha segnalato l'inizio di una recrudescenza violenta sulle donne anche in quella comunità e proprio per questo occorre fermare la deriva estremista prima che diventi inarrestabile».



IMMIGRATI: SUPERATE 10MILA FIRME PER CAMPAGNA VOTO AMMINISTRATIVO
(ASCA) - Roma, 5 ott - Sono piu' di diecimila le firme raccolte finora per la Campagna per i diritti di cittadinanza ''L'Italia sono anch'io'', molte delle quali lo scorso 1 ottobre in occasione del primo D-Day nazionale nelle 45 piazze italiane.
Centinaia di volontari delle diverse organizzazioni della societa' civile e degli enti locali si sono mobilitati per sostenere le due proposte di legge di iniziativa popolare.
La strada, pero', e' ancora lunga - sottolineano le Acli, una delle organizzazioni promotrici della campagna - sono infatti cinquantamila i sottoscrittori che debbono appoggiare ciascuna delle due proposte di legge e le firme vanno raccolte entro la fine del febbraio 2012.
L'attivita' quindi continua e nuovi Comitati si stanno costituendo in tutte le regioni e le citta', dal Trentino alla Sicilia, dal Friuli alla Sardegna.
Oltre alla partecipazione diretta ai Comitati territoriali per la raccolta delle firme, si puo' aderire alla Campagna e al suo manifesto (lo hanno gia' fatto numerosi esponenti del mondo della cultura, dello spettacolo e della politica) andando sul sito www.litaliasonoanchio.it, dov'e' possibile trovare i testi delle due proposte di legge, materiali di approfondimento, schede informative, informazioni su comitati locali e le iniziative che si stanno organizzando, oltre alle istruzioni per fare una donazione o diventare socio sostenitore.



Le periferie dell'Islam  
la Repubblica, 06-10-2011
GILLES KEPEL
Islam come rivendicazione sociale, religiosa e politica: nel 1985 fu il tema di una prima inchiesta, Les banlieues de l'Islam. Un quarto di secolo dopo, la situazione è molto cambiata e per questo abbiamo voluto indagare a Clichy-sousBois e Montfermeil, epicentro delle sommosse dell'autunno 2005. L'estrema ghettizzazione di questa borgata, il sentimento di relegazione che domina fra i suoi abitanti ha avuto come effetto di compensazione, in un certo modo, l'affermarsi di un'identità religiosa più forte.
I valori religiosi sono un vettore di coesione sociale, nell'Islam come nel cristianesimo o il giudaismo. Ma quando si ha l'impressione che le istituzioni siano inadempienti, quando manca il lavoro, la dimensione religiosa tende a sostituirsi alle istituzioni, ma questo è anche un modo per chiedere di essere integrati nella società.
I protagonisti della nostra inchiesta sono diversi da quelli del 1985. Allora si trattava di lavoratori immigrati, che in grande maggioranza non erano francesi, e di confessione musulmana.
Oggi, in gran parte dei casi, hanno lasciato il posto a una giovane generazione, nata qui, di nazionalità francese : non è più l'Islam in Francia, ma l'Islam della Francia. Questo fenomeno si è sviluppato mentre al tempo stesso si osservava una progressione notevole della disoccupazione e la crescente difficoltà della scuola a educare questi giovani per consentire loro di avere accesso ai nuovi impieghi, in particolare nel terziario. a deficienza dell'istruzione ha messo in difficoltà la logica dell'integrazione, non solo sociale ma anche culturale. In questo contesto che si sono prodotti gli avvenimenti dell'autunno 2005, le sommosse scoppiate a Clichy e Montfermeil.
Esplose nonostante ci fosse stato un importante coinvolgimento dello Stato nelle borgate popolari, contrariamente a quel che si è potuto vedere in Gran Bretagna, negli Stati Uniti o altrove, in particolare gra- zie alla politica di rinnovamento urbano, che consisteva a distruggere gli enormi edifici vetusti per rimpiazzarli con costruzioni più moderne e piacevoli. Ciò nonostante, il problema è adesso quello di entrare in una nuova fase, passare, dal rinnovamento dell'habitat al rinnovamento sociale e culturale.
La principale posta in gioco è l'istruzione, che deve permettere l'accesso all'occupazione. Non è solo una questione qualitativa, perché questa occupazione può anche consentire alla Francia di mantenere la sua competitività economica internazionale. Ma è anche la promessa di un'integrazione culturale migliore, che possa permettere anche a chi vede nell'Islam la propria identità di negoziarla nel quadro della Repubblica e dell'or- dine repubblicano.
Oggi, nei quartieri in cui la République e le sue istituzioni sono meno presenti c'è la tendenza ad avere, soprattutto nelle borgate più isolate, un'auto-organizzazione, modi diresistenza che si riferiscono sempre più alla cultura musulmana. Lo si vede con lo sviluppo dell'alimentazione halal, con i matrimoni contratti soprattutto all'interno délia comunità, mentre il modello francese d'integrazione si è appoggiato molto, per esempio, sui matrimoni misti. E' un fenomeno che riguarda soprattutto i quartieri isolati e non si ritrova alio stesso modo altrove, ma oggi è un fenomeno préoccupante. Tutto ciò per dire che le forme prese dallo sviluppo dell'Islam in Francia, assai diversificate, indicano le difficoltà incontrate dalle borgate popolari e le sfide che aspettano il prossimo presidente della Repubblica: la questione delle banlieue centrale per la coesione sociale, per il dinamismo e la prosperità della Francia di domani. Reintegrare le borgate popolari nel tessuto sociale è un obiettivo essenziale e Clichy-Montfeermeil è la Francia, non è qualcosa di nascosto dietro i mûri antirumore delle autostrade, di cui non si parla mai o che è oggetto di strumentalizzazioni demagogiche.
La situazione è invece molto diversa nei paesi che avevano una forte dimensione comunitaria, come la Gran Bretagna, l'Olanda, la Germania, dove si pensava che gli individui potessero vivere ripiegati su loro stessi e dove non c'è una cultura di integrazione o di assimilazione come quella francese. Le logiche multiculturali presenti in quei paesi sono state profondamente minate dallo sviluppo di movimenti terroristi islamici: gli attentati di Madrid nel 2004, quelli di Londra nel 2005, l'assassinio di Théo Van Gogh in Olanda e poi l'af- fare delle vignette in Danimarca. O tutto ciò ha suscitato una reazione contraria e quei paesi multiculturali sono forse oggi i più chiusi alla diversità sociale. La Francia non è mai stata multiculturale e mi sembra meglio attrezzata per affrontare una questione essenziale: rinnovare e rifondare unapolitica di in¬tegrazione sociale e culturale, basata sul postulato che chiunque arriva in Francia, si integra socialmente e culturalmente, è francese come chi è nato da sempre in questo paese. Si è francesi per cultura come si è greci per la palestra e il liceo. Credo sia qualcosa che non si è stati abbastanza capaci di mettere in opera nelle banlieue, ma che mi pare realizzabile.
Nella nostra inchiesta colpisce una cosa: al di là dell'azione dello Stato, ci sono fenomeni di successo individuale che vengono da imprenditori di origine immigrata e che sono fra i migliori vettori dell'integrazione. La società è pronta, tutti i francesi, tranne forse in alcune zone rurali, sono abituati a vivere con persone di origine straniera, è una tradizione antica. Si tratta di sapere se le culture devono convivere in una lógica antagonista o comunitaria oppure se nelle diverse tradizioni culturali quel che è comune deve prendere il soprawento su quel che è diverso.
Èquestal'integrazione: occorre un'azione pubblica, ma ci vogliono anche campagne di sensibilizzazione, perché quel che abbiamo in comune abbia il sopravvento nel progetto sociale.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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